La prevenzione della corruzione e la promozione della trasparenza nel mondo dell'Università e della ricerca
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La prevenzione della corruzione e la promozione della trasparenza nel mondo dell’Università e della ricerca * di Cecilia Siccardi ** (8 maggio 2019) SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il contesto normativo e “para-normativo”. – 3. Le misure di prevenzione alla corruzione e di promozione della trasparenza nel mondo dell’Università e della ricerca. – 4. Le misure trasversali di prevenzione alla corruzione in Università: criticità in relazione all’organizzazione per la prevenzione della corruzione e alla rotazione del personale del dirigente. – 5. Whistelblowing: la scarsa efficacia dell’istituto in ambito accademico e problematiche costituzionali. - 6. Tra trasparenza amministrativa e riservatezza: l’impatto della sentenza n. 20 del 2019 della Corte costituzionale nel contesto accademico. - 7. Tra imparzialità della pubblica amministrazione nelle procedure concorsuali e diritto all’unità familiare: dall’ondivaga interpretazione dell’art. 18, comma 1, lett b) della legge n. 240 del 2010 alla sentenza n. 78 del 2019 della Corte costituzionale. - 8. Tra prevenzione della corruzione e autonomia delle Istituzioni universitarie: brevi spunti conclusivi. 1. Premessa Il tema della prevenzione della corruzione e della promozione della trasparenza sta divenendo sempre più cruciale anche in riferimento al mondo dell’Università e della ricerca. Ciò è messo in luce, ad esempio, dalla copiosa giurisprudenza penale ed amministrativa in materia, come dalla recente attenzione posta dall’aggiornamento del Piano Nazionale anticorruzione proprio sul rischio corruttivo nelle Istituzioni universitarie1; o ancora dalle iniziative di alcuni Atenei, sempre più impegnati nella diffusione della cultura della legalità. Le Università, infatti, sono oggi destinatarie di numerosi obblighi legislativi volti a prevenire la corruzione nella sua accezione più ampia di “maladministration”, che coincide con “l’assunzione di comportamenti che, anche se non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico e pregiudicano l’affidamento dei cittadini nell’imparzialità delle amministrazioni (…)”2. Di conseguenza, le amministrazioni centrali degli Atenei, come i singoli dipartimenti, sono tenuti a porre in essere quotidianamente una serie di misure che non incidono solo in quei settori facilmente considerabili ad “alto rischio corruttivo” – come le procedure di reclutamento del personale docente – ma coinvolgono aspetti centrali * Scritto sottoposto a referee. 1 Cfr. Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1208 del 22 novembre 2017, Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, pp. 46 ss. 2 Determinazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 12 del 28 ottobre 2015, Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 7. 1
della vita accademica e scientifica, come l’attività didattica e di ricerca, nonché l’organizzazione di convegni e seminari. In questa logica, il tema della prevenzione alla corruzione in Università sembra porre problematiche di rilievo anche dal punto di vista del diritto costituzionale, le quali attengono, in via generale, al delicato bilanciamento dei principi costituzionali in gioco3. Le misure di prevenzione alla corruzione, infatti, pur trovando certamente “ un solido ancoraggio nelle previsioni costituzionali e (…) nel disegno del Costituente di realizzare una società libera dal malaffare e improntata ai principi di rispetto delle regole, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione”4 devono necessariamente confrontarsi con le peculiarità normative ed amministrative proprie del contesto accademico, poste a presidio di altri principi costituzionali, primi fra tutti la libertà scientifica e l’autonomia delle Istituzioni universitarie (art. 33, commi 1 e 6, Costituzione). Inoltre, sarà necessario considerare che le Università si trovano a fare i conti con il “nuovo scenario digitale” in cui sempre più i “diritti alla riservatezza e alla trasparenza si fronteggiano” (C. cost. sent. n. 20 del 2019). Tenendo sullo sfondo le problematiche appena prospettate, scopo di questo breve contributo è quello di analizzare alcune misure di prevenzione alla corruzione la cui applicazione sembra porsi in difficile equilibrio non solo con le specificità organizzative proprie delle amministrazioni universitarie, ma in taluni casi anche con principi costituzionalmente garantiti. 2. Il contesto normativo e “para-normativo” Prima di concentrarsi sulle singole misure di prevenzione alla corruzione oggetto della presente analisi, sembra opportuno delineare il complesso quadro normativo in materia. Quest’ultimo, infatti, parrebbe caratterizzato da un intricato intreccio tra fonti normative, atti amministrativi generali e di indirizzo – adottati sia dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, sia dal Ministero dell’Università e della Ricerca – nonché da atti predisposti dai singoli Atenei in espressione della loro autonomia 5. Tra le fonti primarie meritano di essere richiamate non solo le normative che, in via generale, intervengono in materia di anticorruzione e trasparenza, ma anche quelle che seppur specificamente dedicate al settore dell’Università sono indirettamente volte alla tutela della legalità e dell’efficienza di quest’ultimo. In via generale, le Università in quanto “pubbliche amministrazioni” sono soggette alla normativa anticorruzione, espressa nella legge n. 190 del 2012 (c.d. legge 3 In generale, sul tema del bilanciamento e della contesa fra diritti si veda su tutti M. D’AMICO, I diritti contesi. Problematiche attuali del costituzionalismo, FrancoAngeli, Milano, 2015. 4 I. NICOTRA, Il quadro delle fonti normative in tema di prevenzione e contrasto alla corruzione , in La prevenzione della corruzione. Quadro normativo e strumenti di un sistema in evoluzione, Atti del convegno - Pisa, 5 ottobre 2018, Collana del Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa, Giappichelli, Torino, 2019, p. 59. 5 Sulle criticità relative al sistema delle fonti in materia di misure di prevenzione alla corruzione nel mondo delle Università si veda F. DAL CANTO, Le regole dell’anticorruzione nel governo dell’Università, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione prevenzione.., cit., pp. 231 ss. 2
