LE NUOVE DIRETTIVE SUI CONTRATTI PUBBLICI E L'IN HOUSE - Iannas
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CARMINE VOLPE (Presidente di Sezione del Consiglio di Stato) LE NUOVE DIRETTIVE SUI CONTRATTI PUBBLICI E L’IN HOUSE PROVIDING: PROBLEMI VECCHI E NUOVI∗ SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Le ragioni della costruzione dell’in house. 3. L’in house al momento dell’emanazione delle nuove direttive. 4. Le nuove direttive. 5. I principi. 6. Il vero significato del carattere eccezionale e derogatorio dell’in house. 7. L’in house nelle nuove direttive: a) i requisiti. 8. Segue. L’in house nelle nuove direttive: b) l’in house verticale capovolto, l’in house orizzontale e il controllo limitato ad alcune delle attività della società. 9. Segue. L’in house nelle nuove direttive: c) l’in house frazionato o pluripartecipato. 10. L’in house nelle società strumentali. 11. Problemi: a) l’ammissibilità dell’house nelle società strumentali. 12. Segue. Problemi: b) il requisito del controllo analogo. 13. Segue. Problemi: c) l’apertura all’ingresso di capitali privati nelle società in house. 14. Segue. Problemi: d) le conseguenze della possibile partecipazione privata nelle società in house. 15. Le peculiarità dell’in house: a) disciplina. 16. Segue. Le peculiarità dell’in house: b) danno erariale. 17. Verso la revisione del rapporto tra principio di libera amministrazione e principio di concorrenza. 18. Il recepimento delle direttive e novità legislative. 19. Conclusioni. 1. Introduzione. L’in house providing (d’ora in poi in house) riveste un posto di rilievo nel panorama delle società pubbliche1. Ma non è limitato alle società, potendo interessare anche i consorzi e altre forme di collaborazione e/o aggregazione tra soggetti pubblici. Le società in house costituiscono una parte del fenomeno delle società a partecipazione pubblica, in quanto devono sussistere anche gli ulteriori requisiti del controllo analogo e della prevalenza dell’attività con i soggetti controllanti. Si pongono però al confine della concorrenza poiché la ∗ Si tratta della relazione svolta al 61° Convegno di studi amministrativi, dal titolo “La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione”. Il convegno si è tenuto a Villa Monastero, Varenna (Lc), nei giorni 17, 18 e 19 settembre 2015. 1 Sulle società pubbliche si rimanda a C. VOLPE, La disciplina delle società pubbliche e l’evoluzione normativa, in www.giustamm.it, n. 12/2014. La bibliografia sull’in house è sconfinata. Senza alcuna pretesa di esaustività, si citano: S. BIGOLARO-V. CASTELLANI, Le società in house negli Enti locali e nella Sanità, Maggioli, 2012; C. IAONE, Le società in-house, Jovene, 2012; E. MICHETTI, In house providing. Modalità, requisiti, limiti, Giuffré, 2011; F. RENZETTI, Affidamento in house e dintorni, in Studi in onore di Carmine Punzi, Giappichelli, IV, 2008, 37; G. SORICELLI, Contributo allo studio del modello organizzativo dell’in house providing, Editoriale Scientifica, 2008; M. DUGATO, I contratti misti come contratti atipici tra attività ed organizzazione amministrativa. Dal global service all’in house providing, in Scritti in onore di Vincenzo Spagnuolo Vigorita, Editoriale Scientifica, I, 2007, 427.
2 configurazione di un soggetto in house, o meglio di una relazione in house tra il soggetto affidante e il soggetto affidatario, giustificano e legittimano l’affidamento diretto (senza previa gara). Tutta la relativa costruzione giurisprudenziale dell’in house, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (UE), è dovuta invero ai problemi conseguenti alla legittimità di un affidamento diretto. 2. Le ragioni della costruzione dell’in house. L’in house nasce dalla funzione creatrice della giurisprudenza della Corte di Giustizia e trova origine nei principi del Trattato, tenuti sempre presenti nell’elaborazione giurisprudenziale. Esso non è concepito come modello a sé stante ma unicamente come possibilità, da parte dell’amministrazione, di affidamento diretto di un appalto o di un servizio prescindendo dall’evidenza pubblica. Le ragioni alla base della costruzione dell’in house trovano origine sempre in controversie aventi a oggetto la legittimità o meno di un affidamento diretto, ossia senza previa gara. Ne consegue che l’in house viene concepito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia come eccezione all’evidenza pubblica, ma nel senso che non si applica il principio di concorrenza. L’individuazione delle ipotesi e delle condizioni in cui è consentito un affidamento diretto, in favore di un soggetto che non è sostanzialmente diverso dall’amministrazione affidante siccome ne costituisce branca o braccio operativo - non dando luogo alla lesione dei principi del Trattato, e in particolare del principio di concorrenza, proprio perché l’autoproduzione non presenta l’alterità di soggetti - alimenta la giurisprudenza sull’in house. Alla base della creazione dell’in house vi sono, quindi, essenzialmente ragioni di tipo pratico; le quali connotano tutta la giurisprudenza della Corte di Giustizia, a partire dalla sentenza Teckal (18 novembre 1999, causa C-107/98) e a finire a quella più recente (sez. V, 8 maggio 2014, causa C- 15/13). 3. L’in house al momento dell’emanazione delle nuove direttive. Lo stato dell’arte in materia di in house al momento dell’emanazione delle nuove direttive è sufficientemente descritto dal Consiglio di Stato con la sentenza della sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660. I principi generali affermati con la sentenza Teckal e poi costantemente ribaditi con le pronunce successive sono così riassumibili: a) l'affidamento diretto (senza gara e senza ricorso a procedure di evidenza pubblica) di appalti e concessioni è consentito tutte le volte in cui si possa affermare che l'organismo affidatario, ancorché dotato di autonoma personalità giuridica, presenti connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione a un "ufficio interno" dell'amministrazione affidante, poiché in questo caso non vi
