La politica della paura La paura della politica - Lancaster ...
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N° 6 / PRIMAVERA 2020 JACOBINITALIA.IT La politica della paura La paura della politica DA JACOBIN MAGAZINE Chi ha paura della «political revolution» di Bernie Sanders 12 euro
Il mostro 38 Editoriale 8 La politica che viene della paura. dal sud La paura del mondo della politica Gaia Giuliani Dallo Stato Noi abbiamo 10 48 44 sociale allo paura Stato penale Valentina Sejdic La paura che sembra sottomettere Il mito dei migranti le democrazie occidentali è la suggestione diffusa di un pericolo onnipresente, la percezione di una minaccia che «ci rubano fantasmatica che trasforma l’ansia in richiesta di sicurezza il lavoro» Lorenzo Zamponi Donatella Di Cesare intervista Guglielmo Meardi Economia 16 Il potere 64 58 54 della caccia alle streghe dello stigma Imogen Tyler Francesca Coin Ribellarsi Dall’emergenza al trauma 22 alla ribellione Dario Firenze Marie Moïse Riccardo Antoniucci intervista Serge Quadruppani Il cinismo, l’altra faccia della paura PRIMAVERA 2020 Lorenzo Zamponi La paura 34 28 va in città Fumetto 68 Giuliano Santoro N. 6 Il terrorismo Io che non dell’uomo bianco vivo senza te Assia Petricelli Elaija Emanuela Osei Sergio Riccardi 4
Chi ha paura 75 del desiderio? Renato Busarello La Grande Paura 86 82 78 rivoluzionaria Luca Addante Chi ha paura della «politica Sempre allegri revolution» bisogna stare di Bernie Sanders Gaia Benzi Saranno i ricchi 112 a battere Bernie? Storie I want Paul Heideman intervista to believe Thomas Ferguson Giuliano Santoro Medicare for all: 133 126 123 118 Gaia Benzi ora o mai più Selene Pascarella Nathalie Shure Il lato meno 104 100 96 90 Tutti gli errori oscuro della forza del Labour Selene Pascarella Michael Walker La fine del mondo Come essere LA POLITICA DELLA PAURA - LA PAURA DELLA POLITICA anticapitalisti e le sue paure Vivek Chibber Giovanni Bettini Il grande schermo Un futuro della rivoluzione da paura Eileen Jones Daniele Barbieri Le ragioni del coniglio Daniele Giglioli 5
Citoyens Desk Assia Petricelli Gaia Giuliani Giulio Calella Alberto Prunetti Guglielmo Meardi Salvatore Cannavò Bruno Settis Elaija Emanuela Osei Marta Fana Wu Ming 1 Selene Pascarella Marie Moïse Imogen Tyler Giuliano Santoro Art director Serge Quaddrupani Lorenzo Zamponi Alessio Melandri Coordinamento Redazione Web Master con Jacobin Usa Elisa Albanesi Matteo Micalella David Broder Gaia Benzi Marco Bertorello Hanno collaborato Illustratori Francesca Coin Luca Addante Irene Rinaldi Danilo Corradi Riccardo Antoniucci Frita Sara Farris Daniele Barbieri Pronostico Simone Fana Giovanni Bettini Luciop Giacomo Gabbuti Renato Busarello Mariachiara Di Giorgio Piero Maestri Donatella Di Cesare Martoz Sabrina Marchetti Dario Firenze COPERTINA Francesco Massimo Daniele Giglioli Rita Petruccioli Jacobin Italia Direttore responsabile Rivista trimestrale Salvatore Cannavò n. 6 - primavera 2020 Chiuso in tipografia il 18 febbraio 2020 Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 173/2018 rilasciata il 25/10/2018 Stampa Arti Grafiche La Moderna S.r.l. via Enrico Fermi, 13/17 Testata e articoli tradotti 00012 Guidonia Montecelio (Roma) da Jacobin Usa su licenza di Jacobin Foundation Ltd 388 Atlantic Avenue Distribuzione in libreria Brooklyn NY 11217 Messaggerie Spa United States Abbonamenti (4 numeri) Digitale: 24 euro Editore Digitale + cartaceo: 36 euro Spedizioni in paesi Ue: 20 euro Spedizioni in paesi extra Ue: 35 euro Edizioni Alegre società cooperativa Circonvallazione Casilina, 72/74 Info 00176 Roma www.jacobinitalia.it www.edizionialegre.it info@jacobinitalia.it