Severino), la quale ha introdotto nel nostro ordinamento un sistema di misure volte alla repressione e alla prevenzione dei fenomeni corruttivi 6. Con specifico riferimento alla promozione della trasparenza, “la quale rappresenta uno degli assi portanti della politica anticorruzione”7, rilevano il D.lgs n. 33 del 2013, adottato in attuazione della delega di cui alla legge n. 190 del 2012, nonché il D.lgs. 97 del 20168 che costituisce “il punto d’arrivo del processo evolutivo che ha condotto all’affermazione del principio di trasparenza amministrativa 9, che consente la conoscenza diffusa delle informazioni e dei dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni”, ribadendo allo stesso tempo il principio di “accessibilità totale” (C. cost. sent. n. 20 del 2019). Sempre la legge n. 190 del 2012 ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento un sistema di garanzie volte a tutelare il lavoratore che segnali illeciti, il c.d. whistelblowing (art. 54-bis, del D.lgs. n. 165 del 2001) 10, recentemente modificato dalla legge n. 179 del 2017, la cui utilità deriva al fatto di consistere in un istituto “crocevia tra approccio preventivo e strumenti di repressione”11. Tra le normative che sono, invece, dedicate al mondo dell’Università e della ricerca deve essere richiamata la legge n. 240 del 2010 (c.d. legge Gelmini) 12, la quale mira ad incentivare “la qualità e l'efficienza del sistema universitario” – come si evince dalla stessa rubrica della legge – riaffermando “per i mondi accademici la necessità del rispetto di regole di trasparenza e buona amministrazione che dovrebbero essere ormai da decenni patrimonio di una qualsiasi amministrazione democraticamente moderna, per quanto speciale ed autonoma” (T.A.R. Trentino Trento, sez. I, 8 novembre 2013, n. 366). 6 Sul quadro normativo in materia di prevenzione alla corruzione a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 190 del 2012 tra i tanti R. CANTONE, Il sistema della prevenzione della corruzione in Italia, in Dir. pen. contemporaneo, 2017; A. PERTICI, La prevenzione della corruzione e dei conflitti d’interessi: introduzione a un sistema in continua evoluzione, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione prevenzione.., cit., pp. 6 ss.; I. NICOTRA, Il quadro delle fonti normative in tema di prevenzione e contrasto alla corruzione, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione., cit., pp. 53 ss. 7 Determinazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 12 del 28 ottobre 2015, Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 8. 8 Il D.lgs. n. 97 del 2016 è stato invece emanato in attuazione della delega di cui alla legge n. 124 del 2015 (c.d. legge Madia). Cfr. A. MARCHETTI, Le nuove disposizioni in tema di pubblicità e trasparenza amministrativa dopo la riforma “Madia”: anche l’Italia ha adottato il proprio Foia? Una comparazione con il modello statunitense, in www.federalismi.it, 2017. 9 Sul “salto di qualità” in materia di trasparenza amministrativa ancora I. NICOTRA, Il quadro delle fonti normative in tema di prevenzione e contrasto alla corruzione, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione., cit., pp. 62 ss. Si veda, inoltre, G. GARDINI, La nuova trasparenza amministrativa: un bilancio a due anni dal “Foia Italia”, in www.federalismi.it, 2018. 10 Per un approfondimento sulla disciplina antecedente alla novella della legge n. 179 del 2019 cfr. A. MARCIAS, La disciplina del Whistleblowing tra prospettive di riforma e funzioni dell’autorità nazionale anticorruzione, in I. NICOTRA (a cura di), L’Autorità Nazionale Anticorruzione. Tra prevenzione e attività regolatoria, Giappichelli, Torino, 2016, pp.173 ss. 11 I. NICOTRA, Il quadro delle fonti normative in tema di prevenzione e contrasto alla corruzione, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione., cit., p. 61. In questo senso anche F. PATRONI GRIFFI, Prefazione al volume, in I. NICOTRA (a cura di), L’Autorità Nazionale, cit., p. 7. 12 Sulle problematiche generali della l. n. 240 del 2010 si veda A. BARAGGIA, L’autonomia universitaria nel quadro costituzionale italiano ed europeo, Giuffrè, Milano, 2016, pp. 123 ss. 3
Ciò che pare opportuno sottolineare ai fini della presente indagine è che il contesto normativo appena brevemente illustrato delinea un sistema organico, articolato su più livelli che vedono diversi soggetti impegnati nell’attuazione della strategia di prevenzione alla corruzione, mediante l’adozione di atti amministrativi volti ad implementare e a dare attuazione alle disposizioni di legge 13. A livello nazionale, viene in particolare in rilievo, il Piano Nazionale Anticorruzione predisposto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione 14 che ha lo scopo di individuare “i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l’indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione”. Ai sensi dell’art. 2-bis della legge n. 190 del 2012, il predetto Piano “costituisce atto d’indirizzo per le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, tra le quali rientrano espressamente anche dalle Università. Esso non ha carattere vincolante 15, ma dovrebbe limitarsi a rivolgere alle amministrazioni destinatarie “raccomandazioni volte alla organizzazione o riorganizzazione di singoli settori ovvero di singoli processi, con il fine di ridurre le condizioni che favoriscono la corruzione (intesa, come noto, in senso ampio, quale assunzione di decisioni devianti dalla cura dell’interesse generale a causa di condizionamenti impropri)”16. A livello locale, tali raccomandazioni sono tradotte nei piani triennali della prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTCP) che devono essere adottati, in forza dell’art. 1, comma 2 D.lgs. 165 del 2001 da ogni pubblica amministrazione e, quindi, anche le Università. Tali piani triennali devono essere coordinati con una serie di altri atti, quali i piani della performance17, dovendo recepire allo stesso tempo gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza definiti dall’organo di indirizzo. Inoltre, è opportuno segnalare che, sempre a livello locale, regole di prevenzione alla corruzione sono 13 Mettono in luce i profili pratici di tale sistema N. D. M. PROCARI – R. TUTURIELLO , Manuale teorico – pratico in materia di anticorruzione e trasparenza, Maggioli Editore, Rimini, pp. 43 ss. 14 Tra i tanti studi sul ruolo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione cfr. I. NICOTRA (a cura di), L’Autorità Nazionale Anticorruzione, cit., 2016; R. CANTONE - F. MERLONI (a cura di), La Nuova autorità nazionale anticorruzione, Giappichelli, Torino, 2015. 15 Sulle problematiche relative alla natura degli atti – vincolanti e non vincolanti - dell’Autorità Nazionale anticorruzione su tutti M. D’AMICO, Amministrazione creatrice ed esecutrice del diritto, in www.rivistaaic.it, 4/2018, pp. 103 ss. Inoltre, di recente M. E. BUCALO, Autorità indipendenti e soft law, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 139 ss. 16 Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1208 del 22 novembre 2017, Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 48. 17 Cfr. sul punto Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1208 del 22 novembre 2017, Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, pp. 49 ss. 4