3 sarebbe un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale; sicché nella sostanza non si tratta di un effettivo "ricorso al mercato" (outsourcing) ma di una forma di "autoproduzione" o comunque di erogazione di servizi pubblici "direttamente" ad opera dell'amministrazione, attraverso strumenti "propri" (in house providing); b) detta equiparazione è predicabile esclusivamente in presenza di due specifici presupposti; identificati nel "controllo analogo", ovverosia in una situazione nella quale l'ente sia in grado di esercitare sulla società un controllo analogo a quello che lo stesso ente esercita sui propri "servizi interni", e nella necessità che la società svolga la "parte più importante della propria attività" con l'amministrazione o le amministrazioni affidanti. La Corte di Giustizia UE ha chiarito che il requisito del controllo analogo richiede la necessaria partecipazione pubblica totalitaria, posto che la partecipazione, pur minoritaria, di soggetti privati al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi (C. giust. UE 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle; C. giust. UE 21 luglio 2005, C-231/03, Consorzio Coname; C. giust. UE, sez. I, 18 gennaio 2007, C-225/05, Je. Au.). La presenza del requisito della totale partecipazione pubblica è stata recentemente ribadita dalla Corte di Giustizia (sez. V, 19 giugno 2014, C-574/12)2. La partecipazione pubblica totalitaria rappresenta una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, dovendosi ulteriormente verificare la presenza di strumenti di controllo da parte dell'ente pubblico più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile a favore del socio totalitario. L'amministrazione aggiudicatrice, infatti, deve essere in grado di esercitare un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti dell'entità affidataria e il controllo esercitato deve essere effettivo, strutturale e funzionale (in tal senso, C. giust. UE, sez. III, sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, Econord, punto 27 della motivazione e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, la Corte di Giustizia ha riconosciuto che, a determinate condizioni, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da più autorità pubbliche che possiedono in comune l'entità affidataria (in tal senso, la sentenza Econord, punti da 28 a 31 e giurisprudenza ivi citata). 2 Secondo la Corte, “Qualora l'aggiudicatario di un appalto pubblico sia un'associazione di pubblica utilità senza scopo di lucro che, al momento dell'affidamento di tale appalto, comprende tra i suoi membri non solo enti che fanno parte del settore pubblico, ma anche istituzioni caritative private che svolgono attività senza scopo di lucro, la condizione relativa al «controllo analogo», dettata dalla giurisprudenza della Corte affinché l'affidamento di un appalto pubblico possa essere considerato come un'operazione «in house» non è soddisfatta, e pertanto la direttiva 2004/18 è applicabile.” La Corte afferma espressamente che “La circostanza che la partecipazione dei membri privati all'ente aggiudicatario sia solo minoritaria, non può rimettere in discussione tali conclusioni (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, EU:C:2005:5, punto 49).”
4 In base alla giurisprudenza da ultimo richiamata, nel caso in cui venga fatto ricorso a un'entità posseduta in comune da più autorità pubbliche, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse. Da ciò consegue che, se un'autorità pubblica diventa socia di minoranza di una società per azioni a capitale interamente pubblico al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità pubbliche associate nell'ambito di tale società esercitano su quest'ultima può essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, qualora esso venga esercitato congiuntamente dalle autorità suddette. Con particolare riguardo alla possibilità di ritenere sussistente un controllo analogo esercitato in forma congiunta, la Corte di Giustizia ha ulteriormente chiarito che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un'entità comune ai fini dell'adempimento di un compito comune di servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; ciononostante, il controllo esercitato su quest'ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell'autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell'entità in questione, e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto. Infatti, l'eventualità che un'amministrazione aggiudicatrice abbia, nell'ambito di un'entità affidataria posseduta in comune, una posizione inidonea a garantirle la benché minima possibilità di partecipare al controllo di tale entità aprirebbe la strada a un'elusione dell'applicazione delle norme del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici o di concessioni di servizi, dal momento che una presenza puramente formale nella compagine di tale entità o in un organo comune incaricato della direzione della stessa dispenserebbe detta amministrazione aggiudicatrice dall'obbligo di avviare una procedura di gara d'appalto secondo le norme dell'Unione, nonostante essa non prenda parte in alcun modo all'esercizio del controllo analogo sull'entità in questione (in tal senso, sentenza del 21 luglio 2005, Coname). 4. Le nuove direttive. Le nuove direttive non parlano mai di in house ma regolano il fenomeno con riguardo agli appalti e alle concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico, o agli appalti tra amministrazioni aggiudicatrici (per i settori speciali), aggiudicati a una “persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato”; escludendoli dall’ambito di applicazione delle direttive. Il riferimento normativo è all’art. 12 della direttiva appalti (n. 2014/24/UE), all’art. 28 della direttiva settori speciali (n.
