La traduzione addomesticante e la traduzione estraniante nelle teorizzazioni di Lawrence Venuti
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE Corso di Laurea in Lingue e Letterature Straniere Elaborato finale La traduzione addomesticante e la traduzione estraniante nelle teorizzazioni di Lawrence Venuti Relatore Candidato Prof. Alessandro BOCCALI Roberto CAGLIERO Matr. VR088941 Anno Accademico 2010-2011 1
Introduzione La traduzione è un processo per il quale la catena dei significanti che costituisce il testo della lingua di partenza viene sostituita da una catena di significanti nella lingua d’arrivo, che il traduttore fornisce in forza di un’interpretazione. (Venuti 1999: 41-42) Questo lavoro intende esaminare alcuni aspetti cruciali all‟interno dei sistemi di traduzione teorizzati dal professore statunitense Lawrence Venuti (Philadelphia, 1953). Sono approfondite in particolare le teorie e le evoluzioni dei due maggiori metodi traduttivi in lingua inglese, quelli che Venuti definisce coi termini di “addomesticante” e “estraniante”. Ossia le differenze e le peculiarità tra un approccio che avvicina il testo straniero alla cultura d‟arrivo, adattandolo ai propri schemi letterari e culturali, e un sistema che mira invece a una traduzione quasi letterale, e che mostra al lettore le alterità della lingua e della cultura straniere. Il personale interesse verso questa disciplina scaturisce direttamente dal corso di studi in Lingue e Letterature Straniere che ho appena terminato, e inoltre dalla volontà di proseguire il percorso universitario specializzandomi in traduzione. La mia ricerca è partita dall‟analisi del testo di Lawrence Venuti intitolato L’invisibilità del traduttore, che sviluppa tra gli altri i temi sopraelencati. Per avere un quadro più completo del pensiero e delle teorie dell‟autore ho successivamente approfondito le altre sue pubblicazioni. Ho poi proseguito l‟indagine con la lettura di alcuni testi teorico-accademici sulla traduzione, alcuni di essi scritti dagli stessi autori che sono stati le fonti di Venuti, evidenziando le corrispondenze di idee e interpretazioni riscontrate col fine di capire come il pensiero del teorico americano si sia sviluppato. La dissertazione qui proposta parte dalle definizioni dei due concetti cardine di questo studio secondo le tesi di alcuni teorici che le hanno sostenute, per poi proseguire sviluppandosi cronologicamente nei due sensi e man mano delineando le varie correnti di pensiero, le situazioni storiche ed economiche, i principali autori, le 5
dinamiche artistiche, le ripercussioni sul sistema sociale, e la posizione del traduttore di fronte a essi. Il capitolo che espone brevemente le teorie sulla traduzione di Venuti anticipa la chiusura del lavoro, che si conclude con un commento sulla situazione attuale della figura del traduttore e sull‟idea di Venuti riguardo ai due sistemi traduttivi qui analizzati e alla loro incidenza nella cultura anglosassone. 6
Capitolo 1. Addomesticamento e estraniamento I testi sono così legati al loro linguaggio che l’atto della traduzione diventa inevitabilmente una manipolazione di significanti, dove due lingue giungono a varie forme di collisione e in qualche modo si accoppiano. (Antoine Berman, cit. in Venuti 2004: 277) Ce ne sono soltanto due [modi di tradurre]. O il traduttore lascia il più possibile in pace lo scrittore e gli muove contro il lettore, o lascia il più possibile in pace il lettore e gli muove incontro lo scrittore. (Friedrich Schleiermacher, cit. in Nergaard 2009: 153) La traduzione rappresenta la sostituzione violenta di una differenza culturale e linguistica di un testo straniero in un prodotto intelligibile nella cultura d‟arrivo. Il traduttore esercita una scelta riguardo al grado e alla direzione della violenza della sua traduzione, altre volte gli è imposta, ma le soluzioni generali che può adottare sono sempre quelle che Venuti definisce con i termini di “addomesticamento” e “estraniamento”. La violenza della traduzione addomesticante è maggiore in quanto porta il testo straniero a confondersi