sancite nei codici etici e di comportamento 18, nonché in norme regolamentari adottate in virtù dell’autonomia universitaria. In riferimento al tema in esame, è necessario porre l’attenzione sull’aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione approvato dall’ANAC con delibera 1208 del 2017, il quale ha dedicato un’approfondita sezione alle misure di prevenzione e contrasto alla corruzione nelle Istituzioni universitarie e al quale ha fatto seguito nel maggio 2018 - “in considerazione della delicatezza delle funzioni di indirizzo e coordinamento del Ministero nei confronti della autonomie universitarie” - l’atto di indirizzo del MIUR n. 39 del 201819. I due atti - rappresentando un punto di riferimento e una “guida” per tutte le Università in materia di prevenzione alla corruzione – prevedono indicazioni specifiche al fine di prevenire fenomeni di illegalità e maladministration nei settori considerati a più alto rischio corruttivo, come, ad esempio, la valutazione della qualità e il finanziamento della ricerca, l’organizzazione della didattica, le procedure di reclutamento, la composizione delle commissioni di concorso, la partecipazione degli Atenei in enti di diritto privato 20. Le indicazioni contenute negli atti appena richiamati non parrebbero risolversi in mere misure di tipo organizzativo, ma sembrano incidere anche sulla normativa interna degli stessi Atenei, suggerendo l’adozione di specifiche norme regolamentari, come si vedrà, ad esempio, in merito alle procedure di reclutamento del personale docente. Più nello specifico, sembra possibile distinguere le azioni suggerite dal Piano Nazionale, come dall’Atto di indirizzo del MIUR, in due categorie. Nella prima categoria rientrano le “misure obbligatorie”, “la cui applicazione discende obbligatoriamente dalla legge”21. Fra queste si ritrovano sia le misure obbligatorie generali che si caratterizzano per il fatto di incidere sul sistema complessivo della prevenzione della corruzione intervenendo in maniera trasversale sull’intera amministrazione (es. le misure riguardanti l’organizzazione per la prevenzione alla corruzione di cui alla l. n. 190 del 2012), sia le c.d. “misure specifiche”, volte a prevenire illegalità in settori ad alto rischio corruttivo proprie del contesto universitario (es. le misure riguardanti il reclutamento di cui alla l. n. 240 del 2010). 18 È opportuno segnalare che l’aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione del 2017 suggerisce agli Atenei di unire in unico documento i due codici cfr. Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1208 del 22 novembre 2017, Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, pp. 68 ss. Sulla convivenza in ambito accademico del codice di comportamento e del codice etico cfr. F. DAL CANTO, Le regole dell’anticorruzione nel governo dell’Università, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione prevenzione.., cit., pp. 231 ss. Sui codici di comportamento in generale su tutti B. G. MATTARELLA, Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazione, Il Mulino, 2007, pp. 131 ss. 19 Atto di indirizzo n. 39 del 14 maggio 2018 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, avente ad oggetto l’aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione – Sezione Università, approvato con Delibera ANAC n. 1208 del 22 novembre 2017. 20 Ricostruiscono i contenuti dell’aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione del 2017 N. D. M. PROCARI – R. TUTURIELLO, Manuale teorico, cit., pp. 93 ss. 21 Determinazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 12 del 28 ottobre 2015, Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 21. 5
Nella seconda categoria rientrano, invece, le c.d. “misure ulteriori” che si fondano non già su una disposizione di legge, ma sulla valutazione del rischio corruttivo in uno specifico settore. Queste ultime possono essere “inserite nei Piani triennali di prevenzione alla corruzione a discrezione dell’amministrazione”22 e, quindi, a seguito di un’autonoma analisi del rischio operata dall’Ateneo alla luce dello specifico contesto di riferimento. Alla luce di quanto appena illustrato, si comprende come la ricognizione delle misure di prevenzione alla corruzione sia tutt’altro che agevole. Alcune di esse, infatti, sono disciplinate dalla legge e implementate in relazione allo specifico ambito dell’Università e della ricerca dai Piani anticorruzione dell’ANAC, nonché dagli atti di indirizzo del MIUR. Altre, pur in assenza di una specifica disposizione di legge, sono suggerite a livello nazionale, dai Piani Nazionali dell’ANAC o, a livello locale, dai Piani triennali di prevenzione alla corruzione predisposti dai singoli Atenei sulla base dell’analisi del rischio corruttivo in determinati settori. Un simile contesto dovrebbe indurre a riflettere sulla natura delle indicazioni contenute negli atti amministravi analizzati - il Piano Nazionale Anticorruzione e l’atto di indirizzo del MIUR – i quali non sembrano limitarsi a rivolgere alle Università raccomandazioni generali “di indirizzo”, ma formulano richieste puntuali che, in alcuni casi, sembrerebbero impattare sulla disciplina legislativa e regolamentare, tradendo - come sostenuto in dottrina - “una chiara attitudine” “para-normativa”23. 3. Le misure di prevenzione alla corruzione e di promozione della trasparenza nel mondo dell’Università e della ricerca Una volta ricostruito il contesto normativo, è necessario porre l’attenzione su alcune singole misure di prevenzione alla corruzione e promozione della trasparenza, che parrebbero risultare problematiche se adottate nello specifico mondo dell’Università e della ricerca. In primo luogo, si intende ragionare sull’attuazione in ambito universitario di alcune “misure generali”, che agiscono in maniera trasversale al fine di prevenire la corruzione in ogni pubblica amministrazione, le quali per risultare realmente efficaci nel contesto accademico, devono essere necessariamente accompagnate da alcuni accorgimenti specifici - e quindi da c.d. “misure ulteriori” - suggerite dal Piano Nazionale Anticorruzione o previste autonomamente dai PTCT degli Atenei. È il caso, come si vedrà, delle norme che disciplinano l’organizzazione della prevenzione alla corruzione (infra § 4.1.) e la rotazione del personale dirigente (infra § 4.2.). In secondo luogo, si vuole riflettere sulle problematiche relative all’istituto del whistelblowing, come recentemente introdotto dalla legge n. 179 del 2017. Quest’ultima, infatti, sembra prevedere un sistema di tutele ideato sulla base di caratteristiche proprie della generalità delle pubbliche amministrazioni, non del tutto 22 Ibidem. 23 Così F. DAL CANTO, Le regole dell’anticorruzione nel governo dell’Università, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione, cit., p. 234. 6
