LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ SECONDO L'APPROCCIO SAM: UN'APPLICAZIONE ALL'ECONOMIA ITALIANA
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STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ SECONDO L’APPROCCIO SAM: UN’APPLICAZIONE ALL’ECONOMIA ITALIANA, 1990-1998 MARGHERITA CARLUCCI * - ANDREA CUTILLO ** - ROBERTO ZELLI *** 1. Introduzione: perché un approccio SAM In tema di analisi della produttività, particolare interesse riveste la conoscenza della distribuzione dei benefici della crescita di produtti- vità tra i diversi operatori che agiscono nel sistema economico. A questo fine, lo schema interpretativo fondato sulle matrici di contabi- lità sociale (SAM) permette una analisi approfondita degli aspetti distributivi collegati alle variazioni degli output settoriali, dei consu- mi intermedi e dei fattori primari. Nella SAM infatti viene rappresentato, all’interno di un unico quadro contabile, il passaggio dei flussi generati dalle unità di produ- zione omogenea alle unità istituzionali, con una descrizione esaustiva del processo circolare che parte dalla fase della produzione e si con- clude con la fase di utilizzo del reddito disponibile. La costruzione di una SAM, dunque, permette di realizzare modelli economici che incorporino sia fenomeni macro sia «meso»-economici in una pro- spettiva centrata sugli individui (gli «attori») e sui flussi (le «transa- zioni»), che rimane tuttavia inquadrata a livello dell’intera economia (Hanson e Robinson, 1991). L’idea di una SAM come strumento per la costruzione di modelli socio-economici, suggerita da Pyatt e Thor- becke (1977), ha seguito due orientamenti di fondo: a) un impiego ————————————— * Dipartimento di Contabilità Nazionale e Analisi dei Processi Sociali, Università degli Studi di Roma «La Sapienza». ** ISTAT, Dipartimento delle Statistiche Sociali, Direzione Centrale per le Indagini sul- le Istituzioni Sociali. *** Dipartimento di Contabilità Nazionale e Analisi dei Processi Sociali, Università degli Studi di Roma «La Sapienza», e-mail: roberto.zelli@uniroma1.it. Pur nella comune responsabilità, Roberto Zelli ha redatto i paragrafi 1, 3, 4.1, 4.2, Margherita Carlucci il paragrafo 2, Andrea Cutillo i paragrafi 4.3 e 4.4; il paragrafo 5 è stato redatto congiuntamente da M. Carlucci e R. Zelli. Parte delle elaborazioni rela- tive al 1992 sono state condotte nell’ambito del progetto CNR-ISCONA «Stima di matrici di contabilità sociale»; si ringraziano i professori Antonino Giannone, Marisa Civardi e Guido Ferrari che in quella sede sono intervenuti con indicazioni e commen- ti. Le opinioni espresse non coinvolgono le istituzioni di appartenenza. 75
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 delle SAM per analisi di tipo strutturale, come ad esempio le analisi basate sulla costruzione e l’analisi di coefficienti di attivazione; b) un utilizzo delle SAM come base di riferimento per la quantificazione di modelli di equilibrio economico generale1. Tra le analisi strutturali, particolare interesse rivestono i trasferi- menti di produttività globale tra settori e la distribuzione dei benefici della crescita della produttività tra i fattori della produzione e quindi tra le famiglie, distinte in gruppi, e gli altri settori istituzionali. L’analisi dei guadagni di produttività coinvolge infatti due aspetti distinti: la generazione e la distribuzione (Fontela, 1994). Mentre il problema della generazione dei benefici può essere adeguatamente analizzato in un quadro di riferimento input-output, la SAM permet- te una analisi più approfondita della loro distribuzione, collegandola alle variazioni nei prezzi relativi dei prodotti, dei beni e servizi inter- medi, e dei fattori primari. Qui entra in gioco l’entità dell’appropria- zione dei benefici dell’innovazione da parte degli agenti coinvolti nel processo di distribuzione (imprenditori, proprietari dei capitali impie- gati, lavoratori, governo, consumatori). I trasferimenti di produttività globale e le variazioni delle ragioni di scambio tra settori, operate dal processo di redistribuzione dei benefici, si riflettono poi nelle varia- zioni del tasso di crescita