LA RELAZIONE TERAPEUTICA IN TERAPIA BREVE STRATETEGICA - Luca Proietti - Ed. LucaProietti.net
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Copyright © 2020 Luca Proietti Ogni riproduzione, estrazione anche parziale o citazione del presente volume è proibita senza autorizzazione e sottoposta alla vigente legislazione. Tutti i diritti riservati. Edizioni LucaProietti.net NOTE E RINGRAZIAMENTI Questo ebook è frutto di quattro anni di scuola di specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica e dell’attività clinica come psicoterapeuta. Ringrazio tutta la mia famiglia che ha reso possibile e sostenuto durante i miei studi, ringrazio in particolare il Dott. Andrea Vallarino e il Dott. Massimo Bartoletti, Psicoterapeuti, per me fonti di ispirazione Strategica. Ringrazio nuovamente la mia famiglia e tutti i miei amici per avermi aiutato, sostenuto, spronato, consigliato e confortato, oltreché sopportato, nella realizzazione del mio blog. Ringrazio infine tutti i pazienti, in particolare quelli a cui si rifanno le narrazioni di questo ebook, la terapia è sempre un gioco a somma diversa da zero, o si vince insieme o si perde insieme, grazie per la strada percorsa insieme. Dublino, 2020 Dr. Luca Proietti 2
“E’ da ingenui credere che si possa spiegare la magia. La magia non si può spiegare, si può solo praticare” Heinz von Foerster, 1997 Spero che il mio ebook ti piaccia. Buona lettura! Luca 3
Sommario Relazione e tecnica in psicoterapia ........................................................................... 5 La Relazione terapeutica in Terapia Breve Strategica ........................................... 7 Relazione terapeutica ed esperienza emozionale correttiva. .................................................. 8 Educare l’incoscienza verso una consapevolezza operativa. ................................................. 9 Linguaggio non verbale nella relazione terapeutica ............................................................... 9 In che modo la tecnica può migliorare la relazione? ............................................................ 10 Tecniche relazionali in Terapia Breve Strategica. ............................................................... 12 Anticipazione. ................................................................................................... 12 Il Dialogo Strategico. ........................................................................................ 13 Mirroring, Ricalco e Rapport e Sintonizzazione. .......................................... 14 Relazione simmetrica e complementare. .............................................................................. 15 I livelli comunicativi di contenuto e di relazione. ................................................................ 16 La Relazione terapeutica in Terapia Breve Strategica. ........................................................ 18 Analisi dei casi clinici ............................................................................................... 19 Caso 1: L’ ambivalente ........................................................................................................ 19 Caso 2: Ho Smarrito la rotta ................................................................................................. 21 Caso 3: La garante della privacy .......................................................................................... 23 Caso 4: L’amante segreto ..................................................................................................... 25 Caso 5: Il figlio incostante ................................................................................................... 27 Caso 6: La dermatologa in carriera ...................................................................................... 29 Conclusione e Bibliografia ....................................................................................... 33 4
Relazione e tecnica in psicoterapia Gli studi di comparazione sull’efficacia delle differenti forme di psicoterapia sembrano confermare la Teoria dei fattori comuni. Secondo tale assunto sarebbero quattro i fattori coinvolti nella buona riuscita di una terapia, e questi sarebbero comuni a ogni differente approccio di psicoterapia. Infatti, studi moderni pubblicati su riviste quali Lancet Psychiatry (Mulder, Murray, & Rucklidge, 2017) avvalorano, almeno in parte, l’ipotesi formulata negli anni ’30 nota come il “verdetto di Dodo” (Rosenzweig, 1936): tutte le forme di psicoterapia sarebbero ugualmente efficaci, la buona riuscita della terapia deriverebbe infatti da fattori comuni e non da fattori specifici. Secondo la Teoria dei fattori comuni (Luborsky & Singer, 1975; Luborsky, 2002) l’efficacia di una terapia dipenderebbe infatti per il (Assay & Lambert, 1999): • 30-40 % dalla relazione terapeutica; • 30-40 % dalle caratteristiche del paziente e dalla sua aspettativa nei confronti della terapia; • 15-20% dall’effetto placebo; • 15-20% dalle tecniche terapeutiche; 5
(Nardone & Milanese, 2018) A prima vista l’unica componente specifica, che varia da un approccio terapeutico all’altro, e dunque specifica, sembra essere la tecnica, responsabile solamente del 15-20% dell’efficacia terapeutica. Seguendo un’analisi di questo tipo, le psicoterapie, come la Terapia Breve Strategica, che si avvalgono in maniera sostanziale di strumenti tecnici sarebbero sì efficaci, come tutte le altre terapie, ma altamente inefficienti, poiché concentrano molte attenzioni ed energie sull’aspetto tecnico che ha scarso peso. Ma ad un’analisi approfondita, risulta chiaro come anche le altre 3 componenti aspecifiche (relazione, aspettativa ed effetto placebo) possano essere influenzate in maniera specifica da ogni differente approccio. Posso infatti ricorrere a delle tecniche specifiche per creare una buona relazione terapeutica, per aumentare l’aspettativa del paziente e suggestionarlo in modo da aumentare la risposta placebo al mio intervento terapeutico (Carlino & Benedetti, 2016). La Terapia Breve Strategica si avvale di strumenti tecnici che permettono di intervenire in maniera specifica sui 3 fattori comuni aspecifici; gestendo tecnicamente la comunicazione sotto gli aspetti paraverbale e non verbale oltre che verbale e contemplando l’utilizzo di tutti i registri linguistici: sia quello descrittivo-indicativo per stimolare il neoencefalo, le parti corticali più evolute del cervello, che il registro suggestivo-evocativo per stimolare il paleoencefalo, la parte più antica. 6
