LA VISIONE TELESCOPICA DI DANTE - Analizzando uno degli elementi essenziali delle profezie post-eventum sparse in tutta l'opera del Sommo poeta ...

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LA VISIONE TELESCOPICA DI
         DANTE
     Analizzando uno degli elementi essenziali
      delle profezie post-eventum sparse in
          tutta l’opera del Sommo poeta
             della Letteratura italiana

                VITTORIA ALTOMONTE
Visione telescopica di Dante                              Vittoria Altomonte

               La visione telescopica dantesca
Tutti ben conosciamo la grandezza di Dante, la sua capacità
di rendere eterni personaggi del passato e la sua vasta
cultura. Durante la sua peregrinatio nei tre regni
dell’oltretomba, il Sommo poeta e la sua guida incontrano
anime, demoni e angeli, tutti dotati di una proprietà
singolare: possiedono una visione telescopica. Ciò vuol
dire che, come un telescopio capace di osservare oggetti
lontani nello spazio e farli apparire vicini al nostro
occhio non riesce al contrario a vedere un corpo posto
vicino ad esso, così le anime possono “veder lontano”1.
Dante ha quindi il modo di misurare le capacità
conoscitive delle singole anime, che appaiono differenti
a seconda del regno ultraterreno visitato.
Nell’Inferno la caratteristica della cosiddetta visione
telescopica la incontriamo già nel VI canto con la profezia
post-eventum2 di Ciacco3. Ma la conferma che le anime dei
dannati rimangano all’oscurità del presente la abbiamo con
il dialogo di Dante con Cavalcante de’ Cavalcanti e con
la successiva spiegazione a uno dei mille dubbi che
attanagliano Dante durante il suo viaggio da parte di
Farinata degli Uberti4.
La   fabula  della   narrazione   lascia   trasparire  le
argomentazioni filosofiche e teologiche in auge negli
anni in cui visse Dante, che hanno connotato tutte le
correnti dottrinali del XIII e XIV secolo. Il Sommo poeta
della letteratura italiana ha avuto l’opportunità di
avvicinarsi ad esse grazie agli studi condotti nelle
scuole domenicane e francescane di Firenze dell’epoca.

 1: “Noi veggiam […] le cose […] che ne son lontano”(Inferno X, vv.100-101)

 2: Si definisce “profezia post-eventum” l’atto di profetizzare eventi in
 realtà già accaduti, ma che, secondo i tempi in cui è ambientato il racconto,
 dovranno ancora accadere nella finzione letteraria. Viene spesso utilizzata
 da Dante nella Commedia per spargere un po’ ovunque le tracce del suo esilio.

 3: Siamo nel cerchio infernale dei Golosi (Inferno VI). Ciacco è il
 protagonista del racconto che, come vedremo in seguito, profetizza riguardo
 alla città di Firenze e alla politica (i sesti canti di ogni cantica trattano
 temi politici).

 4: Cavalcante e Farinata sono personaggi del Canto X dell’Inferno.
Visione telescopica di Dante                              Vittoria Altomonte

Tutte queste esposizioni riguardavano la natura di un’anima
separata: come poter interpretare, quindi, il “veder
lontano” di Farinata?
Una dei più grandi interrogativi teologici e filosofici
del tempo riguardava la seguente questione: “la distanza
locale potrebbe impedire alle anime la conoscenza delle
cose presenti?”
Mentre Dante era impegnato nella sua missione di salvezza
dell’umanità5, il mondo teologico era diviso in due parti
inconciliabili tra loro, poiché si basavano su concezioni
a   loro   volta   inconciliabili:   la   materialità   e
l’immaterialità delle sostanze separate.
Tommaso d’Aquino, noto per aver ripreso la teoria
aristotelica ed aver poi rielaborato su tali basi la sua
Scolastica, nella Summa Theologiae (art.7) affermava:
  “Poiché le anime separate, in quanto immateriali, non
sono dotate di organi sensoriali atti a conoscere le cose
  nella loro singolarità, esse possono riceverle grazie
 all’influsso emanato, e da loro ricevuto, della luce di
                          Dio”.
Pertanto, la conclusione del domenicano è che la distanza
locale e spaziale non impedisce alle anime la conoscenza,
dal momento che la luce divina si irraggia uniformemente
nello spazio. Il fatto che Dio risplenda anche in altri
luoghi del cosmo (compreso l’Inferno), seppur con intensità
minore, lo afferma anche Dante con la terzina che apre la
terza Cantica6.
Ritornando però agli incontri danteschi con personaggi
alquanto famosi, possiamo notare come Ciacco dimostri
questa capacità e non solo…

 5: Nella sua interpretazione allegorica, il viaggio dantesco può essere visto
 come una missione che lui stesso si attribuisce per condurre alla salvezza
 l’uomo, ormai da tempo immerso nella selva del peccato.