Economia POLITICA DELLA PAURA della caccia alle streghe Dalle «welfare queen» di Reagan alla «zingaraccia» di Salvini, per imporre le sue regole il mercato ha bisogno di creare mostri e additare nuovi capri espiatori. A questo scopo la paura diventa un elemento decisivo N ell’aprile 2012, l’allora ministro della sanità ellenico Andreas Lo- verdos introduce una direttiva con la quale giudica legittima la detenzione di soggetti considerati «un rischio potenziale per la salute pubblica». Il decreto di sanità pubblica 39A consentiva alla polizia greca di fermare, detenere e sottoporre forzosamente a test dell’Hiv, dell’epatite o di altre malattie sessualmente trasmissibili, Francesca Coin persone ritenute un «potenziale rischio» per la società. Nel giugno 2012, pochi giorni prima delle elezioni parlamentari, centinaia di donne vengono fermate nei quartieri più poveri di Atene, portate in carcere e sottoposte ad analisi forzate. Le immagini mostrano poliziotti in borghese che scortano donne in manette con guanti sterili, per evitare di esserne infetti. In quei giorni, il quotidiano greco Espresso pubblica in copertina la foto di una donna risultata positiva al test Hiv con il titolo «voleva diffondere la morte». Negli stessi giorni, le fotografie, i nomi e cognomi, le date e i luoghi di nascita di queste donne vengono resi pubblici dai telegiornali. Identifi- cate come «prostitute» e accusate di aver contratto una malattia con l’intenzione deliberata di diffondere il contagio, diciassette di queste donne sono state costrette a rimanere in carcere per Francesca Coin, PRIMAVERA 2020 diversi mesi prima di essere assolte. sociologa all’Università Nei primi mesi del 2012, i casi di infezione da Hiv in Grecia di Lancaster, si occupa erano aumentati del 1.450% rispetto al 2010, come dichiarato di lavoro, moneta e da Medici Senza Frontiere, per effetto congiunto dei tagli ai ser- diseguaglianze. 16N. 6
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vizi e alla sanità e della riduzione di circa un terzo dei programmi di scambio di siringhe. Prima della crisi, anche i tossici e le donne sulla strada potevano condurre una vita più o meno normale, trovare un lavoro part-time, due soldi per pagare un affitto, e libertà di accesso a servizi sanitari e alle cure mediche. Dopo la crisi, erano tornati casi di trasmis- sione verticale dell’Hiv ai figli da parte della madre, cosa che era divenuta rara in Grecia, a indicare l’assenza di percorsi terapeutici idonei durante la gravidanza. In questo contesto di crisi sociale e austerità, Loverdos inizia una caccia alle streghe che sposta l’asse della discussione dalle politiche macroeconomiche alle donne che vivono sulla strada, quella minaccia per la società, quella bomba di sovversione e di depravazione che rischiava di diventare incontrollabile se le autorità non fossero intervenute. Di fatto, il paese ellenico in quei giorni si trovava dentro una specie di impasse caratte- rizzata da una duplice impossibilità, quella di continuare a seguire le regole del mercato e quella di riformarlo. Quando gli effetti di un sistema economico fondato sul libero mer- cato devastano il tessuto sociale; quando tuttavia ogni tentativo di riformare il sistema è reso impossibile da una nuova fuga di capitali – scriveva l’economista e sociologo Karl Polanyi – l’unica soluzione è stralciare ogni rimanente vestigia di istituzione democratica, PRIMAVERA 2020 per assicurarsi che il mercato funzioni a prescindere dalla volontà popolare – quello che è accaduto in Europa negli ultimi dieci anni. Precisamente dentro questo punto morto era la Grecia nel 2012. Sull’orlo di un default che rischiava di far saltare lo stesso sistema bancario che aveva inondato di prestiti a basso costo il sud Europa, il governo greco era N. 6 18
