LA RELAZIONE TERAPEUTICA IN TERAPIA BREVE STRATETEGICA - Luca Proietti - Ed. LucaProietti.net

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LA RELAZIONE TERAPEUTICA IN TERAPIA BREVE STRATETEGICA - Luca Proietti - Ed. LucaProietti.net
LA RELAZIONE TERAPEUTICA
IN TERAPIA BREVE STRATETEGICA

          Luca Proietti

       Ed. LucaProietti.net
LA RELAZIONE TERAPEUTICA IN TERAPIA BREVE STRATETEGICA - Luca Proietti - Ed. LucaProietti.net
Copyright © 2020 Luca Proietti Ogni riproduzione, estrazione anche parziale o citazione del
   presente volume è proibita senza autorizzazione e sottoposta alla vigente legislazione.

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                                     Edizioni LucaProietti.net

NOTE E RINGRAZIAMENTI Questo ebook è frutto di quattro anni di scuola di
specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica e dell’attività clinica come psicoterapeuta.

Ringrazio tutta la mia famiglia che ha reso possibile e sostenuto durante i miei studi, ringrazio
in particolare il Dott. Andrea Vallarino e il Dott. Massimo Bartoletti, Psicoterapeuti, per me
fonti di ispirazione Strategica.

Ringrazio nuovamente la mia famiglia e tutti i miei amici per avermi aiutato, sostenuto,
spronato, consigliato e confortato, oltreché sopportato, nella realizzazione del mio blog.

Ringrazio infine tutti i pazienti, in particolare quelli a cui si rifanno le narrazioni di questo
ebook, la terapia è sempre un gioco a somma diversa da zero, o si vince insieme o si perde
insieme, grazie per la strada percorsa insieme.

Dublino, 2020

Dr. Luca Proietti

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“E’ da ingenui credere che si possa

             spiegare la magia. La magia non si può

                    spiegare, si può solo praticare”

                                     Heinz von Foerster, 1997

Spero che il mio ebook ti piaccia.

Buona lettura!

Luca

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LA RELAZIONE TERAPEUTICA IN TERAPIA BREVE STRATETEGICA - Luca Proietti - Ed. LucaProietti.net
Sommario
Relazione e tecnica in psicoterapia ........................................................................... 5

La Relazione terapeutica in Terapia Breve Strategica ........................................... 7

   Relazione terapeutica ed esperienza emozionale correttiva. .................................................. 8

   Educare l’incoscienza verso una consapevolezza operativa. ................................................. 9

   Linguaggio non verbale nella relazione terapeutica ............................................................... 9

   In che modo la tecnica può migliorare la relazione? ............................................................ 10

   Tecniche relazionali in Terapia Breve Strategica. ............................................................... 12

       Anticipazione. ................................................................................................... 12

       Il Dialogo Strategico. ........................................................................................ 13

       Mirroring, Ricalco e Rapport e Sintonizzazione. .......................................... 14

   Relazione simmetrica e complementare. .............................................................................. 15

   I livelli comunicativi di contenuto e di relazione. ................................................................ 16

   La Relazione terapeutica in Terapia Breve Strategica. ........................................................ 18

Analisi dei casi clinici ............................................................................................... 19

   Caso 1: L’ ambivalente ........................................................................................................ 19

   Caso 2: Ho Smarrito la rotta ................................................................................................. 21

   Caso 3: La garante della privacy .......................................................................................... 23

   Caso 4: L’amante segreto ..................................................................................................... 25

   Caso 5: Il figlio incostante ................................................................................................... 27

   Caso 6: La dermatologa in carriera ...................................................................................... 29

Conclusione e Bibliografia ....................................................................................... 33

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Relazione e tecnica in psicoterapia

Gli studi di comparazione sull’efficacia delle differenti forme di psicoterapia sembrano

confermare la Teoria dei fattori comuni. Secondo tale assunto sarebbero quattro i fattori

coinvolti nella buona riuscita di una terapia, e questi sarebbero comuni a ogni differente

approccio di psicoterapia. Infatti, studi moderni pubblicati su riviste quali Lancet Psychiatry

(Mulder, Murray, & Rucklidge, 2017) avvalorano, almeno in parte, l’ipotesi formulata negli

anni ’30 nota come il “verdetto di Dodo” (Rosenzweig, 1936): tutte le forme di psicoterapia

sarebbero ugualmente efficaci, la buona riuscita della terapia deriverebbe infatti da fattori

comuni e non da fattori specifici. Secondo la Teoria dei fattori comuni (Luborsky & Singer,

1975; Luborsky, 2002) l’efficacia di una terapia dipenderebbe infatti per il (Assay & Lambert,

1999):

         •   30-40 % dalla relazione terapeutica;

         •   30-40 % dalle caratteristiche del paziente e dalla sua aspettativa nei confronti della

             terapia;

         •   15-20% dall’effetto placebo;

         •   15-20% dalle tecniche terapeutiche;

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(Nardone & Milanese, 2018)

A prima vista l’unica componente specifica, che varia da un approccio terapeutico all’altro, e

dunque specifica, sembra essere la tecnica, responsabile solamente del 15-20% dell’efficacia

terapeutica. Seguendo un’analisi di questo tipo, le psicoterapie, come la Terapia Breve

Strategica, che si avvalgono in maniera sostanziale di strumenti tecnici sarebbero sì efficaci,

come tutte le altre terapie, ma altamente inefficienti, poiché concentrano molte attenzioni ed

energie sull’aspetto tecnico che ha scarso peso. Ma ad un’analisi approfondita, risulta chiaro

come anche le altre 3 componenti aspecifiche (relazione, aspettativa ed effetto placebo)

possano essere influenzate in maniera specifica da ogni differente approccio. Posso infatti

ricorrere a delle tecniche specifiche per creare una buona relazione terapeutica, per aumentare

l’aspettativa del paziente e suggestionarlo in modo da aumentare la risposta placebo al mio

intervento terapeutico (Carlino & Benedetti, 2016).

La Terapia Breve Strategica si avvale di strumenti tecnici che permettono di intervenire in

maniera specifica sui 3 fattori comuni aspecifici; gestendo tecnicamente la comunicazione

sotto gli aspetti paraverbale e non verbale oltre che verbale e contemplando l’utilizzo di tutti i

registri linguistici: sia quello descrittivo-indicativo per stimolare il neoencefalo, le parti

corticali più evolute del cervello, che il registro suggestivo-evocativo per stimolare il

paleoencefalo, la parte più antica.

