La settimana finanziaria - di Mediobanca S.p.A.

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Edizione di lunedì 21 febbraio 2022

NON SOLO LAVORO

La settimana finanziaria
  di Mediobanca S.p.A.

IL PUNTO DELLA SETTIMANA: la crisi Russia-Ucraina: cosa sapere?

In questo editoriale, senza la presunzione di essere esaustivi, cerchiamo di rispondere ad
alcuni quesiti che consideriamo utili per interpretare quanto sta succedendo tra Ucraina e
Russia.

Quando si origina la crisi Russia-Ucraina?

Le attuali tensioni Russia-Ucraina affondano le loro radici nel “compromesso di Bucarest “del
2008, quando George W. Bush inaugurò la “politica della porta aperta”,
promettendo implicitamente che prima o poi Georgia e Ucraina sarebbero potute entrare nella
NATO, senza tuttavia fornire dettagli sul un possibile processo di inclusione. Da allora, le
mosse del Cremlino nei confronti dell’Ucraina sono volte a chiudere questa “porta aperta”. In
questa chiave, le tensioni Russia-Ucraina si sono rafforzate nel 2014, quando l’Ucraina guidata
dal presidente Janukovy? si trovò a un passo dal siglare il cosiddetto “accordo di associazione”,
un accordo politico e commerciale con l’Unione Europea (UE). La sospensione delle trattative
decisa dal governo ucraino filorusso portò a violenti scontri, conclusisi con la deposizione e la
successiva incriminazione del presidente Janukovy?. Il vuoto di potere prodotto dalla
deposizione del presidente ucraino, spinse la Russia all’annessione della Crimea nel marzo
2014 via referendum popolare (non riconosciuto sul piano internazionale), approvato con il
97% di voti favorevoli al distacco. Poco dopo (aprile 2014) la pressione si spostò nel Donbass e
nelle province di Luhansk e Donetsk, territori a maggioranza filorussa, dove si sviluppò un
conflitto armato contro il governo ucraino conclusosi nel settembre 2014 con l’accordo di
Minsk, mai pienamente rispettato. L'accordo di associazione UE-Ucraina è successivamente
entrato in vigore il primo settembre 2017 (che nella sua parte economica prevede una zona di
libero scambio), comportando il definitivo avvicinamento del Paese all’UE. Inoltre, nel giugno
2017 il parlamento ucraino ha definito l’ingresso ucraino nella NATO come un obiettivo

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strategico di politica estera e sicurezza. Tale obiettivo è stato ribadito dalla nuova strategia di
sicurezza nazionale approvata nel settembre 2020.

Qual è l’obiettivo primario della Russia?

La Russia vuole la garanzia (possibilmente scritta all’interno di un accordo internazionale) che
Bielorussia, Ucraina e Georgia non faranno mai parte di un blocco militare o economico diverso
da quelli controllati da Mosca e che la Russia sarà l'arbitro ultimo delle politiche estere e di
sicurezza di tutti e tre gli stati. In occasione del suo incontro con il neo-cancellerie tedesco
Olaz Sholz, Putin ha ribadito che non vuole una guerra e non accetterà mai l'allargamento
della NATO fino ai confini russi. Già alcuni funzionari ucraini hanno iniziato a suggerire che
l'Ucraina dovrebbe dimenticare l’entrata nella NATO per il prossimo decennio o due. Quello
che non è ancora chiaro è la quantità di forze militari che la Russia è disposta a impiegare per
raggiungere questi obiettivi. Ovviamente, le ricadute economiche di un conflitto dipenderanno
dall'estensione e dalla durata di qualsiasi azione militare e dalla rapidità con cui la situazione
sarà risolta. In secondo luogo, Putin sembra voler convincere il governo ucraino ad accettare
una pace alle condizioni russe secondo gli accordi di Minsk.

Quali altri obiettivi vuole perseguire la Russia con questa nuova escalation di tensioni?