compatibile con le peculiarità proprie del contesto accademico. E ciò, come si dirà, parrebbe tradursi non solo nella scarsa efficacia della legge, ma anche nel rischio di compromissione di altri principi costituzionali (infra § 5). Infine, sarà necessario interrogarsi sull’impatto in ambito accademico di alcune recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di trasparenza, nonché di prevenzione alla corruzione nelle procedure di reclutamento. Ci si riferisce in particolare alla sentenza n. 20 del 2019 24, la quale incide sugli obblighi di pubblicazione dei dati relativi ai titolari di incarichi dirigenziali in Ateneo (infra § 6), nonché alla sentenza n. 78 del 2019 25, la quale rappresenta l’ultima tappa di una copiosa e, talvolta ondivaga, giurisprudenza in materia di selezione del corpo docente (infra § 7). Tali pronunce si ritengono particolarmente significative poiché, da un lato, forniscono elementi utili ad individuare un corretto bilanciamento dei diritti costituzionali in gioco e, d’altro lato, mettono in luce le criticità connesse all’intricato sistema delle fonti in materia di misure di prevenzione alla corruzione nel mondo dell’Università e della ricerca (infra § 8). 4. Le misure trasversali di prevenzione alla corruzione in Università: criticità in relazione all’organizzazione per la prevenzione della corruzione e alla rotazione del personale del dirigente Le “misure generali” di prevenzione alla corruzione previste dalla legge n. 190 del 2012, come, ad esempio, la formazione del personale o le regole sull’organizzazione per la prevenzione alla corruzione, devono essere “adeguate” mediante l’adozione di “misure ulteriori” alle specificità proprie di ogni singola amministrazione obbligata a porle in essere. L’efficacia delle misure anticorruzione, infatti, “dipende dalla capacità di quest’ultima di incidere sulle cause degli eventi rischiosi” 26, che caratterizzano il contesto in cui queste ultime vengono calate. Una simile considerazione sembra risultare tanto più vera in riferimento al contesto accademico, il quale presenta un assetto organizzativo del tutto peculiare rispetto ad altre pubbliche amministrazioni. Basti pensare al numero ridotto di dirigenti apicali presenti negli Atenei27. Da questo punto di vista sembra interessante valutare le modalità di attuazione nelle Università di due “misure trasversali”, previste dalla legge: le misure di organizzazione della prevenzione alla corruzione (par. 4.1.); la rotazione del personale (par. 4.2). 24 C. cost. sent. 21 febbraio 2019, n. 20; a commento della sentenza sotto il profilo del merito che qui interessa A. CORRADO, Gli obblighi di pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti, in www.federalismi.it, 2019. 25 C. cost. sent. 9 aprile 2019, n. 78. 26 Determinazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 12 del 28 ottobre 2015, Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 22. 27 È la stessa Autorità Nazionale Anticorruzione a notare come “vi sono atenei che presentano un organico in cui le figure dirigenziali risultano molto ridotte o in cui vi è la sola presenza del direttore generale come figura apicale” v. Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1208 del 22 novembre 2017, Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 48. 7
4.1. L’organizzazione per la prevenzione della corruzione Nell’ambito dell'organizzazione della prevenzione della corruzione è utile concentrarsi su quelle norme che disciplinano (a) la nomina e (b) le funzioni del responsabile alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza (RPCT), in relazione alle quali la delibera n. 1208 del 2017 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, nonché l’atto di indirizzo del MIUR n. 39 del 2018, suggeriscono precise modalità attuative che, tuttavia, non sembrano del tutto coerenti con le caratteristiche proprie dell’amministrazione universitaria. (a) Per quanto riguarda la nomina del RPCT, la legge n. 190 del 2012 si limita a stabilire che “l'organo di indirizzo” – che nelle Università coincide con il Consiglio di Amministrazione – “individua di norma tra i dirigenti di ruolo in servizio, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, disponendo le eventuali modifiche organizzative necessarie per assicurare funzioni e poteri idonei per lo svolgimento dell'incarico con piena autonomia ed effettività”(art. 1, comma 7). Indicazioni più precise rispetto alla nomina del responsabile anticorruzione nelle Università si possono trovare appunto nell’aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione. A proposito, per quanto riguarda le figure dirigenziali di ruolo che in Università possono essere individuate quali responsabili alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza, l’aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione, come l’Atto di indirizzo del MIUR, ritengono preferibile la nomina di un dirigente di prima fascia, il quale – si legge nella stessa delibera - può essere anche il direttore generale – “personalità di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza pluriennale con funzioni dirigenziali, cui compete la complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico- amministrativo dell’ateneo”28. Sul punto, lo stesso Piano precisa che la nomina del direttore generale quale responsabile anticorruzione e trasparenza sia consigliabile solo ove sia possibile “garantire un bilanciamento delle funzioni e dei poteri per evitare, quanto più possibile, la concentrazione di poteri decisionali in una o poche figure”29. Nella realtà accademica, tuttavia, la nomina di un dirigente di prima fascia quale responsabile anticorruzione parrebbe un fatto più che raro e ciò sembra dovuto a due ordini di ragioni strettamente connesse fra loro. La prima ragione è legata alla circostanza che nel contesto universitario, generalmente, l’unico dirigente a rientrare nella prima fascia è il direttore generale 30. La seconda ragione deriva dal fatto che la nomina di un dirigente di prima fascia, che come appena visto nella realtà universitaria coincide con il direttore generale, comporterebbe il contraddittorio effetto di produrre ciò che lo stessa Autorità 28 Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1208 del 22 novembre 2017, Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 48. 29 Ivi, p. 49. 30 Così la Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1208 del 22 novembre 2017, Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 48. 8