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La Relazione terapeutica in Terapia Breve Strategica

Ogni relazione inizia ed è quasi interamente l’effetto di un contatto percettivo ed emozionale.

Oggi le neuroscienze confermano le intuizioni di 30 anni fa: oltre l'80% delle nostre reazioni

sono inconsapevoli: i cambiamenti terapeutici infatti avvengono bottom-up, partendo dal

paleoncefalo per arrivare alla corteccia, e non viceversa, top-down (Nardone & Milanese,

2018). Allo stesso modo le relazioni si basano in gran parte sulle sensazioni, sulle percezioni,

sulla comunicazione non verbale, su meccanismi che sono al di sotto della coscienza.

Di fronte a uno stimolo forte si verificano due reazioni: la prima sotto-coscienza che è

rapidissima, la seconda cosciente, corticale, più lenta. Quindi prima che il controllo corticale

si attivi il mio organismo in realtà ha già reagito. (Nardone G. , 2005)

Tuttavia, non possiamo studiare la relazione con un metro quantitativo poiché sarebbe una

metodologia fallace. “E’ da ingenui credere che si possa spiegare la magia. La magia non si

può spiegare, si può solo praticare” (von Foerster, 1997).

Lo stimolo più veloce ed efficace per smuovere le leve paleoncefaliche è il contatto emotivo;

quando entriamo in relazione con una persona le prime parti attivate sono quelle percettivo-

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emotive paleoncefaliche, quelle che determinano l'effetto prima impressione, come

giustamente sosteneva Oscar Wilde: “Solo le persone superficiali non giudicano dalle

apparenze”.

Relazione terapeutica ed esperienza emozionale correttiva.

La relazione terapeutica è il terreno nel quale possono germogliare i semi di quelle che Frank

Alexander definiva esperienze emozionali correttive (Alexander, French, & al., 1946).

Creiamo delle risposte nei pazienti sulla base di come tocchiamo le loro corde emotive;

l’esperienza emozionale correttiva per alcuni approcci psicoterapeutici è casuale e

imprevedibile, mentre in ottica strategica-interazionale, viene ricercata con un intervento

pianificato. Analogamente la relazione che in molti approcci è intesa come un qualcosa che si

configura spontaneamente, mentre in Terapia Strategica come un elemento che va gestito e

indirizzato: creare un contatto relazionale che presupponga (complementare a) un’esperienza

emozionale correttiva, è un modo per ridurre le resistenze al cambiamento del paziente.

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Educare l’incoscienza verso una consapevolezza operativa.

Ogni relazione consiste per l’80% di comunicazione non verbale, paraverbale e tecniche

evocative. Nella relazione terapeutica si tratta di farci sentire caldi o freddi, giudicanti o

complici, vicini o lontani. Ma tale lavoro non può essere ragionato, non vi è tempo, è uno

scambio fluido, se penso arriverò sempre in ritardo. Devo riuscire a inibire la coscienza,

sviluppando un’incoscienza educata, ottenendo quella che si chiama consapevolezza

operativa. Se provo a controllare questo processo con la mente razionale o mi blocco o

divento farraginoso. È la differenza che c'è tra la consciuosness e l'awareness. La prima, la

coscienza, è sempre un’astrazione intellettuale, valuta; la consapevolezza è essere presente,

sente. La coscienza mi permette di valutare ciò che ho pianificato, la consapevolezza invece

di reagire prontamente.

Siamo poco abituati ad educare l'incoscienza, da sempre il lavoro psicoterapeutico,

psicologico, pone attenzione alla coscienza, a rendere conscio ciò che è inconscio. Invece

oggi le neuroscienze ci dimostrano che le migliori prestazioni fisiche, mentali ed artistiche e

la maggior parte dei nostri processi mentali si compiono al di sotto del livello della coscienza.

Linguaggio non verbale nella relazione terapeutica

Le tecniche mi aiutano a gestire la relazione, ma può non essere sufficiente, la relazione è

infatti prodotta da tecnica e comunicazione insieme ad altri aspetti. Data l’importanza

dell’effetto prima impressione e della componente paleoencefalica, il linguaggio non verbale

sarà determinante nella costruzione della relazione. Con il contatto oculare dovrò far sentire la

persona osservata dalla punta dei capelli alla punta dei piedi; il primo senso coinvolto è quello

della vista, la prima forma di relazione dipende dalla sensazione che induciamo nel paziente

quando ci guarda. La vista è infatti il senso deputato a discriminare tra cosa è un pericolo e

cosa non lo è, tra ciò che ci attrae e ciò che ci respinge. Lo sguardo del terapeuta dovrebbe

tracciare una distinzione, dare l’impressione di essere diverso da quello degli altri. Gli altri

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fattori che giocano un ruolo chiave nella costruzione della relazione sono la gestione del

primo contatto, la stretta di mano, il saluto. Dal primo contatto a quando entriamo nello studio

e ci sediamo dobbiamo raccogliere tutte le informazioni non verbali che ci permettano di

capire che posizione relazionale sarà necessaria per il paziente che abbiamo davanti: se sarà

teso dovrò ammorbidirlo, se vi è un eccesso di timore rassicurarlo, dovremmo “Cambiare

sempre rimanendo gli stessi” (Nardone & Balbi, 2008).

Dobbiamo sintonizzarci con il paziente, non per costruire una relazione meramente empatica,

non per costruire un rapport, ma per poter assumere la posizione relazionale più idonea per

provocare il cambiamento, quella complementare al cambiamento. Nel corso della seduta,

tramite il linguaggio non verbale, dovrò far percepire al paziente che ha la mia completa

attenzione: sono fermo, calmo imperturbabile e pronto ad ascoltarlo. Risultano fondamentali

per questo gli autotoccamenti; un contatto oculare fluttuante; l’utilizzo della voce, che dovrà

essere modulata come musica, per assonanza o per dissonanza armonica: i contrasti percettivi

infatti vengono avvertiti maggioramene dall’essere umano. La dissonanza armonica può

essere creata sul contenuto, sul suono, ma anche sul ritmo della frase. Un esempio sul

contenuto è: “La dissonanza è un dispendio economico”.

In che modo la tecnica può migliorare la relazione?