La Relazione terapeutica in Terapia Breve Strategica Ogni relazione inizia ed è quasi interamente l’effetto di un contatto percettivo ed emozionale. Oggi le neuroscienze confermano le intuizioni di 30 anni fa: oltre l'80% delle nostre reazioni sono inconsapevoli: i cambiamenti terapeutici infatti avvengono bottom-up, partendo dal paleoncefalo per arrivare alla corteccia, e non viceversa, top-down (Nardone & Milanese, 2018). Allo stesso modo le relazioni si basano in gran parte sulle sensazioni, sulle percezioni, sulla comunicazione non verbale, su meccanismi che sono al di sotto della coscienza. Di fronte a uno stimolo forte si verificano due reazioni: la prima sotto-coscienza che è rapidissima, la seconda cosciente, corticale, più lenta. Quindi prima che il controllo corticale si attivi il mio organismo in realtà ha già reagito. (Nardone G. , 2005) Tuttavia, non possiamo studiare la relazione con un metro quantitativo poiché sarebbe una metodologia fallace. “E’ da ingenui credere che si possa spiegare la magia. La magia non si può spiegare, si può solo praticare” (von Foerster, 1997). Lo stimolo più veloce ed efficace per smuovere le leve paleoncefaliche è il contatto emotivo; quando entriamo in relazione con una persona le prime parti attivate sono quelle percettivo- 7
emotive paleoncefaliche, quelle che determinano l'effetto prima impressione, come giustamente sosteneva Oscar Wilde: “Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze”. Relazione terapeutica ed esperienza emozionale correttiva. La relazione terapeutica è il terreno nel quale possono germogliare i semi di quelle che Frank Alexander definiva esperienze emozionali correttive (Alexander, French, & al., 1946). Creiamo delle risposte nei pazienti sulla base di come tocchiamo le loro corde emotive; l’esperienza emozionale correttiva per alcuni approcci psicoterapeutici è casuale e imprevedibile, mentre in ottica strategica-interazionale, viene ricercata con un intervento pianificato. Analogamente la relazione che in molti approcci è intesa come un qualcosa che si configura spontaneamente, mentre in Terapia Strategica come un elemento che va gestito e indirizzato: creare un contatto relazionale che presupponga (complementare a) un’esperienza emozionale correttiva, è un modo per ridurre le resistenze al cambiamento del paziente. 8
Educare l’incoscienza verso una consapevolezza operativa. Ogni relazione consiste per l’80% di comunicazione non verbale, paraverbale e tecniche evocative. Nella relazione terapeutica si tratta di farci sentire caldi o freddi, giudicanti o complici, vicini o lontani. Ma tale lavoro non può essere ragionato, non vi è tempo, è uno scambio fluido, se penso arriverò sempre in ritardo. Devo riuscire a inibire la coscienza, sviluppando un’incoscienza educata, ottenendo quella che si chiama consapevolezza operativa. Se provo a controllare questo processo con la mente razionale o mi blocco o divento farraginoso. È la differenza che c'è tra la consciuosness e l'awareness. La prima, la coscienza, è sempre un’astrazione intellettuale, valuta; la consapevolezza è essere presente, sente. La coscienza mi permette di valutare ciò che ho pianificato, la consapevolezza invece di reagire prontamente. Siamo poco abituati ad educare l'incoscienza, da sempre il lavoro psicoterapeutico, psicologico, pone attenzione alla coscienza, a rendere conscio ciò che è inconscio. Invece oggi le neuroscienze ci dimostrano che le migliori prestazioni fisiche, mentali ed artistiche e la maggior parte dei nostri processi mentali si compiono al di sotto del livello della coscienza. Linguaggio non verbale nella relazione terapeutica Le tecniche mi aiutano a gestire la relazione, ma può non essere sufficiente, la relazione è infatti prodotta da tecnica e comunicazione insieme ad altri aspetti. Data l’importanza dell’effetto prima impressione e della componente paleoencefalica, il linguaggio non verbale sarà determinante nella costruzione della relazione. Con il contatto oculare dovrò far sentire la persona osservata dalla punta dei capelli alla punta dei piedi; il primo senso coinvolto è quello della vista, la prima forma di relazione dipende dalla sensazione che induciamo nel paziente quando ci guarda. La vista è infatti il senso deputato a discriminare tra cosa è un pericolo e cosa non lo è, tra ciò che ci attrae e ciò che ci respinge. Lo sguardo del terapeuta dovrebbe tracciare una distinzione, dare l’impressione di essere diverso da quello degli altri. Gli altri 9
fattori che giocano un ruolo chiave nella costruzione della relazione sono la gestione del primo contatto, la stretta di mano, il saluto. Dal primo contatto a quando entriamo nello studio e ci sediamo dobbiamo raccogliere tutte le informazioni non verbali che ci permettano di capire che posizione relazionale sarà necessaria per il paziente che abbiamo davanti: se sarà teso dovrò ammorbidirlo, se vi è un eccesso di timore rassicurarlo, dovremmo “Cambiare sempre rimanendo gli stessi” (Nardone & Balbi, 2008). Dobbiamo sintonizzarci con il paziente, non per costruire una relazione meramente empatica, non per costruire un rapport, ma per poter assumere la posizione relazionale più idonea per provocare il cambiamento, quella complementare al cambiamento. Nel corso della seduta, tramite il linguaggio non verbale, dovrò far percepire al paziente che ha la mia completa attenzione: sono fermo, calmo imperturbabile e pronto ad ascoltarlo. Risultano fondamentali per questo gli autotoccamenti; un contatto oculare fluttuante; l’utilizzo della voce, che dovrà essere modulata come musica, per assonanza o per dissonanza armonica: i contrasti percettivi infatti vengono avvertiti maggioramene dall’essere umano. La dissonanza armonica può essere creata sul contenuto, sul suono, ma anche sul ritmo della frase. Un esempio sul contenuto è: “La dissonanza è un dispendio economico”. In che modo la tecnica può migliorare la relazione? La seguente storia è tratta dal libro “Il linguaggio del cambiamento” di Paul Watzlawick. Si racconta che un Milton Erickson, psichiatra ancora giovane, si sia trovato di fronte a un paziente di 25 anni ricoverato da ormai 5 anni in psichiatria. Non era stato possibile identificarlo, in quanto era privo di documenti e nessuno ne aveva denunciato la scomparsa, inoltre il paziente non pronunciava frasi comprensibili tranne: “Mi chiamo George”, “Buongiorno” e “Buona notte”. A ogni tentativo di intavolare con lui un discorso reagiva con lunghe e veloci verbalizzazioni in una lingua inventata. Per anni nessuno era riuscito a trovare un senso nelle insalate di parole di George, che ormai lasciato in un angolo, mugugnava tra sé 10
