Le regole dell'apparire e la permanenza dell'effimero

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Prefettura di Macerata
Ufficio Territoriale del Governo    Archivio di Stato di Macerata

        Con il patrocinio del Ministero dell'Interno

        Le regole dell’apparire e la
         permanenza dell’effimero
              Tracce di moda e costume

              Guida alla mostra documentaria

                           30 settembre
                    1 - 2 - 3 - 4 ottobre 2009

                  Ente Fiera - Civitanova Marche

                    “cartacanta” festival-expò
Coordinamento                         Maria Grazia Pancaldi
                                      Nadia Capozucca
                                      Archivio di Stato di Macerata

Con la collaborazione di              Tiziana Tombesi
                                      Prefettura di Macerata

Ricerca, analisi e regestazione       Nadia Capozucca
dei documenti e selezione del         Isabella Cervellini
materialeiconografico                 Emanuela Liberti
                                      Archivio di Stato di Macerata

                                      Pierluigi Moriconi
                                      Daniela Casadidio
                                      Sezione di Archivio di Stato di Camerino

Progettazione grafica e scansione     Fausta Pennesi
documenti                             Archivio di Stato di Macerata

Ideazione e realizzazione copertina   Maurizio Ferracuti

Allestimento mostra                   Nadia Capozucca
                                      Isabella Cervellini
                                      Emanuela Liberti
                                      Fausta Pennesi

Si ringrazia                          Nova Associazione

                                      Fondazione Cassa
                                      di Risparmio di Fermo

                                      Istituto Statale d’Arte
                                      “G. Cantalamessa”
                                      di Macerata
Anche questa edizione di “cartacanta” ospita, nel proprio
ambito espositivo, il contributo documentale-archivistico frutto della
collaborazione feconda e collaudata tra Prefettura Ufficio
Territoriale del Governo di Macerata e l’Archivio di Stato.
         L’intendimento è quello di evidenziare come documenti, pro-
venienti da fondi di uffici statali, studi notarili, enti locali, da priva-
te famiglie nobiliari e borghesi, possano, con estrema attualità,
esprimere l’essenza di una società partecipandone, talvolta, anche
l’affermazione sociale.
         Il linguaggio della moda e del costume ha costituito un
importante mezzo di comunicazione ed è attraverso l’evoluzione
del costume che, nel corso del tempo, si è narrata la storia della
società maceratese.
         Leggere la storia di un territorio attraverso gli abiti che con
le loro fogge, ricami e colori svelano usanze ed abitudini, costumi
e malcostumi significa compiere anche uno studio antropologico
sofisticato; la moda quindi come patrimonio indispensabile per stu-
diare, attraverso i tagli ed i tessuti di una volta, l’anima di chi li ha
indossati ed il legame con i luoghi.
         Tuttavia in breve tempo l’abbigliamento, da codice conven-
zionale che connotava ogni ceto secondo un ordine precostituito,
diviene una opportunità di sviluppo che ha coinvolto l’intero territo-
rio provinciale.
         Le piccole produzioni artigianali e di nicchia sono divenute
nel tempo, tramandandosi pressoché costantemente da padre in
figlio, imprese che pure nell’attuale contesto di flessione dei consu-
mi riescono a registrare dei risultati confortanti ed, in taluni casi,
eclatanti.
         Non è infrequente, viaggiando per il mondo, imbattersi a
New York piuttosto che a Tokio in un prodotto (un abito, una scar-
pa, una borsa) realizzato nella provincia di Macerata e ciò è
emblematico di come la nostra imprenditoria sia stata capace di
affermare elementi di qualità e tradizione che ancora oggi qualifi-
cano dei marchi come “storici” appunto nati in questo territorio e
che rappresentano il “Made in Italy” ad un livello di eccellenza.

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Ma a parte le aziende più famose ed affermate c’è, nel
maceratese, una ramificazione di piccole realtà produttive che con-
corrono ai risultati lusinghieri più di quelle rinomate, un tessuto fatto
di migliaia di addetti che conservano le tradizioni del passato e la
maestria tipica delle lavorazioni artigianali.
        Le imprese del comprensorio maceratese che si sono espan-
se in tutto il mondo pur attente al rispetto della tradizione, traman-
data da padre in figlio per generazioni, sono però risultate attente
e vincenti anche nel settore dell’innovazione e a volte della ricon-
versione del prodotto, mediante la ricerca di materiali e stili e la for-
mazione delle maestranze, senza dubbio elementi strategici per
rimanere competitivi sui mercati globalizzati.
        Dunque industrie leaders mondiali nel proprio settore, che
hanno fatto crescere una cultura dell’impresa, tipica in questa pro-
vincia, che affonda le proprie radici in un artigianato locale che è
al contempo elemento di formazione e di radicamento sul territorio.

                                                VITTORIO PISCITELLI
                                                Prefetto di Macerata

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INTRODUZIONE

         La moda è un fenomeno di costume, a volte elaborato artificial-
mente da alcuni specialisti, a volte derivato dalla propagazione di un
semplice fenomeno di abbigliamento, riprodotto su scala collettiva per
motivi diversi. Ma la moda è anche linguaggio: attraverso il sistema di
segni che lo costituisce, una società esprime il proprio essere, comuni-
ca la propria visione del mondo, i propri valori e gerarchie.
         Il capo di abbigliamento è quindi un soggetto di ricerca il cui
studio richiama contemporaneamente una storia, una economia, una
etnologia, una tecnologia e, in qualche modo, anche una linguistica.
Ma soprattutto, in quanto legato all’apparire, il vestito, invitando a
superare i limiti che separano il singolo dalla società, si lega innanzi-
tutto a un sapere di tipo sociologico*.
         Organizzare una mostra sulla moda presuppone quindi appro-
fondimenti di carattere interdisciplinare, così come l’impiego di fonti
adeguate. Pur limitando l’ambito della ricerca ad un aspetto, a un set-
tore specifico, ci si trova comunque sempre di fronte a un oggetto di
analisi vasto e difficilmente afferrabile, soprattutto se il materiale a
disposizione è quello conservato in un Archivio di Stato, come quello
di Macerata, che non conserva fondi né delle imprese che hanno ope-
rato o sono operanti nel settore della moda e nemmeno di quelle strut-
ture e di quegli organismi che del “sistema moda” fanno parte. Le
nostre carte infatti sono, per così dire, tradizionali, costituite da com-
plessi documentari di uffici statali, di notai, di enti locali e di privati,
soprattutto famiglie. Da questo punto di vista, quando la estrema attua-
lità del soggetto ci ha fatto comunque decidere di affrontarlo, il rischio
principale che si poteva prevedere era di non trovare che una docu-
mentazione scarsa, frammentaria, tale comunque da non permettere
alcun tipo di analisi e soprattutto incapace di suscitare un interesse che
andasse oltre la semplice curiosità.

 *Cfr. R.Barthes, Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, a cura
di G. Marrone (traduzione di L. Lonzi – R. Guidieri), Einaudi, Torino 2006.

