LEPANTO - IC Pieve di Cadore

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LEPANTO
di Camillo MANFRONI - * - Enciclopedia Italiana (1933)

LEPANTO (in greco Naúpaktos; A.T., 82-83). - Città e porto della Grecia,
nel nomós di Etolia e Acarnania, posta sulla costa settentrionale dello stretto
che separa il Golfo di Corinto da quello di Patrasso, alla destra della foce del
Mornos, al piede del M. Rigani. La città, che è molto decaduta dalla sua antica
importanza, contava nel 1928 solo 4210 ab. Conserva le mura veneziane e la
cittadella, che, con il piccolo porto difeso da due torri, le conferiscono un
aspetto pittoresco.

La battaglia di Lepanto. - La battaglia combattuta (7 ottobre 1571) nel Golfo
di Lepanto tra le forze delle principali potenze navali cattoliche del
Mediterraneo occidentale da un lato e quelle raccolte dai Turchi nei loro
dominî europei, asiatici e africani, è indubbiamente la più grande battaglia
della marina a remi, non solo di tutto il sec. XVI, ma di tutto il periodo
remico dal Medioevo in poi: e ciò non soltanto per il numero delle galee che
l'uno e l'altro avversario pose in campo, ma per l'effetto navale che essa
produsse, anche se lo scopo immediato che i collegati cattolici avrebbero
dovuto proporsi, cioè la liberazione di Cipro, non fu raggiunto.

Per comprendere infatti tutta l'importanza morale della vittoria conseguita
presso le isole Curzolari nel golfo di Lepanto nell'ottobre del 1571, occorre
pensare che dal giorno in cui Maometto II aveva conquistato Costantinopoli
e distrutto l'impero bizantino*, la potenza terrestre e navale dei Turchi era
sempre venuta crescendo, e tutti gli sforzi, per verità poco tenaci, delle
potenze cristiane per infrenarla erano falliti. Le armate navali di Venezia e di
Spagna non avevano potuto impedire il dilagare dei Turchi nel
Mediterraneo: Negroponte e gran parte della Morea erano state strappate a
Venezia, l'Asia Minore, l'Egitto erano stati conquistati, la navigazione per il
Mar Nero chiusa; gli stati barbareschi erano diventati vassalli del sultano di
Costantinopoli; le coste dell'Italia, le isole tirrene saccheggiate e devastate;
l'alleanza di Francesco I e di Enrico II di Francia coi Turchi e coi sovrani
barbareschi aveva segnato il colmo dell'oppressione del Mediterraneo.
Alcune disgraziate battaglie navali, alcuni errori della politica di Carlo V
avevano depresso gli animi (Prevesa, Le Gerbe) e diffuso la persuasione che
i Turchi fossero invincibili. Due fatti vennero a ridare agli Occidentali la
fiducia in loro stessi, a mostrare che i Turchi non erano invincibili: il fallito
assedio di Malta (1565) e la totale sconfitta turca a Lepanto. L'occasione per
questa nuova lega di Venezia con la Spagna e col pontefice Pio V, alla cui
voce incitatrice risposero anche quasi tutti i principi italiani, fu data
dall'assedio (1570), posto dall'armata turca alle fortezze dell'isola di Cipro, da
circa un secolo possesso veneziano. All'invocazione d'aiuto fatta da Venezia,
le cui forze navali non erano in grado da sole di resistere all'urto nemico,
rispose il papa Pio V, che si adoperò perché anche Filippo II di Spagna
inviasse aiuti navali. Quantunque avverso a Venezia, il re di Spagna, persuaso
che l'acquisto di Cipro a opera dei Turchi avrebbe aggravato anche la
condizione della Spagna nel Mediterraneo, acconsentì che l'armata spagnola
d'Italia (Sicilia, Napoli, Sardegna, mercenarî genovesi) prendesse parte alla
campagna agli ordini di Gian Andrea Doria, nipote del grande Andrea. Ma
Gian Andrea giunse tardi al convegno di Corfù, sicché Veneziani e Pontifici
rimasero inattivi ad aspettarlo, dando così tempo ai Turchi di conquistare
Nicosia e d'assediare Famagosta.