5 2014/25/UE) e all’art. 17 della direttiva concessioni (n. 2014/23/UE); tutte norme di identico tenore3. Non è disciplinato solo l’in house ma anche la cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici. Il primo è uno schema verticale e il secondo orizzontale. Ma l’ipotesi della cooperazione orizzontale tra amministrazioni rimane al di fuori dell’in house, in quanto non comporta la costituzione di organismi distinti rispetto alle amministrazioni interessate all’appalto o alla concessione. I requisiti dell’in house sono indicati dall’art. 12, paragrafo 1, della direttiva n. 2014/24/UE, dall’art. 28, paragrafo 1, della direttiva n. 2014/25/UE e dall’art. 17, paragrafo 1, della direttiva n. 2014/23/UE. O meglio si parla di condizioni che devono essere tutte soddisfatte. I principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di in house sono stati in gran parte recepiti e codificati dalle nuove direttive (sulla falsariga di quanto avvenuto con la l. 7 agosto 1990, n. 241, in materia di procedimento amministrativo, che ha legificato diversi principi giurisprudenziali). Ma vi sono alcune precisazioni e novità. All’individuazione di una relazione in house consegue, come effetto, l’esclusione dall’applicazione delle direttive appalti e concessioni. L’in house diviene linea di confine e, come in ogni confine, acquista preminenza l’esigenza di marcarlo in maniera precisa per bene individuare i rispettivi campi di applicazione. 5. I principi. Due sono i principi fondamentali del diritto europeo in tema di appalti pubblici e concessioni. Uno è il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche. Si tratta della libertà per i soggetti pubblici di organizzare (autorganizzare) come meglio ritengono le prestazioni dei servizi di rispettivo interesse; attraverso l’autoproduzione, la cooperazione e l’esternalizzazione. 3 Sulle nuove direttive: AUTORI VARI, Il recepimento in Italia delle nuove direttive appalti e concessioni, a cura di C. FRANCHINI-F. SCIAUDONE, Editoriale Scientifica, 2015; F.A. CAPUTO, Verso il recepimento delle nuove Direttive sugli appalti pubblici: spunti di riflessione sulla «crif» degli operatori economici quale componente della prevenzione, sostanziale e non meramente formale, della lotta anticorruttiva, in www.giustamm.it, n. 5/2015; E. FOLLIERI, I principi generali delle Direttive comunitarie 2014/24/UE e 2014/25/UE, in www.giustamm.it, n. 4/2015. Sull’in house nelle nuove direttive: V. CAPUZZA, Dualismi ermeneutici del Consiglio di Stato a valle dei recenti sviluppi europei sugli affidamenti in house providing, in www.giustamm.it, n. 6/2015; C. CONTESSA, L’in house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, in C. CONTESSA-D. CROCCO, Appalti e concessioni, Dei, 2015, 121; AUTORI VARI, Le nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni, a cura di S. GALLO, Maggioli, 2014, 269 e 577; G. GUZZO, La Direttiva Ue n. 2014/24/Ue e le nuove regole in materia di affidamenti in house: riflessioni minime e prime interpretazioni, in www.lexitalia.it, n. 7-8/2014; F. LETTERA, Liberalizzazioni e gestione in house nei servizi pubblici locali: le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE sul controllo analogo, in Riv. amm., 2014, I, 347; C. VOLPE, L’affidamento : situazione attuale e proposte per una disciplina specifica, in www.giustamm.it, n. 10/2014.
6 L’altro è il principio di tutela della concorrenza, che ha come finalità la piena apertura dei mercati. L’obiettivo della normativa europea è quello della costruzione di un mercato unico e comune. E’ necessario che non vi siano ostacoli all’entrata nello stesso, che deve essere consentita a tutti gli operatori del settore. Di qui il principio dell’evidenza pubblica, che ne è corollario, ossia della scelta del soggetto con il quale l’amministrazione dovrà concludere un contratto pubblico previa applicazione di quei principi - di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità - che costituiscono a loro volta conseguenze del principio di concorrenza. I due principi (di libera amministrazione delle autorità pubbliche e di tutela della concorrenza) hanno pari dignità. Ma il secondo è sussidiario rispetto al primo. E l’in house rappresenta legittima declinazione del generale principio dell'autoproduzione, che è corollario del principio di libera amministrazione4. Il Libro Verde sui partenariati pubblico-privati aveva chiarito che il dibattito sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni “si colloca a valle della scelta economica ed organizzativa effettuata da un ente locale o nazionale, e non può essere interpretato come un dibattito mirante a esprimere un apprezzamento generale riguardo la scelta se esternalizzare o meno la gestione dei servizi pubblici; tale scelta compete infatti esclusivamente alle autorità pubbliche. Infatti, il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni non si esprime riguardo l’opzione degli Stati membri se garantire un servizio pubblico attraverso i propri stessi servizi o se affidarli invece ad un terzo”5. Le nuove direttive si pongono in continuità. Secondo il considerando n. 5 della direttiva settori ordinari n. 2014/24/UE: “È opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva.” Nello stesso senso sono i considerando n. 7 della direttiva settori speciali n. 2015/25/UE e n. 5 della direttiva concessioni n. 2014/23/UE. Secondo l’art. 2, paragrafo 1, di quest’ultima direttiva, dal titolo “Principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche”: “1. La presente direttiva riconosce il principio per cui le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l'esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in 4 In tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2515. 5 Paragrafo 17 del Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati e al diritto comunitario degli appalti pubblici delle concessioni della Commissione europea, 30 aprile 2004, COM (2004) 327.