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Abbiamo quindi condotto un’indagine preliminare sui fondi che pensa-
vamo potessero offrire, anche di riflesso, notizie e spunti, per valutare
l’opportunità di proseguire o meno nella ricerca.
         Al termine, abbiamo potuto constatare innanzitutto come le
fonti per così dire “ufficiali” fossero più numerose di quanto si potesse
ritenere e, soprattutto verificare come anche documenti prodotti per
altri scopi e generalmente utilizzati per altre tipologie di studi, potesse-
ro raccontare la moda e il costume della nostra provincia, in modo
forse indiretto, ma accattivante e ricco. Le “regole dell’apparire” ave-
vano lasciato le loro tracce, le loro testimonianze negli statuti comuna-
li, nei bandi dei governatori generali della Marca, nei registri della
Curia, in atti notarili, in inventari di botteghe, nella corrispondenza sia
fra enti che fra privati.
         Ne è nata quindi una breve rassegna che, pur senza la prete-
sa di ricostruire in maniera sistematica i percorsi della moda e del
costume dal XV secolo alla prima metà del XX, ne offre tuttavia una
esemplificazione che si spera possa fornire alcune risposte e soprattut-
to suggerire ulteriori studi e riflessioni.
         Per molto tempo, soprattutto in antico regime, come è noto,
ogni ceto aveva il suo abbigliamento, sottoposto ad un codice conven-
zionale che rinviava ad un ordine naturale precostituito. Esisteva quin-
di una vera e propria grammatica del vestire che non poteva essere
trasgredita: la minaccia alle “convenzioni del gusto” era, in qualche
modo, minaccia all’ordine stesso della società.
         A questo codice dell’abbigliamento che peraltro, seppure
modificato, sussiste ancora oggi per alcune categorie sociali, erano
innanzitutto sottoposte le autorità, sia religiose che laiche: in primo
luogo il pontefice e i cardinali che, relativamente alla provincia di
Macerata del periodo preunitario, costituivano non solo i massimi
esponenti della cattolicità all’interno della gerarchia ecclesiastica, ma
anche i vertici delle più alte cariche dello Stato. Cesare Vecellio, nella
sua opera Degli habiti antichi et moderni di diverse parti del mondo,
stampata a Venezia nel 1590, li descrive minuziosamente. Così l’ab-
bigliamento del papa, è costituito, tra l’altro, da: “... mitra circondata
da tre corone d’oro, ornata di gemme, et con una croce in cima et un

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berrettino bianco,... Usa di sopra un manto d’oro con fregi di figurine
tutte orlate di perle, di sotto il rocchetto (veste liturgica) di seta, longo
fino sotto il ginocchio, et le altre vesti sono di color hiacinto longhe, et
con strascino; le pianelle (pantofole) sono di velluto con una croce
d’oro...”. I cardinali indossano:“... una mozzetta (mantellina indossa-
ta dagli ecclesiastici, corta fino al gomito) col capuccio di color rosso,
col cappello del medesimo colore; le vesti sono longhe, di cendado
(tessuto finissimo)...; sotto portano il rocchetto finissimo con le maniche
del quale coprono le braccia. Per casa poi usano la mozzetta; le vesti
hor rosse, hor paonazze, il rocchetto et la beretta fatta a croce”.
         L’autore illustra anche l’abbigliamento femminile della
Romagna, di alcune zone della Marca e di Ancona:“… le donne di
queste due province portano una acconciatura di capelli molto attilla-
ta con alcuni ricci modesti, et trecce biondissime, sopra le quali porta-
no un velo di seta ornato da alcuni tremoli d’oro.... Diverse portano
certe vesti di seta di colori diversi fino in terra.... La sopraveste è con
bottoni d’oro dal capo ai piedi, con ornamenti d’alcune collane d’oro
al collo. Portano poi un velo di seta pulitissimo appuntato sopra la spal-
la destra, che passando sotto il braccio sinistro fa bella vista di dietro,
....”; “.... et le donne di essa città (Ancona) vanno vestite, siccome le
matrone romane, di un manto nero con velo gialletto, et con sottane di
seta di diversi colori”.
         Fra le disposizioni risalenti al XV e al XVI secolo, numerose
sono quelle che, emanate a più riprese per contenere il lusso, soprat-
tutto femminile, stabiliscono prescrizioni che uniformano e codificano
il costume dell’epoca, designando al contempo una specifica nozione
della pubblica moralità. E’ così, ad esempio, che il 15 marzo 1423,
il Consiglio generale ed il Vonsiglio di credenza del comune di
Macerata, accolgono le istanze di austerità e moralizzazione solleva-
te dalla predicazione di frate Giacomo della Marca, dell’ordine degli
Osservanti di San Francesco: i capitoli da redigere sull’abbigliamento
femminile sono tesi a una limitazione dell’eccesso, a un contenimento
dello sfarzo e del lusso.
         In questo senso si spiega la particolare attenzione prestata ai
gioielli. Provenienti dalle profondità della terra e del mare e pertanto

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carichi, nella mentalità magico-rituale, di proprietà soprannaturali, i
gioielli sono segni di forte impatto simbolico: legati alle nozioni di
potere e di virilità, nella cultura occidentale di norma vengono asso-
ciati alla donna, che per loro tramite, è stata per lungo tempo simula-
cro visibile e ostentato della ricchezza e del prestigio maschili.
         Così, ad esempio, lo statuto di Macerata del 1432, dedica una
rubrica alla proibizione, per le donne di qualsiasi condizione sociale,
di possedere o semplicemente indossare corone e coroncine siano
esse d’oro o dorate, d’argento, argentate, ma anche di altro metallo,
e che siano ornate o meno di pietre preziose. Ancora, nel 1571, lo
Statuto di Sant’Elpidio, vieta l’uso non solo di braccialetti e collane,
ma anche di abiti di velluto, di broccato o seta. Al massimo, gli abiti
potranno avere guarnizioni di cui comunque viene stabilita la misura,
pena, in caso di contravvenzione, una multa di venticinque scudi d’oro
che dovranno essere pagati dai rispettivi mariti. Il medesimo statuto sta-
bilisce inoltre le regole per l’abbigliamento da usare in occasione
della morte di un uomo, codificando un ordine gerarchico all’interno
del nucleo familiare: segni distintivi d’obbligo sono gli abiti lugubri
(neri) da portare per sei mesi da parte delle figlie, delle sorelle, delle
nipoti carnali e della madre, per almeno un anno da parte della
moglie. Quest’ultima, inoltre, durante il periodo di lutto, può indossa-
re soltanto vestiti ordinari della quotidianità, senza cinture o fasce
d’oro o d’argento.
         Analogamente, è l’autorità statale, nel nostro caso, general-
mente il legato o il governatore generale della Marca, che, a più ripre-
se, si trova a richiamare le prammatiche, le regole sul lusso, emanate
da appositi “deputati” e confermate dal pontefice: tutti i cittadini sono
obbligati a uniformarvisi, comprese le donne, e soprattutto relativa-
mente a vesti e gioielli.
         E’ così, dunque, che si mette in atto una minuziosa normalizza-
zione dell’abbigliamento e del costume, contribuendo a creare quella
che, come accennato, è stata definita una grammatica del vestito: le
ragioni sono innanzitutto etiche, così come auspicato dai predicatori e
come, ad esempio, in caso di lutto. Ma le motivazioni sono soprattut-
to di carattere economico-sociale. Si vuole infatti evitare che nella