scongiura: “la concentrazione di ampi poteri decisionali in una singola figura” e “la dipendenza del responsabile anticorruzione “dalla sfera politico-gestionale”31. Quanto appena esposto sembra confermato dalla prassi seguita dai maggiori Atenei che, privilegiando l’obiettivo sostanziale di evitare un’eccessiva concentrazione di potere su un singolo soggetto, hanno nominato quali RPCT dirigenti di seconda fascia32. Oltre alle difficoltà applicative appena riportate, pare opportuno segnalare due recenti novità legislative riguardanti la nomina dello stesso responsabile. Anzitutto, il D.lgs. n. 97 del 2016 ha introdotto una figura unica di responsabile alla prevenzione alla corruzione e alla trasparenza; compiti che invece erano svolti da soggetti diversi in alcuni Atenei di grandi dimensioni. Inoltre, sembra interessante evidenziare le novità che discendono dalla recente approvazione del Regolamento (UE) 2016/679 che ha introdotto la figura del responsabile dei dati (RPD, artt. 37-39), che - come chiarito dal Garante della privacy - deve essere nominato anche nelle Università 33. Con riferimento al rapporto tra il responsabile anticorruzione e il responsabile dei dati, l’ANAC si è espressa nell’aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione del 2018 34, specificando che il responsabile dei dati non debba coincidere con il responsabile alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza, soprattutto “negli enti pubblici di grandi di dimensioni, con trattamenti di dati personali di particolare complessità e sensibilità”35. L’attribuzione delle funzioni di responsabile dei dati al responsabile per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza “potrebbe rischiare di creare un cumulo di impegni tali da incidere negativamente sull’effettività dello svolgimento dei compiti che il RGPD attribuisce al RPD”36. (b) In riferimento ai compiti del responsabile alla corruzione e alla trasparenza, è necessario sottolineare che la legge n. 190 del 2012 attribuisce a quest’ultimo ampi poteri non solo organizzativi, ma anche di monitoraggio e valutazione del rischio corruttivo, spettandogli allo stesso tempo “la gestione del rischio e tutte le attività di prevenzione”, che “pur coinvolgendo l’intera amministrazione, dovrebbero essere coordinate dal RPCT”37. Tra le diverse funzioni che la legge attribuisce al RPTC, l’art 1, comma 8, della legge n. 190 del 2012 stabilisce che il RPCT “predispone – in via esclusiva (essendo 31 Ivi, p. 49. In questo senso si veda anche F. DAL CANTO, Le regole dell’anticorruzione nel governo dell’Università, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione prevenzione.., cit., p. 249. 32 Il RPCT è un dirigente di seconda fascia, ad esempio, nell’Università Sapienza di Roma, nell’Università degli Studi di Milano e nell’Università di Bologna. 33 Cfr. FAQ n. 1 sul RPD in ambito pubblico, in www.gpdp.it, doc web 7322110. 34 Delibera n, 1074 del 21 novembre 2018, Aggiornamento 2018 al Piano Nazionale Anticorruzione, pp. 24 ss. 35 Ivi, p. 24. 36 FAQ n. 7 relativa al RPD in ambito pubblico, in www.gpdp.it, doc web 7322110. 37 Delibera n, 1074 del 21 novembre 2018, Aggiornamento 2018 al Piano Nazionale Anticorruzione, pp. 24 ss. 9
vietato l’ausilio esterno) – il Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPC)”38. Soprattutto negli Atenei di grandi dimensioni, sembra particolarmente gravoso lo svolgimento di così multiformi e centrali funzioni da parte di un unico soggetto. In effetti, si riscontra nella prassi delle Università la tendenza ad affiancare a quest’ultimo una struttura organizzativa a sostegno. In effetti, lo stesso Piano Nazionale Anticorruzione, ritiene “opportuno che il RPCT sia dotato di un’adeguata struttura tecnica di supporto per la messa a punto e l’esecuzione delle attività di analisi dei processi, rilevazione dei dati, gestione delle segnalazioni, esecuzione delle attività di verifica”39. Oltre alle strutture tecniche di supporto, adottate su invito dell’ANAC, le Università sembrano aver messo in campo di recente anche “misure ulteriori”, predisposte in via autonoma nei loro piani di prevenzione alla corruzione. In alcune Università, è stato nominato ad esempio un gruppo di lavoro composto da esperti in materia a servizio del responsabile alla prevenzione della corruzione 40. Inoltre, nelle Università di maggiori dimensioni si è sentita l’esigenza di nominare dei referenti anticorruzione all’interno dei singoli dipartimenti in modo che la strategia anticorruzione di Ateneo possa trovare efficacia “a cascata” grazie alla stretta collaborazione tra amministrazione centrale, responsabile anticorruzione e i dipartimenti41, sui quali ricadono compiti fondamentali in materia di anticorruzione e trasparenza, primi fra tutti gli obblighi di pubblicazione. Infine, la sempre maggior incidenza della prevenzione alla corruzione nel contesto accademico ha comportato anche importanti scelte di governance, quali la nomina di prorettori delegati42, i quali oltre ad impostare e coordinare le policies di ateneo in materia, svolgono un ruolo fondamentale di raccordo tra gli organi di governo e gli altri soggetti che, a livello diverso, sono tenuti all’attuazione della strategia anticorruzione, a partire certamente dal RPCT. 4.2. La rotazione del personale dirigente L’altra misura di carattere generale e trasversale che sembra risultare di non facile applicazione nella prassi universitaria è quella relativa alla rotazione del personale 43. 38 Delibera n, 1074 del 21 novembre 2018, Aggiornamento 2018 al Piano Nazionale Anticorruzione, Allegato 2, Riferimenti normativi sul ruolo e sulle funzioni del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT). 39 Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1208 del 22 novembre 2017, Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione, p. 49. 40 Un gruppo di lavoro permanente in materia di anticorruzione e trasparenza è stato istituito nell’Università degli Studi di Milano cfr. il PTCP dell’Università degli Studi di Milano 2019 – 2021, p. 11. 41 Ibidem. Un’iniziativa simile è inoltre portata avanti dall’Università di Torino cfr. PTCP dell’Università di Torni 2019 – 2021, pp. 19 ss. 42 Ciò è avvenuto nell’Università degli Studi di Milano cfr. Decreto rettorale n. 3479 del 16 ottobre 2018 di nomina del Prorettore delegato a “Legalità, trasparenza e parità di diritti”. 43 La misura della rotazione del personale è trattata nella Delibera n. 1074 del 21 novembre 2018, Aggiornamento 2018 al Piano Nazionale Anticorruzione, pp. 33 ss. Un approfondimento dedicato alla rotazione del personale è contenuto della Delibera n. 831 del 3 agosto 2016, Piano Nazionale Anticorruzione, pp. 26 ss. 10
