Diritto e nomi di dominio di Giovanni Ziccardi
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Diritto e nomi di dominio di Giovanni Ziccardi Un giovane webmaster dal nome altisonante, John William Racine II, che, in pieno periodo bellico, si diverte un po’ con il DNS e con il nome di dominio della Tv araba Al-Jazeera e viene condannato in California. Un’attivista vegetariana, Karin Robertson, dal volto sorridente, occhietti vispi e frangetta curata, che realizza finalmente la sua principale aspirazione e il sogno della sua vita: raggiungere la maggiore età per cambiare il proprio nome e cognome, all’anagrafe, in un nome di dominio, ‘goveg.com’. Un imprenditore italiano, Luca Armani, che monopolizza l’attenzione estiva dei giuristi nostrani per le questioni correlate al nome di dominio ‘armani.it’ e alla sua battaglia legale contro il gigante della moda. Uno strano soggetto, Stephen Michael Cohen, ex galeotto che ama definirsi ‘il re del porno’ – beato lui - e che se ne sta ora sotto il sole del Messico, a Tijuana, con un Tequila Sunrise in mano dopo aver truffato il legittimo titolare del dominio ‘sex.com’ – un dominio che vale 250 milioni di dollari - e dopo avere perso cause su cause in tribunale ed essere stato condannato al più alto risarcimento di danni nella storia di Internet, 65 milioni di dollari. Un sito di modelli zombie – o zombie modelli – ‘aberzombie.com’, dove modelli con le fattezze di morti viventi sfilano indossando prodotti di una famosa società di abbigliamento statunitense e che resistono ad un attacco legale di prim’ordine. Beh, che dire... Se quelle illustrate poco sopra non fossero storie vere, bisognerebbe inventarle. Ma, come è noto, la realtà è molto più interessante delle storie fantastiche. Di certo, questi personaggi, e le loro vicende, hanno contribuito a riportare un po’ in auge, nel 2003, il tema dei nomi a dominio e delle problematiche legali che possono sorgere con riferimento agli stessi. Chi da anni segue il settore del diritto dell’informatica, ricorderà che alcuni anni orsono il tema dei nomi a dominio era all’ordine del giorno. Si parlava di costituzione di enti per la riassegnazione dei nomi di dominio – che sorgevano alla velocità della luce - di ‘domain grabbing’ su larga scala, di disegni di legge che avrebbero dovuto portare un po’ di ordine in un panorama fumoso ed incerto. Molti sostenevano che proprio sul campo dei nomi di dominio si sarebbero giocate le partite più importanti del diritto delle nuove tecnologie. Poi, invece, è prevalsa la quiete. Altri temi – in testa il diritto 1
d’autore, le misure tecnologiche di protezione, i digital rights management systems, la privacy – sono diventati di moda, è il settore dei nomi di dominio si è un po’ calmato. C’è voluto il 2003 – che si è rivelato un anno abbastanza vivace – a riportare l’attenzione di molti appassionati, non solo giuristi, alle vicende correlate ai nomi di dominio. Può essere allora interessante ripercorrere un po’ i fatti che hanno dato nuova linfa a questioni, sociali ma soprattutto giuridiche, mai sopite. A riaprire il dibattito in Italia, nel gennaio 2003, è, guarda caso, il mondo politico. In primis, un parlamentare rende noto, in sede istituzionale, che un privato cittadino ha registrato tre domini Internet abbastanza particolari – ‘marinamilitare.it’, ‘esercitoitaliano.it’ e ‘aeronauticamilitare.it’ – che, a quanto pare, non erano di alcun interesse per il Ministero della Difesa. La registrazione risaliva a ben tre anni prima, ed è stato lo stesso cittadino che aveva registrato i nomi a dominio in questione a segnalare il fatto. La conseguenza è stata una interrogazione al Ministro della Difesa su questa ‘disattenzione’, mentre il problema alla base è un po’ più complesso, e riapre la discussione sui nomi di dominio riservati e sulle possibilità o meno per privati di registrare nomi a dominio ‘particolari’ senza timore di incorrere in sazioni o azioni legali. In questa situazione di disattenzione generale al panorama