stato costretto ad accettare un primo prestito di 110 miliardi in cambio di un pacchetto di austerità. Il costo della stabilità monetaria lo pagava la popolazione, mentre gli aiuti alla Grecia andavano a salvare i sistemi bancari europei. In quei mesi, nel momento in cui la popolazione si stava rendendo conto di essere stata usata come vittima sacrificale, nel centro di Atene comparivano donne la cui sola presenza riusciva a «contagiare uomini e animali, rovinare i raccolti, avvelenare il cibo, far scomparire la cacciagione, seminare la discordia intorno a sé», ed era a tal punto patologica da ricordare la caccia alle streghe. Quando l’ansia sociale diventa difficile da gestire – scriveva René Girard – quando la società è vicina all’implosione, il capro espiatorio previene il collasso. Nelle società in crisi, per tenere a bada l’ansia, il branco cerca una vittima, ne dimostra la colpevolezza e poi la bracca, la circonda, la crocifigge, la isola, la arresta o la deporta, come in questo caso. Ci sono diverse cose importanti nell’analisi di Girard del capro espiatorio. La prima è che per Girard la persecuzione del capro espiatorio avviene nelle società in crisi. Le cause della crisi non sono determinanti, al contra- rio sono indeterminate, e tanto più sono indecifrate più forte diventa LA GRECIA NON POTEVA la necessità di trovare un colpevole, quell’ammasso di depravazione NÉ ASSECONDARE che, minacciando la società con la sovversione, impone a quest’ul- IL MERCATO tima di braccarlo. La seconda è che per Girard il capro espiatorio è NÉ RIFORMARLO. innocente. È una vittima che viene giudicata colpevole solo perché COSÌ I POVERI SONO c’è un indizio che testimonia la sua relazione con le cause della crisi. DIVENTATI QUESTIONE Le cause della crisi erano effettivamente confuse. Per quanto oggi DI ORDINE PUBBLICO sia ampiamente dimostrato che il sacrificio della popolazione elle- nica fosse condizione indispensabile per impedire il collasso delle banche, il punto fondamentale è che la legittimità di questo salvataggio selettivo, che sacrificava una classe per proteggere l’altra, dipendeva dalla capacità di spostare sulla vittima sacrificale anche la colpa. Il problema non era solo sospendere la democrazia in linea con la pressione dei mercati, ma presentare l’azzardo morale delle banche come un eccesso di spesa pubblica, sino a privare la popolazione stessa delle condizioni necessa- rie per distinguere nitidamente le cause della crisi dai messaggi di colpevolezza con cui veniva bombardata: «Avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità». È in quel contesto che Loverdos inizia la sua caccia alle streghe. Un po’ come avveniva ai tempi di Francis Bacon, era necessario elaborare una nuova «teoria del mostruoso» per difendere il capitalismo dalle donne e dai poveri, da quei potenziali ribelli che non ave- vano nulla da perdere nell’innescare una rivolta popolare. Per prevenire la sovversione e LA POLITICA DELLA PAURA - LA PAURA DELLA POLITICA difendere il potenziale di progresso del capitalismo, Bacon aveva stilato un elenco di set- te tipologie di mostri e esseri deformi, contro natura, pericolosi, che andavano estirpati come nemico interno. Una di queste erano proprio le donne, le ribelli e le amazzoni, le prime a distruggere le recinzioni alle terre, a rubare il pane, a condurre la popolazione in rivolta. Per salvare il capitalismo, bisognava imbrigliare le amazzoni, e mobilitare fantasie di paura e terrore per incanalare contro di loro il risentimento sociale. C’è da dire che rispetto a quei tempi, la campagna di Loverdos non è stata efficace: attiviste, femministe e associazioni per i diritti umani hanno condannato la sua iniziativa, 19