Quest’ultima misura è stata introdotta dall’art. 1, comma 5, lett. b) della legge n. 190 del 2012, ai sensi del quale le pubbliche amministrazioni devono definire e trasmettere all’ANAC “procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari”. Inoltre, la stessa legge precisa che è compito del RPCT verificare “l'effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione”. La rotazione del personale rappresenta, secondo l’ANAC, una misura fondamentale volta, da un lato, “a limitare il consolidarsi di relazioni che possano alimentare dinamiche improprie nella gestione amministrativa, conseguenti alla permanenza nel tempo di determinati dipendenti nel medesimo ruolo o funzione” e, d’altro lato, a “contribuire alla formazione del personale, accrescendo le conoscenze e la preparazione professionale del lavoratore”44. Pur evidenziando l’importanza della misura al fine di prevenire comportamenti a stampo corruttivo, la stessa Autorità è consapevole che “non sempre la rotazione è misura che si può realizzare, specie all’interno di amministrazioni di piccole dimensioni”45. In effetti, osservando la situazione delle Università, non solo di piccole dimensioni, si nota come la rotazione del personale, e soprattutto del personale dirigente, non sembra sempre di agevole realizzazione a causa “sia dell’esiguità del numero dei dirigenti in servizio cui sono affidate numerose e complesse competenze (..) sia per l’elevata specializzazione delle competenze”46. Si pensi che, nel momento in cui si scrive, in alcuni Atenei di grandi dimensioni, come l’Università degli Studi di Milano, si ritrovano solo sette dirigenti risultando di conseguenza la rotazione di “difficilissima applicazione”47. Una situazione di fatto, come quella appena descritta, non può certamente rappresentare per gli Atenei una giustificazione cui appellarsi, ma al contrario dovrebbe rendere ancora più doverosa la ricerca di misure ulteriori per evitare il rischio che la mancata rotazione del personale potrebbe produrre. In effetti, l’ANAC esorta le amministrazioni a motivare adeguatamente nei propri PTPC “le ragioni della mancata applicazione della rotazione”, specificando che “le amministrazioni sono comunque tenute ad adottare misure per evitare che il soggetto non sottoposto a rotazione abbia il controllo esclusivo dei processi, specie di quelli più esposti al rischio di corruzione”. In questi casi, dunque, le Università dovrebbero comunque sviluppare “altre misure organizzative di prevenzione che sortiscano un effetto analogo a quello della rotazione”48. 44 Ibidem. 45 Ivi, p. 29. 46 Così il PTCP dell’Università degli Studi di Milano 2019 – 2021, p. 52. 47 Delibera n. 831 del 3 agosto 2016, Piano Nazionale Anticorruzione, p. 26. 48 Ivi, p. 29. 11
A titolo esemplificativo, l’ANAC consiglia di individuare “modalità operative che favoriscano una maggiore compartecipazione del personale alle attività del proprio ufficio”, facendo in modo che “le varie fasi procedimentali siano affidate a più persone, avendo cura in particolare che la responsabilità del procedimento sia sempre assegnata ad un soggetto diverso dal dirigente, cui compete l’adozione del provvedimento finale”49. In questo senso sembrano dirigersi le misure alternative o di accompagnamento alla rotazione adottate da alcuni Atenei italiani, i quali mirano alla deverticalizzazione del modello decisionale in favore di un modello “a matrice”, lanciando a tal fine “una serie di iniziative capaci di definire percorsi di crescita del personale in modo da poterne orientare la formazione rispetto a obiettivi di qualità e di sviluppo definiti dal Piano Strategico anticorruzione”50. 5. Whistelblowing: la scarsa efficacia dell’istituto in ambito accademico e problematiche costituzionali Una misura su cui si ritiene necessario porre l’attenzione in ragione delle criticità che essa pone con particolare riguardo al mondo dell’Università è il c.d. whistelblowing51, disciplinato dall’art. 54-bis, del D.lgs. n. 165 del 2001, come recentemente modificato dalla legge n. 179 del 2017. La forza della novità legislativa, come anticipato, consiste nell’introduzione di un sistema di garanzia a tutela del lavoratore che segnala illeciti, che consente di “connettere, funzionando, appunto, da “ponte”, i mezzi preventivi con quelli repressivi nel contrasto alla corruzione”52. Più precisamente, l’art. 54-bis del D.lgs. n. 165 del 2001 tutela il pubblico dipendente che segnala “condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro” al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza o all'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), o ancora mediante denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile. Per quel che concerne l’oggetto della segnalazione, la legge fa riferimento alle “condotte illecite” che comprendono, secondo quanto precisato dalle linee guida dell’ANAC in materia, “non solo l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione (…), ma anche le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati, nonché i fatti in cui – a prescindere dalla rilevanza 49 Ibidem. 50 Così il PTCP dell’Università degli Studi di Milano 2019 – 2021, p. 52. Una misura simile era già stata adottata dal Comune di Milano, il quale ha costituito “nel caso di accertata impossibilità di applicare la misura della rotazione per il personale dirigenziale a causa di motivati fattori organizzativi” - al fine di evitare il concentramento di potere nelle mani di un’unica persona - dei “gruppi di lavoro” a sostegno dello stesso dirigente, formati da “personale non dirigenziale, con riguardo innanzitutto ai responsabili del procedimento, per le posizioni esposte al rischio di corruzione ”. Cfr. Il PTCP del Comune di Milano, Deliberazione della Giunta Comunale n. 86, 27 gennaio 2017, Adozione del Piano Triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza, per il triennio 2017-2019, p. 11. 51 Whistelblowing letteralmente significa “soffiare nel fischietto”. In altri termini: “colui che fa una soffiata”, “uno spione”. 52 I. NICOTRA, Il quadro delle fonti normative in tema di prevenzione e contrasto alla corruzione, in A PERTICI – M. TRAPANI (a cura di), La prevenzione della corruzione., cit., p. 61 ss. 12