e sé quasi interrottamente. Per alcuni giorni Erickson passò un’ora seduto in silenzio accanto a George, che lo ignorava, fino a quando un giorno pronunciò improvvisamente il suo nome ad alta voce, come se si stesse presentando all’aria. George non reagì fino all’indomani, quando Erickson pronunciò il suo nome rivolgendosi direttamente a lui. Senza guardarlo, George tirò fuori una lunga insalata di parole, espresse in tono adirato. Erickson, accuratamente preparato all’intervento, rispose a questa esplosione con un’insalata di parole altrettanto lunga, ma cortese, che suonava simile al linguaggio artificiale del paziente, ma con pseudovocaboli diversi. George sembrò sbalordito e quando Erickson ebbe finito rispose con un’altra verbalizzazione, che questa volta suonava interrogativa, a cui Erickson, di rimando, rispose in un tono di cortese spiegazione. Il giorno successivo la conversazione cominciò con la reciproca enunciazione dei loro nomi, seguita da un’insalata di parole di George, che durò ininterrottamente per 4 ore. Erickson rispose con un’insalata di parole di 4 ore. Seguì un’altra verbalizzazione di due ore di George, a cui Erickson rispose in maniera altrettanto lunga. Il mattino seguente, dopo uno solo breve scambio di neologismi, a un certo punto George disse: “Parli in modo ragionevole dottore”. Erickson replicò “Perché no? Con piacere, qual è il suo cognome?” Dopo circa un anno George fu dimesso e trovò lavoro. Ogni tanto tornava a trovare Erickson e il loro colloquio iniziava e terminava con un pizzico di insalata di parole. “Non c’è niente che superi un pizzico di assurdità nella vita; non è vero dottore?” (Watzlawick, 1980). In questo caso ci troviamo di fronte a un intervento tecnico per trattare il sintomo insalata di parole, ma questa tecnica è anche l’unica modalità relazionale, che permette di entrare in contatto con un paziente. 11
Tecniche relazionali in Terapia Breve Strategica. Anticipazione. L’anticipazione è una tecnica che permette di costruire in modo rapido una buona alleanza terapeutica. In Terapia Breve Strategica il terapeuta aggiunge al racconto del paziente, durante le parafrasi ristrutturanti, o mentre questi sta esponendo il problema, informazioni dedotte dai contenuti della storia del paziente, dall’osservazione del suo comportamento non verbale, aiutato dal bagaglio della propria esperienza clinica. Questa tecnica fa sentire il paziente pienamente compreso, e di fronte a una persona preparata tecnicamente che conosce bene il suo tipo di problema (Rampin & Nardone, 2002). Il risultato finale è quello di ridurre la resistenza al cambiamento e far sì che il paziente sia più predisposto a rivelare più informazioni su si sé. Due componenti del dialogo strategico, che vediamo di seguito, fanno largo uso dell’anticipazione: le domande ad illusione di alternative e l’utilizzo del linguaggio evocativo. Nelle prime infatti, una delle due alternative proposte anticipa uno scenario che rispecchia la percezione del paziente “Ma lei quando ha gli attacchi di panico, ha più paura di morire o di perdere il controllo?” 12
L’evocare sensazioni, in particolare tramite analogie che spesso sono proposte in fase di definizione del problema, fa sentire al paziente che il terapeuta ha chiaro non solo il problema ma anche la percezione emotivo-sensitiva del paziente. Il Dialogo Strategico. Il Dialogo strategico è una tecnica comunicativa (Nardone & Salvini, 2004) che si avvale di cinque componenti: le domande ad illusione di alternativa; le parafrasi ristrutturanti; il riassumere per ridefinire, l’evocare sensazioni e il prescrivere come scoperta congiunta. Se ne analizzano di seguito i risvolti sulla relazione terapeutica. L’utilizzo delle Domande ad illusione di alternativa permette da un lato di far sentire il paziente accettato e compreso, elevandolo al ruolo di esperto del problema e dall’altra parte fa percepire il terapeuta quale professionista tecnicamente preparato. Le alternative proposte infatti sono costruite sulla base dell’esperienza clinica e propongono scenari che ricalcano le percezioni, le reazioni e i copioni comportamentali che si ritrovano costantemente in chi è affetto dallo stesso disturbo del paziente. Le Parafrasi ristrutturanti consistono nel riproporre al paziente, chiedendo conferma dell’esattezza, una parafrasi di ciò che lui ci ha detto, aggiungendo elementi che ne riorientano la narrazione verso la direzione del cambiamento terapeutico. Queste fanno sentire al paziente che il terapeuta lo comprende in maniera attiva. L’ Evocare sensazioni è reso possibile grazie al ricorso al linguaggio evocativo, a analogie, aforismi e metafore. Da un punto di vista relazionale ciò permette di far sentire il paziente compreso anche dal punto di vista sensitivo - viscerale ed emotivo. In questo modo il paziente percepirà di essere davanti a un professionista non solo tecnicamente preparato, ma anche in grado di capire cosa lui prova. 13
A differenza di altri approcci come la terapia centrata sul cliente di Carl Rogers, il terapeuta non deve empatizzare fin quasi a provare le stesse emozioni del paziente, ma fargli percepire che è in grado di capire quello che lui sta provando. Il Prescrivere come scoperta congiunta consiste nell’ingiungere o proporre la prescrizione come conseguenza diretta del processo dialogico terapeutico, facendo sentire il paziente coinvolto in questo processo, si azzera la resistenza al cambiamento aumentando l’aderenza. Mirroring, Ricalco e Rapport e Sintonizzazione. Secondo Bandler e Grinder (Bandler & Grinder, 1981) tutti i più grandi terapeuti sono in grado di costruire uno stato di eccellenza relazionale, all’interno della quale il paziente si sente compreso, accettato e sente di potersi fidare: il Rapport. Questo si può ottenere rispecchiando il paziente – Mirroring –, cioè ricalcandone – Ricalco –, le modalità comunicative verbali, non-verbali e para-verbali – Matching –, e la componente motoria – Pacing –. In Terapia Breve Strategica, come diceva Milton Erickson (Nardone & Salvini, 2013), si deve imparare ad usare il linguaggio del paziente (Watzlawick, 1980) nelle sue componenti verbali, non verbali e para-verbali. Si parla allora di Sintonizzazione, che suggerisce come, per avvicinarsi in maniera efficace all’altro, “creare sintonia”, sia spesso necessario assumere posizioni differenti e utilizzare modalità linguistiche diverse, complementari rispetto a quelle dell’interlocutore. Si utilizzano un linguaggio e degli atteggiamenti che siano armonici con quelli del paziente, piuttosto che identici o simili, assumendo, come già visto, una posizione complementare al cambiamento che si vuole introdurre. Ad esempio, non avrà alcuna utilità ricalcare in tutte le modalità relazionali un paziente depresso, mentre risulterà utile utilizzarne il linguaggio per farlo sentire compreso e accettato; per poi pormi nei suoi confronti in maniera complementare al cambiamento. La Sintonizzazione è una tecnica di ipnosi senza trance della Psicoterapia Breve Strategica modello Nardone (Nardone & Salvini, 2013). 14
