Legislazione italiana ed europea a confronto
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Legislazione italiana ed europea a confronto “NATI INDESIDERATI” Riconoscimento del nato e parto anonimo di Graziana Campanato∗ 1 Filiazione legittima e naturale La nostra legislazione distingue la filiazione legittima da quella naturale, a seconda che il figlio sia nato o concepito da genitori coniugati o da genitori non coniugati ed in passato una dura discriminazione segnava questa differenza: essa si esprimeva nel divieto di riconoscere i figli adulterini e quelli incestuosi, di effettuare donazioni in loro favore ed in importanti limitazioni dei diritti successori. Il superamento di questa discriminazione è dovuto alla Riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha attuato il principio costituzionale fissato nell’art.30 comma 3 il quale assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i membri della famiglia legittima. Tuttavia alcune discriminazioni si sono conservate in danno del figlio incestuoso di cui è ancora vietato il riconoscimento ( è ammessa solo la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità ) e nei rapporti ereditari con i parenti dei genitori naturali in cui i figli naturali, ancorché riconosciuti. Essi soffrono di limitazioni dei diritti successori nei confronti di tutti componenti della famiglia paterna e materna , negandosi loro il rapporto di parentela, con la conseguenza che in mancanza di testamento, non possono essere chiamati all’eredità, anche se non vi sono altri eredi legittimi ed è loro preferito lo stato, salvo che non si tratti di ascendenti o fratelli. Consigliere di Corte di Cassazione, già presidente del Tribunale per i minorenni di Venezia L’articolo rielabora una relazione tenuta al Congresso internazionale “Famiglia e Cittadinanza”, Padova 19-20 ottobre 2007, organizzato dalla Regione del Veneto e dal Centro Regionale di Documentazione ed Analisi sulla Famiglia.
Costituisce una discriminazione anche la conservata distinzione formale tra la filiazione naturale e la filiazione legittima, mentre in altri paesi europei si è venuto ad affermare un solo statuto unitario della filiazione. Così nella legge tedesca attraverso una riforma che risale al 25 settembre 1997 che ha cancellato la distinzione tra filiazione legittima e filiazione naturale , attribuendo un unico stato a tutti i figli. b. Il riconoscimento del figlio da parte della donna nubile e diritto all’anonimato -Il nostro diritto della filiazione ha conservato, anche dopo la riforma del 1975, la regola che attribuisce la maternità, nell’ipotesi di donna nubile, alla dichiarazione di riconoscimento da parte della madre o ad un accertamento giudiziale. L’assunzione del ruolo di madre è dunque lasciata alla discrezione della donna, la quale può avvalersi della facoltà di non essere nominata nel certificato di attestazione di avvenuta nascita ( termine che ha sostituito quello precedente di assistenza al parto a sensi dell’art.30 comma 2 DPR n.396/2000 ), con la conseguenza che l’atto di nascita si formerà senza l’indicazione dell’identità della madre1. Questa regola da una parte attribuisce alla madre una priorità nella costituzione dello stato di figlio, poichè riconoscendolo per prima essa acquista la potestà sullo stesso ( art 317 bis c.c.), compresa l’attribuzione del proprio cognome ( art.261 c.c. ) e può opporsi al riconoscimento da parte del padre ( art.250 c.c. ) e dall’altra impedisce l’instaurarsi del legame di filiazione nei confronti del nato se la madre non lo vuole. Tuttavia in questo modo il legislatore italiano si è discostato dal sistema instaurato dagli altri paesi europei che, salvo la Francia, si sono conformati al principio del riconoscimento automatico della maternità; principio contenuto nella convenzione di Strasburgo del 15 ottobre 1975, relativo allo status dei figli nati fuori del matrimonio. 1 V. art.70 comma 1 r.d. 9 luglio 1939, n.1238, come sostituito dall’art.2 comma 12 legge 15 maggio 1997 n.127 e ora trasfuso nell’art.30 comma 1 d.p.r.3 novembre 2000 n.396 il quale dispone che:”La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dall’ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”