penale – venga in evidenza un mal funzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite, ivi compreso l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo”53. In riferimento alle garanzie previste a tutela del segnalante la legge prevede il divieto di licenziamento, demansionamento, trasferimento o di ogni altra misura organizzativa avente effetti negativi sulle condizioni di lavoro del segnalante, la previsione di sanzioni amministrative a carico dell’amministrazione pubblica che metta in atto azioni discriminatorie o ritorsive nei confronti del segnalante, nonché la garanzia della riservatezza dell’identità del segnalante. Più in generale, le criticità della novella legislativa riguardano principalmente la fragilità della garanzia della riservatezza dell’identità del segnalante, la quale vale nell’ambito del procedimento penale solo sino alla chiusura delle indagini preliminari; nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l'identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria, mentre nell'ambito del procedimento disciplinare “la conoscenza dell'identità del segnalante può essere rivelata solo qualora sia indispensabile per la difesa dell'incolpato” previo consenso del segnalante stesso. Ciò parrebbe tradursi, come rilevato dall’ANAC in occasione della pubblicazione del terzo rapporto annuale sul whistelblowing in una “scarsa fiducia nell’istituto”, dimostrata anche dall’esiguità del numero di segnalazioni presentate. Tale constatazione appare evidente nell’ambito universitario dove, nel corso del 2017, sono state registrate solo tre segnalazioni, provenienti per di più da dipendenti dello stesso Ateneo e alle quali non ha fatto seguito alcun procedimento disciplinare o giurisdizionale54. Oltre alla mancanza di fiducia nell’istituto del whistelblowing, la scarsa efficacia di quest’ultimo nel contesto universitario, pare derivare anche dai requisiti di legittimazione prescritti dalla legge ai fini della presentazione delle segnalazioni, i quali escludono dal novero dei potenziali whistelblowers alcune categorie di soggetti che compongono le comunità universitarie. Infatti, il riferimento ad opera dell’articolo 54-bis, comma 2 del D.lgs. n. 165 del 2001 ai “pubblici dipendenti” circoscrive i soggetti titolari del potere di segnalazione in Università al personale tecnico-amministrativo, al personale docente strutturato e ai “lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica”, negando le garanzie previste dalla stessa norma al personale “non strutturato”, come i dottorandi, gli assegnisti di ricerca, nonché i titolari di contratti di collaborazione. Una simile esclusione parrebbe comportare effetti negativi non solo sulla condizione dei dottorandi e degli assegnisti di ricerca che, proprio a causa della loro posizione di precarietà, potrebbero essere potenzialmente soggetti a pressioni indebite o atti 53 Cfr. Determinazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 6 del 28 aprile 2015, “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”, punto 3. 54A. CORRADO (a cura di), III Rapporto annuale sul whistleblowing - Analisi della nuova disciplina e problematiche applicative, in www.anticorruzione.it, presentato il 28 giugno 2018. 13
ritorsivi, ma anche sull’amministrazione stessa la quale si vede preclusa la possibilità di conoscere segnalazioni che potrebbero pervenire da categorie – per di più consistenti in termini numerici - che hanno a cuore “l'interesse dell'integrità” dell’Università (54-bis, comma 1 del D.lgs. n. 165 del 2001). L’irragionevolezza della mancata estensione delle tutele di cui alla legge n. 179 del 2017 anche alle categorie di soggetti di cui sopra, risulta tanto più evidente se si considera che nella prassi, quantomeno nella maggior parte dei casi, dottorandi e assegnisti - anche in ragione dell’ “esclusività” del loro impegno come richiesto dai regolamenti di dottorato dei singoli Atenei - non sono considerati meri “borsisti”, ma parte attiva della vita dei dipartimenti con cui collaborano. Di ciò, peraltro, sembra essere conscio il legislatore, il quale, ormai da tempo, ha proceduto ad estendere le tutele proprie del “dipendente” anche ai dottorandi e agli assegnisti di ricerca, come dimostra da ultimo l’estensione dell’indennità di disoccupazione ad opera della legge n. 81 del 201755. Tale criticità non è passata inosservata all’Associazione Nazionale Dottorandi Italiani, la quale si è adoperata, a livello locale, al fine di raccogliere le segnalazioni di dottorandi e assegnisti in merito ad episodi di abuso e corruzione non esaminate dall’Amministrazione universitaria proprio a causa della carenza di legittimazione dei segnalanti. A livello nazionale, la stessa associazione si è impegnata a richiedere al MIUR “l’estensione del whistleblowing e degli strumenti di tutela dell’anonimato ai dottorandi nelle proposte di revisione del D.M. 45 del 2013”; richiesta che, tuttavia, non ha trovato seguito56. Sulle problematiche appena evidenziate potrebbe avere un’incidenza significativa la recente approvazione da parte del Parlamento europeo della proposta di direttiva “riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione” 57, la quale - nel disciplinare gli standard minimi di tutela in materia di whistelblowing - sembra ampliare il novero dei soggetti legittimati alla segnalazione, includendo anche i titolari di “rapporti di lavoro precari cui è spesso difficile applicare le norme di base contro il trattamento iniquo” 58. Le criticità descritte in merito all’istituto del whistelblowing non attengono, dunque, solo a difficoltà applicative della legge, ma esse parrebbero presentare profili di illegittimità costituzionale. Infatti, l’esclusione dei dottorandi e delle altre categorie menzionate dal sistema di tutele di cui alla legge n. 179 del 2017 sembrerebbe configurare una discriminazione irragionevole, al tempo stesso non coerente con lo scopo legislativo, ovvero quello di tutelare “l’integrità della pubblica amministrazione” 55 Cfr. anche sul punto circolare n. 115 del 19 luglio 2017. 56 Cfr. il sito dell’Associazione Nazionale Dottorandi https://dottorato.it/content/whistleblowing- universita . 57 Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione (COM(2018)0218 – C8-0159/2018 – 2018/0106(COD)). 58 Cfr. Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 16 aprile 2019 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione (COM(2018)0218 – C8-0159/2018 – 2018/0106(COD)). 14