I due concetti che seguono sono tratti dalla Pragmatica della comunicazione umana di Watzlawick, Beavin e Jacson. Relazione simmetrica e complementare. “Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.” (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971) Nella relazione tra due comunicanti osserviamo le reazioni di un individuo B al comportamento di A, ma subito dopo dobbiamo esaminare anche come queste reazioni influenzino il comportamento successivo di A, e l’effetto che questo comportamento ha su B. Quando le reazioni di A e B sono uguali si parla di Relazione Simmetrica, quando sono diverse di Relazione Complementare (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971). Nel primo caso i modelli delle reazioni tendono a rispecchiare il comportamento dell’altro, perciò sono definiti simmetrici. Nel secondo caso si dice che il comportamento dell’interlocutore B completa quello di A con un diverso tipo di comportamento. Nella relazione complementare dunque abbiamo un comunicante in posizione superiore, primaria – Posizione one-up – e l’altro in posizione inferiore, secondaria – one-down –, tali definizioni sono esenti da alcun tipo di giudizio buono-cattivo, forte-debole. Le relazioni complementari possono essere determinate anche dal contesto sociale e culturale, si pensi alla relazione madre-figlio, medico-paziente o insegnante-allievo, in ogni relazione complementare abbiamo comportamenti diversi, che si adattano ai rispettivi ruoli, che si richiamano a vicenda. “Un partner non impone all’altro una relazione complementare, ma piuttosto ciascuno si comporta in un modo che presuppone il comportamento dell’altro, mentre al tempo stesso gliene fornisce le ragioni: sono quindi sempre calzanti le definizioni che essi danno della relazione” (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971). 15
I livelli comunicativi di contenuto e di relazione. “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione.” (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971) Ogni comunicazione implica un impegno relazionale e definisce anche il modo in cui il trasmettitore di un messaggio considera la sua relazione con il ricevitore. La relazione stabilisce il significato che va attribuito al messaggio contenuto nella comunicazione: il medesimo enunciato acquisisce infatti significati diversi a seconda del contesto relazionale in cui viene espresso. (Nardone & Salvini, 2013) La comunicazione è quindi non solo uno scambio di informazioni – Report o Notizia – ma impone o richiama un certo comportamento – Command o Comando – che ci si attende all’interno di quella relazione. Se pensiamo a tre neuroni eccitatori (A, B, C) disposti lungo una catena lineare: AàBàC L’attivazione di B costituisce sia il Comando per l’attivazione del neurone C che la Notizia che il neurone A si è attivato. Ritornando all’interazione umana la Notizia rappresenta il contenuto del messaggio inviato, mentre il Comando rappresenta il tipo di messaggio e il tipo di relazione che vi è tra i due comunicanti. Ad esempio, due frasi come: “E’ importante fare le cose per bene e con impegno” o “Fai le cose con superficialità e ne avrai brutte conseguenze”; recano più o meno la stessa notizia, ma definiscono relazioni molto diverse. Le relazioni di solito sono definite inconsapevolmente, solo raramente vengono definite consapevolmente. Gli autori sostengono che quanto più una relazione è spontanea e “sana”, tanto più l’aspetto relazionale recede sullo sfondo. Per contro, le relazioni “malate” sono caratterizzare da una lotta costante per definire la natura della relazione, ed è il contenuto della comunicazione a passare in secondo piano. 16
Pensando a una calcolatrice la Notizia sono le cifre che digitiamo, mentre l’operazione che chiediamo di fare tra le cifre è il Comando, questo quindi è un’informazione sull’informazione, una Metainformazione (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971). Da ciò ne consegue che lo stesso contenuto può assumere significati diversi e implicare comandi diversi, e da questo nascono complicazioni nelle interazioni. Gli autori descrivono queste situazioni portando come esempio un cartello posto in un ristorante che recita: “I clienti che credono che i nostri camerieri siano scortesi dovrebbero vedere il direttore”. Le cose si complicano ulteriormente quando si hanno paradossi logici, quando nello stesso messaggio troviamo due comandi contrastanti, due esempi in questo senso sono la celebre frase di Epimenide di Creta: “Tutti i cretesi mentono”, o un cartello con scritto “Ignorate questo cartello” (Watzlawick, Beavin, & Jacson, 1971). Clicca qui per comprarlo al miglior prezzo su Amazon 17
La Relazione terapeutica in Terapia Breve Strategica. Come abbiamo detto prima, il terapeuta strategico deve assumere una posizione non neutra né simmetricamente congruente (speculare) al paziente, ma complementare al cambiamento di questo. Abbiamo visto infatti che in Pragmatica della Comunicazione una posizione complementare presuppone un comportamento, in questo caso la posizione del terapeuta, complementare al cambiamento, presuppone il comportamento di cambiamento nel paziente. Seguendo uno stratagemma antico che recita: “Lineare contro circolare e circolare contro lineare”, il terapeuta deve “Sapersi sintonizzare sul canale complementare a quello del nostro interlocutore, in modo tale da creare una dinamica di relazione in cui la sua posizione divenga emotivamente insostenibile” (Nardone G. , 2003). Gestita in questo modo la relazione terapeutica diviene la regina delle tecniche terapeutiche. Riassumendo per ridefinire possiamo quindi affermare che in Terapia Breve Strategica la relazione diviene tecnica, e le tecniche divengono relazione. In generale, la relazione andrà modulata e calzata sia al disturbo che il paziente presenta, sia alla personalità, alle caratteristiche e alle prerogative di questo. 18