7 conformità del diritto nazionale e dell'Unione. Tali autorità sono libere di decidere il modo migliore per gestire l'esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utenza nei servizi pubblici. Dette autorità possono decidere di espletare i loro compiti d'interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli a operatori economici esterni.” Nell’ultimo periodo viene affermata l’equiordinazione dei tre modelli: autoproduzione (in house), cooperazione tra amministrazioni ed esternalizzazione (gare). 6. Il vero significato del carattere eccezionale e derogatorio dell’in house. E’ ricorrente l’affermazione secondo cui l'in house rappresenta “un'eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono la previa gara”6. Come sono anche più che note le varie vicende (legislative e giurisprudenziali) che hanno portato, a seguito dell’esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 e della sentenza della Corte Costituzionale 19 luglio 2012, n. 199, alla caducazione delle diverse disposizioni (in materia di servizi pubblici locali) che avevano configurato l’in house come fenomeno derogatorio e residuale, nonché alla disciplina, attualmente vigente, di cui all’art. 34, commi da 20 a 27, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 2217. L’affermazione va però rivista e precisata. E’ la verifica della sussistenza dei requisiti dell’in house che va effettuata in modo rigoroso e non estensivo, dato che si tratta di eccezione all’applicazione delle direttive, e quindi della normativa in esse contenuta8. Indicativo è il seguente passo di una recente decisione della Corte di Giustizia UE (sez. V, 8 maggio 2014, causa C-15/13): “22 Conformemente alla giurisprudenza della Corte, l'obiettivo principale delle norme del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici è l'apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri nei settori d'esecuzione di lavori, di fornitura di prodotti e di prestazione di 6 In tal senso, Cons. Stato, ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1. Da ultimo Cons. Stato, sez. III, 7 maggio 2015, n. 2291, secondo cui l’in house rappresenta “un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono che l’affidamento degli appalti pubblici avvenga mediante la gara”. Egualmente per Cons. Stato, sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298, l’in house è un “istituto che resta pur sempre un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario”. 7 Il riferimento è all’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133 e all’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148; entrambi gli articoli non sono più vigenti. Si rimanda a C. VOLPE, Il lungo e ininterrotto percorso di assestamento della disciplina dei servizi pubblici locali, in www.giustamm.it, n. 11/2013. 8 Nello stesso senso G. CROCCO, Morte, resurrezione e « sfigurazione » dell’in house, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, fasc. 2, 2013, 496.
8 servizi, il che implica l'obbligo di qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme pertinenti del diritto dell'Unione qualora sussistano i presupposti da questo contemplati (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, C-26/03, EU:C:2005:5, punto 44). 23 Qualsiasi deroga all'applicazione di tale obbligo va dunque interpretata restrittivamente (v. sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, EU:C:2005:5, punto 46).” Nello stesso senso si è orientato il Consiglio di Stato9, in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica, secondo cui: a) “L'affidamento diretto, in house, lungi dal rappresentare un'ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locale, costituisce invece una delle tre normali forme organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell'affidamento diretto, in house (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti) costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti”; b) “L'art. 23 bis, nel testo risultante dalle modificazioni apportate dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e dall'art. 15, comma 1 ter del d. l. n. 135 convertito con modificazioni dalla l. n. 166 del 2009, è stato definitivamente espunto dall'ordinamento a seguito di referendum popolare del giugno 2011 e della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 4 del d. l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in l. n. 148 del 2011, che ne aveva sostanzialmente riproposto il testo. L'abrogazione referendaria dell'art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008 (inteso come disposizione che tutela la concorrenza e non come mera disciplina dei servizi pubblici locali), ha reso puramente dialettica la diatriba sui limiti delle forme di gestione dei servizi pubblici locali, sicché deve ritenersi acclarata la legittimità della internalizzazione, essendo venuto meno il principio con tali disposizioni perseguito della eccezionalità della gestione diretta o in economia per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica….”; c) “Trova, invece, applicazione la disciplina comunitaria che, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale, consente agli stati membri di prevedere con determinate cautele la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale (cfr. la già menzionata sentenza n. 325 del 2010). Parimenti la richiamata Corte di giustizia C480/06 ha affermato che un'autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza fare 9 Cons. Stato: sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257, 10 settembre 2014, n. 4599 e 27 maggio 2014, n. 2716; sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762. Si veda anche E. GENTILE, L’in house providing come modalità ordinaria di gestione dei servizi pubblici e la cooperazione verticale istituzionalizzata, in Foro amm., 2015, 1086.
9 ricorso ad entità esterne e che tale modalità non contrasta con la tutela della concorrenza poiché nessuna impresa viene posta in una situazione di privilegio rispetto alle altre.” Recente giurisprudenza (T.A.R. Veneto, sez. I, 25 agosto 2015, n. 949) ribalta addirittura di 180 gradi la preferenza per la gara. Non solo equiordinazione tra le tre modalità di affidamento (gara, gara a doppio oggetto per la costituzione di una società mista e affidamento in house), ma addirittura favor per l’affidamento in house qualora non vengano svolte (da parte dell’ente pubblico affidante) le necessarie considerazioni di natura tecnico-economica per le quali l’affidamento a mezzo di procedura selettiva sarebbe preferibile a quello in house (allo stato in atto); tenuto conto che, nella specie, la società affidataria in house offriva, in favore delle amministrazioni locali proprietarie della stessa, una gestione dei servizi locali particolarmente virtuosa dal punto di vista economico10. 7. L’in house nelle nuove direttive: a) i requisiti. La relazione, ipotizzata nei riguardi di una “persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato”, estende i confini dell’in house al di fuori del fenomeno delle società comprendendovi anche gli enti pubblici; ad esempio, le aziende speciali di cui all’art. 114 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (definite quali enti strumentali dell'ente locale dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto), che costituiscono enti pubblici economici. Per l’individuazione dell’in house è richiesto innanzitutto il controllo analogo. Le direttive, al riguardo, precisano che tale condizione risulta soddisfatta qualora l’amministrazione aggiudicatrice (o anche l’ente aggiudicatore per le concessioni) eserciti un’influenza determinante (o decisiva, il che è lo stesso) sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative dell’affidatario in house e risolvono anche i dubbi in tema di cosiddetto controllo analogo indiretto, in quanto si prevede che il controllo possa essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice. Si pensi, ad esempio, alle holding di partecipazioni, che si interpongono fra l’amministrazione aggiudicatrice e la società beneficiaria in house, o alle società consortili, dove gli enti pubblici esercitano il controllo della società consortile non direttamente ma attraverso le società consorziate, che, a loro volta, sono controllate da tali enti. Una precisazione delle nuove direttive riguarda il concetto di prevalenza dell’attività. La condizione viene ritenuta soddisfatta qualora oltre l’80% delle attività del soggetto affidatario in house siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dal soggetto controllante 10 Nella specie, il Comune affidante, per la gestione del servizio rifiuti, aveva motivato la necessità di indire una pubblica gara unicamente con riguardo all’imminente scadenza dell’affidamento in house.