dei domini, è un annuncio del Ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri a rispolverare l’attenzione dei giuristi sulla questione. In particolare, viene annunciata una ‘Fondazione Meucci’ quale organo che si dovrà interfacciare con la Registration Authority italiana per definire regole e modalità dei domini internet italiani ‘.it’. Un nuovo soggetto, quindi, dovrebbe entrare, prima della fine dell’anno, nell’iter di registrazione, con poteri di attribuzione (o meno) e controllo dei nomi a dominio su Internet. Tale Fondazione farà capo al Governo. Si è riaperta, in questo caso, la vecchia diatriba sulla utilità o meno, e sulle funzioni, di Naming Authority e Registration Authority italiane. Mentre in Italia si discute su come riorganizzare i sistemi di assegnazione dei domini, negli Stati Uniti vengono ventilate pene severe – fino a quattro anni di carcere – per chi usa nomi di dominio dal nome ‘innocente’ per deviare su siti a luci rosse chi si collega a tali indirizzi. Questa proposta di legge, presentata al Congresso e pensata per tutelare minori che si collegano a nomi di dominio ‘banali’ e vengono reindirizzati su siti porno, prevederebbe due gradi diversi di 2
colpevolezza. Un uso ‘lieve’ del nome a dominio (due anni di reclusione) e un uso doloso – per chi esplicitamente attira dei minori su siti porno – con quattro anni di reclusione. Se negli Stati Uniti si cerca di stringere la morsa, apparentemente in Cina si liberalizza, anche e solo parzialmente. E’ stata infatti annunciata, nel 2003, la possibilità per chiunque di registrare i domini cinesi ‘.cn’, anche se l’autorità per la registrazione cinese si mantiene tutti i diritti di non registrare nomi considerati scomodi. Sono diversi i motivi per cui la registrazione può essere respinta, e sono largamente discrezionali. In pratica l’ente che registra può rigettare la registrazione di qualsiasi nome a dominio che ritenga inadatto, offensivo, pornografico o contrario agli interessi nazionali. Tutto questo movimento nel settore accade proprio nell’anno in cui si è festeggiato il ventesimo compleanno del DNS, e si è celebrata la creazione, vent’anni fa, da parte di due scienziati della University of Southern California di quella che è diventata la componente essenziale dell’Internet. Jon Postel e Paul Mockapetris vent’anni fa fecero il primo test di successo sul DNS, e diedero la possibilità ai computer di trovarsi tra loro nella rete e inviare automaticamente informazioni senza bisogno di una attività umana e manuale per i collegamenti. Ciliegina sulla torta, il 9 giugno scorso la città di Los Angeles ha annunciato al mondo di essere diventata la prima città ad avere il proprio nome di dominio ‘privato’. La società che registra i domini ‘.la’ è all’indirizzo http://www.la e si può permettere tale registrazione grazie ad un accordo raggiunto con il Governo del Laos, che consente tale società di usare il dominio ‘.la’, assegnato appunto a questa nazione. Vegetariani e sesso Analizzare, seppur per sommi capi, alcune vicende che sono successe in questi mesi con riferimento ai nomi di dominio ci può dare un quadro chiaro su quale sia la situazione attuale e, soprattutto, ci può prospettare una sorta di vademecum su cosa si può fare e su quali, invece, siano i comportamenti rischiosi da un punto di vista legale. Sul sito http://www.goveg.com, in prima pagina, c’è il volto sorridente di un’attivista vegetariana, Karin Robertson, che descrive al mondo come, compiuti i 18 anni, abbia potuto cambiare il proprio nome in ‘GoVeg.com’. Questo è stato uno dei pochi casi, nel 2003, nei quali si è parlato di nome di dominio senza sollevare questioni legali complesse. E’ stato, secondo alcuni, un misto di azione politica a tutela di tutti i 3