 6: “La gloria di colui che tutto move
       Per l’universo penetra, e risplende
       In una parte più e meno altrove”
 (Paradiso I, vv.1-3)
Visione telescopica di Dante                               Vittoria Altomonte

Canto VI dell’Inferno: cerchio dei golosi. Dante, dopo aver
realizzato la crudeltà della pena inflitta ai dannati, può
parlare con un’anima, sollevatasi dal fango putrido. È
quella di Ciacco, noto per aver commesso peccato di gola7.
Dopo aver dato le coordinate temporali e spaziali della
sua vita a Dante, Ciacco inizia a rispondere ai dubbi del
poeta, che pone principalmente tre domande: quale sarà il
futuro di Firenze? Ci sono ancora delle anime giuste?
Quali sono le cause della discordia che affligge la
città”8.
Dopo aver risposto alle tre domande del poeta, un’altra
questione attende Ciacco: Dante chiede infatti dove si
trovino le anime di Farinata degli Uberti, del Tegghiaio,
di Jacopo Rusticucci, di Arrigo e del Mosca9. Ciacco,
ancora una volta, risponde che si trovano “al fondo”, nei
Cerchi più bassi dell’Inferno. Possiamo quindi ben notare
che, nonostante la distanza spaziale tra l’anima di
Ciacco e degli altri dannati citati da Dante non sia di
poco conto, egli riesce a individuare il luogo in cui
esse si trovano: allora il “veder lontano” non si può
riferire a un qualcosa di spaziale, come un telescopio
che osserva lontano nello spazio e non distingue le cose
vicine.
La visione telescopica delle anime viene ripresa e spiegata
nel Canto X dell’Inferno. All’interno delle mura della
Citta di Dite, Dante e Virgilio si avventurano tra i
sepolcri scoperchiati degli eresiarchi, specialmente
epicurei, tra i quali si distingue Farinata, la personalità
di cui Dante aveva precedentemente chiesto notizia a
Ciacco.   Dopo    l’improvviso   intervento    del   nobile
ghibellino, non accompagnato da alcuna presentazione,

 7: All’epoca di Dante esser golosi era un peccato da punire perché, sprofondato
 nell’eccesso (che anche la filosofia aristotelica condannava, l’uomo ingeriva
 ingenti quantità di cibo, privandone gli altri (può essere vista quasi come
 una truffa di un bene di prima necessità.

 8: “Ma dimmi, se tu sai, a che verranno
       Li cittadin de la città partita;
       s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
       per che l’ha tanta discordia assalita”
 (Inferno VI, vv. 60-63)

 9: “Farinata e il Tegghiaio, che fuor si degni,
       Iacopo Rusticucci, Arrigo e ‘l Mosca
       E li altri ch’a ben far puoser li ‘ngegni,
       dimmi ove sono e fa ch’io li conosca”
 (Ibidem, vv. 79-82)
Visione telescopica di Dante                              Vittoria Altomonte

che suscita timore in Dante, tra i due si accende un
dialogo dai toni accesi: sono, infatti, nemici politici
(Dante è guelfo e Farinata è ghibellino) ed entrambi
parlano di Firenze e della cacciata dalla città delle
rispettive fazioni. Quando, però, la tensione aumenta,
Dante introduce un espediente: dalla medesima tomba si
solleva in ginocchioni Cavalcante de’ Cavalcanti, padre
del caro amico Guido. Dopo essersi guardato un po’
intorno per controllare se oltre Dante ci fosse qualcuno,
chiede a costui perché suo figlio non lo accompagni10. Nel
dialogo, Dante pronuncia un verbo al passato (“ebbe a
disdegno”) e da ciò inizia l’equivoco: Cavalcante,
sospettando che suo figlio fosse morto, chiede conferma a
Dante, che però esita perplesso. Cavalcante crede lo
faccia per non procurargli dolore, e nell’equivoco11
ricade nel sepolcro.
Farinata, impassibile, riprende la parola, facendo così
anche lui un’altra profezia post-eventum riguardante
l’esilio di Dante: non passeranno 4 anni (50 fasi di Luna
Piena dice il Sommo poeta con una delle sue molteplici
perifrasi astronomiche) che pure Dante avrà appreso
quell’arte (dell’esilio)12. Dante, nonostante lo sconforto,
chiede all’Uberti che gli venga sciolto quel nodo che “ha
‘nviluppata la mia sentenza”. Chiede, appunto se è vero
che i dannati vedono soltanto ciò che il futuro riserva e
non hanno invece percezione del presente13.