La seguente storia è tratta dal libro “Il linguaggio del cambiamento” di Paul Watzlawick. Si

racconta che un Milton Erickson, psichiatra ancora giovane, si sia trovato di fronte a un

paziente di 25 anni ricoverato da ormai 5 anni in psichiatria.        Non era stato possibile

identificarlo, in quanto era privo di documenti e nessuno ne aveva denunciato la scomparsa,

inoltre il paziente non pronunciava frasi comprensibili tranne: “Mi chiamo George”,

“Buongiorno” e “Buona notte”. A ogni tentativo di intavolare con lui un discorso reagiva con

lunghe e veloci verbalizzazioni in una lingua inventata. Per anni nessuno era riuscito a trovare

un senso nelle insalate di parole di George, che ormai lasciato in un angolo, mugugnava tra sé

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e sé quasi interrottamente. Per alcuni giorni Erickson passò un’ora seduto in silenzio accanto

a George, che lo ignorava, fino a quando un giorno pronunciò improvvisamente il suo nome

ad alta voce, come se si stesse presentando all’aria. George non reagì fino all’indomani,

quando Erickson pronunciò il suo nome rivolgendosi direttamente a lui. Senza guardarlo,

George tirò fuori una lunga insalata di parole, espresse in tono adirato. Erickson,

accuratamente preparato all’intervento, rispose a questa esplosione con un’insalata di parole

altrettanto lunga, ma cortese, che suonava simile al linguaggio artificiale del paziente, ma con

pseudovocaboli diversi. George sembrò sbalordito e quando Erickson ebbe finito rispose con

un’altra verbalizzazione, che questa volta suonava interrogativa, a cui Erickson, di rimando,

rispose in un tono di cortese spiegazione. Il giorno successivo la conversazione cominciò con

la reciproca enunciazione dei loro nomi, seguita da un’insalata di parole di George, che durò

ininterrottamente per 4 ore. Erickson rispose con un’insalata di parole di 4 ore. Seguì un’altra

verbalizzazione di due ore di George, a cui Erickson rispose in maniera altrettanto lunga. Il

mattino seguente, dopo uno solo breve scambio di neologismi, a un certo punto George disse:

“Parli in modo ragionevole dottore”. Erickson replicò “Perché no? Con piacere, qual è il suo

cognome?” Dopo circa un anno George fu dimesso e trovò lavoro. Ogni tanto tornava a

trovare Erickson e il loro colloquio iniziava e terminava con un pizzico di insalata di parole.

“Non c’è niente che superi un pizzico di assurdità nella vita; non è vero dottore?”

(Watzlawick, 1980).

In questo caso ci troviamo di fronte a un intervento tecnico per trattare il sintomo insalata di

parole, ma questa tecnica è anche l’unica modalità relazionale, che permette di entrare in

contatto con un paziente.

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Tecniche relazionali in Terapia Breve Strategica.

Anticipazione.

L’anticipazione è una tecnica che permette di costruire in modo rapido una buona alleanza

terapeutica. In Terapia Breve Strategica il terapeuta aggiunge al racconto del paziente, durante

le parafrasi ristrutturanti, o mentre questi sta esponendo il problema, informazioni dedotte dai

contenuti della storia del paziente, dall’osservazione del suo comportamento non verbale,

aiutato dal bagaglio della propria esperienza clinica. Questa tecnica fa sentire il paziente

pienamente compreso, e di fronte a una persona preparata tecnicamente che conosce bene il

suo tipo di problema (Rampin & Nardone, 2002). Il risultato finale è quello di ridurre la

resistenza al cambiamento e far sì che il paziente sia più predisposto a rivelare più

informazioni su si sé. Due componenti del dialogo strategico, che vediamo di seguito, fanno

largo uso dell’anticipazione: le domande ad illusione di alternative e l’utilizzo del linguaggio

evocativo. Nelle prime infatti, una delle due alternative proposte anticipa uno scenario che

rispecchia la percezione del paziente “Ma lei quando ha gli attacchi di panico, ha più paura

di morire o di perdere il controllo?”

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L’evocare sensazioni, in particolare tramite analogie che spesso sono proposte in fase di

definizione del problema, fa sentire al paziente che il terapeuta ha chiaro non solo il problema

ma anche la percezione emotivo-sensitiva del paziente.

Il Dialogo Strategico.

Il Dialogo strategico è una tecnica comunicativa (Nardone & Salvini, 2004) che si avvale di

cinque componenti: le domande ad illusione di alternativa; le parafrasi ristrutturanti; il

riassumere per ridefinire, l’evocare sensazioni e il prescrivere come scoperta congiunta. Se ne

analizzano di seguito i risvolti sulla relazione terapeutica.

L’utilizzo delle Domande ad illusione di alternativa permette da un lato di far sentire il

paziente accettato e compreso, elevandolo al ruolo di esperto del problema e dall’altra parte fa

percepire il terapeuta quale professionista tecnicamente preparato. Le alternative proposte

infatti sono costruite sulla base dell’esperienza clinica e propongono scenari che ricalcano le

percezioni, le reazioni e i copioni comportamentali che si ritrovano costantemente in chi è

affetto dallo stesso disturbo del paziente.

Le Parafrasi ristrutturanti consistono nel riproporre al paziente, chiedendo conferma

dell’esattezza, una parafrasi di ciò che lui ci ha detto, aggiungendo elementi che ne

riorientano la narrazione verso la direzione del cambiamento terapeutico. Queste fanno sentire

al paziente che il terapeuta lo comprende in maniera attiva.

L’ Evocare sensazioni è reso possibile grazie al ricorso al linguaggio evocativo, a analogie,

aforismi e metafore. Da un punto di vista relazionale ciò permette di far sentire il paziente

compreso anche dal punto di vista sensitivo - viscerale ed emotivo. In questo modo il paziente

percepirà di essere davanti a un professionista non solo tecnicamente preparato, ma anche in

grado di capire cosa lui prova.

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A differenza di altri approcci come la terapia centrata sul cliente di Carl Rogers, il terapeuta

non deve empatizzare fin quasi a provare le stesse emozioni del paziente, ma fargli percepire

che è in grado di capire quello che lui sta provando.

Il Prescrivere come scoperta congiunta consiste nell’ingiungere o proporre la prescrizione

come conseguenza diretta del processo dialogico terapeutico, facendo sentire il paziente

coinvolto in questo processo, si azzera la resistenza al cambiamento aumentando l’aderenza.

Mirroring, Ricalco e Rapport e Sintonizzazione.

Secondo Bandler e Grinder (Bandler & Grinder, 1981) tutti i più grandi terapeuti sono in

grado di costruire uno stato di eccellenza relazionale, all’interno della quale il paziente si

sente compreso, accettato e sente di potersi fidare: il Rapport. Questo si può ottenere

rispecchiando il paziente – Mirroring –, cioè ricalcandone – Ricalco –, le modalità

comunicative verbali, non-verbali e para-verbali – Matching –, e la componente motoria –

Pacing –.