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società del tempo, gerarchicamente strutturata, un tenore di vita ecces-
sivamente dispendioso possa essere occasione di un indebitamento
tale da contribuire al crollo di fortune familiari e quindi determinare la
temuta mobilità sociale. Le giustificazioni sono anche di ordine pubbli-
co: è con esse, ad esempio, che si vietano, nei giorni di carnevale,
maschere che propongano gli abiti tipici del clero e delle suore. Con
analoga modalità, l’ordine pubblico erge barriere, costruisce identità:
sono così stabiliti contrassegni per chi, appartenendo ad altra etnia o
professando una religione diversa da quella cattolica, si vuole separa-
to, anche al primo impatto visivo, dal resto del corpo sociale. È il caso
ad esempio degli ebrei obbligati, nel 1566, ad indossare “berrette
gialle”. Tra gli obiettivi perseguiti nel disciplinare le “apparenze”, vi è
quindi la precisa volontà di svolgere un’opera di esclusione sociale,
anche se occorre notare che, a differenza che altrove, le disposizioni
da noi conservate, contenendo prescrizioni valide per tutti i ceti, sem-
brano non operare distinzioni sulla base del rango.
         Le tipologie di vesti, di stoffe, di accessori, di gioielli in uso in
antico regime, nella nostra esposizione, hanno come fonti principali gli
inventari di beni dotali ed ereditari conservati all’interno degli archivi
notarili. Si tratta, a prima vista, di semplici, a volte lunghissimi, elenchi
di oggetti che tuttavia, ad una più attenta lettura (anche perché, per la
natura stessa degli atti, il notaio si sofferma spesso sulla descrizione
dei dettagli, dei particolari che rendono inconfondibili i singoli beni),
restituiscono, al di là delle rappresentazioni degli artisti e delle norma-
tive emanate dalle autorità, l’effettivo abbigliamento e di conseguenza
il vero costume della società di una zona periferica dello Stato pontifi-
cio, come la nostra provincia.
         La prima considerazione che si può trarre da questi documen-
ti, dei quali la mostra offre una vasta esemplificazione, è che le quan-
tità ed il valore dei beni stessi variano a seconda della condizione
sociale e del rango di appartenenza dell’autore o del testatore, ma che
le differenze, soprattutto dal punto di vista qualitativo, sono minime:
del resto, com’è naturale, la documentazione è comunque sempre pro-
dotta dalle classi egemoni, siano esse l’aristocrazia, la classe borghe-
se emergente nella prima età moderna, il patriziato urbano o il ceto

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degli agricoltori proprietari.
         Con il passare del tempo, ai tessuti abituali (lana, seta, velluto,
taffettà, raso), se ne aggiungono indubbiamente di nuovi: il cannet-
tone (tessuto a coste sottili che corrono lungo l’ordito), l’ amoerro (stof-
fa di seta, di lana, di cotone, o di altre fibre), lo scotto (lana di Scozia)
e il cotone. Si introducono nuovi accessori: forme per parrucche,
ombrelli di tela cerata, gorgiere (soprattutto a partire dalla prima metà
del XVII secolo), nuovi tipi di scarpe con, ad esempio, i tacchetti alla
“giapponese” (ed è particolarmente interessante notare la variegata
terminologia utilizzata, solo in parte ancora presente nel dialetto e nel
parlare quotidiano). Il concetto che se ne ricava, tuttavia, è che comun-
que, anche nel lungo periodo, e seppure con le differenziazioni deter-
minate dal ceto di appartenenza e dagli influssi della moda, permane
sostanzialmente la medesima tipologia di guardaroba, a dimostrazio-
ne del fatto che il codice dell’abbigliamento femminile, riguardo alla
nostra provincia, non sembra subire nel tempo sostanziali modifiche:
abiti, camicie, maniche (vale a dire le mezze maniche da inserire
sopra le maniche vere e proprie), guarnelli (sottogonne), bustini di stof-
fa (in qualche caso sostenuta da stecche d’osso), zinali (grembiuli),
giubbetti, polacchine (mantelline), e poi mantelli e cappotti, fazzoletti
da testa o per le spalle, cuffie. Il tutto di lana, cotone, seta, velluto, dro-
ghetto (broccato, generalmente di seta), taffettà, a tinta unita o a fiori,
a seconda della stagione dell’anno, dell’ora e dell’occasione in cui
indossare i capi. Ugualmente uniforme è la tipologia dei gioielli: per
lo più collane di granate o coralli, solo eccezionalmente di perle, anel-
li con balassi (pietre simili al rubino), turchesi, corniole (e solo raramen-
te diamanti), orecchini a cerchio o pendenti, d’oro o d’argento.
         Ne deriva, in conclusione, l’idea generale di un abbigliamen-
to che offre il segno di una società che reinterpreta la moda in modo
confacente al proprio status: una società indubbiamente solida dal
punto di vista economico (in un inventario di beni ereditari compaio-
no, ad esempio, quattro livree di panno turchino), ma certo non incli-
ne allo sfarzo e al lusso (spesso infatti, negli inventari, di numerosi capi
si specifica che sono usati o “usati assai”). Unico esempio di “conces-
sione” a quelli che, secondo quanto riporta Vecellio stesso, dovevano

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essere gli esempi paradigmatici di capigliatura femminile, è costituito
da una “ricetta a far capelli biondi” ritrovata all’interno di un registro
notarile del XVI secolo.
         Un primo cambiamento, soprattutto relativamente alla varietà
dei colori usati, comincia a notarsi a partire dalla seconda metà del
Settecento. Esemplificativi risultano tre inventari di beni provenienti da
Camerino. Nel primo, del 1752, sono elencati abiti di seta grigia o
verde, guarniti d’oro o d’argento, completi da viaggio di lana,
anch’essi guarniti d’argento, bustini di raso verde trapuntato d’oro, di
cannettone turchino, di amoerro rosa. Nel secondo, del 1793, risul-
ta un completo da sposa color d’oro, composto da un vestito e da una
mantellina. Nel terzo, del 1799, il guardaroba femminile, piuttosto
ricco ed articolato, è costituito, tra l’altro, da scarpe colorate, stivalet-
ti, sottogonne di mussola, guarnelli di calancà (tessuto invernale usato
soprattutto per abiti da giorno), “cappottini” di taffettà nero, guanti di
refe e di cotone, ventagli, fili di perle, di coralli, orecchini a pendente,
ornati di perle o pietre come il “cristal di monte” (paragonato per il suo
colore e per il grado di trasparenza alla “neve ghiacciata”).
         È tuttavia soprattutto a partire dalla prima metà del XIX secolo
che l’abbigliamento femminile si arricchisce sensibilmente, sia riguar-
do alla qualità dei tessuti, molti dei quali provenienti dall’estero
(soprattutto Francia, Inghilterra e Asia), sia a seguito dell’introduzione
di una nuova categoria estetica: quella del dettaglio, del particolare
che diventa anch’esso elemento di distinzione sociale. Emergono allo-
ra abiti confezionati con nuovi tessuti: percalle, madras, seta di Folas
(località nel comune di Isera, in Trentino, nota in passato per l’alleva-
mento del baco da seta), sottabiti di florans (tessuto leggerissimo di
seta o di saia), camicie di battista. Fa la sua comparsa il tulle (rete sot-
tilissima di cotone o seta - attualmente anche di fibre artificiali o sinte-
tiche - il cui nome deriva dalla città francese di Tulle), utilizzato soprat-
tutto nelle due varianti bianco o nero e ricamato o meno in argento ed
il cambrich (o cambrai, tessuto di cotone originario di Cambrai, in
Francia). Affiorano nuove guarnizioni, come i collettini di ghipur
(trama del merletto veneziano, detto anche “punto Burano”), oppure
ricamati a punto vapore (vapor traforato). I cappotti (“trapontini d’in-