Questa convenzione è stata firmata anche dall’Italia l’ 11 febbraio del 1981, ma non è stata ratificata. Un accertamento automatico della filiazione materna fondato sul principio della certezza della maternità, in base al quale il solo fatto della nascita determina il sorgere di un vincolo giuridico tra il figlio e la madre, è previsto in Germania, in Austria, in Spagna, in Portogallo, in Svizzera, in Belgio. Ad un principio opposto si ispira il sistema francese che consente, come quello italiano, di mantenere il segreto sul nome della donna che ha partorito, con la conseguenza ( che lo diversifica dal nostro sistema ) di precludere anche una successiva ricerca della maternità attraverso una azione giudiziaria; azione che è, invece, consentita nel nostro ordinamento e che è imprescrittibile, salvo che il bambino non sia stato adottato. In questo caso non solo tale accertamento non avrebbe effetto ai fini dello status di figlio ma sarebbe ostacolato dal divieto di fornire indicazioni a terzi ed al figlio adottato. La scelta del legislatore italiano, al pari di quello francese, può apparire criticabile soprattutto nella tutela dell’interesse del figlio al conseguimento dello status e, comunque, alla conoscenza delle proprie origini genetiche; si giustifica , invece, con l’intento di dissuadere la madre, in situazione di estremo disagio, dall’assumere condotte “improprie” di abbandono del figlio e di consentire una tempestiva dichiarazione di adottabilità del nato, in vista di un suo sollecito inserimento in una famiglia adottiva. 3– Il diritto all’anonimato della donna coniugata Più complessa è la questione che riguarda la condizione di figlio di madre coniugata, posto che anche in questo caso la donna può utilizzare il diritto all’anonimato, come
prevede attualmente espressamente l’art.30 comma del DPR n.396/2000( Nuovo Ordinamento dello Stato civile ). Questa possibilità, unitamente a quella di poter riconoscere il figlio nato da una relazione adulterina, da un lato attribuisce alla madre più che in passato il ruolo di arbitro circa la determinazione dello status del figlio e dall’altro solleva qualche problema di coordinamento tra l’art.250 c.c., il sistema delle presunzioni e l’art.253 c.c che esclude l’ammissibilità del riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo in cui la persona si trovi. Nel sistema previgente questa possibilità non era prevista ed alla nascita di un figlio da donna coniugata conseguiva la rigida preclusione di attribuzione della paternità al marito della stessa. Tuttavia la facoltà per la donna coniugata di non essere menzionata nell’atto di nascita del figlio, pur non essendo espressamente prevista, si poteva ricavare dall’art.73 comma 2 del vecchio Ordinamento dello stato civile che disponeva .” Se la nascita è da unione illegittima le indicazioni di cui all’art.71, riguardanti il nome, cognome, cittadinanza e residenza del padre e della madre dovranno essere fatte solo per il genitore o per i genitori che personalmente rendono la dichiarazione di nascita, o che hanno fatto constatare per atto pubblico il proprio consenso ad essere nominati…” La norma pertanto veniva riferita non alla nascita da persone non coniugate, ma ad ogni nascita illegittima, intendendo come tale non la nascita da donna non maritata, ma la nascita da persona il cui stato non risulta nell’atto di nascita del bambino. Si veniva così a subordinare lo status di figlio legittimo alla formazione dello stesso titolo di stato, costituito dal predetto atto di nascita. Ne conseguiva che anche la presunzione della paternità in capo al marito della donna coniugata scattava non con la nascita del bambino, ma con il formarsi dell’atto. La stessa Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità dell’art.10 legge 184/83 con riferimento ad una fattispecie di dichiarazione di adottabilità di un
bambino denunciato come figlio di donna coniugata che non intendeva essere nominata, affermava “ qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può dichiarare di non voler essere nominata nell’atto di nascita . Ove l’ufficiale di stato civile abbia redatto l’atto di nascita nei modi di legge prescritti per i casi di bambini denunciati come nati da genitori ignoti manca il titolo essenziale perché si possa considerare legittima la maternità. Non risultando il nome della partoriente non è possibile individuare il marito della stessa, né rendere operativa la presunzione di paternità di cui all’art.231 c.c.”. La possibilità di usare l’anonimato consentiva in tempi passati alla donna coniugata che aveva un figlio da persona diversa dal marito di non riconoscerlo e di farlo riconoscere dal vero padre. In questo modo il bambino acquisiva lo status di figlio naturale del padre, ma non anche della madre, che avrebbe potuto riconoscerlo in un secondo momento, una volta sciolta dal vincolo matrimoniale. Nel sistema riformato il nuovo art.250 c.c. stabiliva che il figlio naturale può essere riconosciuto dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento nel segno di un accentuato favore per la verità. Nonostante alcune diverse interpretazioni in dottrina è invalso anche negli uffici dello stato civile l’orientamento ormai consolidato che la donna coniugata può procedere direttamente al riconoscimento del figlio naturale nell’atto di nascita, affermando che il padre non è il marito. In tale prospettiva si ritiene anche che la donna coniugata debba sempre denunciare il nato come proprio figlio naturale, nel caso in cui sappia con certezza che il figlio è stato generato con un terzo soggetto, poiché ove la stessa dichiari il figlio come legittimo, lasciando quindi operare la presunzione di paternità, potrà essere chiamata a rispondere del reato di alterazione di stato ( art.567 comma 2 c.p. ) il quale sussiste quando vi sia “la coscienza e la volontà di rendere una dichiarazione contraria alla