Questa vicenda ha reso palese che all’interno della NATO non tutti condividono la stessa
posizione nei confronti della Russia. Se una fronda di paesi, guidati dalle repubbliche baltiche,
è favorevole al “muro contro muro”, altri valutano costi e benefici di un’eventuale interruzione
del dialogo con quello che per l’Europa considera – allo stato attuale – come il principale
fornitore di energia. Come sottolineato da un recente report dell’ISPI “per l’Occidente qualsiasi
nuovo assetto rischia di essere meno conveniente dell’attuale. Frutto com’è sia della sconfitta
dell’URSS nella guerra fredda e del retaggio del mondo unipolare a guida americana. In una
realtà oggi profondamente diversa, dove nessun paese da solo è più in grado di definire
l’agenda globale, prevalgono gli equilibri di potenza, la disponibilità a minacciare l’uso delle
armi, la disinvoltura nell’impiego di strumenti non convenzionali. Soprattutto, la crisi ucraina
insegna che la Russia non è più disposta a considerarsi sconfitta dalla storia e che ritiene la
pace in Europa non scontata, ma oggetto di negoziato e vuole condurlo in primis con gli Stati
Uniti. Una questione di status e di potere reale.”

Perché queste tensioni si sono riaccese proprio ora?

A scatenare la crisi sono stati i rapporti dell’intelligence USA di dicembre 202, secondo cui la
Russia starebbe ammassando truppe lungo la frontiera con l’Ucraina per sferrare un’invasione.

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In questo contesto, pesa sia l’incertezza europea su come gestire i rapporti con la Russia, da
cui l’Europa dipende per gli approvvigionamenti energetici, sia la recente maggior incertezza
legata al recente cambiamento del cancelliere tedesco, alle prossime elezioni presidenziali in
Francia e non da ultimo al ritiro US dall’Afghanistan. Lo sviluppo della situazione afgana ha
evidenziato due aspetti. Da un lato, rispetto al passato Washington potrebbe aprire al
compromesso in aree che non considera più strategica per i propri interessi, mentre dall’altro il
presidente russo punta sul fatto che il Cremlino si mostri capace di preoccuparsi del proprio
vicino, più di quanto non siano disposti a fare gli Stati Uniti e l’UE. Sullo sfondo dello scenario
geopolitico resta il rapporto con la Cina: un progressivo disaccoppiamento dell’economia russa
da quella dell’occidente porterebbe ad un progressivo avvicinamento della Russia all’economia
cinese.

Quali sono i principali quattro meccanismi di trasmissione economica da tenere presente?

In primo luogo, il temporaneo aumento dell’avversione al rischio. Il crescere delle
preoccupazioni sulla situazione Ucraina ha aumentato l’avversione al rischio nei mercati. Va
peraltro osservato che solitamente le questioni geopolitiche, quando non si traducono in uno
shock economico, non hanno effetto duraturo sui mercati finanziari e sono rapidamente
dimenticati.

In secondo luogo, l’inasprimento delle sanzioni occidentali nei confronti della Russia e le
conseguenti ricadute economiche sull’Occidente (via commercio
internazionale). L'amministrazione Biden ha preavvertito la Russia che un intervento militare
in Ucraina comporterebbe un inasprimento delle sanzioni economiche (oltre quelle imposte
dopo l’annessione Russa della Crimea), quali severi controlli sulle esportazioni volti a negare
alla Russia l'accesso a beni ad alta tecnologia dagli Stati Uniti e da altri paesi. Le misure in
esame andrebbero anche oltre quelle coperte dal Defending Ukraine Sovereignty Act (DUSA),
introdotto nel Senato USA a metà gennaio. Le principali misure paventate possono essere
sintetizzate in due gruppi:

     1. Oltre a bloccare il gasdotto Nord Stream 2 (non ancora operativo, in attesa del via
        libera da parte degli enti regolatori tedeschi e della Commissione UE),
        l’amministrazione US vieterebbe le transazioni finanziarie con le principali banche
        russe che coprono il debito sovrano ed escluderebbe le istituzioni finanziarie russe
        dalla Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT), la
        cooperativa globale che facilita le transazioni finanziarie internazionali. Inoltre,
        potrebbe inserire alti funzionari politici e militari nella lista del Tesoro USA Specially
        Designated Nationals (SDN) e Blocked Persons, sottoponendolia a sequestri di beni e
        restrizioni sui visti.
     2. Un altro gruppo di misure riguardano i controlli sulle esportazioni dirette e indirette
        degli Stati Uniti sui semiconduttori e altri beni ad alta tecnologia, simile ai controlli
        imposti alle aziende cinesi. L'amministrazione Biden ha informato le aziende high-tech

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       US della possibilità di utilizzare l’Export Administration Regulations (EAR) e la regola
       de minimis del regolamento statunitense sulle esportazioni per limitare l’export
       statunitense e straniero verso la Russia di beni prodotti con attrezzature statunitensi o
       contenenti componenti sensibili. Invece, embarghi più ampi sulle esportazioni russe di
       energia sembrano improbabili, poiché causerebbero importati esternalità negative per
       le economie europee. a seguito dell’imposizioni di queste norme, l'economia russa
       soffrirebbe di un disaccoppiamento parziale con l'Occidente. Le sanzioni contro la
       Russia colpirebbero finirebbero per colpire le economie europee molto più dei
       produttori e consumatori statunitensi.

Le ampie sanzioni economiche occidentali e le potenziali contro-sanzioni russe, se applicate, si
tradurrebbero in una riduzione del commercio internazionale, avrebbero un’esternalità
negativa anche sull’economia europea e indebolirebbero ulteriormente le prospettive
economiche di lungo termine della Russia. Il commercio e gli investimenti dell'UE con la
Russia sono maggiori di quelli degli Stati Uniti con la Russia: il commercio di merci dell'UE con
la Russia è otto volte più grande di quello degli Stati Uniti, e gli investimenti diretti esteri
dell'UE in Russia sono quasi 25 volte più grandi degli IDE degli Stati Uniti. Per questo, è
prevedibile che i funzionari degli Stati Uniti e dell'UE cercheranno di calibrare le loro
restrizioni per attenuare i danni collaterali alle loro economie.

Le sanzioni potrebbero indebolire le prospettive di lungo temine della Russia: le prospettive
economiche a lungo termine della Russia sono già piuttosto deboli, con una società che
invecchia rapidamente e un'economia che dipende dall'estrazione di combustibili fossili e
manca di integrazione nelle catene di valore globali. L'economia russa è più dipendente dalle
importazioni occidentali di quanto l'Europa lo sia dalle esportazioni russe. Tuttavia, la
dipendenza dell'Europa dal gas naturale russo dà al Cremlino una leva.

In terzo luogo, il perdurare delle tensioni o un loro eventuale inasprimento potrebbe far salire
ulteriormente i prezzi delle materie prime energetiche. La Russia è il secondo esportatore
mondiale di petrolio, dopo l'Arabia Saudita, con 5,21 milioni di bbl/giorno, il secondo
esportatore di prodotti petroliferi, dopo gli Stati Uniti, con 2,23 milioni di bbl/giorno, il
maggiore esportatore mondiale di gas via gasdotto con 198 miliardi di metri cubi e una quota
di mercato del 26%, e il quarto esportatore di GNL con 40 miliardi di metri cubi. Il mercato
della produzione del petrolio si trova ora in una situazione di deficit di offerta: finora i membri
dell'OPEC+ hanno mancato i loro obiettivi di fornitura (in particolare Russia, Nigeria e Angola).
Questo spiega in parte perché i prezzi del petrolio hanno continuato a salire anche prima
dell'aumento delle tensioni politiche. La produzione di petrolio statunitense è rimbalzata con
la ripresa post-covid, ma senza raggiungere i livelli del 2019 e le scorte di petrolio statunitensi
continuano a diminuire. Se i paesi occidentali imponessero nuove sanzioni alla Russia,
potremmo assistere a un inasprimento delle condizioni di domanda e offerta di petrolio, non
solo a causa delle minori forniture di petrolio greggio, ma anche di una maggiore domanda di
petrolio come alternativa al gas. A cascata l'aumento dei prezzi dell'energia avrebbe un effetto
negativo sui redditi delle famiglie e delle imprese, rallentando la ripresa economica in atto. Ad
un certo punto, i prezzi dell'energia più alti potrebbero anche modificare la politica fiscale dei

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governi costringendoli a gestire deficit più grandi per compensare le famiglie per le alte
bollette energetiche.