vegetariani e di promozione pubblicitaria per se stessa e per il sito. Fatto sta che la ragazza ha sfruttato la possibilità giuridica, vigente negli Stati Uniti, di cambiare il proprio nome e darsi una nuova identità raggiunta la maggiore età. Agosto, e veniamo al diritto, è stato anche il mese di nuovi processi per il caso che riguarda il più famoso – e ambito – nome a dominio al mondo, ‘sex.com’. Protagonista della vicenda è Stephen Cohen, ora rifugiatosi a Tijuana, Messico, che è stato condannato a pagare 65 milioni di dollari per danni al possessore legittimo del nome di dominio ‘Sex.com’. La corte distrettuale di San Jose in California si è pronunciata un’altra volta in favore di Gary Kremen, imprenditore di 37 anni che è stato truffato, anni orsono, da Cohen. La vicenda legale è abbastanza semplice, ma idonea a mostrare alcuni punti deboli del sistema di registrazione dei nomi di dominio. Kremen registrò il nome di dominio ‘sex.com’ insieme ad altri nomi nel maggio del 1994, ed iniziò a creare un business plan per il futuro sito ‘sex.com’. Nel 1995 Cohen, che era stato appena rilasciato da un penitenziario federale dove era ospitato per bancarotta fraudolenta, creò una lettera falsa, che inviò poi a Network Solutions Inc, e che sosteneva che vi era un accordo, firmato da Kremen, nel trasferimento del nome di dominio e di tutti i diritti su quel nome alla società di Cohen, che si chiamava Sporting Houses Management. E ciò avvenne, il dominio ‘sex.com’ fu trasferito in seguito ad una truffa con documenti falsi. Nel 1998 Kremen fece causa alla Sporting Houses Management per riottenere il controllo sul nome di dominio contestato, e fece causa contestualmente a Network Solutions accusandola di non avere protetto adeguatamente i suoi diritti su quel dominio. Nell’aprile del 2000 il giudice Ware rigettò le istanze di Kremen e negò che Cohen avesse ‘rubato’ il nome di dominio, sostenendo che i siti Web non costituiscono proprietà in senso concreto e, quindi, non si poteva configurare un vero e proprio furto per le leggi americane. Anche Network Solutions venne assolta, in quanto, per il giudice, era ingiusto ritenerla responsabile unicamente per avere svolto una funzione puramente amministrativa. La condanna di Cohen per frode, in base al California Unfair Competition Code, fu però emessa, anche se non sarà facile per gli attori recuperare la somma cui è stato condannato il truffatore, il quale si è rifugiato in Messico proprio per sfuggire alla legge americana (anche se non potrà rimettere piede negli Stati Uniti altrimenti verrà arrestato). 4
In Agosto, tralaltro, è stata anche modificata la parte della sentenza che faceva ‘salva’ Network Solutions da ogni responsabilità. Network Solutions è rimasto l’unico soggetto coinvolto nella vicenda ad essere sul suolo degli Stati Uniti e, quindi, che ha la possibilità di risarcire un eventuale danno. Ora Kremen ha intentato una causa da 100 milioni di dollari contro VeriSign (che ha di recente acquisito Network Solutions) per avere autorizzato la firma del trasferimento del dominio in prima battuta. Zombie e Al-Jazeera Nel giugno del 2003 Abercrombie & Fitch, grande società statunitense produttrice di vestiti, non accetta con il dovuto spirito la visione di un sito Web, ‘aberzombie.com’, che è in tutto e per tutto, sia nella grafica sia nei contenuti, una parodia della società e delle sue attività e prodotti. I creatori e gestori del sito ‘aberzombie.com’ avevano una sola cosa in mente, quando hanno creato il sito: lanciare un messaggio ai visitatori che comprano, o che stanno per comprare, abbigliamento chic del gigante statunitense Abercrombie & Fitch. La querelle legale, in questo caso, ha fatto vincere gli zombie, con alcuni punti giuridici di grande interesse. I fatti, abbiamo visto, sono semplici. Chad Nestor, cittadino di St. Paul, Minnesota, si dimostra un po’ seccato dal fatto che la linea di abbigliamento del gigante statunitense utilizzi lo slogan e le parole “Young america” correlate ai prodotti venduti. Chad allestisce così un sito web di parodia, e la conseguenza è che il gigante industriale chiede la rimozione immediata del sito e dei contenuti. La battaglia ha inizio. Il sito incriminato è simile, nella grafica e nell’aspetto, al sito