10 direttamente o anche indirettamente, ossia da parte di altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione controllante. Viene poi indicato cosa debba considerarsi al fine della determinazione dell’80%: prevedendolo nel fatturato totale medio, o in un’idonea misura alternativa basata sull'attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione. E in mancanza del triennio (a causa di recente costituzione o inizio dell’attività, oppure per riorganizzazione dell’attività, con riguardo al soggetto controllato o all’amministrazione aggiudicatrice) o di pertinenza del fatturato e dei costi, è sufficiente dimostrare, sulla base di proiezioni dell’attività, la credibilità della misura dell’attività (ultimo paragrafo dell’art. 12 della direttiva appalti n. 2014/24/UE, dell’art. 28 della direttiva settori speciali n. 2014/25/UE e dell’art. 17 della direttiva concessioni n. 2014/23/UE). Novità di rilievo è quella in tema del requisito della totale partecipazione pubblica. Che è sempre richiesta, ma una relazione in house viene egualmente configurata anche in presenza di forme di partecipazione diretta di capitali privati, a condizione che: a) non comportino controllo o potere di veto, attraverso le quali non può essere esercitata alcuna influenza determinante sul soggetto affidatario; b) siano prescritte dalle disposizioni legislative nazionali e quindi siano previste dalla legge; c) la legge sia conforme ai trattati. E’ chiaro che l'unico elemento determinante è la partecipazione privata diretta al capitale della persona giuridica controllata. Mentre la partecipazione di capitali privati nell'amministrazione aggiudicatrice controllante o nelle amministrazioni aggiudicatrici controllanti non preclude l'aggiudicazione diretta (ossia senza applicare le procedure previste dalle direttive) di appalti pubblici alla persona giuridica controllata, poiché tali partecipazioni non incidono negativamente sulla concorrenza tra operatori economici privati (in tal senso, espressamente, il punto 32 dei “considerando” della direttiva n. 2014/24/UE e il punto 46 dei “considerando” della direttiva n. 2014/23/UE). 8. Segue. L’in house nelle nuove direttive: b) l’in house verticale capovolto, l’in house orizzontale e il controllo limitato ad alcune delle attività della società. Quanto previsto in tema di affidamento a un soggetto in house vale anche per escludere l’applicazione delle direttive agli appalti o alle concessioni aggiudicati dal soggetto in house, che è a sua volta amministrazione aggiudicatrice, alla propria amministrazione controllante o ad altro soggetto giuridico controllato da quest’ultima, sempreché nell’aggiudicataria non vi sia alcuna
11 partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati di cui si è detto al paragrafo precedente. Il che è disposto dall’art. 12, paragrafo 2, della direttiva appalti (n. 2014/24/UE), dall’art. 28, paragrafo 2, della direttiva settori speciali (n. 2014/25/UE) e dall’art. 17, paragrafo 2, della direttiva concessioni (n. 2014/23/UE). Si tratta di due fattispecie diverse. La prima la possiamo chiamare in house verticale capovolto e riguarda unicamente due soggetti che si trovano in relazione di in house. Il soggetto controllato, essendo a sua volta amministrazione aggiudicatrice, affida al soggetto controllante. Si verifica una sorta di bidirezionalità dell’in house. La seconda costituisce il cosiddetto in house orizzontale e implica l’esistenza di tre soggetti e di un rapporto triangolare. Un soggetto A aggiudica un appalto o una concessione a un soggetto B, e sia A che B sono controllati da un altro soggetto C. Ossia non vi è alcuna relazione diretta tra A e B, ma entrambi sono in relazione di in house con il soggetto C, che controlla sia A che B. Una recente decisione della Corte di Giustizia si è interessata del fenomeno dell’in house orizzontale, inteso come la situazione in cui l’amministrazione o le amministrazioni aggiudicatrici esercitano un controllo analogo su due operatori economici distinti di cui uno affida un appalto all’altro, oltre che del controllo limitato ad alcune delle attività della società controllata. Si tratta di Corte di Giustizia, sez. V, 8 maggio 2014 (causa C-15/13)11, la cui massima è la seguente: “L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che un contratto avente ad oggetto la fornitura di prodotti, concluso tra, da un lato, un’Università che è un’amministrazione aggiudicatrice ed è controllata nel settore delle sue acquisizioni di prodotti e servizi da uno Stato federale tedesco e, dall’altro, un’impresa di diritto privato detenuta dallo Stato federale e dagli Stati federali tedeschi, compreso detto Stato federale, costituisce un appalto pubblico ai sensi della medesima disposizione e, pertanto, deve essere assoggettato alle norme di aggiudicazione di appalti pubblici previste da detta direttiva”. La controversia conseguiva all’affidamento diretto di un appalto di forniture da parte di un’Università della Città di Amburgo (Stato federale e amministrazione aggiudicatrice) a una società tedesca. La Corte di Giustizia, come di solito, viene investita del problema della legittimità 11 La sentenza è commentata da: G. PESCATORE, L’inedito modello dell’in house orizzontale, in Libro dell’anno del diritto, Treccani, 2015, 257 e da F. FISCHIONE-G. FISCHIONE, Spunti sull’ammissibilità dell’in house orizzontale e sulla non configurabilità dell’in house sottoposta a controllo analogo in parte qua, in www.giustamm.it., n. 5/2014.