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verno”) diventano più caldi e soffici grazie alle pistagne (fasce di stof-
fa imbottita). Le sciarpe, di lana o di seta, sono di vari colori, i man-
telli di lana vengono impreziositi con fodere di seta. Fra i gioielli com-
paiono corone d’agata e pettini con perle incastonate. Nel guardaro-
ba sono ora comprese inoltre copertine da battesimo di seta ricamate
in oro e argento, oppure di raso rosso, guarnite anch’esse d’oro.
          Non a caso è in questo periodo che fa la sua prima apparizio-
ne anche il nuovo concetto dello chic, dello “stile”, che travalica quel-
lo fondato esclusivamente sul valore economico e quindi sul prezzo del
capo di abbigliamento. A tale riguardo, particolarmente ricchi di noti-
zie si sono rivelati soprattutto gli archivi privati di famiglie appartenen-
ti alla classe nobiliare o alto borghese. Dalla corrispondenza intercor-
sa fra le signore dell’epoca, le loro modiste, sarte e fornitori, risulta,
ad esempio, che nel 1843 le mantiglie non soltanto devono essere di
tulle operato, ma è auspicabile ed opportuno che abbiano anche
diverse lunghezze: corte fino alla cintura, lunghe fino a terra, oppure
lunghissime, a seconda che vengano abbinate ad abiti da mezza sera,
da sera o di seta.
          Particolare attenzione viene rivolta alla realizzazione degli
accessori, come i cappelli. Nel 1845, ad esempio, possono essere di
velo bianco, ornato di fettuccia bianca e rosa cui viene aggiunto, a
sostegno, del tessuto gommato, anch’esso bianco. Stando alle testimo-
nianze conservate, in questo periodo viene introdotta anche l’espres-
sione “andare di moda” e, con essa, l’idea stessa della moda intesa
come imitazione di qualcosa di per sé considerata inimitabile. È con
l’uso di questa terminologia che le modiste cercano di indurre le poten-
ziali clienti all’acquisto di cappelli di merletto nero che vengono già
indossati dalle signore più eleganti di Ancona le quali “… non porta-
no altro cappello che quello di merletto nero essendo questo capo di
ultimissima moda…”. Alla medesima cura sono sottoposti gli occhiali-
ni da teatro: quelli grandi non si usano più, ora “vanno” piccoli e pie-
ghevoli. Nel 1849 il mantello di cashmere, sull’esempio dei modelli
americani, si può indossare: “tutto sciolto sulle braccia, ad uso scial-
le, o posato su un braccio solo, lasciando cadere l’altra parte con
disinvoltura…”.

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Il linguaggio della moda diventa quindi più articolato, comin-
ciando a tenere in considerazione oltre che l’importanza (in altri termi-
ni, la qualità del tessuto, della guarnizione, dell’accessorio), anche
qualcosa di più sottile, di più sfumato che riguarda il “modo” con cui
si indossa e si interpreta il capo, e che ugualmente si cerca di normaliz-
zare come codice. Di grande aiuto nell’uso di questa grammatica diven-
tano i giornali femminili, come ad esempio il “Corriere delle dame”, ai
quali le nobildonne della provincia cominciano ad abbonarsi.
          Riguardo all’abbigliamento maschile, la documentazione con-
servata evidenzia soprattutto quello relativo alle autorità ecclesiastiche
o laiche. Così, oltre alla descrizione degli abiti del pontefice e dei car-
dinali, la mostra espone, relativamente al periodo moderno e contem-
poraneo, una nota del 27 giugno 1808 in cui Giulio Gallo, podestà
di Osimo, invia al prefetto del Dipartimento del Musone una relazione
relativa al vestiario degli ufficiali comunali di I^ classe, allegando un
campione di stoffa ricamata. Presenti anche i modelli delle divise per
i corpi speciali della Guardia Nazionale (corpo sanitario, artiglieria,
bersaglieri, cavalleria) e della uniforme del commissario di leva che il
Ministero dell’Interno invia, alla fine del 1862, ai prefetti del Regno.
Compaiono infine, allegate ad un decreto regio del 1923, le tavole a
colori dei “figurini” degli abiti utilizzati nelle occasioni ufficiali dai rap-
presentanti del Governo: “Presidente del Consiglio dei Ministri”,
“Ministro Segretario di Stato”, “Sottosegretario di Stato”, “Ministro di
Stato” ed il modello del “Cappotto per le quattro Uniformi”.
          Uscendo dall’ambito delle divise e delle uniformi, pochissime
sono le notizie rinvenute e si riferiscono solo ad alcuni capi essenzia-
li: guazzaroni (tuniche da lavoro), mantelline, zimarre e tabarri (man-
telli) di vario tessuto e di vario colore, in genere foderati di panno o di
tela, come risulta da atti del XV secolo, scarpe bianche o nere descrit-
te, fra l’altro, nell’inventario del 1712 di una calzoleria di Camerino
e, relativamente agli accessori, staffe e speroni. D’altra parte non pote-
va essere altrimenti: essendo infatti costituita da inventari di beni dota-
li e da disposizioni contro il lusso, la maggior parte delle fonti di anti-
co regime disponibili, la mostra non ha potuto che privilegiare il guar-
daroba femminile. Ulteriore, unico esempio di capo maschile, per le

                                      18
epoche successive è fornito indirettamente da una nota delle spese che
nel 1869 vengono sostenute per la ripulitura e la guarnizione di un
cappello bianco e di un cappello di feltro, cui è stato cambiato il
“marocchino”, striscia di cuoio cucita all’interno del cappello, alla
base della testa, su cui venivano stampati in oro il marchio del fabbri-
cante e quello del venditore. Si tratta di un semplice accenno, e che
tuttavia può risultare esaustivo, anche perché, come evidenziato da
recenti studi, è nel corso del XIX secolo che la congiuntura di elementi
formali (di provenienza inglese) e di fattori di carattere ideologico
(come la progressiva democratizzazione della società occidentale che
porta con sé il nuovo valore del lavoro rispetto all’ozio) determinano
la confezione di un vestito maschile sobrio, di ispirazione quacchera,
che è poi in definitiva il diretto antecedente di quello attuale: giacca
abbottonata, stretta, di colori neutri. Da allora il canone dell’abbiglia-
mento maschile non ha più subito veri ed effettivi cambiamenti, tranne
che per i dettagli: tipologia del tessuto, sfumature di colore, nodo della
cravatta, bottoni del gilè; è nel particolare che si nasconde l’autentica
eleganza e certo non è un caso che tale dettaglio estetico vada in
parallelo all’invenzione di quella creatura sociale conosciuta con il
nome di dandy.
         Alla fine dell’Ottocento, per lo meno per quel che riguarda la
nostra provincia, risalgono inoltre le prime locandine pubblicitarie di
ditte ed imprese operanti nel settore della moda e dell’abbigliamento.
Si tratta ad esempio delle pubblicità della “Sartoria G. Cameli e A.
Fioretti” di Macerata in cui, tra l’altro, si lavorano vestiari in pellicce-
rie… vestiari da Ufficiale, Militare e Musicante. Si diffondono inoltre le
pubblicità provenienti da Paesi esteri confinanti, come dimostra quella
della ditta Demarson-Chételat & C. di Parigi, riguardante tinture istan-
tanee per capelli e barba, ritrovate anch’esse all’interno degli archivi
privati.
         Con l’inizio del Novecento la tipologia delle fonti documentarie
conservate, utili per il tema trattato, cambia. Così agli inventari dei beni
dotali ed ereditari ed alla corrispondenza fra le nobildonne della pro-
vincia e le loro modiste e sarte (la cui datazione, per quel che riguarda
la documentazione in nostro possesso, si ferma alla fine dell’Ottocento),