In ultimo, va tenuta presenza la dipendenza energetica
dell’Europa dalla Russia. La dipendenza dell’Europa dal
gas russo è un fatto strutturale e geografico: è molto
più facile ed economico trasportare gas via tubo. Per
questo, malgrado le intenzioni sulla carta fossero
quelle di diversificare le forniture, il calo di produzione
in Norvegia, i problemi di produzione in Algeria e
l’instabilità in Libia hanno al contrario aumentato la
dipendenza europea da Mosca negli ultimi 10 anni. Il
grafico a fianco fornito dall’ISPI sintetizza la
dipendenza dei paesi europei dall’energia di Mosca.
Secondo uno studio di Bruegel[1] fino all'estate
2022 l'UE sarebbe probabilmente in grado di
sopravvivere a un'interruzione su larga scala delle
forniture di gas russo, potendo contare su una
combinazione di maggiori importazioni di GNL (nella
misura limitata in cui ciò è tecnicamente possibile) e di
misure dal lato della domanda, come la riduzione del
gas industriale. Tuttavia, questo avrebbe un costo per
l'economia dell'UE e potrebbe anche portare alcuni
paesi (quelli più esposti al gas russo e meno
interconnessi con altri paesi dell'UE) a dover prendere
misure di emergenza

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Nel caso in cui un arresto del gas russo dovesse prolungarsi nei prossimi inverni, sarebbe però
più difficile per l'UE farvi fronte. Sul lato dell'offerta è disponibile una certa capacità di
importazione di riserva, ma raggiungere la scala richiesta per sostituire interamente i volumi
russi sarebbe molto costoso (e forse fisicamente impossibile). I fattori limitanti includono i
limiti della capacità di liquefazione globale, gli obblighi esistenti nell'attuale mercato del GNL
e le considerazioni sulle opportunità commerciali nei paesi produttori in relazione alla
deviazione delle spedizioni dall'Asia. Va comunque ribadito che non è interesse della Russia
sospendere le forniture di gas, data la rilevanza per l’equilibrio dei conti nazionali delle
entrate provenienti dalle sue esportazioni di commodity energetiche.

SETTIMANA TRASCORSA

EUROPA: L'aumento della produzione industriale in dicembre l'ha portata al di sopra del suo
livello pre-pandemico

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ASIA: nel quarto trimestre il PIL torna positivo in Giappone

In Giappone, la prima stima del PIL del quarto trimestre ha mostrato una crescita di 5,4% t/t
ann. (1,3% t/t), in ripresa dopo -3,6% t/t annualizzato, grazie alla riapertura delle attività in
autunno e alla fine dello stato di emergenza. La voce più solida in autunno sono stati i
consumi (2,7% t/t), spinti soprattutto dai beni durevoli. Gli investimenti non residenziali hanno
registrato un incremento di 0,4% t/t, dopo -2,4% t/t dell’estate. Anche il canale estero ha
sostenuto la crescita complessiva con un contributo di 0,2 pp, grazie a una variazione di 1% t/t
delle esportazioni e a una flessione di -0,3% t/t delle importazioni. Nel trimestre in corso, la
ripresa dei contagi e delle restrizioni sanitarie e i vincoli dal lato dell’offerta dovrebbero
determinare un nuovo modesto calo del PIL, con una correzione attesa consumi.

USA: resta elevata l’inflazione alla produzione degli Stati Uniti a gennaio

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