realtà, tale da attribuire al neonato uno stato civile diverso da quello che gli spetterebbe secondo natura”.2 Si afferma in tale modo un primato della maternità nell’attribuzione dello status di figlio3 perché affinché operi la presunzione di paternità del marito è necessario che si formi un atto di nascita, che pur non avendo efficacia costitutiva, rappresenta il titolo dello stato di filiazione legittima e cioè il presupposto dello stato di legittimità. Anche se nato da donna coniugata, in mancanza del titolo di stato, il figlio non è in grado di esteriorizzare il proprio status e, d’altra parte se non si forma il titolo di status, il marito della madre non avrà interesse all’azione di disconoscimento della paternità. 5 – Diritti del figlio e della madre alla nascita La Costituzione italiana afferma all’art.30 che è dovere dei genitori mantenere, istruire educare i figli , anche se nati fuori dal matrimonio e che la legge provvede che siano assolti i loro compiti in caso di incapacità dei genitori, oltre a proteggere maternità, infanzia e gioventù, favorendo gli istituti necessari ( art. 31 ). Anche la Convenzione ONU firmata a New York il 20.11.1989, ratificata in Italia con la legge 176/91, afferma che il fanciullo è registrato immediatamente alla nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi. Gli Stati parti vigilano per il rispetto di tali diritti in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli impegno assunti con gli strumenti internazionali ( art.7 ). 2 Cass. Pen. 3 luglio 1989 ; Cass. Pen 30 gennaio 1991 ; Cass. Pen. 12 marzo 1993; Cass. Pen. 21 aprile 1994, secondo cui con questa norma ( art. 567 comma 2 c.p. ) il legislatore ha inteso tutelare l’interesse del minore alla verità nell’attestazione ufficiale della propria ascendenza. 3 La madre come è stato osservato da Paolo Zatti “governa” in qualche modo le presunzioni, perchè dichiarando la filiazione naturale le esclude e tacendo le lascia operare ( Il diritto della filiazione: dal dominio dei modelli al problema degli interessi in “Il diritto di famiglia a vent’anni dalla riforma” a cura di Granelli Cedam 1996, 84 )
Inoltre stabilisce che ogni fanciullo privato del suo ambiente familiare ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali da parte dello stato in conformità della legislazione nazionale ( art.20 ). Per il nostro ordinamento chi nasce è riconosciuto dalla legge come “persona”, cui è attribuita la capacità giuridica, vale a dire la capacità di essere titolare di diritti, tra i quali i diritti inviolabili della persona, come il diritto all’identità , al nome alla cittadinanza, alla certezza di uno status di filiazione, alla stabilità , all’educazione e al diritto di crescere all’interno della propria famiglia. La madre di ogni nascituro usufruisce del diritto di essere informata sui diritti che le spettano a tutela della sua maternità, di scegliere o meno di riconoscere il figlio, con la consapevolezza che in questo caso si aprirebbe una procedura di adottabilità di competenza del tribunale per i minorenni; di optare per la segretezza del parto; di esser edotta che il termine ordinario per il riconoscimento è di dieci giorni dalla nascita e che può essere chiesta l’autorizzazione al tribunale per i minorenni di una proroga sino a 60 giorni, sempre che nel frattempo il bambino sia assistito dal genitore naturale o da parenti entro il quarto grado o in altro modo conveniente in cui permane un rapporto con il genitore naturale. 6 Il mancato riconoscimento -Quando il neonato non è riconosciuto dalla madre entro i 10 giorni dalla nascita gli deve essere assicurata la protezione prevista dalla legge ( art.30 del Nuovo ordinamento dello stato civile ) attraverso la tempestiva dichiarazione di nascita, rispettando la volontà della madre di non essere nominata. L’ufficiale dello stato civile provvede alla stesura dell’atto di nascita con l’indicazione “nato da donna che non intende essere nominata” ed attribuisce nome e cognome al bambino
La dichiarazione di nascita e la segnalazione dello stato di abbandono del bambino inviate alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, consentono il ricorso alla procedura di adottabilità che il predetto tribunale dichiarerà immediatamente, senza eseguire ulteriori accertamenti a meno che non vi sia una istanza di sospensione della procedura da parte di chi afferma di essere uno dei genitori e chiede termine per il riconoscimento, sempre che il bambino abbia un rapporto con il genitore naturale. Nel caso in cui entrambi i genitori abbiano età inferiore ai sedici anni, la procedura è invece rinviata d’ufficio sino al compimento di tale età, purchè il bambino sia assistito dallo stesso o da membri della sua famiglia. Particolare attenzione