Analisi dei casi clinici Segue ora l’analisi di sei casi: particolare attenzione sarà attribuita agli aspetti che riguardano la relazione terapeutica. Ogni riferimento a persone, luoghi ed aziende è stato modificato e romanzato nel rispetto della Privacy dei pazienti. Caso 1: L’ ambivalente Si tratta di una paziente che presenta un disturbo alimentare di tipo Binge-Eating nel contesto di un Disturbo Borderline di Personalità. Le tecniche e le manovre comunicative proprie del protocollo terapeutico del Binge-eating sono quindi adattate e inserite all’interno del contesto relazionale richiesto dal trattamento del disturbo di personalità. Questa paziente presenta una costanza nell’incostanza, caratteristica tipica del Disturbo Borderline di Personalità, ma a differenza della paziente del caso “Ho smarrito la rotta”, sempre con stessa diagnosi personologica, mostra anche una forte ambivalenza relazionale nei confronti del terapeuta. Se infatti per un verso sembra richiedere aiuto, per l’altro si oppone con scuse e autoinganni alle manovre del terapeuta. Si configura dunque una resistenza del 3° tipo, quella con cui si 19
definiscono pazienti non collaborativi o dichiaratamente oppositivi (Nardone G. , 1997). Il terapeuta danza tra differenti linguaggi e posizioni relazionali, in maniera quasi seduttiva tra empatia, squalifica, protezione e avversione. Si tratta di essere caldi ed empatici quando la paziente tende a sminuirsi; squalificanti in maniera terapeutica quando la paziente si oppone all’intervento con autoinganni; direttivi quando questa si oppone alle prescrizioni con scuse inconsistenti, per gestire la resistenza al cambiamento. Fondamentali in questo caso sono l’ironia, che viene utilizzata per la sua intrinseca ambivalenza, e la capacità di evocare sensazioni piacevoli e creare avversione verso le tentate soluzioni disfunzionali. L’utilizzo della tecnica dell’anticipazione con forti analogie permette di fare questo. Il disturbo alimentare della paziente si regge infatti su una dinamica disfunzionale di sapersi o meno concedere il piacere con il cibo, e quello di piacersi e piacere. Il terapeuta dovrà far sentire alla paziente che sa gestire e quindi apprezzare i piaceri in maniera più funzionale di lei. Nella seconda seduta la paziente mostra esplicitamente la propria ambivalenza patologica, riferendo di aver disatteso completamente le indicazioni terapeutiche fornitegli e di essersi fatta inserire in lista per un programma Day-hospital per il trattamento del disturbo alimentare, già prima dell’inizio della terapia. All’ambivalenza patologica della paziente il terapeuta oppone un’ambivalenza terapeutica: “io mi tiro indietro per il tuo bene, ma ci sono”, si allea con la parte sana della paziente, ma si oppone agli autoinganni e alle modalità relazionali patologiche della paziente. Sempre nel corso della seconda seduta il terapeuta svela alla paziente la tentata soluzione fallimentare relazionale basata sull’ambivalenza; espressa in questo caso nella scelta in contemporanea di due progetti terapeutici contrastanti. “È come avere… il fidanzato e l’amante, diventano complementari e non c’è la soddisfazione… sono stato chiaro?” Il terapeuta deve uscire dalla posizione di simmetria con gli altri terapeuti, propostagli dalla paziente, che garantirebbe il fallimento terapeutico e la cronicizzazione delle tentate soluzioni proponendo una nuova ambivalenza terapeutica: “Io in questo momento devo fare il passo 20
indietro perché loro lo facciano avanti… se volessi fare questo gioco, che a te viene bene di tenere il piede in due scarpe…” La prescrizione che segue è in linea con la posizione relazionale assunta: non prescrivere ma fornire la propria disponibilità. Caso 2: Ho Smarrito la rotta Si tratta di una paziente con Disturbo Borderline di Personalità che in questo caso invece manifesta una tendenza ossessivo-paranoica, con la propensione a rimuginare sui propri difetti estetici, sull’ostilità che gli altri avrebbero nei suoi confronti, sugli errori con cui i suoi genitori l’avrebbero danneggiata. La paziente non si presenta incostante e ambivalente come quella precedente, quanto piuttosto disorientata completamente e priva di obiettivi. Se nel caso precedente possiamo paragonare la paziente a una barca che cambia rotta in continuazione, in questo caso ci troviamo di fronte a un’imbarcazione priva di timone, che quindi continua a girare su stessa. Entrambe sono incapaci di seguire una rotta, ma in maniera differente. In questa terapia quindi fin da subito il terapeuta si mostra quale guida e punto di riferimento, accogliente e caldo quando la paziente mostra le proprie ferite, ma direttivo e 21
fermo quando questa parla e si comporta seguendo le proprie interpretazioni paranoiche o fissazioni ossessive. Il linguaggio evocativo serve qui a far percepire modalità più funzionali di interagire con sé stessi, con gli altri e con il mondo: per questo si utilizzano aforismi, analogie e soprattutto massime. Le massime spiegano la realtà da un punto di vista, sono sentenze tratte dalla propria esperienza e proposte come norme universali che risultano utili nel far percepire il terapeuta quale guida per orientarsi nella vita. La paziente espone argomentazioni complicate e prolisse mediante un linguaggio semplice, per cui il terapeuta per persuaderla utilizza frasi puntuali e concise pregne di significato, è l’applicazione alla retorica dello stratagemma “Circolare contro lineare, lineare contro circolare”, già visto in precedenza (Nardone G. , 2003). La prescrizione del Come peggiorare serve per fornire una rotta alla paziente; le altre prescrizioni sono ridotte al minimo, possiamo vedere come tutta la dinamica ossessiva nel pensiero sia gestita esclusivamente nel corso delle sedute, soprattutto la quinta, grazie a ristrutturazioni e massime. Anche la parte paranoica, per la quale sono prescritte le Lettere di rabbia, è gestita soprattutto in seduta. Nel primo periodo spesso la paziente ha richiesto incontri in urgenza, il terapeuta si è mostrato presente ma deciso e contenitivo nei confronti di queste richieste al fine di stabilizzare e rendere costante ed equilibrato anche il percorso terapeutico, al ritmo e con le condizioni imposte dal terapeuta e non dalla paziente. Ter: “Ehi… ma le domande qui chi le fa… Io o te?”. 22