12 di siffatto affidamento diretto a seguito della contestazione innanzi al giudice tedesco da parte di un operatore del settore. Nella specie, tra l’Università tedesca e la società non vi era alcun rapporto di controllo in quanto la prima non aveva partecipazioni nella seconda. Tuttavia, la Città di Amburgo, Stato federale tedesco, controllava, assieme alla Repubblica federale di Germania e ad altri Lander tedeschi, sia la società che l’Università. In tal modo sia la società che l’Università erano controllate dalla stessa amministrazione aggiudicatrice, la Città di Amburgo. La questione viene rimessa alla Corte da parte del giudice di appello tedesco che, configurando nella specie la possibilità di un in house orizzontale, prefigura la legittimità dell’affidamento diretto; che viene invece escluso dalla Corte di Giustizia sulla base di due considerazioni. La prima, consistente nella circostanza che l’affidamento è disposto da un’amministrazione aggiudicatrice (l’Università della Città di Amburgo) a favore di una società nella quale l’Università non detiene alcuna partecipazione nel capitale e non ha alcun rappresentante legale negli organi direttivi della stessa. La seconda, fondata sulla circostanza che il controllo esercitato dalla Città di Amburgo sull’Università si estende solo a una parte dell’attività di quest’ultima, ossia solo in materia di acquisizioni e non anche ai settori dell’istruzione e della ricerca, nell’ambito dei quali l’Università dispone di ampia autonomia. Cosicché in una situazione di controllo parziale non è configurabile il controllo analogo, venendo meno la possibilità di determinare (tutti) gli obiettivi strategici e (tutte) le decisioni significative del soggetto controllato. Pertanto, considerato che l’oggetto dell’affidamento dell’Università alla società riguarda l’attività di istruzione svolta dall’Università stessa, sulla quale attività non è ipotizzabile alcun controllo analogo da parte della Città di Amburgo, e data l’inconfigurabilità di un in house parziale, nella specie l’affidamento senza gara viene ritenuto illegittimo siccome in violazione delle regole di concorrenza. La decisione della Corte di Giustizia avalla così l’in house orizzontale, ma richiede che il controllo, per configurasi analogo, debba essere totale e non limitato solo ad alcune delle attività svolte dal soggetto controllato. 9. Segue. L’in house nelle nuove direttive: c) l’in house frazionato o pluripartecipato. L’art. 12, paragrafo 3, della direttiva appalti (n. 2014/24/UE), l’art. 28, paragrafo 3, della direttiva settori speciali (n. 2014/25/UE) e l’art. 17, paragrafo 3, della direttiva concessioni (n. 2014/23/UE) chiariscono anche le modalità attraverso cui le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare egualmente il controllo analogo, codificando l’in house frazionato o pluripartecipato. Ossia consentendo che un'amministrazione aggiudicatrice, la
13 quale non eserciti di per sé su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo 1, possa lo stesso affidare direttamente un appalto a tale persona giuridica. Le condizioni richieste, tutte da soddisfare, sono: a) l'amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica affidataria analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi; b) oltre l'80 % delle attività dell’affidataria sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti direttamente o indirettamente da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Si tratta delle condizioni richieste al paragrafo 1 per la configurazione di una relazione in house, con la peculiarità che il controllo non è più personale ed esclusivo ma congiunto (ossia assieme agli altri soggetti partecipanti nel capitale del soggetto affidatario)12. E in che consista il controllo congiunto prescritto dalla lett. a) viene a sua volta definito dalle direttive. Le amministrazioni aggiudicatrici esercitano il controllo in modo congiunto con le altre qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali dell’organismo controllato devono essere composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, da soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti. Ossia ogni soggetto pubblico partecipante deve essere comunque rappresentato negli organi decisionali del soggetto affidatario; b) i soci pubblici devono essere in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato; c) l’organismo controllato non deve perseguire interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti. Anche qui l’individuazione di tutte le condizioni richieste per la sussistenza del controllo congiunto, soprattutto con riguardo alla lett. b), passa attraverso l’indagine empirica delle disposizioni dello statuto della società affidataria. 10. L’in house nelle società strumentali. 12 Sul controllo congiunto si rimanda a E. GENTILE, op. cit., in Foro amm., 2015, 1086.
14 Le società strumentali si differenziano dalle società che erogano servizi pubblici locali; le prime sono quelle che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione che ne beneficia e conseguentemente paga il prezzo della prestazione (appalti pubblici di servizi e di forniture), le seconde sono quelle che erogano servizi alla collettività, ossia agli utenti, al fine di soddisfare bisogni generali; utenti che per il servizio pagano una tariffa (servizi pubblici)13. La normativa (art. 13 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248) prevede l’esclusività dell’oggetto sociale a favore delle amministrazioni pubbliche che vi partecipano. Le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, “devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale”. Siffatto limite, dal quale sono escluse le società statali, viene imposto al dichiarato “fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale” 14. Ciò comporta, conseguentemente, che le società strumentali degli enti locali e delle Regioni per essere in house devono possedere solo due dei tre requisiti prescritti; il controllo analogo e la totale partecipazione pubblica, non essendo possibile la configurabilità del terzo, ossia la prevalenza dell’attività, essendo già richiesto per legge qualcosa che assorbe la prevalenza, quale l’esclusività. Dette società diventano “ad oggetto sociale esclusivo” (comma 2 del citato art. 13). Di qui 1’ulteriore peculiarità propria delle società strumentali in house; dovendo, l’attività da svolgere a favore dell’ente o degli enti controllanti, essere esclusiva, non è possibile effettuare attività a favore o assieme ad amministrazioni diverse. E’ evidente a questo punto il contrasto tra la normativa interna e quella delle nuove direttive, nella parte in cui richiedono soltanto che oltre l’80% (e non il 100%) delle attività del soggetto affidatario in house siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dal soggetto controllante. E si ritorna sempre al problema conseguente agli spazi lasciati agli Stati membri nel recepimento delle direttive, per il quale si rimanda al paragrafo 17. 11. Problemi: a) l’ammissibilità dell’house nelle società strumentali. 13 In tal senso Corte Cost. 1 agosto 2008, n. 326 e 30 aprile 2009, n. 125. 14 Altro limite è stato poi posto dall’art. 3, comma 27, della l. 24 dicembre 2007, n. 244, secondo cui, con esclusione dei servizi di interesse generale (ossia dei servizi pubblici), le amministrazioni pubbliche “non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”.