deve essere effettuata quando si prospetta la possibilità di un riconoscimento da parte del solo padre, onde evitare che attraverso tale atto si sostanzi un’adozione illegale, non essendovi rapporto di genitorialità tra il neonato ed il soggetto che lo riconosce. Quando questi è un uomo sposato con altra donna la legge prevede che l’Ufficiale dello Stato Civile trasmetta una comunicazione al competente Tribunale per i Minorenni perché effettui le opportune indagini circa la veridicità del riconoscimento Ove il tribunale sospenda o rinvii la procedura di adottabilità , se necessario nomina al minore un tutore provvisorio. Se entro i termini predetti avviene il riconoscimento la procedura di adottabilità viene chiusa, mentre se esso non viene effettuato si provvede senza ulteriore formalità alla dichiarazione dello stato di adottabilità Intervenuta tale dichiarazione e l’affidamento preadottivo l’eventuale riconoscimento è privo di efficacia, mentre un eventuale giudizio di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità è sospeso di diritto e si estingue quando interviene la pronuncia di adozione definitiva.
Anche il nuovo Ordinamento dello stato civile all’art.38 regola il ritrovamento di minori abbandonati stabilendo che chiunque trova un bambino in queste condizioni deve affidarlo ad un istituto o ad una casa di cura. Il direttore della struttura che accoglie il bambino ne dà immediata comunicazione all’ufficiale di stato civile del comune dove è avvenuto il ritrovamento, che iscrive negli archivi apposito processo verbale nel quale indica l’età apparente ed il sesso del bambino, così come risultanti nella comunicazione a lui pervenuta ed impone un cognome ed un nome, informandone immediatamente il giudice tutelare ed il tribunale per i minorenni per l’espletamento delle incombenze di rispettiva competenza. 7 - Le buone prassi 7.1 Affinché venga offerto il migliore aiuto alla madre ed al bambino è necessario che si adottino delle buone prassi che hanno come scopo quello di fornire una completa informazione alla gestante sulle sue possibilità di scelta, ma anche sulle possibilità di aiuto concreto nel caso la sua scelta sia dettata da disagio economico o psicologico. Questo consentirà di effettuare una valutazione responsabile della situazione e di decidere nel modo meno angosciante possibile. In particolare le informazioni debbono essere precise rispetto alla condizione della donna straniera extracomunitaria clandestina alla quale deve essere fatto presente che le potrà essere concesso un permesso di soggiorno provvisorio sino al compimento del sesto mese di età del bambino e potrà essere assistita gratuitamente sotto il profilo sanitario.Inoltre in alcune situazioni, nel caso in cui il figlio abbia necessità di essere assistito in Italia il tribunale per i minorenni potrà concederle un ulteriore permesso di soggiorno a sensi dell’art.31 della legge sull’immigrazione. Nel caso in cui al momento del parto permangano dubbi sulle capacità materne della donna, la struttura ospedaliera dovrà garantire un’assistenza ed un sostegno alla
stessa, sollecitando l’intervento dei servizi interni o di strutture territoriali socio sanitarie, vale a dire i consultori familiari o le equipe comunali di protezione dei minori. Sotto questo profilo sarebbe molto opportuno individuare una figura sanitaria di riferimento cui affidare la gestione dei rapporti delle future mamme caratterizzate da incertezze per la loro maternità. 7.2 E’ importante che l’operatore sociale referente abbia con lei un colloquio diretto e riservato per far maturare ed esprimere la scelta che la madre vuole prendere E’ pertanto necessario che gli operatori con i quali la donna può entrare in contatto abbiano la competenza necessaria per fornire queste informazioni, sia che si tratti del referente sanitario del Punto Nascita, che dell’operatore sociale territoriale o ospedaliero , e che costoro sappiano rispettare le sue decisioni e l’assoluta riservatezza. 7.3 E’ necessario anche che la professionalità si accompagni all’efficienza organizzativa; che esista collegamento tra gli operatori, un reparto dotato di una zona che garantisca la massima riservatezza. Inoltre particolare attenzione deve essere offerta alla donna che esce dall’ospedale non appena partorito, con una precisa informazione sulle norme che regolano il non riconoscimento e le procedure adottive, possibilmente attraverso anche l’utilizzo di materiale informativo predisposto ad hoc. E’ opportuno formare un fascicolo che raccolga durante il ricovero il maggiore numero di informazioni sanitarie sulla madre e sul padre perché queste potranno essere utili per la collocazione del bambino . Anche altro tipo di informazioni sui dati sociali dei genitori ed il contesto della scelta materna può essere rilevante . Questo fascicolo rimarrà riservato e potrà essere consultato in futuro in caso di grave necessità., pur conservando l’anonimato della madre.