Caso 3: La garante della privacy Siamo di fronte a un fratello che porta in terapia la sorella, affetta da un delirio persecutorio. In questo caso la resistenza al cambiamento è quindi del 4° tipo: pazienti non in grado di collaborare né di opporsi deliberatamente, i quali presentano una “narrazione” di sé stessi e dei propri problemi al di fuori di ogni ragionevole realtà. Il terapeuta deve quindi entrare nella logica della rappresentazione delirante proposta dalla paziente, assumerne i codici linguistici e valoriali, e seguire le tracce di questa narrazione per aggiungere altri elementi al narrato, elementi che pur non negando la realtà delirante la riorientano in una direzione differente (Nardone G. , 1997). Il terapeuta non nega mai apertamente le richieste della paziente, le riconosce comunicando in sostanza il messaggio: “Sì, ma è una cosa diversa”. Allo stesso tempo però deve essere fermo e deciso per evitare che la paziente possa imporre le proprie condizioni alla terapia, il terapeuta detta le condizioni della terapia in modo che possano essere accettate dalla paziente. Illuminante in tal senso è lo scambio in cui la paziente continua a voler impedire al fratello di parlare e raccontare della situazione gridando che siccome vi è la privacy alcune cose, il motivo per cui sono venuti in terapia, non vadano dette. Il Terapeuta ridefinisce il raccontare del fratello in modo che sia compatibile con la realtà delirante della paziente, senza retrocedere però di un millimetro dalla propria posizione. 23
Quando la paziente si irrigidisce nella propria costruzione delirante il terapeuta si fa elastico. L’essere fermo e risoluto non impedisce al terapeuta di dimostrarsi disponibile e caldo nell’accogliere la paziente, farla sentire accettata e indurla a parlare. Paz: “Cioè dì…cioè non so se sa cos’è il DOC…”. Ter: “Se me lo spieghi sono contento…” Paz: “Cioè… ehm io… so che mio fratello ha le ossessioni, però non so che tipo di disturbo è…” Ter: “Ma tu hai qualcosa di simile a quello che ha tuo fratello?” Quando la paziente esce dal mondo delirante si presenta oppositiva e quindi la posizione del terapeuta cambia ancora, esaspera il punto di vista della paziente, per far sì che, opponendosi, finisca per assumere la posizione da lui desiderata, seguendo lo stratagemma che recita: “Se vuoi drizzare una cosa, impara prima come storcerla di più” (Nardone G. , 2003). Ter: “Non hai alcun problema?”. Paz: “No…No”. Ter: “Ehh perdonami, quindi avete fatto più di mille chilometri per venire a dire a me io non ho alcun problema?” Paz (interrompe): “No adesso no… cioè…”. Ter: “Sono felice se è così!” Ter: “E adesso non hai nessun problema?” Paz: “No, No. No. Non mi sento di avere qualche disturbo o problemi…”. Ter: “Quindi adesso va tutto bene nella tua vita?” Paz (annuisce). Ter: “Sei soddisfatta e felice?” PAZ: “Va beh felice… ho momenti di tristezza…” Ter: “Soddisfatta, felice, realizzata…” Paz: “Mah felice non tanto”. A conclusione della seduta il disturbo della paziente, la tendenza a pensare che i suoi genitori ce l’abbiano con lei, viene utilizzata come risorsa terapeutica: “Stavo spiegando a lui, senza violare alcuna privacy che, da quello che mi avete detto, penso che non sia un problema tuo, ma sia un problema di dinamica famigliare”. In questo modo elevando la paziente a coterapeuta la si mette in una posizione relazionale in cui, non solo è obbligata, ma è anche desiderosa di accettare le regole e le condizioni della terapia. 24
Caso 4: L’amante segreto Si tratta di una paziente con un Disturbo da Vomiting, un disturbo del comportamento alimentare che si basa sulla compulsione piacevole di mangiare e vomitare. Il vomito da tentata soluzione per poter mangiare senza ingrassare diviene un disturbo. Poiché il Vomiting ha una logica basata sul piacere, per catturare i pazienti affette da questo tipo di disturbo occorre evocare sensazioni, sia di piacere che di avversione. Altrettanto fondamentale risulta far sentire a questi pazienti che comprendiamo la base piacevole del loro disturbo. “Questa è diventata una compulsione basata sul piacere, e quindi il mangiare e vomitare è il demone che travolge, sconvolge, lascia lì… tramortite dal piacere e poi quindi c’è voglia di rifarlo”. Gli altri approcci psichiatrici o psicoterapeutici infatti non riconoscono la possibilità che il vomito possa diventare una compulsione piacevole, ma leggono questo solo come condotta eliminatoria di un altro disturbo alimentare. Così facendo il terapeuta non sarebbe in grado di costruire un’adeguata alleanza terapeutica contro il disturbo, né tanto meno di far sentire la paziente capita. Per questo motivo il terapeuta strategico ricorre a un linguaggio 25
evocativo carico di forti analogie, utilizzando un tono di voce caldo e suadente. “Quindi da quando il demone del vomito ti ha rapito del tutto, non ci possono essere altri amanti se non lui. Dico bene?” Risulta fondamentale in questi casi l’alleanza di terapeuta e paziente contro la patologia, proprio per la logica di funzionamento basata sul piacere, che rende il disturbo particolarmente resistente al cambiamento. “Esattamente così… Quindi è un’amante segreto, non è un disturbo… (pausa) che è il peggiore dei disturbi perché è piacevole, non è sofferto, sai tanti anni fa si parlava di comportamenti autodistruttivi, il mangiare e vomitare non è autodistruttivo è piacevole”. Per lo stesso motivo occorre testare la reale collaboratività della paziente, che spesso è inferiore a quanto appare, ed elicitarla: “Quindi il Vomiting si può curare anche rapidamente… Però prevede da parte tua molta partecipazione… Quindi siamo in due. Io sono lo stratega, tu sei il soldato… Se il soldato non segue la strategia la vittoria non arriverà. E quello che ti chiederò ti avverto non sarà facile, però mi aspetto che tu lo segua. Quindi io non mollerò se tu non molli”. La prescrizione è ingiunta in maniera suggestiva, in modo che la paziente aderisca alla prescrizione nel momento edonico del vomito: “Allora primo esperimento terapeutico… Ti avverto decisamente duro, ma se funziona decisamente il migliore”. Nel corso delle sedute successive si tratta di valorizzare i risultati ottenuti, ma essere fermi e decisi nel creare avversione nei confronti delle ricadute o degli autoinganni che concorrono a mantenere il disturbo. “È questo è il nostro bersaglio terapeutico fondamentale, perché tutto il resto viene dopo questo. Perché se tu hai la via d’uscita del vomito continuerai a sovralimentarti.” “Il problema peggiore sai qual è? Che quando tu vomiti, il tuo organismo comunque trattiene, ma trattiene le tossine. Quindi cellulite a cadere, gonfiori a cadere, So che ho toccato un 26