In Terapia Breve Strategica, come diceva Milton Erickson (Nardone & Salvini, 2013), si deve

imparare ad usare il linguaggio del paziente (Watzlawick, 1980) nelle sue componenti

verbali, non verbali e para-verbali. Si parla allora di Sintonizzazione, che suggerisce come, per

avvicinarsi in maniera efficace all’altro, “creare sintonia”, sia spesso necessario assumere

posizioni differenti e utilizzare modalità linguistiche diverse, complementari rispetto a quelle

dell’interlocutore. Si utilizzano un linguaggio e degli atteggiamenti che siano armonici con

quelli del paziente, piuttosto che identici o simili, assumendo, come già visto, una posizione

complementare al cambiamento che si vuole introdurre. Ad esempio, non avrà alcuna utilità

ricalcare in tutte le modalità relazionali un paziente depresso, mentre risulterà utile utilizzarne

il linguaggio per farlo sentire compreso e accettato; per poi pormi nei suoi confronti in

maniera complementare al cambiamento. La Sintonizzazione è una tecnica di ipnosi senza

trance della Psicoterapia Breve Strategica modello Nardone (Nardone & Salvini, 2013).

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I due concetti che seguono sono tratti dalla Pragmatica della comunicazione
umana di Watzlawick, Beavin e Jacson.

Relazione simmetrica e complementare.

 “Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano

                         basati sull’uguaglianza o sulla differenza.”

                                                        (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971)

Nella relazione tra due comunicanti osserviamo le reazioni di un individuo B al

comportamento di A, ma subito dopo dobbiamo esaminare anche come queste reazioni

influenzino il comportamento successivo di A, e l’effetto che questo comportamento ha su B.

Quando le reazioni di A e B sono uguali si parla di Relazione Simmetrica, quando sono

diverse di Relazione Complementare (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971). Nel primo caso i

modelli delle reazioni tendono a rispecchiare il comportamento dell’altro, perciò sono definiti

simmetrici. Nel secondo caso si dice che il comportamento dell’interlocutore B completa

quello di A con un diverso tipo di comportamento. Nella relazione complementare dunque

abbiamo un comunicante in posizione superiore, primaria – Posizione one-up – e l’altro in

posizione inferiore, secondaria – one-down –, tali definizioni sono esenti da alcun tipo di

giudizio buono-cattivo, forte-debole. Le relazioni complementari possono essere determinate

anche dal contesto sociale e culturale, si pensi alla relazione madre-figlio, medico-paziente o

insegnante-allievo, in ogni relazione complementare abbiamo comportamenti diversi, che si

adattano ai rispettivi ruoli, che si richiamano a vicenda. “Un partner non impone all’altro una

relazione complementare, ma piuttosto ciascuno si comporta in un modo che presuppone il

comportamento dell’altro, mentre al tempo stesso gliene fornisce le ragioni: sono quindi

sempre calzanti le definizioni che essi danno della relazione” (Watzlawick, Beavin, & Jacson,

1971).

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I livelli comunicativi di contenuto e di relazione.

   “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il

                 secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione.”

                                                         (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971)

Ogni comunicazione implica un impegno relazionale e definisce anche il modo in cui il

trasmettitore di un messaggio considera la sua relazione con il ricevitore.

La relazione stabilisce il significato che va attribuito al messaggio contenuto nella

comunicazione: il medesimo enunciato acquisisce infatti significati diversi a seconda del

contesto relazionale in cui viene espresso. (Nardone & Salvini, 2013)

La comunicazione è quindi non solo uno scambio di informazioni – Report o Notizia – ma

impone o richiama un certo comportamento – Command o Comando – che ci si attende

all’interno di quella relazione.

Se pensiamo a tre neuroni eccitatori (A, B, C) disposti lungo una catena lineare:

                                        AàBàC

L’attivazione di B costituisce sia il Comando per l’attivazione del neurone C che la Notizia

che il neurone A si è attivato. Ritornando all’interazione umana la Notizia rappresenta il

contenuto del messaggio inviato, mentre il Comando rappresenta il tipo di messaggio e il tipo

di relazione che vi è tra i due comunicanti. Ad esempio, due frasi come: “E’ importante fare

le cose per bene e con impegno” o “Fai le cose con superficialità e ne avrai brutte

conseguenze”; recano più o meno la stessa notizia, ma definiscono relazioni molto diverse.

Le relazioni di solito sono definite inconsapevolmente, solo raramente vengono definite

consapevolmente. Gli autori sostengono che quanto più una relazione è spontanea e “sana”,

tanto più l’aspetto relazionale recede sullo sfondo. Per contro, le relazioni “malate” sono

caratterizzare da una lotta costante per definire la natura della relazione, ed è il contenuto

della comunicazione a passare in secondo piano.

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Pensando a una calcolatrice la Notizia sono le cifre che digitiamo, mentre l’operazione che

chiediamo di fare tra le cifre è il Comando, questo quindi è un’informazione

sull’informazione, una Metainformazione (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971).

Da ciò ne consegue che lo stesso contenuto può assumere significati diversi e implicare

comandi diversi, e da questo nascono complicazioni nelle interazioni. Gli autori descrivono

queste situazioni portando come esempio un cartello posto in un ristorante che recita: “I

clienti che credono che i nostri camerieri siano scortesi dovrebbero vedere il direttore”. Le

cose si complicano ulteriormente quando si hanno paradossi logici, quando nello stesso

messaggio troviamo due comandi contrastanti, due esempi in questo senso sono la celebre

frase di Epimenide di Creta: “Tutti i cretesi mentono”, o un cartello con scritto “Ignorate

questo cartello” (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971).

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                                             17
La Relazione terapeutica in Terapia Breve Strategica.

Come abbiamo detto prima, il terapeuta strategico deve assumere una posizione non neutra né

simmetricamente congruente (speculare) al paziente, ma complementare al cambiamento di

questo. Abbiamo visto infatti che in Pragmatica della Comunicazione una posizione

complementare presuppone un comportamento, in questo caso la posizione del terapeuta,

complementare al cambiamento, presuppone il comportamento di cambiamento nel paziente.

Seguendo uno stratagemma antico che recita: “Lineare contro circolare e circolare contro

lineare”, il terapeuta deve “Sapersi sintonizzare sul canale complementare a quello del

nostro interlocutore, in modo tale da creare una dinamica di relazione in cui la sua posizione

divenga emotivamente insostenibile” (Nardone G. , 2003).

Gestita in questo modo la relazione terapeutica diviene la regina delle tecniche terapeutiche.