15 Secondo una recente decisione del Consiglio di Stato (sez. III, 7 maggio 2015, n. 229115) l’in house non sarebbe più consentito negli appalti strumentali, ossia al di fuori dei servizi pubblici. Ciò in quanto: . Secondo il Consiglio di Stato: a) il tenore del comma 7 è “univoco nell’individuare le procedure concorrenziali come modalità necessaria di acquisizione dei beni e servizi strumentali”; b) “l’in house providing, così come costruito dalla giurisprudenza comunitaria, sembra rappresentare, prima che un modello di organizzazione dell’amministrazione, un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono che l’affidamento degli appalti pubblici avvenga mediante la gara”; c) “l’esistenza di una sua disciplina normativa a livello comunitario (oggi contenuta nell’art. 12 della direttiva 24/2014/UE, …) consente tale forma di affidamento, ma non obbliga i legislatori nazionali a disciplinarla, né impedisce loro di limitarla o escluderla in determinati ambiti”; d) “La circostanza che un affidamento in house non contrasti con le direttive comunitarie non vuol dire che sia contraria all’ordinamento UE una norma nazionale che limiti ulteriormente il ricorso all’affidamento diretto. 15 La sentenza è commentata da G. GUZZO, Gli affidamenti in house nella più recente teorica del giudice amministrativo, in www.lexiltalia.it, n. 5/2015.
16 Con ciò, si torna alla preclusione degli affidamenti diretti stabilita dall’art. 4, comma 7, in questione, con scelta dichiaratamente pro-concorrenziale che non può certamente ritenersi irragionevole.”. La soluzione seguita non appare conforme non solo con quanto precedentemente detto al paragrafo 6 circa il vero significato del carattere eccezionale e derogatorio dell’in house, ma anche con l’interpretazione letterale16 dell’art. 4, comma 8, primo periodo, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, secondo cui “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house”. La circostanza per cui la Corte Costituzionale, con sentenza 23 luglio 2013, n. 229, ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale del detto comma 8 nella parte in cui si applica alle Regioni ad autonomia ordinaria, non rileva. La dichiarazione di incostituzionalità è motivata sulla base di ragioni di competenza legislativa, oltre che di salvaguardia del principio di autonomia organizzativa (delle Regioni) che è proprio quello che consente l’affidamento in house17. Inoltre, la normativa e la giurisprudenza europea in tema di in house non possono non applicarsi anche alle Regioni. 12. Segue. Problemi: b) il requisito del controllo analogo. Il problema centrale dell’in house è dato all’accertamento del requisito del controllo analogo. Siffatto requisito, secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, risulta soddisfatto dalla previsione di meccanismi che consentano all’affidante di influenzare in modo determinante gli obiettivi strategici e le decisioni significative dell’affidatario e, contestualmente, dal divieto per 16 Secondo i canoni di cui all’art. 12, comma primo, delle disposizioni sulla legge in generale del c.c., in tema di interpretazione della legge. 17 Di seguito il passo rilevante di Corte Cost. n. 229/2012: “In sostanza, le richiamate disposizioni (in specie i commi 1 e 2, ai quali sono strettamente collegati il comma 3, secondo periodo, il comma 3-sexies, ed il comma 8) precludono anche alle Regioni, titolari di competenza legislativa residuale e primaria in materia di organizzazione, costituzionalmente e statutariamente riconosciuta e garantita, la scelta di una delle possibili modalità di svolgimento dei servizi strumentali alle proprie finalità istituzionali. Siffatta scelta costituisce un modo di esercizio dell'autonomia organizzativa delle Regioni, e cioè quello di continuare ad avvalersi di quelle società che, svolgendo esclusivamente "attività amministrativa in forma privatistica" nei confronti delle pubbliche amministrazioni, sono in armonia sia con i vincoli "costitutivi" imposti dall'art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007, sia con i limiti di attività delineati dall'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 e sono, peraltro, contraddistinte da un legame con le medesime, basato sulla sussistenza delle condizioni prescritte dalla giurisprudenza comunitaria del "controllo analogo" e dell'"attività prevalente", tale da configurarle quali «longa manus delle amministrazioni pubbliche, operanti per queste ultime e non per il pubblico», come da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa (per tutte, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 4 agosto 2011, n. 17). Le predette norme (commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies, 8) incidono, pertanto, sulla materia dell'organizzazione e funzionamento della Regione, affidata dall'art. 117, quarto comma, Cost., alla competenza legislativa regionale residuale delle Regioni ad autonomia ordinaria ed alla competenza legislativa regionale primaria delle Regioni ad autonomia speciale dai rispettivi statuti, tenuto conto che esse inibiscono in radice una delle possibili declinazioni dell'autonomia organizzativa regionale”.