nella cultura della lingua in cui si traduce. È una tecnica che porta con sé un principio etnocentrico e nazionalista, e può potenzialmente comparire all‟interno di fenomeni socio-politici come la discriminazione etnica, il colonialismo, il terrorismo, le guerre. Dall‟altro lato, la traduzione estraniante violenta in modo minore il testo straniero, includendolo nella letteratura d‟arrivo, mettendolo a confronto e in competizione con i propri generi dominanti, creando una possibilità di maggiore comprensione dell‟estraneo. Sono due termini che possiedono una variabilità tale da poter essere definiti solo all‟interno della specifica situazione culturale in cui la singola traduzione viene realizzata e in cui produce i suoi effetti (Venuti 1999: 43). La scelta fra i due sistemi di approccio è stata nei secoli dettata da opposte vedute teoriche, da diversi modi di interpretazione, da differenti obiettivi artistici, sociali ed economici, dai target di lettori da raggiungere, dalle situazioni storico-culturali. 7
Nel caso dell‟addomesticamento la traduzione assume una forma scorrevole che si maschera come equivalenza semantica, quando in realtà interpreta il testo straniero secondo i valori della lingua di arrivo, riducendo o escludendo quelle differenze che la traduzione è chiamata a trasmettere. La comunicazione è in questo caso controllata dalla cultura d‟arrivo tramite un processo di interpretazione che si appropria del testo straniero. Secondo Constance B. West, teorico della traduzione, “la traduzione dev‟essere quanto più possibile vicina all‟originale, ma può essere ben diversa nei dettagli. Essa non può prescindere da un certo livello di interpretazione: chiunque traduce contrae un debito e, per ripagarlo, egli non deve utilizzare la stessa moneta, ma pagare la stessa somma1”. Un altro importante teorico schieratosi dalla parte della traduzione addomesticante fu lo statunitense Eugene Albert Nida (1914-2011), da molti considerato il fondatore della traduttologia come disciplina autonoma. Egli teorizzò il concetto di “equivalenza funzionale” o “equivalenza dinamica” della traduzione. Per Nida era essenziale comporre una traduzione che nel ricevente producesse la stessa risposta che aveva prodotto il testo originale nei riceventi stranieri. Egli infatti nel 1986 affermava che “i riceventi di una traduzione dovrebbero comprendere il testo tradotto fino al punto di poter capire il modo in cui i riceventi originali devono aver compreso il testo originale” (cit. in Venuti 1999: 47). Nel 1964 Nida spiegò che per sviluppare il suo concetto di equivalenza dinamica il traduttore doveva adottare un tipo di scrittura scorrevole che aderisse allo standard letterario della cultura d‟arrivo: “una traduzione di equivalenza dinamica tende alla naturalezza di espressione e cerca di creare una relazione tra il ricevente e le modalità prevalenti di comportamento nel contesto della sua stessa cultura” (Nida 1964: 159). 1 “Whoever takes upon himself to translate contracts a debt; to discharge it, he must pay not with the same money, but the same sum” (Constance B. West cit. in E. A. Nida, Toward a Science of Translating: With Special Reference to Principles and Procedures involved in Bible Translating, 1964, p. 156). L‟aforisma lascia intendere che il traduttore non può prescindere dall‟utilizzo di un certo grado di interpretazione, e che l‟unica via possibile è quella della traduzione addomesticante. 8
Nida definiva quella che Venuti chiama “la traduzione estraniante” come una tecnica di “equivalenza formale”, limitandone la funzione a quella di glossario2, un testo utile a chi necessita di una corrispondenza nella forma (sintassi, vocaboli) e nei contenuti (temi, concetti) propri di una cultura straniera, una composizione destinata a studenti o amatori di una certa cultura o di un certo stile letterario straniero, comprensibile solo grazie a numerose note a margine. Per Nida i due concetti di equivalenza rimanevano pertanto reciprocamente esclusivi. È da sottolineare che l‟orientamento di Nida aveva origine nella sua vocazione