La campagna del 1570, completamente sterile, lasciò un gravissimo strascico
di polemiche, di accuse, di apologie. Veneziani e Spagnoli si palleggiarono la
responsabilità dell'insuccesso; e fu merito grandissimo di Pio V l'avere con
grande insistenza e calore ottenuto che nel maggio del 1571 fosse conclusa
la "Sacra Lega" tra la Spagna, la Santa Sede e Venezia, a cui si associarono il
duca di Savoia, Emanuele Filiberto, il duca di Parma, l'Ordine di Malta, il
granduca di Toscana, la repubblica di Genova, il duca di Urbino, il duca di
Parma. Capitano generale fu il figlio adulterino dell'imperatore Carlo V, don
Giovanni d'Austria, sotto i cui ordini stettero Marcantonio Colonna
comandante dei Pontifici, Sebastiano Veniero, capitano generale dei
Veneziani, Andrea Provana, ammiraglio del duca di Savoia, Gian Andrea
Doria, capo delle forze ausiliarie dei Genovesi, il priore Giustiniani
dell'Ordine di Malta, Ettore Spinola, capitano generale della repubblica di
Genova.
Le forze cristiane erano imponenti; secondo i documenti più autorevoli,
14 galee di Spagna, 31 galee del vicereame di Napoli, 10 galee di Sicilia, 11
galee di G. Andrea, 13 galee di appaltatori genovesi al soldo di Spagna
costituivano l'armata fornita da Filippo II, Venezia aveva potuto riunire 105
galee e alcune galeazze (a vela); 12 galee aveva fornito il papa, prendendole
in affitto dal granduca di Toscana, 3 il duca di Savoia, 3 l'Ordine di Malta;
v'erano poi altre navi minori, da carico, che seguivano l'armata. In totale,
secondo scriveva don Giovanni al re suo fratello, 208 galee, 6 galeazze, 24
navi con a bordo un complesso di circa 26.000 combattenti, tra cui il fiore
della nobiltà di Sicilia, di Napoli, degli stati italiani di terra ferma, che non
potendo fornire navi, aveva preso imbarco su quelle degli alleati, come
venturieri; Alessandro Farnese di Parma, Francesco Maria della Rovere di
Urbino, Paolo Giordano Orsini, Ottavio e Sigismondo Gonzaga: in totale
circa 3000 gentiluomini, alcuni dei quali assoldati, altri volontarî. La battaglia,
incominciata nel pomeriggio, ebbe diversi aspetti: al centro, dopo essere
passata con qualche danno attraverso l'ostacolo delle galeazze, l'armata turca
venne a contatto diretto col centro cristiano; le galee delle due parti
s'investirono, tentando reciprocamente gli equipaggi e le fanterie imbarcate
di penetrare a bordo delle galee che avevano di fronte. Manovre speciali non
vi furono; ma solo furibondi attacchi, che durarono sino al tramonto;
quando, dopo fierissima resistenza, la capitana turca fu conquistata dai
cristiani e il comandante supremo cadde ucciso.
Immensa fu la vittoria: presi 117 legni nemici, 50 affondati o bruciati; uccisi
circa 8000 Turchi, I0.000 prigionieri, liberati moltissimi cristiani, che i Turchi
avevano a bordo come schiavi addetti alla manovra dei remi. Le perdite
cristiane furono di circa 7500 uomini, tra cui il Barbarigo, uno stuolo di
sopracomiti (capitani di galee) veneziani e moltissimi gentiluomini, cavalieri
di Malta e di Santo Stefano, e venturieri; il numero dei feriti fu notevole. Ma
quel nobile sangue ebbe effetti grandissimi: fu distrutta la leggenda
dell'invincibilità dei Turchi, fu stroncato il pericolo di un ulteriore
dominio turco nel Mediterraneo; fu segnato l'inizio della decadenza
marittima degli Ottomani. Quanto agli effetti materiali, la stagione
avanzata e le perdite sofferte sconsigliarono un immediato sfruttamento
della vittoria e la campagna ripresa nel 1572, per gravi dissensi tra Veneziani
e Pontifici da un lato e don Giovanni d'Austria dall'altro, rimase tronca a
mezzo. Cipro non fu ricuperata; Venezia, diffidente, fece pace coi Turchi,
rinunziando all'isola: tra Venezia e la Spagna si scavò un solco profondo che
non fu più colmato.

Bibliografia: A. Gugliemotti, M. A. Colonna alla batt. di Lepanto, Firenze
1862; id., Storia della marina pontificia, Roma 1886 segg.; C. Manfroni, Storia
della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma
1897, pp. 437-451; P. Molmenti, Seb. Veniero e la batt. di Lepanto, Firenze
1899; G. Tomassetti, I Romani a Lepanto, in Cosmos illust., 1904, pp. 78-92; L.
Serrano, La liga de Lepanto, II, Madrid 1918; L. von Pastor, Storia dei
papi (vers.ital.), VIII, Roma 1924; G. A. Quarti, La battaglia di Lepanto nei
canti popol., Milano 1930; A. Dragonetti de Torres, La lega di Lepanto, ecc.,
Torino 1931; A. Salimei, Gli Italiani a Lepanto, Roma 1931.
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