Riassumendo per ridefinire possiamo quindi affermare che in Terapia Breve Strategica la

relazione diviene tecnica, e le tecniche divengono relazione.

In generale, la relazione andrà modulata e calzata sia al disturbo che il paziente presenta, sia

alla personalità, alle caratteristiche e alle prerogative di questo.

                                                 18
Analisi dei casi clinici

Segue ora l’analisi di sei casi: particolare attenzione sarà attribuita agli aspetti che riguardano

la relazione terapeutica. Ogni riferimento a persone, luoghi ed aziende è stato modificato e

romanzato nel rispetto della Privacy dei pazienti.

Caso 1: L’ ambivalente

Si tratta di una paziente che presenta un disturbo alimentare di tipo Binge-Eating nel contesto

di un Disturbo Borderline di Personalità. Le tecniche e le manovre comunicative proprie del

protocollo terapeutico del Binge-eating sono quindi adattate e inserite all’interno del contesto

relazionale richiesto dal trattamento del disturbo di personalità. Questa paziente presenta una

costanza nell’incostanza, caratteristica tipica del Disturbo Borderline di Personalità, ma a

differenza della paziente del caso “Ho smarrito la rotta”, sempre con stessa diagnosi

personologica, mostra anche una forte ambivalenza relazionale nei confronti del terapeuta. Se

infatti per un verso sembra richiedere aiuto, per l’altro si oppone con scuse e autoinganni alle

manovre del terapeuta. Si configura dunque una resistenza del 3° tipo, quella con cui si

                                                19
definiscono pazienti non collaborativi o dichiaratamente oppositivi (Nardone G. , 1997). Il

terapeuta danza tra differenti linguaggi e posizioni relazionali, in maniera quasi seduttiva tra

empatia, squalifica, protezione e avversione. Si tratta di essere caldi ed empatici quando la

paziente tende a sminuirsi; squalificanti in maniera terapeutica quando la paziente si oppone

all’intervento con autoinganni; direttivi quando questa si oppone alle prescrizioni con scuse

inconsistenti, per gestire la resistenza al cambiamento. Fondamentali in questo caso sono

l’ironia, che viene utilizzata per la sua intrinseca ambivalenza, e la capacità di evocare

sensazioni piacevoli e creare avversione verso le tentate soluzioni disfunzionali. L’utilizzo

della tecnica dell’anticipazione con forti analogie permette di fare questo. Il disturbo

alimentare della paziente si regge infatti su una dinamica disfunzionale di sapersi o meno

concedere il piacere con il cibo, e quello di piacersi e piacere. Il terapeuta dovrà far sentire

alla paziente che sa gestire e quindi apprezzare i piaceri in maniera più funzionale di lei.

Nella seconda seduta la paziente mostra esplicitamente la propria ambivalenza patologica,

riferendo di aver disatteso completamente le indicazioni terapeutiche fornitegli e di essersi

fatta inserire in lista per un programma Day-hospital per il trattamento del disturbo

alimentare, già prima dell’inizio della terapia. All’ambivalenza patologica della paziente il

terapeuta oppone un’ambivalenza terapeutica: “io mi tiro indietro per il tuo bene, ma ci

sono”, si allea con la parte sana della paziente, ma si oppone agli autoinganni e alle modalità

relazionali patologiche della paziente.

Sempre nel corso della seconda seduta il terapeuta svela alla paziente la tentata soluzione

fallimentare relazionale basata sull’ambivalenza; espressa in questo caso nella scelta in

contemporanea di due progetti terapeutici contrastanti.        “È come avere… il fidanzato e

l’amante, diventano complementari e non c’è la soddisfazione… sono stato chiaro?” Il

terapeuta deve uscire dalla posizione di simmetria con gli altri terapeuti, propostagli dalla

paziente, che garantirebbe il fallimento terapeutico e la cronicizzazione delle tentate soluzioni

proponendo una nuova ambivalenza terapeutica: “Io in questo momento devo fare il passo

                                                20
indietro perché loro lo facciano avanti… se volessi fare questo gioco, che a te viene bene di

tenere il piede in due scarpe…” La prescrizione che segue è in linea con la posizione

relazionale assunta: non prescrivere ma fornire la propria disponibilità.

Caso 2: Ho Smarrito la rotta

Si tratta di una paziente con Disturbo Borderline di Personalità che in questo caso invece

manifesta una tendenza ossessivo-paranoica, con la propensione a rimuginare sui propri difetti

estetici, sull’ostilità che gli altri avrebbero nei suoi confronti, sugli errori con cui i suoi

genitori l’avrebbero danneggiata. La paziente non si presenta incostante e ambivalente come

quella precedente, quanto piuttosto disorientata completamente e priva di obiettivi. Se nel

caso precedente possiamo paragonare la paziente a una barca che cambia rotta in

continuazione, in questo caso ci troviamo di fronte a un’imbarcazione priva di timone, che

quindi continua a girare su stessa. Entrambe sono incapaci di seguire una rotta, ma in maniera

differente. In questa terapia quindi fin da subito il terapeuta si mostra quale guida e punto di

riferimento, accogliente e caldo quando la paziente mostra le proprie ferite, ma direttivo e

                                               21
fermo quando questa parla e si comporta seguendo le proprie interpretazioni paranoiche o

fissazioni ossessive.

Il linguaggio evocativo serve qui a far percepire modalità più funzionali di interagire con sé

stessi, con gli altri e con il mondo: per questo si utilizzano aforismi, analogie e soprattutto

massime. Le massime spiegano la realtà da un punto di vista, sono sentenze tratte dalla

propria esperienza e proposte come norme universali che risultano utili nel far percepire il

terapeuta quale guida per orientarsi nella vita. La paziente espone argomentazioni complicate

e prolisse mediante un linguaggio semplice, per cui il terapeuta per persuaderla utilizza frasi

puntuali e concise pregne di significato, è l’applicazione alla retorica dello stratagemma

“Circolare contro lineare, lineare contro circolare”, già visto in precedenza (Nardone G. ,

2003).

La prescrizione del Come peggiorare serve per fornire una rotta alla paziente; le altre

prescrizioni sono ridotte al minimo, possiamo vedere come tutta la dinamica ossessiva nel

pensiero sia gestita esclusivamente nel corso delle sedute, soprattutto la quinta, grazie a

ristrutturazioni e massime. Anche la parte paranoica, per la quale sono prescritte le Lettere di

rabbia, è gestita soprattutto in seduta.