                                    19
subentrano le locandine pubblicitarie, gli articoli tratti da riviste e gior-
nali, le foto ricordo di alunni e di insegnanti, di signore al mare ritratte
nei loro costumi da bagno, e infine cartoline illustrate e cataloghi di
moda.
         Nell’archivio della Camera di Commercio di Macerata, ad
esempio, sono state ritrovate le presentazioni di alcune aziende di pel-
letteria e di tessuti operanti in provincia, alcune delle quali hanno
acquistato in seguito fama internazionale. Si tratta ad esempio della
“Società anonima cav. Nazareno Gabrielli di Tolentino per la lavora-
zione artistica del cuoio e del cartone”, presentata in occasione della
1^ fiera provinciale, tenutasi a Civitanova Marche dal 5 al 20 ago-
sto 1923. I prodotti realizzati sono, fra l’altro, portafogli, portabigliet-
ti, portamonete, borsette per signora, portacarte, portasigarette, cusci-
ni e pelli decorate da usare per la tappezzeria. In occasione della stes-
sa fiera vengono proposte la “Cooperativa sarti di Macerata”, esper-
ta in sartoria civile e militare stoffe per uomo e per donna e la ditta “G.
Piccinini e figlio” di Recanati. La prima impresa si occupa di Accessori
per sarti, articoli militari, forniture per collegi, foderature, cotonerie, lin-
gerie, velluti, cravatte, bretelle, bastoni, pelliccerie, impermeabili. La
seconda produce filati di ogni genere, colorati e grezzi, tessuti di coto-
ne e di lino di tutte le altezze. Nell’ambito della fiera delle Marche,
svoltasi anch’essa a Civitanova Marche dal 9 al 23 agosto 1925,
viene realizzata la pubblicità della ditta di confezioni per signora
“Fausto Massaccesi” di S. Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli
Piceno. Nella medesima circostanza viene offerta la promozione della
locale ditta di moda “Georgina De Sanctis - specialità per bambini”,
quest’ultima a testimonianza di un fenomeno a quel tempo appena ini-
ziato: la costituzione, cioè, di una vera e propria moda per bambini,
precedentemente vestiti (e considerati) come una specie di adulti “su
scala ridotta”. L’attenzione al bambino come soggetto autonomo,
opposto e comunque differente rispetto all’adulto, determinerà in segui-
to – negli anni ’60 – l’individuazione di un soggetto intermedio, il tee-
nager, dando vita a quel fenomeno di grande impatto sociale che sarà
la moda giovanile.
         A corredo della documentazione è stato inserito, sia in origina-

                                      20
le che in copia, un ricco materiale iconografico, in parte conservato
in Istituto, in parte gentilmente concesso temporaneamente in prestito
da privati: a essi va quindi il nostro ringraziamento, così come
all’Istituto d’Arte “G. Cantalamessa” di Macerata che ha messo a
disposizione alcune riproduzioni di costumi d’epoca realizzate con
tecniche artigianali su stoffe rare e di pregio. Un grazie particolare,
infine, a Maurizio Ferracuti che a titolo completamento gratuito ha
offerto la sua esperienza e la sua professionalità per l’ideazione e la
realizzazzione della copertina di questo catalogo.

                                   MARIA GRAZIA PANCALDI
                           Direttore dell’Archivio di Stato di Macerata

                                  21
1                                          1426 marzo 15, Macerata
    Il Consiglio generale ed il Consiglio di credenza del comune
    di Macerata stabiliscono di redigere nuovi capitoli atti, tra
    l’altro, a limitare i fasti ed il lusso dell’abbigliamento femmini-
    le, così come auspicato da frate Giacomo [della Marca], del-
    l’ordine degli Osservanti di S. Francesco, durante le sue pre-
    dicazioni in città.

    Archivio di Stato di Macerata (d’ora in poi ASMC), Priorale di Macerata,
    vol. 13, cc. 210v.-211r.

2                                              1432, Macerata
    Statuto di Macerata, Libro IV: De Extraordinariis, rub. 120:
    Quod nulla mulier possit portare coronam.
    Si proibisce alle donne di qualsiasi condizione sociale di
    possedere o indossare corone o coroncine d’oro o dora-
    te, d’argento o argentate o di qualunque altro metallo,
    ornate o meno di pietre di qualsiasi tipo.

    ASMC, Priorale di Macerata, vol. 156

3                                    1437 dicembre 2, Recanati
    Inventario di eredità di nascituro, figlio di Caterina di ser
    Andrea Vagnoni di Recanati, vedova di Bartolomeo di
    Marciano, presumibilmente orefice.
    Fra i gioielli si segnalano:
    un anello con due balassi (pietre simili al rubino) e dia-
    mante, un anello con balasso, zaffiro e turchese, un
    anello d’oro con turchese, un anello con balasso e sme-
    raldo, nove anelli d’argento fine smaltati, un anello
    d’oro con corniola, due forchette d’argento, due catenel-
    le d’argento.

    ASMC, Notarile di Recanati, b. 3491, fasc. C

                                 23
4                                     1490 settembre 7, Camerino
    Inventario dei beni ereditari di Giovanni Bernabei, ritrovati
    nella bottega di tessuti da lui tenuta in affitto, posta in contra-
    da di Mezzo, nel comune di Camerino.
    Tra l’altro, compaiono:
    “... Una pezza de Velluto nigro... Una pezza de Velluto
    verde ... Uno zupparello (giubbetto) de Velluto cremosi-
    no figurato. Uno Zupparello de damaschino (tessuto
    lavorato a mo’ del damasco) nigro... Una pezza de
    damaschino nigro... Uno cavezzo (scampolo) de raso
    verde... Uno cavezzo de taffectano (taffettà) verde...”.

    Sezione di Archivio di Stato di Camerino (d’ora in poi SASC), Notarile di
    Camerino, vol. 4497, cc. non numerate

5                                1494 novembre 15, Camerino
    Inventario dei beni ereditari di Venanzo di Rodolfino di
    Camerino.
    Tra le robbe risultano:
    “… Una pezza di taffectano roscia nova..., uno tabarro
    (mantello) de panno verdefinato ad uso de dopna, una
    camorra (sottana di gala) de saggia (saia, tessuto di
    lana con trama ed ordito in diagonale) verde finata colle
    maniche de pavonazo (di colore viola scuro) ad uso de
    dopna,... una mantellina di cambellotto (tessuto leggero
    di lana) celesta nova foderata de panno nigro ad uso de
    homo, uno tabarro de pavonazo foderato di tela verde
    finato ad uso de homo...”.

    SASC, Notarile di Camerino, vol. 8729, cc. non numerate

6                                     1566 maggio 25, Macerata
    Vincenzo Portico, governatore della Marca, ordinando che
    gli Ebrei non vengano ingiuriati e maltrattati, ribadisce per
    loro l’obbligo di portare “le berrette gialle”.

    ASMC, Priorale di Macerata, vol. 891, c. 68r.
                                 24
7                                                 1571, Macerata
    Statuto di Sant’Elpidio, libro IV: De Causis extraordinariis,
    rub. VIII: De vestibus, et ornamentis mulierum.
    Allo scopo di contenere le ingenti spese determinate dal
    lusso delle vesti femminili, degli ori e degli ornamenti, si
    stabilisce che le donne non debbano portare braccialet-
    ti e collane, né indossare abiti di velluto, di broccato o
    di seta di qualsiasi genere, ma al massimo, possano
    ornare le proprie vesti con quei tessuti nella misura di
    due braccia, pena, in caso di contravvenzione, una
    multa di 25 scudi d’oro che dovranno essere pagati dai
    rispettivi mariti.

    ASMC, Biblioteca

8                                                 1571, Macerata
    Statuto di Sant’Elpidio, libro IV: De Causis extraordinariis,
    rub. IX: De exequiis, et funeralibus defunctorum.
    In occasione della morte di un uomo, le figlie, le sorel-
    le, le nipoti carnali e la madre debbono indossare, per
    sei mesi, abiti lugubri (neri), la moglie per almeno un
    anno. Quest’ultima, inoltre, durante tale periodo, è
    obbligata a portare soltanto vestiti ordinari della quoti-
    dianità, senza cinture o fasce d’oro o d’argento.