(54-bis, comma 1 del D.lgs. n. 165 del 2001), come imposto dall’art. 97 della Costituzione. 6. Tra trasparenza amministrativa e riservatezza: l’impatto della sentenza n. 20 del 2019 della Corte costituzionale nel contesto accademico In materia di promozione alla trasparenza si ritiene utile indirizzare l’analisi in particolare sugli gli obblighi di pubblicazione a carico dei dirigenti, come disciplinati dal D.lgs. n. 33 del 2013, in merito ai quali è intervenuta recentemente la sentenza n. 20 del 2019; sentenza che incide anche sugli obblighi di pubblicazione di dati relativi al personale dirigente interno all’Ateneo. Prima di entrare nel dettaglio degli obblighi legislativi oggetto del giudizio di costituzionalità, sembra interessante notare come, con la sentenza n. 20 del 2019, la Corte affronti il tema della ricerca dell’equilibrio tra trasparenza e riservatezza, assumendo piena consapevolezza – forse per la prima volta in modo netto - della “nuova” declinazione che tali diritti assumo alla luce delle più recenti novelle legislative, nonché delle sfide poste dallo “scenario digitale”. In tale contesto, il diritto alla trasparenza non viene richiamato dalla Corte esclusivamente nella sua visione classica, quale “corollario del principio democratico (art. 1 Cost.)” e “del buon funzionamento dell’amministrazione”, ma nella sua “declinazione soggettiva, nella forma di un diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione”. Le novità legislative consacrano il “diritto all’accessibilità totale”, il quale, tuttavia, secondo la Corte, deve necessariamente essere bilanciato con il diritto alla riservatezza, che si configura oggi come “diritto a controllare la circolazione delle informazioni riferite alla propria persona, e si giova, a sua protezione, dei canoni elaborati in sede europea per valutare la legittimità della raccolta, del trattamento e della diffusione dei dati personali” (C. cost. sent. n. 20 del 2019). Inquadrando così la questione, la Corte giunge a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. l’art. 14, comma 1, lett. f) del n. 33 del 2013 che imponeva alle pubbliche amministrazioni la “pubblicazione di dichiarazioni e attestazioni contenenti dati reddituali e patrimoniali (propri e dei più stretti congiunti), ulteriori rispetto alle retribuzioni e ai compensi connessi alla prestazione dirigenziale”59 riguardanti indistintamente i titolari di incarichi politici e di governo, i titolari di incarichi dirigenziali a qualsiasi titolo conferiti, a seguito di procedura pubblica o per nomina politica, nonché i titolari di posizioni organizzative con funzioni dirigenziali 60. 59 L’articolo 14 del n. 33 del 2013 è stato così modificato dal D.lgs. n. 97 del 2016, il quale ha esteso l’obbligo di pubblicazione dei dati patrimoniali ai dirigenti. Per un approfondimento sull’evoluzione normativa in materia cfr. A. CORRADO, Gli obblighi di pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti, cit., p. 4 ss. 60 Al fine di chiarire gli obblighi spettanti a tali figure nelle singole amministrazioni a seguito della modifica di cui al D.lgs. n. 97 del 2018, l’ANAC ha adottato la Delibera n. 241 dell’8 marzo 2017, “Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013. Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali come modificato dall’art. 13 del D.lgs. 97/2016”. 15
Una simile equiparazione, secondo la Corte costituzionale, comporta la violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza, poiché non tiene in considerazione le differenziazioni esistenti “in ordine al livello di potere decisionale o gestionale”61, nonostante sia “manifesto che tale livello non può che influenzare, sia la gravità del rischio corruttivo – che la disposizione stessa, come si presuppone, intende scongiurare – sia le conseguenti necessità di trasparenza e informazione” (C. cost. sent. n. 20 del 2019). Per di più, secondo la Corte, l’obbligo di pubblicazione dei dati di cui all’art. 14 lett. f) del n. 33 del 2013 relativi alla situazione economica personale dei soggetti interessati e dei loro più stretti familiari” non può essere giustificato in ragione della diretta connessione di quest’ultimi con l’espletamento dell’incarico dirigente, non essendo possibile invocare “come invece per i titolari di incarichi politici, la necessità o l’opportunità di rendere conto ai cittadini di ogni aspetto della propria condizione economica e sociale, allo scopo di mantenere saldo, durante l’espletamento del mandato, il rapporto di fiducia che alimenta il consenso popolare” (C. cost. sent. n. 20 del 2019). È bene sottolineare che la Corte - consapevole che “una declaratoria d’illegittimità costituzionale che si limiti all’ablazione, nella disposizione censurata, del riferimento ai dati indicati nell’art. 14, comma 1, lettera f), lascerebbe del tutto privi di considerazione principi costituzionali meritevoli di tutela” - opera una delimitazione della dichiarazione di incostituzionalità dell’obbligo di pubblicazione dei dati, specificando che il Segretario generale di ministeri e gli altri dirigenti di cui all’art. 19, commi 3 e 4, sono titolari di compiti gestionali di un rilievo tale da ritenere “non irragionevole, allo stato, il mantenimento in capo ad essi proprio degli obblighi di trasparenza di cui si discute” (C. cost. sent. n. 20 del 2019). L’analisi della sentenza della Corte costituzionale appena brevemente compiuta pare significativa ai fini della presente indagine per due motivi: in primo luogo, la sentenza sembra individuare le caratteristiche fondamentali che ogni misura di promozione della trasparenza dovrebbe presentare per non risultare eccessivamente lesiva di un altro principio costituzionale, quello della riservatezza; in secondo luogo, la declaratoria di incostituzionalità incide, come si vedrà anche sugli obblighi di pubblicazione del personale dirigente dell’Ateneo. In primo luogo, dai principi espressi dalla Corte costituzionale si desume che le misure di promozione della trasparenza per non risultare eccessivamente lesive degli altri principi costituzionali in gioco, primo fra tutti la riservatezza, debbono 61 È interessante notare come in merito all’assenza di gradualità degli obblighi di pubblicazione in relazione alla tipologia di incarico dirigenziale, l’Avvocatura generale dello Stato abbia suggerito davanti alla Corte “un’interpretazione costituzionalmente orientata” fondata sul fatto che la gradualità era “già stata operata in sede esecutiva, attraverso apposite linee guida emanate dall’Autorità Nazionale anticorruzione (ANAC), laddove si prevede, ai sensi dell’art. 3, comma 1-ter, del D.lgs. n. 33 del 2013, che per i dirigenti di Comuni sotto i quindicimila abitanti si provveda alla pubblicazione dei dati di cui all’art. 14, comma 1, lettere da a) ad e), ma non di quelli previsti alla lettera f), vale a dire le attestazioni patrimoniali e la dichiarazione dei redditi, con estensione della medesima disciplina in favore dei dirigenti scolastici”. Contrariamente, la difesa della parte privata evidenziava come “non spetti ad un’autorità amministrativa «“correggere il tiro” (e non di poco) di una disposizione legislativa (che si ritiene emendabile)», in quanto l’unica via percorribile a tal fine, ricorrendone i presupposti, sarebbe la disapplicazione della norma interna in contrasto con il diritto europeo o la pronuncia d’illegittimità costituzionale”. 16
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