17 quest’ultimo di acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo da parte dell’ente pubblico. Secondo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la possibilità che la società affidataria, secondo lo statuto, possa svolgere numerose attività “lascia presumere l’esistenza di una (anche potenziale) vocazione commerciale basata sul rischio di impresa, suscettibile di condizionare le scelte strategiche della società stessa, distogliendola dalla cura primaria dell’interesse pubblico di riferimento”18. La Corte di Giustizia ritiene che spetti al giudice nazionale verificare in concreto l’esistenza del requisito del controllo analogo, così come di quello congiunto. E ciò a seguito di una verifica delle disposizioni degli statuti del soggetto controllato, degli eventuali patti parasociali e dei poteri attribuiti agli organi sociali. Così che la nozione di controllo analogo - come anche di controllo congiunto, richiesto ai fini del cosiddetto in house frazionato o pluripartecipato - si cala all’interno della fattispecie civilistica del controllo societario e spesso va al di là della stessa, in quanto i singoli meccanismi previsti dal codice civile per assicurare il controllo societario possono non essere sufficienti al fine della configurazione del controllo analogo. Dal che conseguirebbe l’esigenza, da parte del legislatore, di definire in qualche modo i contenuti minimi specifici del requisito del controllo analogo; ciò proprio per avere certezze e non basarsi sulle valutazioni del caso singolo rimesse, di volta in volta, all’accertamento e alla valutazione del giudice e, ancora prima, dei soggetti affidante e affidatario. Ma si sa, la casistica è la più variegata e regole predefinite possono non bastare ai fini della soluzione del singolo caso. 13. Segue. Problemi: c) l’apertura all’ingresso di capitali privati nelle società in house. Si è visto come le nuove direttive consentono l’affidamento in house anche in presenza di una partecipazione privata minoritaria. Non è una novità assoluta. Un primo esempio si era già avuto con il regolamento CEE n. 1370/2007, in materia di servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia19. 18 Parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato n. AS1201 in data 18 giugno 2015. 19 Ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. a), del regolamento CEE n. 1370/2007, “al fine di determinare se l'autorità competente a livello locale esercita tale controllo, sono presi in considerazione elementi come il livello della sua rappresentanza in seno agli organi di amministrazione, di direzione o vigilanza, le relative disposizioni negli statuti, l'assetto proprietario, l'influenza e il controllo effettivi sulle decisioni strategiche e sulle singole decisioni di gestione. Conformemente al diritto comunitario, la proprietà al 100% da parte dell'autorità pubblica competente, in particolare in caso di partenariato pubblico-privato, non è un requisito obbligatorio per stabilire il controllo ai sensi del presente paragrafo, a condizione che vi sia un'influenza pubblica dominante e che il controllo possa essere stabilito in base ad altri criteri”.
18 Recentemente c’è stato un tentativo di anticipare la specifica novità apportata dalle direttive rispetto al loro recepimento. Si tratta del parere 30 gennaio 2015, n. 298 (affare n. 18/2013) reso dalla sez. II del Consiglio di Stato20, secondo cui: “È ammissibile l'affidamento "in house" di prestazioni di servizio nel campo dell'informatica per il sistema universitario, della ricerca e scolastico, da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in via diretta al CINECA Consorzio Interuniversitario. La direttiva 2014/24, sebbene non sia stata ancora recepita (essendo ancora in corso il termine relativo per l'incombente), appare di carattere sufficientemente dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua concreta attuazione. Ai fini dell'ammissibilità dell'affidamento cd. "in house" (e quindi ai fini dell'esclusione dei contratti tra soggetti pubblici dall'applicazione della direttiva), l'art. 12, par. 1, della direttiva 2014/24 richiede che l'amministrazione aggiudicatrice svolga sull'altro ente pubblico "un controllo analogo a quello che esercita sui propri dipartimenti/servizi"; che più dell'80% delle prestazioni dell'altro ente pubblico siano effettuate a favore dell'amministrazione aggiudicatrice o di un altro ente pubblico controllato dalla prima; che l'altro ente pubblico che riceve l'affidamento dall'amministrazione aggiudicatrice non sia controllato da capitale privato, a meno che non si tratti di partecipazione di controllo o di blocco secondo le disposizioni nazionali; e che in ogni caso tale partecipazione non determini influenza dominante.” Quanto affermato dalla sez. II del Consiglio di Stato non ha trovato concorde la sez. VI, che, con sentenza 26 maggio 2015, n. 2660, ha ritenuto l’illegittimità dell'affidamento diretto e senza gara al Cineca da parte di un’Università21. Ciò a causa della mancanza dei requisiti della partecipazione pubblica totalitaria (partecipando al Consorzio anche Università private che non possono essere qualificate comunque come enti pubblici per il solo fatto di svolgere attività di interesse pubblico) e dell'esercizio dell'attività prevalentemente a favore di soggetti consorziati (svolgendo il consorzio, direttamente o tramite società controllate, una parte rilevante della propria attività a favore di soggetti non consorziati, pubblici e privati, sia in Italia che all'estero). La sez. VI ha escluso l’applicabilità immediata delle previsioni di cui alla direttiva n. 2014/24/UE, sulla base delle seguenti considerazioni: 20 Il parere è commentato da: V. BRIGANTE, La crisi della soggettività nel diritto amministrativo: l’in house providing alla luce del parere del Consiglio di Stato n. 298/2015, in www.lexitalia.it, n. 3/2015; G. CARULLO, Luci ed ombre sulla legittimità dell’affidamento in house al CINECA, in www.giustamm.it., n. 2/2015; G. GUZZO, Affidamenti in house e legislazione interna: il cds “abilita” l’immediata applicazione interna dell’articolo 12 della direttiva n. 2014/24/ue, in www.lexitalia.it, n. 2/2015. 21 Di interesse il commento alla sentenza e al parere del Consiglio di Stato di G. VELTRI, In house e anticipata efficacia della direttiva, in Urbanistica e appalti, 2015, 667. Si veda anche G. GUZZO, La sfuggente definizione del requisito del controllo analogo: il caso “CINECA”, in www.lexitalia.it, n. 8/2015. In senso conforme alla citata sentenza n. 2660/2015, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 11 settembre 2015, n. 4253.
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