portando all’abrogazione del Decreto di Sanità Pubblica 39A introdotto dal Partito sociali- sta (Pasok) nel maggio del 2013 e poi nuovamente il 17 aprile 2015. A ben vedere, tuttavia, la creazione di mostri è stata dominante durante tutte le crisi degli ultimi quarant’anni, con il duplice scopo di placare la ribellione e celare i veri responsabili della crisi. Nel suo meraviglioso libro, Killing the black body (Vintage, 1997), per esempio, Do- rothy Roberts racconta come sia stata la donna nera a divenire il capro espiatorio delle politiche di austerità negli Stati uniti da Reagan in poi. Ronald Reagan, la cui presidenza passerà alla storia per avere triplicato il debito pubblico, aumentato le spese militari, at- tuato la più grande contro-rivoluzione fiscale della storia tagliando le tasse per i ricchi, sotto l’egida di Arthur Laffer, ha fatto leva sulle fantasie coloniali più oscure della cultura statunitense per creare consenso all’austerità. Questa volta il capro espiatorio era la Wel- fare Queen, simbolo delle donne nere che richiedevano sussidi statali, divenuta il cavallo di battaglia della corsa presidenziale di Reagan già nel 1976. «A Chicago – disse Reagan in quell’anno – hanno trovato una donna che detiene il record. Ha usato 80 nomi, 30 indiriz- zi, 15 numeri di telefono per raccogliere i buoni pasto, la previdenza sociale, i sussidi per quattro mariti veterani deceduti inesistenti. Il suo reddito in contanti, esente da tasse, è stato di 150.000 dollari all’anno». Per Dorothy Roberts, la Welfare Queen, immagine mo- struosa di una donna nera, sempre incinta, priva di morale, che minaccia di diffondere nei quartieri bianchi la droga, la disoccupazione e la povertà, è riuscita a mobilitare a tal punto gli incubi dell’America bianca da riuscire da sola a legittimare lo smantellamento del welfare e la reaganomics da allora in poi. Di fatto, anche a quei tempi la storia era più complicata. La rivoluzione monetarista, quella specie di rivincita di classe a cui David Harvey riconduce l’inizio dell’epoca neo- liberale, è stata un processo articolato, che ha pianificato attentamente il cambiamento dei destinatari di classe delle politiche redistributive senza perdere il consenso sociale. È così che, per esempio, quando il capitale ha deciso di scioperare, nel 1975, e di smetterla di finanziare programmi di inclusione sociale della città di New York, troppo influenzati dal Civil Rights movement e dal Black Panthers Party, nessuno doveva interpretarlo come una vendetta di classe. La decisione dei ricchi di smetterla di finanziare lo stato sociale doveva essere interpretata come un intervento doloroso eppure indispensabile per sal- vare la città dalla tendenza a consentire ai poveri e agli opportunisti di vivere alle spalle della società. «Aveva tutta l’aria di un colpo di Stato da parte delle istituzioni finanzia- rie contro il governo democraticamente eletto della città di New York», ha scritto David Harvey per commentare la minaccia di bancarotta subita dalla città. Eppure allora come oggi, complice l’impenetrabile mistica del linguaggio bancario e l’architettura stessa del sistema monetario, la cura draconiana di tagli al welfare, alla sanità, al trasporto pubblico, all’istruzione e all’edilizia popolare non era stata presentata come una sospensione della democrazia, ma come l’indispensabile disciplinamento della condotta immorale di indi- PRIMAVERA 2020 vidui irresponsabili che vivono alle spalle degli altri. «Le povere madri nere non si limitano a procreare in modo irresponsabile», scrive Ro- berts, ma vogliono fare più figli per farli diventare ricchi alle spese dei bianchi. «Date a quelle pigre e incapaci buone a nulla un dito e si prenderanno un braccio», riportava la N. 6 20