punto.” “Sai chi entra qui io gli faccio le radiografie davanti e di dietro ok? Tu sei gonfia da tossine!” Caso 5: Il figlio incostante Si tratta di una coppia di genitori preoccupati per il proprio figlio, affetto da disturbo Borderline di personalità, questo infatti spesso presenta episodi di rabbia, diventa aggressivo e non riesce a mantenere in maniera costante un lavoro. Il padre si pone in maniera simmetrica al terapeuta, e in posizione one-up rispetto alla moglie, screditandola. L’indagine in seduta mette in luce che il padre presenta uno stile iperprotettivo nei confronti del figlio (Nardone, Giannotti, & Rocchi, 2015). La madre invece appare arresa in posizione depressiva. Il terapeuta dovrà quindi porsi in posizione complementare, one-up rispetto al padre, e stanare la madre dalla posizione depressiva. Pad: “Come si inizia?” Ter: “Comincio io di solito…” Nei confronti della madre si pone quindi in posizione complementare al cambiamento, responsabilizzandola a riconoscere gli sbagli che effettivamente compiono nella gestione del 27
figlio, ma sollevandola allo stesso tempo dal senso di colpa per quelli che non dipendono da loro. “… E’ chiaro che vostro figlio presenta un disturbo… e un disturbo piuttosto serio… quindi se vogliamo dare un nome a questa cosa: si chiama disturbo Borderline di Personalità… ha sviluppato nel tempo; un’incapacità di mantenere una costanza, di portare avanti un progetto; ha una difficoltà a controllare gli impulsi, quando è provocato; ha una difficoltà ad accettare che gli altri non diano ragione sempre a lui, perché lui deve avere sempre ragione; ha difficoltà ad accettare che tutte le cose non vanno come lui vorrebbe che dovrebbero andare. Quindi alla fine ha proprio anche un disadattamento, ma è un effetto di un suo problema personale.” Il terapeuta fa si che i genitori interrompano le tentate soluzioni fallimentari di stimolare e spronare il figlio, che risultano complementari ai comportamenti disfunzionali di questo, e prescriverà una rotta di disimpegno, che è invece simmetrica ai suoi comportamenti. Tale rotta oltre ad essere simmetrica è anche complementare a comportamenti più maturi e sani del figlio, e presupporrà quindi il cambiamento delle condotte di questo. Nel corso della seconda seduta il terapeuta consolida il cambiamento ottenuto nelle dinamiche relazionali Pad: “Mia moglie mi ha fatto un cicchettone, quindi ora sto zitto” Ter: “Cicchettone ben arrivato! Brava! Allora andiamo avanti!”; anche con il ricorso a self- disclosure per confermare come gesitre le posizioni relazionali: essere inflessibili con i sottoposti, e non con i figli. “L’ operaio l’affogo nella piscina e poi lo do in pasto ai cani. Povero, il capo è venuto lui di persona. Sai in quanto tempo ha finito tutto? In due ore! Quindi! Quelli che ti fanno il bagno, bisogna star lì, con il fucile spianato, me lo dovresti insegnare tu. L’hai fatto per tanti anni… Mentre con i figli ottengo l’effetto contrario…” 28
Caso 6: La dermatologa in carriera Giulia è una dermatologa avviata verso una brillante carriera, lavora presso un Ospedale di punta della Lombardia, la sua attività è principalmente ambulatoriale e consiste nel controllare nei per scorgere eventuali formazioni maligne, i melanomi. Una forma di tumore per cui ad oggi l’unica vera terapia curativa consiste nel riconoscimento e nell’asportazione precoce. A livello professionale è bravissima ed apprezzatissima: preparata e capace, sa con sicurezza quando su un neo è necessario intervenire con ulteriori approfondimenti diagnostici o con l’asportazione e quando invece, questo anche se brutto è benigno. Tutto sembra andare per il verso giusto fino a quando 3 anni fa scorge su suo marito un neo che non le sembra essere francamente pericoloso ma di cui non è sicura: “E se fosse un melanoma che non sono in grado di riconoscere?” In questo caso il rigore e la freddezza che la contraddistinguono si infrangono sugli scogli dell’emotività: non riesce ad essere tecnica ed imparziale come con 29
suoi pazienti e i dubbi continuano a crescere. Pertanto, decide di far valutare il neo del marito dal suo collega più esperto e questi conferma la benignità della formazione; ma poco dopo i dubbi ripartono: “E se si stesse sbagliando anche il mio collega?” I dubbi la attagliano talmente tanto che decide di far asportare comunque il neo, operazione non necessaria né indicata, convinta di risolvere una volta per tutte il problema. L’analisi istologica del neo ne conferma la non pericolosità. Finalmente tutto sembra essersi risolto fino a quando, poche settimane dopo, Giulia visita un paziente con metastasi linfonodali secondarie a un melanoma già asportato che, all’analisi istologica, non aveva presentato cellule maligne. “E se succedesse così anche con il neo di mio Marito?” e i dubbi ripartono. Inizia allora lunghe ed interminabili ricerche in letteratura per documentarsi su questo tipo particolare di melanomi; trovato il maggior esperto nazionale, si rivolge a lui per richiedere una rivalutazione istologica del neo incriminato. Scrupolosa come è, ha infatti conservato i vetrini del neo del suo partner. Anche questa volta il responso è rassicurante e una volta per tutte Giulia sembra calmarsi, ma per poco. Infatti, presto sorge in lei il dubbio che anche l’esperto possa essersi sbagliato. I dubbi aumentano sempre più fino a quando si trova a pensare alla possibilità di sottoporre il marito ad un’altra operazione, non richiesta e più invasiva della precedente, allo scopo di tranquillizzarsi. È in questo momento che si accorge della spirale, potenzialmente senza fine, in cui si è infilata: prima o poi anche questa operazione non sarebbe più stata sufficiente e l’avrebbe così portata a una sequenza di interventi via via sempre più invasivi, che era già iniziata. Pur avendo preso coscienza di ciò il dubbio che quel neo possa essere maligno la tormenta sempre di più. Quando è con il marito è assediata in continuazione da dubbi a cui cerca di dare risposte razionali che sembrano placarsi per un istante, per poi tornare ancora più forti. Quando è al lavoro continua a tormentare i colleghi in cerca di rassicurazioni, ed è così tormentata che ben presto si sfoga confidando le proprie angosce anche alle amiche estranee alla professione. Finalmente decide di chiedere un aiuto specialistico ad uno psicoterapeuta. 30