della grande società, ma le foto di modelli e modelle sono state modificate con occhi spiritati e finti baffi. Per l’accusa (la società), le foto di modelli sono state rubate dal sito e il nome di dominio di Chad si distinguerebbe solo per l’avere cambiato le lettere ‘cr’ con una ‘z’. In questo caso la società è ricorsa alla WIPO (World Intellectual Property Organisation) chiedendo un procedimento per riassegnazione per trasferire il nome di dominio di Chad, contando anche su un precedente che aveva visto Abercrombie sconfiggere un sito porno che usava il nome ‘AbercrombieAndFilth.com’ Chad si è difeso dicendo di non gestire un sito con contenuti pornografici e che le foto di modelli erano state prese da una società che metteva a disposizione immagini royality free di Chicago (modelli che 5
indossavano vestiti simili a quelli di A&F). Inoltre Chad ha fatto notare come la differenza di spelling tra i nomi di dominio è stata fatta per creare un nuovo mondo, e non per creare confusione. Le richieste sono state respinte in quanto secondo il panel non si creava confusione, ed il sito aberzombie.com è rimasto vivo. Il 12 giugno 2003 da Los Angeles viene annunciato un altro processo, con probabile condanna (in realtà praticamente già concordata con il pubblico ministero), per un web designer, John William Racine II, 24 anni, imputato di avere reindirizzato del traffico dal sito Web della Tv araba Al-Jazeera ad un sito che mostrava una bandiera americana e le parole “let freedom ring”. I reati contestati sono la ‘wire fraud’ (una sorta di truffa telematica) e la ‘unlawful interception’ (intercettazione illecita) di una comunicazione elettronica. Racine ha confessato, prima all’FBI e poi al giudice, di avere agito subito dopo aver appreso, in Marzo, che il sito Web di Al-Jazeera aveva pubblicato foto di prigionieri americani di guerra e di soldati uccisi in Iraq. Secondo le autorità, il Webmaster avrebbe agito da solo utilizzando informazioni sul sito di Al Jazeera – già attaccato numerose volte – disponibili in rete. Avrebbe inoltre cambiato le password del sito per impedire ai legittimi amministratori di entrare. I danni sono stati quantificati in tre giorni di ‘redirect’ e circa 300 mail intercettate. Le pene previste negli Stati Uniti per simili reati sono molto alte, fino a 25 anni di prigione e una multa di 500.000 dollari, ma sembra che le richieste dell’accusa, visti anche i motivi sociali alla base del gesto, siano più lievi: l’accordo con il pubblico ministero sembra concluso sulla base di tre anni di libertà vigilata, 1.000 ore di servizio alla comunità e 1.500 dollari di multa. Leggendo gli atti di accusa, sembra che l’attacco al nome di dominio di Al-Jazeera sia stato abbastanza complesso. La prima parte è stata caratterizzata da una classica attività di social engineering: Racine ha dichiarato di avere telefonato agli amministratori di Network Solutions dicendo di essere l’amministratore del sito web di Al-Jazeera. Ha chiesto poi di poter aggiornare la password usata per avere accesso all’account, ha fatto una firma su un documento di autorizzazione fornito da Network Solutions e lo ha faxato alla società con allegata una carta di identità falsificata. Una volta entrato in possesso dell’account, lo ha reindirizzato a un sito Web differente che mostrava un messaggio di supporto alle truppe americane. Inoltre tutta la mail veniva rediretta ad un account di free mail che lui stesso aveva allestito. 6