Nel primo periodo spesso la paziente ha richiesto incontri in urgenza, il terapeuta si è

mostrato presente ma deciso e contenitivo nei confronti di queste richieste al fine di

stabilizzare e rendere costante ed equilibrato anche il percorso terapeutico, al ritmo e con le

condizioni imposte dal terapeuta e non dalla paziente. Ter: “Ehi… ma le domande qui chi le

fa… Io o te?”.

                                              22
Caso 3: La garante della privacy

Siamo di fronte a un fratello che porta in terapia la sorella, affetta da un delirio persecutorio.

In questo caso la resistenza al cambiamento è quindi del 4° tipo: pazienti non in grado di

collaborare né di opporsi deliberatamente, i quali presentano una “narrazione” di sé stessi e

dei propri problemi al di fuori di ogni ragionevole realtà. Il terapeuta deve quindi entrare nella

logica della rappresentazione delirante proposta dalla paziente, assumerne i codici linguistici

e valoriali, e seguire le tracce di questa narrazione per aggiungere altri elementi al narrato,

elementi che pur non negando la realtà delirante la riorientano in una direzione differente

(Nardone G. , 1997). Il terapeuta non nega mai apertamente le richieste della paziente, le

riconosce comunicando in sostanza il messaggio: “Sì, ma è una cosa diversa”. Allo stesso

tempo però deve essere fermo e deciso per evitare che la paziente possa imporre le proprie

condizioni alla terapia, il terapeuta detta le condizioni della terapia in modo che possano

essere accettate dalla paziente. Illuminante in tal senso è lo scambio in cui la paziente

continua a voler impedire al fratello di parlare e raccontare della situazione gridando che

siccome vi è la privacy alcune cose, il motivo per cui sono venuti in terapia, non vadano dette.

Il Terapeuta ridefinisce il raccontare del fratello in modo che sia compatibile con la realtà

delirante della paziente, senza retrocedere però di un millimetro dalla propria posizione.

                                               23
Quando la paziente si irrigidisce nella propria costruzione delirante il terapeuta si fa elastico.

L’essere fermo e risoluto non impedisce al terapeuta di dimostrarsi disponibile e caldo

nell’accogliere la paziente, farla sentire accettata e indurla a parlare. Paz: “Cioè dì…cioè non

so se sa cos’è il DOC…”. Ter: “Se me lo spieghi sono contento…” Paz: “Cioè… ehm io… so

che mio fratello ha le ossessioni, però non so che tipo di disturbo è…” Ter: “Ma tu hai

qualcosa di simile a quello che ha tuo fratello?”

Quando la paziente esce dal mondo delirante si presenta oppositiva e quindi la posizione del

terapeuta cambia ancora, esaspera il punto di vista della paziente, per far sì che, opponendosi,

finisca per assumere la posizione da lui desiderata, seguendo lo stratagemma che recita: “Se

vuoi drizzare una cosa, impara prima come storcerla di più” (Nardone G. , 2003). Ter: “Non

hai alcun problema?”. Paz: “No…No”. Ter: “Ehh perdonami, quindi avete fatto più di mille

chilometri per venire a dire a me io non ho alcun problema?” Paz (interrompe): “No adesso

no… cioè…”. Ter: “Sono felice se è così!” Ter: “E adesso non hai nessun problema?” Paz:

“No, No. No. Non mi sento di avere qualche disturbo o problemi…”. Ter: “Quindi adesso va

tutto bene nella tua vita?” Paz (annuisce). Ter: “Sei soddisfatta e felice?” PAZ: “Va beh

felice… ho momenti di tristezza…” Ter: “Soddisfatta, felice, realizzata…” Paz: “Mah felice

non tanto”. A conclusione della seduta il disturbo della paziente, la tendenza a pensare che i

suoi genitori ce l’abbiano con lei, viene utilizzata come risorsa terapeutica: “Stavo spiegando

a lui, senza violare alcuna privacy che, da quello che mi avete detto, penso che non sia un

problema tuo, ma sia un problema di dinamica famigliare”. In questo modo elevando la

paziente a coterapeuta la si mette in una posizione relazionale in cui, non solo è obbligata, ma

è anche desiderosa di accettare le regole e le condizioni della terapia.

                                                24
Caso 4: L’amante segreto

                                                     Si tratta di una paziente con un Disturbo

                                                     da     Vomiting,       un       disturbo    del

                                                     comportamento alimentare che si basa

                                                     sulla compulsione piacevole di mangiare e

                                                     vomitare. Il vomito da tentata soluzione

                                                     per poter mangiare senza ingrassare

                                                     diviene un disturbo. Poiché il Vomiting ha

                                                     una logica basata sul piacere, per catturare

                                                     i pazienti affette da questo tipo di disturbo

                                                     occorre evocare sensazioni, sia di piacere

                                                     che        di     avversione.       Altrettanto

                                                     fondamentale risulta far sentire a questi

                                                     pazienti    che   comprendiamo        la   base

                                                     piacevole del loro disturbo. “Questa è

                                                     diventata una compulsione basata sul

                                                     piacere, e quindi il mangiare e vomitare è

il demone che travolge, sconvolge, lascia lì… tramortite dal piacere e poi quindi c’è voglia di

rifarlo”. Gli altri approcci psichiatrici o psicoterapeutici infatti non riconoscono la possibilità

che il vomito possa diventare una compulsione piacevole, ma leggono questo solo come

condotta eliminatoria di un altro disturbo alimentare. Così facendo il terapeuta non sarebbe in

grado di costruire un’adeguata alleanza terapeutica contro il disturbo, né tanto meno di far

sentire la paziente capita. Per questo motivo il terapeuta strategico ricorre a un linguaggio

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evocativo carico di forti analogie, utilizzando un tono di voce caldo e suadente. “Quindi da

quando il demone del vomito ti ha rapito del tutto, non ci possono essere altri amanti se non

lui. Dico bene?”

Risulta fondamentale in questi casi l’alleanza di terapeuta e paziente contro la patologia,

proprio per la logica di funzionamento basata sul piacere, che rende il disturbo

particolarmente resistente al cambiamento.

“Esattamente così… Quindi è un’amante segreto, non è un disturbo… (pausa) che è il

peggiore dei disturbi perché è piacevole, non è sofferto, sai tanti anni fa si parlava di

comportamenti autodistruttivi, il mangiare e vomitare non è autodistruttivo è piacevole”.

Per lo stesso motivo occorre testare la reale collaboratività della paziente, che spesso è

inferiore a quanto appare, ed elicitarla: “Quindi il Vomiting si può curare anche

rapidamente… Però prevede da parte tua molta partecipazione… Quindi siamo in due. Io

sono lo stratega, tu sei il soldato… Se il soldato non segue la strategia la vittoria non

arriverà. E quello che ti chiederò ti avverto non sarà facile, però mi aspetto che tu lo segua.