È chiaro che siamo di fronte a un caso di Dubbio Patologico, complicato dalle risorse e dalla conoscenza dell’argomento della paziente; aggravato dal fatto che per lavoro lei sia quotidianamente a contatto con possibili trigger del disturbo. Per questo la prima mossa terapeutica e relazionale consiste nel far sentire a Giulia come il conoscere approfonditamente l’argomento non abbia sedato il dubbio, ma anzi abbia portato a creare con più facilità scenari terrorizzanti. La conoscenza e il continuare a documentarsi nutre infatti la tentata soluzione principale che mantiene in essere il Dubbio Patologico: il tentativo di trovare una risposta razionale definitiva che possa risolvere una volta per tutte gli interrogativi mentali. Si tratta quindi di far percepire a Giulia, tramite l’utilizzo del Dialogo strategico e di ristrutturazioni, che la conoscenza e il tentativo di rispondere razionalmente a un dubbio che razionale non è, lo alimenta invece che ridurlo, poiché non può essere trovata una risposta certa definitiva. Si procede quindi come da protocollo con la prescrizione di Bloccare le risposte per inibire le domande, e di Esasperare per iscritto i propri dubbi, quando questi sono troppo conturbanti e Giulia non riesce a bloccare le risposte mentali. La paziente è stata coinvolta in una sequenza di ragionamenti e ristrutturazioni, che sono state co-costruite, facendo leva sulle sue risorse intellettuali e competenze professionali. Di fondamentale importanza è stato l’assumere una posizione ambivalente in cui valorizzare le risorse e competenze professionali di Giulia, ma allo stesso tempo farle percepire che queste mal-orientate mantenevano in essere il problema. “Se non fossi così brava e preparata non avresti costruito un disturbo come questo, si tratta di riorientare le tue risorse in modo che ti aiutino nella tua professione e la smettano di imprigionarti”. Il terapeuta tramite Domande orientanti e a illusione di alternativa ha guidato la paziente in un processo, anche in questo caso co-costruito, che l’ha portata a sentire che anche i tentativi di soluzione diagnostico-chirurgici e la socializzazione del problema alimentavano i dubbi, invece che ridurli. Per questo come scoperta congiunta sono state prescritte la Congiura del silenzio sul 31
problema e l’interruzione di tutti i tentativi diagnostico-terapeutici nei confronti del neo incriminato. Dal punto di vista relazionale è stato anche necessario sollevarla, con ristrutturazioni e con l’utilizzo del linguaggio evocativo, dal senso di incapacità professionale che ormai si era fatto strada in lei. “Quello che hai passato ti porterà ad essere una dermatologa ancora più brava e attenta”. Ottenuto lo sblocco dopo la prima seduta, in fase di consolidamento Giulia è stata coinvolta in maniera molto attiva. Il terapeuta, di fronte a una persona con una preparazione tecnica così elevata, ha infatti dovuto assumere il ruolo di un consulente, esperto delle dinamiche percettivo-reattive mentali, in grado di riorientare la paziente per uscire dalle trappole che le sue risorse avevano costruito, e di reindirizzare queste verso il loro utilizzo funzionale. Anche quando si sono verificate ricadute, l’analisi del problema è stata iper-tecnica, analizzando con un approccio condiviso, strategico ma anche “medico”, le dinamiche che avevano portato la paziente alla ricaduta. Attualmente Giulia ha risolto il disturbo che la tormentava, ha ripreso a pieno ritmo la propria attività ambulatoriale, ed è in fase follow-up. L’analisi di questo caso ci mostra come il consueto protocollo per il trattamento del Dubbio Patologico, sia stato inserito in un contesto relazionale che, oltre a tenere conto del disturbo, ha considerato le caratteristiche professionali e personali della paziente. È stato necessario, ancor più di quanto lo è solitamente con questi disturbi, impostare una relazione iper-tecnica, assumendo lo scettro della direttività, per far percepire alla paziente che il terapeuta sapeva controllare meglio di lei. Allo stesso tempo è stato fondamentale però coinvolgere, più che mai attivamente, la paziente nella ridefinizione e nella ristrutturazione delle dinamiche percettivo-reattive che prima mantenevano e dopo rischiavano di ricreare il problema. 32
Conclusione “In Terapia Breve Strategica si tratta di oscillare tra la vicinanza e la distanza, in un’ambivalenza in cui accetto ciò che mi porti, ma trovo qualcosa che ti sconvolga, che ti scalzi dalla posizione di vittima. La sintonizzazione strategica è questa: Ti assecondo, ma ti bastono. Devi essere sempre quello a cui si può affidare, il paziente deve sentire che sei il nocchiero che guida il vascello di cui lui ha perso il controllo. In un’oscillazione costante, in cui non bisogna mai farsi sentire nello stesso modo, mai del tutto controllabile: che si tratti di dire qualcosa di scomodo con un tono di voce caldo o di pronunciare parole dolci ma con un tono di distacco.” G. Nardone Spero che il mio ebook ti sia piaciuto, fammi sapere cosa ne pensi! A presto! Luca Proietti 33
Bibliografia Alexander, F. G., French, T. M., & al., e. (1946). Psychoanalytic Therapy: Principles and Application. New York: Ronald Press. Assay, T. P., & Lambert, M. J. (1999). The empirical case for the common factors in the therapy: Qualitative findings. In M. A. Hubble, & B. L. Duncan, The heart and soul of change: What works in therapy (p. 33-56). Bandler, R., & Grinder, J. (1981). La struttura della magia. Roma: Casa Editrice Astrolabio. Carlino, E., & Benedetti, F. (2016). Different contexts, different pains, different experiences. Neuroscience, 338(3), 19-26. Luborsky, L. (2002). The dodo bird verdict is alive and weel-mostly. Clincal Psychology: Science and practice, 2-12. Luborsky, L., & Singer, B. (1975). Comparatives studies of pychotherapies. Is it true that 'everyone has won and all must have prizes? Arch Gen Psychiatry, 995-1008. Mulder, R., Murray, G., & Rucklidge, J. (2017). Common versus specific factors in psychotherapy: opening the black box. Lancet Psychiatry, 12(4), 953-962. Nardone, G. (1997). Il linguaggio che guarisce: la comunicazione come veicolo di cambiamento terapeutico. In P. Watzlawick, & G. Nardone, Terapia Breve Strategica (p. 69-83). Milano: Raffaello Cortina Editore. Nardone, G. (2003). Cavalcare la propria tigre. Gli stratagemmi nelle arti marziali ovvero come risolvere problemi difficili attraverso soluzioni semplici. Milano: Ponte alle Grazie. Nardone, G. (2005). Non c'è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico. Milano: TEA. Nardone, G., & Balbi, E. (2008). Solcare il mare all'insaputa del cielo. Lezioni sul cambiamento terapeutico e le logiche non ordinarie. Milano: Ponte alle Grazie. 34
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