Il caso Armani Il caso ‘armani.it’ ha un po’ monopolizzato la primavera-estate di molti giuristi ed appassionati di questioni giuridiche. La vertenza ha visto schierati in campo improvvisati e tradizionali difensori delle libertà civili, avvocati, industrialisti, politici più o meno informati di come stessero realmente le cose e semplici osservatori. I fatti sono noti: la Giorgio Armani s.p.a chiede, ed ottiene, al giudice, il dominio ‘armani.it’ registrato da Luca Armani, titolare di un timbrificio che viene pubblicizzato sul sito, nel lontano 1997. L’atto di citazione, fatto davanti al Tribunale di Bergamo, riguarda la violazione della legge-marchi. Nel marzo 2003 il Tribunale di Bergamo emette una sentenza favorevole a Giorgio Armani s.p.a. Sono diversi i punti che nella sentenza possono essere di qualche interesse anche per il semplice curioso di queste problematiche. In primo luogo il giudice ha notato come le regole di naming dettate dalla Naming Authority (ovvero quelle regole che stabiliscono la procedura per l’assegnazione dei nomi a domino, reperibili all’indirizzo http://www.nic.it), costituiscono mere regole contrattuali di funzionamento del sistema di comunicazione della rete Internet, di carattere amministrativo interno, che non possono essere utilizzate dal giudice. In particolare, visto che il giudice è tenuto ad applicare la legge, e non una normativa amministrativa interna, principi fondamentali quali il first come, first served (chi primo arriva registra il nome di dominio) avrebbero unicamente valore ‘interno’. Il giudice individua poi due funzioni del nome di dominio: una ‘di indirizzo’ che viene svolta dal nome di dominio nella sua integrità, ed una che si ‘concentra’ sulla parte centrale del nome e che svolge, quindi, una funzione distintiva. La conseguenza è che, ove si tratti di siti commerciali, il nome di dominio assume una funzione di segno distintivo di impresa e, pertanto, dei beni e/o dei servizi offerti dalla stessa. Le conclusioni del giudice, da tenere a mente nel momento in cui si va a registrare un nome a dominio per evitare problemi legali, sono che l’uso di un nome a dominio su Internet corrispondente ad un marchio registrato può essere considerato lesivo del diritto di esclusiva spettante al titolare del marchio ai sensi della legge marchi. Inoltre al conflitto tra domain name e marchio debbono applicarsi le norme che disciplinano i conflitti tra segni distintivi, ed il titolare del marchio può opporsi all’adozione di un nome a dominio uguale o simile 7
al proprio segno distintivo se, a causa dell'identità o affinità fra prodotti e servizi, possa crearsi un rischio di confusione. Nel caso di specie – armani.it - il giudice ha fatto notare come “la qualificazione del marchio ‘Armani’ come marchio registrato che gode di rinomanza comporti che il titolare benefici della tutela ampliata, che esorbita cioè il limite dell'identità o affinità tra prodotti e servizi - potendo egli vietare a terzi l'uso di un segno identico o simile, a prescindere dal rischio di confusione, laddove l'uso del segno consenta, alternativamente, di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca ad esso pregiudizio”. “Per quanto riguarda l'indebito vantaggio” – continua il giudice – “l'adozione come nome a dominio della parola corrispondente ad un marchio che per la sua celebrità è entrato nel patrimonio di tutti i consumatori e che, pertanto, ha una fortissima capacità attrattiva, nonché valore evocativo, consente al convenuto di procurarsi una vastissima notorietà, in quanto non vi è dubbio che l'utente Internet che desideri reperire il sito del celebre stilista digiterà proprio "armani.it" trovandovi, peraltro, indicazioni sui prodotti della ditta di Treviglio di cui è titolare il convenuto. Ne consegue che il titolare del timbrificio, sfruttando l'indiscutibile capacità attrattiva del marchio Armani, ottiene un notevole guadagno in termini di pubblicità ... guadagno peraltro indebito perché derivato dallo sfruttamento dell'enorme fama acquisita dal marchio in questione che richiama un vastissimo numero di utenti Internet”. Cosa vuol dire, in conclusione, il giudice. Che anche se le due società operavano in settori diversi, Luca Armani grazie al dominio armani.it poteva giovarsi indebitamente della fama del sarto Giorgio Armani. Ciò consente al sarto Armani di avere una tutela maggiore e di poter quindi esigere che il nome di dominio venga trasferito al ‘più famoso’ dei due. E così è andata in primo grado. 8
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