Quindi io non mollerò se tu non molli”.

La prescrizione è ingiunta in maniera suggestiva, in modo che la paziente aderisca alla

prescrizione nel momento edonico del vomito: “Allora primo esperimento terapeutico… Ti

avverto decisamente duro, ma se funziona decisamente il migliore”.

Nel corso delle sedute successive si tratta di valorizzare i risultati ottenuti, ma essere fermi e

decisi nel creare avversione nei confronti delle ricadute o degli autoinganni che concorrono a

mantenere il disturbo.

“È questo è il nostro bersaglio terapeutico fondamentale, perché tutto il resto viene dopo

questo. Perché se tu hai la via d’uscita del vomito continuerai a sovralimentarti.” “Il

problema peggiore sai qual è? Che quando tu vomiti, il tuo organismo comunque trattiene,

ma trattiene le tossine. Quindi cellulite a cadere, gonfiori a cadere, So che ho toccato un

                                               26
punto.” “Sai chi entra qui io gli faccio le radiografie davanti e di dietro ok? Tu sei gonfia da

tossine!”

Caso 5: Il figlio incostante

Si tratta di una coppia di genitori preoccupati per il proprio figlio, affetto da disturbo

Borderline di personalità, questo infatti spesso presenta episodi di rabbia, diventa aggressivo e

non riesce a mantenere in maniera costante un lavoro.

Il padre si pone in maniera simmetrica al terapeuta, e in posizione one-up rispetto alla moglie,

screditandola. L’indagine in seduta mette in luce che il padre presenta uno stile iperprotettivo

nei confronti del figlio (Nardone, Giannotti, & Rocchi, 2015). La madre invece appare arresa

in posizione depressiva.

Il terapeuta dovrà quindi porsi in posizione complementare, one-up rispetto al padre, e stanare

la madre dalla posizione depressiva. Pad: “Come si inizia?” Ter: “Comincio io di solito…”

Nei confronti della madre si pone quindi in posizione complementare al cambiamento,

responsabilizzandola a riconoscere gli sbagli che effettivamente compiono nella gestione del

                                               27
figlio, ma sollevandola allo stesso tempo dal senso di colpa per quelli che non dipendono da

loro. “… E’ chiaro che vostro figlio presenta un disturbo… e un disturbo piuttosto serio…

quindi se vogliamo dare un nome a questa cosa: si chiama disturbo Borderline di

Personalità… ha sviluppato nel tempo; un’incapacità di mantenere una costanza, di portare

avanti un progetto; ha una difficoltà a controllare gli impulsi, quando è provocato; ha una

difficoltà ad accettare che gli altri non diano ragione sempre a lui, perché lui deve avere

sempre ragione; ha difficoltà ad accettare che tutte le cose non vanno come lui vorrebbe che

dovrebbero andare. Quindi alla fine ha proprio anche un disadattamento, ma è un effetto di

un suo problema personale.” Il terapeuta fa si che i genitori interrompano le tentate soluzioni

fallimentari di stimolare e spronare il figlio, che risultano complementari ai comportamenti

disfunzionali di questo, e prescriverà una rotta di disimpegno, che è invece simmetrica ai suoi

comportamenti. Tale rotta oltre ad essere simmetrica è anche complementare a comportamenti

più maturi e sani del figlio, e presupporrà quindi il cambiamento delle condotte di questo. Nel

corso della seconda seduta il terapeuta consolida il cambiamento ottenuto nelle dinamiche

relazionali Pad: “Mia moglie mi ha fatto un cicchettone, quindi ora sto zitto” Ter:

“Cicchettone ben arrivato! Brava! Allora andiamo avanti!”; anche con il ricorso a self-

disclosure per confermare come gesitre le posizioni relazionali: essere inflessibili con i

sottoposti, e non con i figli.

“L’ operaio l’affogo nella piscina e poi lo do in pasto ai cani. Povero, il capo è venuto lui di

persona. Sai in quanto tempo ha finito tutto? In due ore! Quindi! Quelli che ti fanno il bagno,

bisogna star lì, con il fucile spianato, me lo dovresti insegnare tu. L’hai fatto per tanti anni…

Mentre con i figli ottengo l’effetto contrario…”

                                               28
Caso 6: La dermatologa in carriera

Giulia è una dermatologa avviata verso una brillante carriera, lavora presso un Ospedale di

punta della Lombardia, la sua attività è principalmente ambulatoriale e consiste nel

controllare nei per scorgere eventuali formazioni maligne, i melanomi. Una forma di tumore

per cui ad oggi l’unica vera terapia curativa consiste nel riconoscimento e nell’asportazione

precoce. A livello professionale è bravissima ed apprezzatissima: preparata e capace, sa con

sicurezza quando su un neo è necessario intervenire con ulteriori approfondimenti diagnostici

o con l’asportazione e quando invece, questo anche se brutto è benigno. Tutto sembra andare

per il verso giusto fino a quando 3 anni fa scorge su suo marito un neo che non le sembra

essere francamente pericoloso ma di cui non è sicura: “E se fosse un melanoma che non sono

in grado di riconoscere?” In questo caso il rigore e la freddezza che la contraddistinguono si

infrangono sugli scogli dell’emotività: non riesce ad essere tecnica ed imparziale come con

                                             29
suoi pazienti e i dubbi continuano a crescere. Pertanto, decide di far valutare il neo del marito

dal suo collega più esperto e questi conferma la benignità della formazione; ma poco dopo i

dubbi ripartono: “E se si stesse sbagliando anche il mio collega?” I dubbi la attagliano

talmente tanto che decide di far asportare comunque il neo, operazione non necessaria né

indicata, convinta di risolvere una volta per tutte il problema. L’analisi istologica del neo ne

conferma la non pericolosità. Finalmente tutto sembra essersi risolto fino a quando, poche

settimane dopo, Giulia visita un paziente con metastasi linfonodali secondarie a un melanoma

già asportato che, all’analisi istologica, non aveva presentato cellule maligne. “E se

succedesse così anche con il neo di mio Marito?” e i dubbi ripartono. Inizia allora lunghe ed

interminabili ricerche in letteratura per documentarsi su questo tipo particolare di melanomi;

trovato il maggior esperto nazionale, si rivolge a lui per richiedere una rivalutazione istologica

del neo incriminato. Scrupolosa come è, ha infatti conservato i vetrini del neo del suo partner.