dei fattori primari. Disponendo di una SAM che articoli le famiglie per settore di atti- vità e fonte di reddito prevalente, è allora possibile (Keuning, 1995) tracciare la distribuzione dei benefici della crescita della produttività tra i diversi gruppi di famiglie. Nel seguito del lavoro, i meccanismi attraverso i quali si generano e ridistribuiscono i guadagni di produttività vengono analizzati e svi- luppati negli aspetti formali nei paragrafi 2 e 3. Nel paragrafo 4 ven- gono descritte le fasi dell’applicazione condotta per il nostro Paese ed i risultati ottenuti. Il commento a questi ultimi, con alcune considera- zioni operative per lo sviluppo di queste linee di ricerca, costituisce l’oggetto del paragrafo 5. 2. La determinazione dei guadagni di produttività intersettoriali In un modello input-output, il guadagno di produttività totale dei fattori produttivi, o i benefici dei processi innovativi, possono essere misurati come una riduzione nel tempo dei costi per unità di prodotto quando sia gli input che l’output siano misurati in termini reali. In assenza di distorsioni nel funzionamento del mercato, tali benefici ————————————— ¹ Per la costruzione ed applicazioni di modelli del primo tipo, si veda Pyatt e Round (1985); le relazioni esistenti tra modelli di equilibrio economico generale e matrici di contabilità sociale sono state specificate, ad esempio, in Pyatt (1988), Shoven e Whal- ley (1992), Bottiroli Civardi e Targetti Lenti (1992). Per una discussione sui legami esi- stenti tra costruzione di una SAM e suo utilizzo come base di modelli economici si veda Zelli (1998). 76
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... vengono poi trasmessi agli agenti economici attraverso cambiamenti nei prezzi. Varie sono le interpretazioni proposte in letteratura per la costru- zione di indici settoriali della produttività totale dei fattori (TFP). Muovendoci in un’ottica SAM, le formulazioni più interessanti sono quelle che si inseriscono nel quadro di riferimento input-output 2. Secondo la Carter (1990), l’innovazione può implicare un cambia- mento in qualche colonna della matrice dei coefficienti tecnici, o nella matrice dei coefficienti di fabbisogno diretto di input primari. La nozione di beneficio dell’innovazione si identifica allora nella diffe- renza tra la somma iniziale dei costi degli input necessari per produr- re un dato bene e servizio, e il nuovo valore (inferiore) dei costi deri- vante dall’innovazione. Si tratta pertanto di un concetto di innovazio- ne di «processo»3. La definizione e la misura della TFP in questo quadro implica due ordini di problemi: — il problema della generazione del guadagno di produttività (in quali branche di attività si origina); — il problema della distribuzione del guadagno di produttività (chi ne beneficia effettivamente). Le differenze tra i due quesiti sopra elencati possono essere forma- lizzate come di seguito. La crescita della produttività nel tempo impli- ca, come è noto, il venir meno dell’identità contabile tra valore della produzione e somma dei costi sostenuti per ottenerla quando gli aggre- gati vengono espressi a prezzi costanti di un anno base. Usualmente, la componente «residuale» legata alla crescita di produttività viene espressa come un fattore moltiplicativo (>1) che eguagli il valore degli input a prezzi costanti al volume dell’output; il surplus di TFP può allora essere espresso come rapporto tra output e input a prezzi costan- ti, come nell’indice di Kendrick (cfr. Kendrick e Vaccara, 1980). In uno schema input-output, tuttavia, è più utile esprimere tale componente in termini di differenza tra output e input a prezzi costan- ti, piuttosto che di rapporto. Se positiva, tale differenza riflette il gua- dagno dovuto all’innovazione, che ha permesso ad un settore di attività di aumentare il volume dell’output più che proporzionalmente del volume dei suoi input, tra il tempo 0 ed il tempo t. In altri termini, essa permette di individuare l’origine settoriale del processo di crescita. In simboli, se qij, t indica l’output reale del settore i fornito al setto- re j nell’anno t (comprendendo anche gli utilizzatori finali), e pij, 0 il ————————————— ² Un’ampia raccolta di contributi sulla TFP è contenuta in Hulten, Dean e Harper (2001). Per un approccio all’analisi della TFP nel quadro I/O, si possono ricordare, tra gli altri, Peterson (1979), Wolff (1985), Fontela (1994), Durand (1996) e, in ambiti diversi, De Juan e Febrero (2000) e ten Raa e Wolff (2001). ³ Nel caso di innovazione di «prodotto», invece, si può anche avere un aumento dei costi di produzione a seguito dell’innovazione iniziale. 77