    ASMC, Biblioteca

9                                               [1573, Camerino]
    Ricetta “A far capelli biondi”, riportata dal notaio Giovanni
    Maria Tosoni di Giove in un suo protocollo.
    “Se fà una lissia mordace che a mettervi la lingua piz-
    zeche et come è mordace se ne mette una in cristalda da
    tavola in una pignatta con tanta calcina viva quant’un
    menzo ovo, si tergino d’oro un’onza, garofoli pesti un
    ottavo et per far castagnaci più garofoli et dato quattro
    bolissati se bagni et lasci rasciuttare più volte, come si
                            29
vede che imbiondiscano si lava presto, perché nel
     sugarsi vengano assai bene, che bagnandoli troppo si
     fariano negri et dopo con lisciva che si ha da lavare,
     bisogna sia dolce”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 3268, cc. non numerate

10                                     1585 gennaio 21, Macerata
     Registro della ditta di tessuti “Cittadani e soci “ di Macerata
     in cui risultano vendute a messer Giovanni Riccio Ricci varie
     tipologie di tessuti
     Fra questi compaiono:
     “…rascia (panno di lana grossolano forte e consistente,
     usato nei Paesi slavi specialmente da pescatori e mari-
     nai) paonazza (viola scuro), chermisi (rosso scarlatto) di
     Firenze, da utilizzare per un vestito e un cappotto da
     confezionare per la figlia; rascia rosina (rosa chiaro)
     chermisi fine, di Firenze, per una zimarra (mantello)…,
     … taffettà rosino doppio per mostre (risvolti)… tela
     rossa per fodera, tela turchina, stametta (cotone delica-
     to) verde, di Bergamo, per creare una balzana (striscia
     pendente intorno al vestito), velluto paonazzo per la
     realizzazione di un bavero”.

     ASMC, Curia generale della Marca, b. 148, fasc. 6, cc. non numerate

11                                                              [sec.XVI]
     Habito del sommo pontefice
     “... mitra circondata da tre corone d’oro, ornata di
     gemme, et con una croce in cima et un berrettino bian-
     co, ... Usa di sopra un manto d’oro con fregi di figurine
     tutte orlate di perle, di sotto il rocchetto (veste liturgica)
     di seta, longo fino sotto il ginocchio, et le altre vesti
     sono di color hiacinto longhe, et con strascino; le pianel-
     le (pantofole) sono di velluto con una croce d’oro ....”.
     C. Vecellio, Degli habiti antichi et moderni di diverse parti del

                                 30
mondo, Venezia 1590, tavola n.1(copia edita a Parigi nel
     1860)

     Biblioteca privata

12                                                          [sec.XVI]
     Habito de’ cardinali
     “... una mozzetta (mantellina indossata dagli ecclesiasti-
     ci, corta fino al gomito) col capuccio di color rosso, col
     cappello del medesimo colore; le vesti sono longhe, di
     cendado (tessuto finissimo)...; sotto portano il rocchetto
     finissimo con le maniche del quale coprono le braccia.
     Per casa poi usano la mozzetta; le vesti hor rosse, hor
     paonazze, il rocchetto et la beretta fatta a croce”.
     C. Vecellio, Degli habiti antichi et moderni di diverse parti del
     mondo, Venezia 1590, tavola n.2 (copia edita a Parigi nel
     1860)

     Biblioteca privata

13                                                       [sec.XVI]
     Habito di donna di Romagna et di alcune terre della Marca
     “Le donne di queste due province portano una acconcia-
     tura di capelli molto attillata con alcuni ricci modesti, et
     trecce biondissime, sopra le quali portano un velo di
     seta ornato da alcuni tremoli d’oro ... Diverse portano
     certe vesti di seta di colori diversi lunghe fino fino in
     terra ... La sopraveste è con bottoni d’oro dal capo ai
     piedi, con ornamenti d’alcune collane d’oro al collo.
     Portano poi un velo di seta pulitissimo appuntato sopra
     la spalla destra, che passando sotto il braccio sinistro fa
     bella vista di dietro ...”.
     C. Vecellio, Degli habiti antichi et moderni di diverse parti del
     mondo, Venezia 1590, tavola n. 215 (copia edita a Parigi
     nel 1860)

     Biblioteca privata
                               31
14*                                                             [sec.XVI]
      Donna anconitana
      “... et le donne di essa città vanno vestite, siccome le
      matrone romane, di un manto nero con velo gialletto, et
      con sottane di seta di diversi colori”.
      C. Vecellio, Degli habiti antichi et moderni di diverse parti del
      mondo, Venezia 1590, tavola n. 216 (copia edita a Parigi
      nel 1860)

      Biblioteca privata

15                                         1604 febbraio, Macerata
      Il vicelegato della Marca, Domenico Marini, ordina ai genti-
      luomini, alle gentildonne, ai cittadini e a tutti gli abitanti della
      città di Macerata, l’osservanza della Prammatica, compilata
      dai deputati e confermata da Sua Santità, il Pontefice.
      Stabilisce inoltre che entro il termine di otto giorni venga pre-
      sentata una nota dettagliata delle vesti e dei gioielli possedu-
      ti dalle donne, non conformi alle regole stabilite nella
      Prammatica stessa.

      ASMC, Priorale di Macerata, vol. 896, c. 142r.

16                                      1617 gennaio 13, Macerata
      Il governatore della Marca, Giovanni Antonio Massimi,
      emana un bando “sopra le maschere” in cui, tra l’altro, proi-
      bisce che durante i giorni di carnevale ci si mascheri con abiti
      portati da Religiosi o Religiose.

      ASMC, Priorale di Macerata, vol. 780, c. 176r.

                                  32
Doc. n. 14
             33
17                                         1622 aprile 24, Apiro
     Inventario con stima dei beni dotali consegnati da Giovanni
     Francucci di Apiro a Rocco Colli di Apiro, marito della figlia
     Giulia.
     Si evidenziano (c. 25v.):
     “... quattro Camisce nuove..., un veletto di Tela con liste,
     et con maglie..., due para di maniche (maniche staccate
     dal vestito, da indossare sopra le maniche della cami-
     cia), uno di rascia pavonazza et l’altro di bocchaiano
     (tessuto di lino o di cotone, proveniente dall’Armenia)
     ranciato (arancione)…, un guarnello (sottogonna o
     veste, in uso alle donne comuni) di Bambace (cotone) tri-
     nato turchino..., un Gonnetto (gonna o sottana, ma
     anche grembiule da lavoro) di mezalana (tessuto otte-
     nuto con cascami di lana e cotone) nero..., un
     Guazzarone (tunica da lavoro maschile) di lino...., un
     altro Guazzarone di lino, nuovo...”.

     ASMC, Notarile di Apiro, vol. 77, cc. 25r.-26r.

18                                          1623 maggio 6, Apiro
     Inventario con stima dei beni dotali consegnati da Bernardino
     Gubernali di Apiro a Giovanni Nicola Paoloni di Apiro, mari-
     to della sorella Maria.
     Si trovano (c. 82v.):
     “... un colletto, una Scuffia (cuffia), et un collaro (gorgie-
     ra) da Donne ..., braccia tredici e mezo di saia compra
     per una veste da donna, et una pannella (grembiule)
     con Zagane (nastri) et seta ..., due pannelle, un collaro,
     un Pannicello et una Matassella di refe..., braccia otto di
     Velittelli (tessuto leggerissimo, trasparente)..., un paro
     di Maniche rosse di saia ..., una veste turchina listata
     Zalla (gialla)..., un gonnetto Zallo (giallo) usato...”.

     ASMC, Notarile di Apiro, vol. 77, cc. 81v.-82v.

                                   34
19                                      1699 giugno 13, Camerino
     Copia dell’inventario dei beni che costituiscono parte del
     testamento di Venanza, moglie del defunto Angelo
     Alessandrini di Camerino.
     Sono, tra l’altro, elencati (c. 200r.):
     “... un’attacca mantello, ... una forma da tenere
     Paruche, ... una valigia, tre staffe et un paro Speroni, ...
     un tre piedi da tenere il baccile per lavare le mani, tre
     cassette da Sapone con dentro Piatti, Bucali, Saliere,
     Tazze, Barattoli, Sottocoppe parte di Deruta [Perugia] e
     parte di Santa Natoglia [Esanatoglia]”.
     Inoltre (c. 204v.):
     “... un’ ombrella di Tela incerata,... un paro di Scarpe da
     Donna nere usate, una Giubba da Donna di droghetto
     (tessuto di broccato, solitamente di seta) usata,... una
     Giubba da Donna di Diamaschetto (tessuto lavorato a
     mo’del damasco) con fiori d’oro usata...”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol 6834, cc. 155v.-223r.