Anche questa volta il responso è rassicurante e una volta per tutte Giulia sembra calmarsi, ma

per poco. Infatti, presto sorge in lei il dubbio che anche l’esperto possa essersi sbagliato. I

dubbi aumentano sempre più fino a quando si trova a pensare alla possibilità di sottoporre il

marito ad un’altra operazione, non richiesta e più invasiva della precedente, allo scopo di

tranquillizzarsi. È in questo momento che si accorge della spirale, potenzialmente senza fine,

in cui si è infilata: prima o poi anche questa operazione non sarebbe più stata sufficiente e

l’avrebbe così portata a una sequenza di interventi via via sempre più invasivi, che era già

iniziata. Pur avendo preso coscienza di ciò il dubbio che quel neo possa essere maligno la

tormenta sempre di più. Quando è con il marito è assediata in continuazione da dubbi a cui

cerca di dare risposte razionali che sembrano placarsi per un istante, per poi tornare ancora

più forti. Quando è al lavoro continua a tormentare i colleghi in cerca di rassicurazioni, ed è

così tormentata che ben presto si sfoga confidando le proprie angosce anche alle amiche

estranee alla professione. Finalmente decide di chiedere un aiuto specialistico ad uno

psicoterapeuta.

                                               30
È chiaro che siamo di fronte a un caso di Dubbio Patologico, complicato dalle risorse e dalla

conoscenza dell’argomento della paziente; aggravato dal fatto che per lavoro lei sia

quotidianamente a contatto con possibili trigger del disturbo. Per questo la prima mossa

terapeutica e relazionale consiste nel far sentire a Giulia come il conoscere approfonditamente

l’argomento non abbia sedato il dubbio, ma anzi abbia portato a creare con più facilità scenari

terrorizzanti. La conoscenza e il continuare a documentarsi nutre infatti la tentata soluzione

principale che mantiene in essere il Dubbio Patologico: il tentativo di trovare una risposta

razionale definitiva che possa risolvere una volta per tutte gli interrogativi mentali. Si tratta

quindi di far percepire a Giulia, tramite l’utilizzo del Dialogo strategico e di ristrutturazioni,

che la conoscenza e il tentativo di rispondere razionalmente a un dubbio che razionale non è,

lo alimenta invece che ridurlo, poiché non può essere trovata una risposta certa definitiva. Si

procede quindi come da protocollo con la prescrizione di Bloccare le risposte per inibire le

domande, e di Esasperare per iscritto i propri dubbi, quando questi sono troppo conturbanti e

Giulia non riesce a bloccare le risposte mentali. La paziente è stata coinvolta in una sequenza

di ragionamenti e ristrutturazioni, che sono state co-costruite, facendo leva sulle sue risorse

intellettuali e competenze professionali.

Di fondamentale importanza è stato l’assumere una posizione ambivalente in cui valorizzare

le risorse e competenze professionali di Giulia, ma allo stesso tempo farle percepire che

queste mal-orientate mantenevano in essere il problema. “Se non fossi così brava e preparata

non avresti costruito un disturbo come questo, si tratta di riorientare le tue risorse in modo

che ti aiutino nella tua professione e la smettano di imprigionarti”. Il terapeuta tramite

Domande orientanti e a illusione di alternativa ha guidato la paziente in un processo, anche

in questo caso co-costruito, che l’ha portata a sentire che anche i tentativi di soluzione

diagnostico-chirurgici e la socializzazione del problema alimentavano i dubbi, invece che

ridurli. Per questo come scoperta congiunta sono state prescritte la Congiura del silenzio sul

                                               31
problema e l’interruzione di tutti i tentativi diagnostico-terapeutici nei confronti del neo

incriminato.

Dal punto di vista relazionale è stato anche necessario sollevarla, con ristrutturazioni e con

l’utilizzo del linguaggio evocativo, dal senso di incapacità professionale che ormai si era fatto

strada in lei. “Quello che hai passato ti porterà ad essere una dermatologa ancora più brava

e attenta”.

Ottenuto lo sblocco dopo la prima seduta, in fase di consolidamento Giulia è stata coinvolta in

maniera molto attiva. Il terapeuta, di fronte a una persona con una preparazione tecnica così

elevata, ha infatti dovuto assumere il ruolo di un consulente, esperto delle dinamiche

percettivo-reattive mentali, in grado di riorientare la paziente per uscire dalle trappole che le

sue risorse avevano costruito, e di reindirizzare queste verso il loro utilizzo funzionale. Anche

quando si sono verificate ricadute, l’analisi del problema è stata iper-tecnica, analizzando con

un approccio condiviso, strategico ma anche “medico”, le dinamiche che avevano portato la

paziente alla ricaduta.

Attualmente Giulia ha risolto il disturbo che la tormentava, ha ripreso a pieno ritmo la propria

attività ambulatoriale, ed è in fase follow-up. L’analisi di questo caso ci mostra come il

consueto protocollo per il trattamento del Dubbio Patologico, sia stato inserito in un contesto

relazionale che, oltre a tenere conto del disturbo, ha considerato le caratteristiche professionali

e personali della paziente.

È stato necessario, ancor più di quanto lo è solitamente con questi disturbi, impostare una

relazione iper-tecnica, assumendo lo scettro della direttività, per far percepire alla paziente

che il terapeuta sapeva controllare meglio di lei. Allo stesso tempo è stato fondamentale però

coinvolgere, più che mai attivamente, la paziente nella ridefinizione e nella ristrutturazione

delle dinamiche percettivo-reattive che prima mantenevano e dopo rischiavano di ricreare il

problema.

                                                32
Conclusione

“In Terapia Breve Strategica si tratta di oscillare tra la vicinanza e la distanza,

in un’ambivalenza in cui accetto ciò che mi porti, ma trovo qualcosa che ti

sconvolga, che ti scalzi dalla posizione di vittima.

La sintonizzazione strategica è questa: Ti assecondo, ma ti bastono. Devi essere

sempre quello a cui si può affidare, il paziente deve sentire che sei il nocchiero

che guida il vascello di cui lui ha perso il controllo.

In un’oscillazione costante, in cui non bisogna mai farsi sentire nello stesso

modo, mai del tutto controllabile: che si tratti di dire qualcosa di scomodo con

un tono di voce caldo o di pronunciare parole dolci ma con un tono di

distacco.”

                                                                       G. Nardone

Spero che il mio ebook ti sia piaciuto, fammi sapere cosa ne pensi!

A presto!

Luca Proietti

                                         33
Bibliografia

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