 10: “Piangendo disse:
Visione telescopica di Dante               Vittoria Altomonte

Inizia così la spiegazione di Farinata della capacità delle
anime di conoscere il futuro e di ignorare il presente:
quasi come un alter-Virgilio nella narrazione, risponde al
dubbio di Dante dicendo:
         “, disse, ”
Cosa intende dire Farinata con queste parole?
Le anime possono vedere le cose che son lontane come coloro
che le vedono in “mala luce”: almeno questo Dio (sommo
duce) concede loro. Però, quando esse si avvicinano o
diventano presente, non riescono più a sapere nulla degli
uomini in vita se nessun altro dà loro informazioni. Si
può ben notare che la loro conoscenza del futuro non è
illimitata nel tempo: sarà possibile fino a quando la
porta del futuro non sarà chiusa (appunto, nel giorno del
Giudizio Universale, dopo il quale non ci sarà alcun tipo
di futuro).
Dante associa alle anime e alla loro visione telescopica
un difetto di vista: la presbiopia temporale. Come coloro
che soffrono di ciò non riescono a distinguere le cose
spazialmente vicine, le anime dei dannati non riescono a
distinguerne quelle temporalmente vicine. Ecco che quindi
la “mala luce” non è riferita ai presbiti in sé, ma alle
cose che devono accadere e quindi lontane nel tempo.
Appurato quindi che il “veder lontano” di Farinata degli
Uberti non si riferisce allo spazio quanto al tempo,
Visione telescopica di Dante                        Vittoria Altomonte

continuiamo con il dire che Tommaso d’Aquino,sempre nella
sua Summa Theologiae, sostiene che:
“Le cose che distano nel tempo non sono in sé conoscibili
 in quanto, a differenza di ciò che dista nello spazio,
        non hanno alcuna consistenza ontologica”
Se però si crede che il futuro sia tutto scritto nella
mente e nei piani di Dio, allora anche il tempo assume un
altro valore. Sant’Agostino, nel suo De cura pro mortuis
agenda, sostiene che le anime siano per se stesse capaci
di conoscere il futuro “contenuto” in Dio:
“Esse ricevono per illuminazione divina la facoltà, non
tanto di predire, quanto quella di profetizzare gli eventi
che ancora non sono passati all’atto dell’essere”
Il possesso della visione telescopica si ritrova poi
anche nel Paradiso, soprattutto quando Cacciaguida
pronuncia quella che si può considerare la “profezia
post- eventum per eccellenza”, anch’essa riguardante
l’esilio di Dante14.
Insomma, poiché il futuro si trova in Dio, le anime, oltre
ad essere dei presbiti temporali, avranno anche una vista
simile a quella di un miope: quanto più si è lontani da
esso, tanto risulterà sfuocata la visione del futuro.
La visione telescopica sarà quindi di Cantica in Cantica
perfezionata, fino al Paradiso, luogo in cui le anime
godranno della visione divina.
Quindi, visto che non possiamo più parlare di visione
telescopica intesa come “spaziale”, perché continuiamo a
riferirci a questo oggetto astronomico?
Vedere lontano nello spazio, con il telescopio, significa
vedere lontano nel tempo: non di certo nel futuro come le
anime, bensì nel passato. Infatti, sappiamo che anche la
luce possiede una velocità (299792458 m/s) e che tra

 14: “Tu proverai sì come sa di sale
       Lo pane altrui, e come è duro calle
       Lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”
 (Paradiso XVII, vv. 58-60)
Visione telescopica di Dante              Vittoria Altomonte

l’oggetto osservato e l’osservatore c’è necessariamente
dello spazio che questa deve percorrere in un tempo ben
determinato. Ad esempio immaginiamo di puntare il Sole:
tra il nostro pianeta ed esso ci sono circa 149 600 000 km
che la luce deve percorrere. Ci impiega, infatti, circa 8
minuti! Ciò vuol dire che noi riusciamo (per quanto
riguarda il Sole) a vederlo 8 minuti prima, ma mai nel
presente. Ciò accade anche con tutti gli altri corpi
celesti, persino con quelli più distanti: più lontano si
vede, più tempo impiegherà la luce a raggiungere i nostri
occhi e quindi noi osserveremo solo ciò che era di
quell’oggetto tantissimo tempo fa, e mai il presente.
Ecco perché ancora oggi si può parlare di visione
telescopica: spazio e tempo, pur molto diversi tra loro,
sono inscindibili, e perciò, anche se il nostro umano
“veder lontano” è limitato al passato, permette comunque
di riferirsi ad una coordinata temporale e non spaziale
come all’apparenza sembrerebbe. Le anime, quindi, possono
osservare gli eventi futuri, ma non conosceranno nulla del
presente…
Tutto ciò (e non solo!) fa di Dante un grande poeta, anzi
il Sommo poeta della letteratura italiano, colto e
minuzioso di particolari, che nella sua più grande opera
è riuscito a farci gustare, attraverso il “dolce miele”
della poesia (come direbbero Lucrezio e Tasso), anche
argomenti ostici e complessi, spaziando dalla fisica
all’astronomia, dalla filosofia alla teologia, dalle
scienze naturali alle questioni linguistiche.
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