20                                     1702 ottobre 10, Macerata
     Inventario dei beni dotali di donna Cecilia Mattei, vedova
     Titta, futura moglie di Bernardino Berdini di Macerata.
     Si segnalano (c. 52r.):
     “... un filo di perle fatte a conocchietta (di forma oblun-
     ga) con bottoni grossi d’oro, un collo (collana) di coralli
     grossi con bottoni d’oro intramezzati, un collo d’ambre,
     un collo di granate …”.

     ASMC, Notarile di Macerata, vol. 3281, cc. 49v.-53v.

21                                    1712 novembre 7, Camerino
     Valutazione, svolta da periti, di scarpe, pianelle e stilli (arne-
     si) rinvenuti nella bottega di calzoleria di Carlo Boncagni e
     del socio Domenico Cantiani, sita a Camerino.

                                 35
Risultano fra l’altro (c.105r.):
     “... n° 30 para scarpe da uomo bianche, e nere (a 60
     baiocchi il paio, per un totale di scudi 18), n.° 36 para
     scarpe da donna bianche e colorate, (a 40 baiocchi il
     paio, per un totale di scudi 14,40), n° 31 paia scarpe da
     donna di manzetto (a 40 baiocchi il paio per complessi-
     vi scudi 12,40),... n° 12 para pianelle diverse (a 30
     baiocchi il paio, per complessivi scudi 3,60),... n° 16
     para tacchetti piccoli, et alla Ciapponese (a 3 baiocchi il
     paio, per un totale di baiocchi 48)..., due Curtelli da
     banca, due stampe, due martelli grossi, trincetti, un
     paro tenaglie...”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 7220, cc. 105r.-107r.

22                                  [1752 gennaio 13, Camerino]
     Inventario dei beni ereditari della defunta Francesca Rossetti,
     consegnato dal marito, Giacomo Benigni, di Camerino, al
     notaio Stefano Ricci della medesima città.
     Fra gli Altri Abiti compaiono (c.26 v.):
     “Un Abito di Seta Color cenerino (grigio) guarnito d’oro.
     Un altro Abito di Seta verde con suo guarnimento di
     Fettuccia e bordo piccolo d’argento...           Un abito di
     Camellotto (tessuto di lana) da viaggio color marone con
     suo Bordo d’argento... Un Bustino di raso verde d’avan-
     ti trapuntato d’oro colle sue maniche usato assai. Un
     altro Bustino di Cannettone (tessuto a coste sottili che
     corrono lungo l’ordito) torchino con suo merlettino d’ar-
     gento usato assai... Altro Bustino di Amuer (amoerro,
     stoffa di seta, di lana, di cotone, o di altre fibre, a onde,
     ovvero marezzata) color di rosa... Numero quattro
     Livree di panno torchino...”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 8307, cc. 10r.-27r.

                                  36
23                                    1763 luglio 11, Camerino
     Nota del vestiario che Filippo Maria Buti deve consegnare
     alle figlie, monache nel monastero di Santa Caterina, in
     Camerino.
     A suor Costante Maria, vanno, tra l’altro (c. 351r.):
     “... Braccia undeci di Scotto (tessuto di lana di Scozia)
     biango. Braccia trenta e otto di Saia fina bianca da esta-
     te e da inverno. Camigie n° 12. Zinali (grembiuli) n° 4...
     Panno per le Scuffie da notte n° 10... Vesti di Saia del
     colore ad arbitrio n° 2...”.
     A suor Serafina Celeste, sono destinate, tra l’altro (c. 352r.):
     “... Calzette di Lana paia 2. Calzette di Lino paia 4.
     Calzette di bombace paia 4... Vesti di saia di colore ad
     arbitrio n° 2. Un bustino tutto d’osso foderato di scotto
     bianco”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 8165, c. 351r.-352r.

24                                        1788 gennaio 2, Camerino
     Inventario di beni ereditari della defunta Anna Doralice
     Sebastianelli, di Roma, vedova di Domenico Toppi di
     Camerino.
     Tra l’altro, sono elencati (c.14r.):
     “... Una polacchina (mantellina) di nobiltà turchina
     guarnita nelle maniche di Taffettà verde cupo... Una
     veste da donna di nobiltà turchina... Una polacchina con
     sua veste compagna di Capecciola (tessuto simile al
     cotone)... Una polacchina di Droghetto color caffè scuro
     guarnita di fettuccia gialla con sua veste compagna
     quasi nuova... Altra Polacchina di Saia color caffè chia-
     ro guarnita con fettuccia turchina quasi nuova ...”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 8468, cc.13r.-27v.

                                  37
25                                     1793 maggio 26, Pievetorina
     Inventario dei beni esistenti nella casa di Paolo Anibali, posta
     in contrada Rocca di Pievetorina.
     Spicca (c.116 r.):
     “Un Abito da Sposa di Bibiana di Cannettone color d’oro
     con Polacchina e Veste ”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 8287, cc. 116r./v.

26                                    1799 ottobre 8, Camerino
     Inventario dell’arredo consegnato ai futuri sposi Mariano
     Ovidi e Teresa Pignotti di Camerino dal padre di lei,
     Giovanni.
     Si segnalano (c.66r.):
     “N° 7 Paia Scarpe tra nuove, usate, e colorate. 1 Paio
     Stivaletti di Vitello... 3 Sottanini di Mussolo (mussola)
     bianco. 2 Zinali di Bombacina (cotone),... 2 Guarnelli
     fiorati di Galangà (o calancà, tessuto utilizzato per vesti-
     ti giornalieri, da inverno). 1 Abito di Galangà rigato con
     Veste, e Polacchina... 2 Paia di Mutande“.
     Inoltre (c. 66v.):
     “N°2 Cappottini di Taffettà nero... 7 Paia di Guanti di
     Refe, e bombacina... 1 Fazzoletto nero di Taffettà usato.
     Mezza Canna di Taffettà cangiante... 6 Ventagli. 11 Fila
     di Perle di peso un’oncia. 2 Corgniole col cerchio d’oro.
     2 Paia di Pendenti uno con perle, e l’altro di Cristal di
     Monte (gemma trasparente, simile all’acqua ghiaccia-
     ta)... 2 Fila Coralli per il Collo,... 1 Anello d’Oro con cin-
     que, in sei perle,...”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 8318, cc. 66r.-67v.

                                  38
27                                     [1808 marzo 23, Camerino]
     Nota degli acquisti fatti nel 1801 a Camerino, da
     Mariantonio Catena di Treia, abitante a Villa di Siola, territo-
     rio i Camerino, in occasione del matrimonio del figlio
     Giuseppe con Maria Palombi, allegata alla quietanza di
     dote.
     Fra l’altro, risultano (c.168r.):
     “… un’abito di Muerra (amoerro) color di Rose usato...,
     un fazzoletto di Mussolo raccamato per la testa ..., due
     fazzoletti di Mussolo per le spalle..., un paio Scarpe fine
     per detto Sposalizio comprate da Rafaelle Fruscino sotto
     l’Arco di S. Venanzo...”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 8509, cc. 165v.-168v.

28                                     1808 giugno 27. Osimo (AN)
     [Giulio] Gallo, podestà di Osimo, invia al prefetto del
     Dipartimento del Musone, Giacomo Gaspari, una relazione
     relativa al vestiario degli ufficiali comunali di I^ classe.
     Allega un campione di stoffa ricamata.