cristiano-evangelica. Essendo egli consulente per la traduzione dell‟American Bible Society3 vedeva la trasparenza come un mezzo posto al servizio dell‟umanesimo cristiano. La traduzione della Bibbia doveva tramettere il messaggio, senza necessariamente corrispondere agli schemi stilistici del testo originale. Egli stesso riconosceva che, in ogni caso, le differenti tecniche di traduzione avevano sempre a che vedere con la natura del messaggio, con lo scopo dell‟autore e del traduttore, e con il target di lettori a cui l‟opera era destinata (Nida 1964: 156-157). Come si vedrà più avanti, quello di Nida è soltanto uno dei tanti casi in cui una particolare tecnica traduttiva è stata posta al servizio di un‟ideologia culturale ben definita. Come precedentemente anticipato, la traduzione estraniante non nasconde le differenze del testo straniero, e aderisce alle strutture discorsive originali al punto di apparire in certi casi scorretta per la cultura d‟arrivo. La distanza che prende il testo tradotto da quello che è il canone culturale e linguistico della lingua d‟arrivo consiste nella maggior parte delle volte nell‟introduzione nel discorso di materiali non familiari, sia linguistici (deviazioni dall‟idioma standard corrente, ad esempio 2 Nida definisce “gloss translation” una traduzione che focalizza la sua attenzione sia sulla forma sia sui contenuti. In particolare una traduzione che ha un orientamento formale, il cui messaggio nella cultura d‟arrivo si accoppia con gli elementi della cultura straniera in una corrispondenza frase per frase, verso per verso, concetto per concetto. (E. A. Nida, Toward a Science of Translating: With Special Reference to Principles and Procedures involved in Bible Translating, 1964, p. 159). 3 È un'organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1816 a New York il cui obiettivo è quello di pubblicare, distribuire e tradurre la Bibbia. 9
mediante usi colloquiali o arcaismi) sia letterari (deviazioni dagli stili, dai generi e dai discorsi generalmente canonici o dominanti nel linguaggio in cui si traduce). La traduzione estraniante può essere anche più semplicemente la scelta di tradurre un genere letterario che contrasti con quelli dominanti nella cultura d‟arrivo. Emblematico in tal senso è l‟esempio dello scapigliato4 Iginio Ugo Tarchetti (1839- 1869), il quale si dedicò alla traduzione del gotico inglese in italiano. Fece delle traduzioni in realtà scorrevoli e addomesticanti, in toscano, che portarono i lettori a credere che i suoi fosse testi originali. La scelta di tradurre il gotico inglese in italiano, cultura dove aveva sempre prevalso il genere realistico, rappresentò però una componente estraniante nel contesto culturale dell‟Italia della sua epoca. Il filosofo tedesco Friedrich Schleiermacher (1768-1834) fu il primo teorizzatore del metodo della traduzione estraniante, nella quale vedeva un luogo in cui manifestare l‟alterità culturale, sebbene essa non potesse mai manifestarsi nei suoi stessi termini ma solo in quelli di una cultura d‟arrivo. Schleiermacher, come Nida, individuò due metodi traduttivi distinti e applicabili soltanto singolarmente all‟interno della singola opera, riconoscendo in uno il tentativo di avvicinare il testo straniero alla cultura d‟arrivo, e nell‟altro lo sforzo di avvicinare il testo tradotto alla versione originale. Egli scelse come migliore e teorizzò il secondo, quello che prevede un‟aderenza quanto più possibile al testo straniero e che muove il lettore in uno spazio totalmente nuovo. In questo metodo Schleiermacher vide possibilità di arricchimento della lingua nella quale si traduceva, grazie all‟inserimento nel canone nazionale di nuovi lemmi, generi, stili linguistici e letterari. 4 La Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell'Italia settentrionale a partire dagli anni sessanta dell'Ottocento. Il termine è la libera traduzione del termine francese bohème (vita da zingari), che si riferiva alla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini della metà dell‟Ottocento. 10
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