Nel caso in cui la donna intenda lasciare la struttura ospedaliera non riconoscendo il bambino, è opportuno raccogliere formalmente tale sua volontà, previo un colloquio informativo con un operatore competente. L’ospedale dovrà provvedere alla dichiarazione di nascita tenendo presente la volontà della madre di non essere citata nell’atto e segnalare al tribunale per i minorenni lo stato di abbandono che consente di avviare la procedura di adottabilità. Nel caso in cui la madre chieda la sospensione per effettuare il riconoscimento entro i 60 giorni successivi alla nascita il bambino che non abbia bisogno di cure ospedaliere di regola viene affidato provvisoriamente alla futura coppia adottiva individuata dal tribunale che accetta il rischio giuridico .L’incontro con la coppia avverrà in uno spazio che garantisca la assoluta riservatezza Il tribunale, nomina un tutore che rilascia all’ospedale una lettera con cui autorizza le dimissioni e firma la cartella sanitaria, nella quale non comparirà il nome della madre. Ai genitori adottivi verrà consegnata una relazione clinica del bambino indipendentemente dalla documentazione sanitaria della madre. Il bambino può essere dotato di bracciale numerato ed essere registrato come qualsiasi altro nato con suo nome , senza essere affiancato da quello della madre nel registro dei parti ed essere spostato a tempo debito nel reparto di pediatria.. 7.4 Conoscenza dei propri diritti, professionalità degli operatori, buone prassi operative e collegamenti tra i vari soggetti che affiancano la donna nel corso della gestazione , del parto e delle scelte che riguardano il riconoscimento del neonato rappresentano uno degli aspetti di una vicenda condizionata dalle difficoltà, dal disagio psicologico, dall’angoscia che connotano una situazione di abbandono. Ancora oggi, nel mondo occidentale, assistiamo a fatti del genere. Essi sono una dura realtà sulla quale non ci sentiamo di esprimere giudizi, perché ogni caso ha le sue specificità ed ogni caso merita comprensione.
Vi sono situazioni in cui l’affidare il proprio figlio alla società perché lo assista può costituire un atto di responsabilità, e consapevolezza che le proprie difficoltà genitoriali sono così gravi da non assicurare la cura doverosa al proprio bambino. Vi sono casi in cui l’aiuto potrebbe bastare alla donna per renderla capace di svolgere il proprio compito di madre. Vi sono casi in cui il bambino viene abbandonato non attraverso le forme “proprie” che abbiamo illustrato e che si possono rappresentare come un passaggio, certamente doloroso, ma ritenuto necessario, di un bambino da chi lo ha partorito a chi lo potrà educare e crescere in modo adeguato, ma nelle forme più terribili dell’esposizione o della soppressione. E’ in particolare per evitare che questo avvenga che occorre informare, divulgare, adottare i migliori sistemi di intervento, predisporre aiuti, sostenere, cercando di raggiungere quelle donne che non sanno che il ruolo di madre può essere svolto anche scegliendo con ragionevolezza e facendosi aiutare nel consegnare il proprio figlio ad altri perché se ne prenda cura.
Puoi anche leggere