     ASMC, Prefettura del Dipartimento del Musone, b. 135, fasc. 628

29                                     1811 agosto 27, Venezia
     Maria Teresa, “Sarta milanese”, elenca i lavori di cucito ese-
     guiti per una nobile dama maceratese, su ordinazione della
     marchesa Maria Vendramin.
     Fra gli altri (cc. 487v.-488r.):
     “… trapontino d’inverno alti da collo con sua pistagna
     (fascia di stoffa imbottita, usata come guarnizione per i
     baveri del cappotto), un abito a servis (su misura) alto
     da collo di vapor traforato (ricamato a punto vapore)
     con maniche lunghe tutto fornito di bindelli (nastri), un
     sotto abitino di florans (tessuto leggerissimo di seta o
     saia) perlino…”.

     ASMC, Famiglia Ricci - Petrocchini, Matrimoni e doti, vol. 25, cc. 487r.-488r.
                                   39
30                                    1812 settembre 26, Matelica
     Inventario del corredo consegnato da Filippo De Sanctis di
     Matelica alla figlia Maria, in occasione del matrimonio con
     Andrea Buffoni.
     Nel corredo, fra l’altro, sono compresi:
     “Abito di Tul (rete finissima di cotone o seta il cui nome
     deriva dalla città francese di Tulle) ricamato in
     Argento... Abito di Tul ricamato in Bianco... Abito di Tul
     Negro ricamato... Abito di Mussolo a giorno... Abito di
     Cambrich (Cambrai o cambric, tessuto di cotone origina-
     rio di Cambrai, Francia) a 3 Colori... Abito di Cambrich
     Verde... Due sottabiti di Folas...”
     Ed ancora:
     “Anello... Corona d’Agata con Bottoncini e Medaglia
     d’Oro ... Pendenti d’oro... Pettine con Perle... Spallina di
     Tul… Solette paia 14... Camicie di Mussolo Battistato (di
     batista, ovvero tela di lino o cotone, leggera, trasparen-
     te),...”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 8668, cc. non numerate.

31                                    1838 ottobre 16, Camerino
     Inventario del patrimonio del defunto Vincenzo Ribechi di
     Camerino, ereditato dai figli e dalla vedova, Lucia Feliciani.
     Si segnala (c. 872v.):
     “Una piccola Coperta di Seta ricamata in Argento, ed
     Oro damascata della lunghezza di braccia tre, e mezza,
     e della larghezza di un braccio, e mezzo, non che altra
     copertina di Raso Rosso ricamata nel contorno egual-
     mente in oro ad uso di Battesimo”.

     SASC, Notarile di Camerino, vol. 8848, cc. 859r.-874r.

                                 40
32                                      1842 agosto 17, Bologna
     Inventario, con descrizione e stima, del vestiario appartenuto
     alla marchesa Maria Vendramin, vedova Ricci.
     Nell’elenco spiccano:
     “… veste di percal (percalle, tessuto di cotone) di color
     marone, di percal color berrettino, di velata scozzese, di
     lana, di Madras color marone, di seta nera di Folas
     (località nel comune di Isera, in Trentino, nota in passa-
     to per l’allevamento del baco da seta), di seta color blu,
     una sciarpa rossa di lana e seta …, altre sciarpe e sciar-
     pette, un tabarro di lana nera foderato di seta verde
     …”.

     ASMC, Famiglia Ricci Petrocchini, b. 45, cc. non numerate.

33                                       1843 luglio 23; Macerata
     Annibale Martinelli, sarto e mercante, invia alla sig.ra
     Maddalena Urbani la nota delle spese da sostenere per la
     confezione di un abito di percalle. Descrive inoltre le varie
     lunghezze che debbono avere le mantiglie, per le quali “si
     costuma di tre tagli se deve servire di meterle in ogni abito si
     fa curte che rivi alla cinta se deve servire per abiti di mezza
     gala si fa più lunghi fino a finale del corpo, se deve servire
     per abiti di seta… si fanno lunghissimi… e tutti si fanno di tulle
     operato”.

     ASMC, Famiglia Urbani, b. 11/4964

34                                          1845 giugno 4, Ancona
     La modista Giuseppina Farinelli rimette alla contessa Anna
     Matilde Parisani la nota delle spese necessarie per la creazio-
     ne di un cappello di velo bianco per il quale debbono essere
     utilizzate “braccia 9 di fettuccia bianca e rosa a baiocchi 17
     il braccio, braccia due e mezzo di velo bianco a baiocchi 25
     il braccio, mezzo braccio di tale gomato bianco”.
     ASMC, Famiglia Gentiloni Silverj, b. 68, fasc. 5

                                   41
35                                                      s.d. [I a metà sec.XIX]
     “La pettinatura alla Pasta”
     Poesia tratta da: Antonio Casiglieri, Poesie (a cura di L.
     Pescasio, editrice Wella italiana, 1969, pp. 26-27), in cui,
     l’autore, detto anche “il poeta del Mincio”, contro la moda
     imperante in Francia e molto seguita in Italia, esalta le sobrie
     acconciature di Giuditta Pasta (Saronno 1797- Como 1865),
     celebre soprano.

     Biblioteca privata

36                                       1847 ottobre 5, Ancona
     L’avvocato Petrocchi aggiorna la contessa Anna Matilde
     Parisani circa la moda dell’occhialino da teatro, dicendole
     che, per l’anno in corso, pare che quei grandi occhialini non
     usano più… e ve ne sono oggi costruiti in modo, che molto si
     ripiegano nella loro estensione….

     ASMC, Famiglia Gentiloni Silverj, b. 68, fasc. 2

37                                     1849 dicembre 21, Ancona
     Leopolda De Marchis, modista, comunica alla contessa Anna
     Matilde Parisani che il mantello di cashmere (tessuto di lana
     molto pregiato ricavato dal vello di capre allevate nel
     Kashmir, provincia dell’India) inviatole è un modello america-
     no da indossare in varie maniere tutto sciolto sulle braccia, ad
     uso scialle, o posato su un braccio solo, lasciando cadere l’al-
     tra parte con disinvoltura….

     ASMC, Famiglia Gentiloni Silverj, b. 68, fasc. 4

                                   42
38                                       1850 ottobre 19, Macerata
      Annibale Martinelli, sarto e mercante, spiega alla contessa
      Anna Matilde Parisani le modalità da seguire per l’abbona-
      mento alla rivista “Corriere delle dame”.

      ASMC, Famiglia Gentiloni Silverj, b. 68, fasc. 3

39                         [I a metà sec. XIX, San Severino Marche]
      Emilia Ciardoni si rivolge alla zia, contessa Anna Matilde
      Parisani, affinché, con la stoffa che le ha inviato, le faccia
      confezionare un abito grazioso con un baverino di ghipur
      (trama del merletto veneziano, detto anche “punto Burano”)

      ASMC, Famiglia Gentiloni Silverj, b.68, fasc. 2

40                                        [I a metà sec. XIX], Ancona
      La modista Leopolda De Marchis, si prende la libertà di invia-
      re alla contessa Anna Matilde Parisani un cappellino di mer-
      letto nero, confessandole inoltre che le nostre Signore ancone-
      tane, le più eleganti non portano altro cappello che quello di
      merletto nero essendo questo capo di ultimissima moda….

      ASMC, Famiglia Gentiloni Silverj, b. 68, fasc. 4

41*                                        1862 dicembre 24, Torino
      Il Ministero dell’Interno invia ai prefetti del Regno i “figurini”
      delle divise per i corpi speciali della Guardia Nazionale
      (corpo sanitario, artiglieria, bersaglieri, cavalleria) e del
      Commissario di Leva.

      ASMC, Prefettura di Macerata, b. 47, fasc. 9

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