Welfare Rights Organization di Milwaukee nel 1972: «Bisogna prendere tutte quelle im- broglione e metterle ai lavori forzati o mandarle in prigione. Toglierle dall’assistenza so- ciale. [...] Sono stanco di pagare le loro bollette». Una volta ancora, negli anni Settanta, erano le donne la causa di contagio, questa volta l’infezione non era solo virale, persino la povertà era diventata infettiva e impedire alle donne nere di fare figli era l’unico modo di prevenire che il mondo venisse inondato da orde di tossici e disoccupati. Sarebbe bello se tutto questo fosse alle nostre spalle ma non è così. Il testo di Imogen Tyler in questo numero racconta bene come la politica di austerità del partito conservato- re in Gran Bretagna sia stata legittimata da una stigmatizzazione dei beneficiari di welfare presentati come parassiti. La demonizzazione dei percettori di welfare, quel residuo «im- produttivo» di persone che «persistono a raggirare il sistema» e a «mungere con l’ingan- no» le scarse risorse nazionali, non fa leva esclusivamente sull’immaginario coloniale dei paesi occidentali, su quella cultura della paura in base alla quale «le terre altre» e la «sessualità altra» descrivono territori oscuri dai quali l’uomo bianco deve proteggersi, ma anche dall’incomprensione del- LA POLITICA DI AUSTERITÀ le cause della crisi. L’ex premier George Osborne, non a caso, demo- IN GRAN BRETAGNA nizza i percettori di welfare negli stessi anni in cui lo Stato interviene È STATA LEGITTIMATA per salvare il sistema bancario britannico, anzitutto Northern Rock, DALLA STIGMATIZZAZIONE Rbse Lloyds Bank, portando il rapporto debito/Pil dal 40% al 90% DEI BENEFICIARI in pochi anni. Ancora una volta, questo straordinario spostamento DI WELFARE PRESENTATI di risorse dai poveri alle banche veniva nascosto all’opinione pub- COME PARASSITI blica attraverso lo slittamento della colpa verso i poveri, cui faceva da grimaldello l’invisibilizzazione delle questioni finanziarie, come conseguenza congiunta di quelle che potremmo definire le conseguenze politiche del- la neutralità della moneta e del tentativo, confessato dall’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King, di tenere il salvataggio segreto per prevenire il panico. È così che, ancora oggi, la più spietata demonizzazione dei soggetti più vulnerabili del- la società continua come riflesso del progetto politico, elaborato lucidamente dai tempi di John Locke, David Hume e Adam Smith, di consentire ai mercati di controllare la spesa sociale mentre il controllo democratico dei mercati è precluso. È dietro questa fondamen- tale asimmetria di classe che si consuma il tentativo di presentare l’austerità come un male necessario per disciplinare i poveri, in una straordinaria elusione della democrazia, ed è attraverso la mobilitazione di fantasie coloniali che la società si trova sedotta da po- litiche punitive, che non solo la colpiscono alle spalle ma dividono la classe lungo le linee LA POLITICA DELLA PAURA - LA PAURA DELLA POLITICA del genere e della razza. Siamo a un passo, è evidente, dalla «zingaraccia» di Salvini, dalle ronde nei campi no- madi, dai roghi ai senzatetto, da quel «prima gli italiani» che normalizza uno stato di au- sterità permanente mentre difende l’allocazione di welfare ai soli bianchi. Vista da qui, la sospensione della democrazia è un obiettivo sadico ma piuttosto facile. Basta individuare le fasce sociali ribelli, sempre alla testa delle rivolte, e catalizzare contro di loro la paura e il terrore che si liberano nelle epoche di crisi. Basta un capro espiatorio, alle volte, per aizzare la società contro l’obiettivo sbagliato. Fino a che la società lo permette. 21
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