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 prezzo corrispondente all’anno base 0, la differenza tra output e input in volume del settore i è: z i ,t = ∑ pij ,0 qij ,t − ∑ p ji ,0 q ji ,t [1] j j Tenendo presente che per ogni settore il totale dell’output è uguale al totale degli input a prezzi correnti si avrà (aggiungendo e sottraen- do tale valore nella [1]): z i ,t = −∑ qij ,t ( pij ,t − pij ,0 ) + ∑ q ji ,t ( p ji ,t − p ji ,0 ) [2] j j Inoltre, adottando l’ipotesi, usuale nel quadro input-output, di uguaglianza dei prezzi dell’output per ciascun settore utilizzatore e ponendo ∑q j ij ,t = Qi ,t , possiamo esprimere la TFP in termini di quota sull’output settoriale come: z q f i ,t = i ,t = −( pi ,t − pi ,0 ) + ∑ ji ,t ( p j ,t − p j ,0 ) = − ( pi ,t − pi ,0 ) + ∑ Qi ,t j Qi ,t [3] + ∑ a ji ,t ( p j ,t − p j ,0 ) j dove aj i, t = q ji, t /Q i, t. La relazione [3] permette di evidenziare il processo di distribuzione di tale guadagno in conseguenza di cambiamenti nei prezzi: — se i prezzi degli output settoriali si riducono nel tempo (pi, 0 >pi, t), la distribuzione è «a valle», in quanto il settore sta trasferendo parte del guadagno di produttività ai suoi acquirenti, offrendo i propri prodotti ad un prezzo minore; — se i prezzi degli input utilizzati aumentano (pj, 0 < pj, t), la distribu- zione è «a monte», in quanto il settore sta trasferendo parte del guadagno di produttività ai suoi fornitori (compresi i fornitori di input primari, lavoro e capitale). Il problema della distribuzione del guadagno di produttività è quindi collegato a cambiamenti nei prezzi relativi sia dei prodotti, sia degli input intermedi e primari, cambiamenti che riflettono l’entità dell’appropriazione dei benefici dell’innovazione da parte degli agenti economici coinvolti (imprenditori, proprietari di capitali, consumato- ri, lavoratori, amministrazioni pubbliche). In un mercato di concorrenza perfetta la riduzione dei costi dovrebbe immediatamente ricadere sui consumatori, traducendosi in una riduzione dei prezzi di vendita. Al contrario, in un mercato di 78
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... monopolio il produttore potrebbe decidere di tenere tale beneficio per sé 4. Il grado di correlazione negativa tra la TFP ed il prezzo dell’out- put può essere allora visto come una misura del grado di mobilità dei fattori e della competitività sui prezzi. In particolare, le diverse componenti del beneficio dell’innovazio- ne possono essere distinte in: — entità del guadagno di produttività dovuto all’innovazione trasfe- rito dal settore j al settore i. Un valore positivo significa che il set- tore j sta pagando di più a prezzi correnti che a prezzi costanti per i prodotti forniti dall’industria i; — il guadagno trasferito ai fattori capitale e lavoro attraverso, rispet- tivamente, l’incremento dei profitti e del tasso di remunerazione dei salari; — il guadagno di produttività trasferito ai consumatori. 3. Gli effetti distributivi dei guadagni di produttività In un’ottica incentrata sugli individui assumono particolare rilevanza, nell’ambito dell’analisi della distribuzione dei benefici della crescita della produttività, le ricadute sui fattori della produzione e, quindi, tra le famiglie, eventualmente distinte in categorie socio-economiche, e gli altri settori istituzionali (per una rappresentazione formale di questa analisi si rimanda all’Appendice A). Oggetto di interesse diventa allora l’analisi delle variazioni nel tempo del saggio salariale medio e del tasso medio di profitto per ramo di attività. Seguendo lo schema di Keuning (1995), partendo da un sistema eco- nomico costituito da: N attività produttive omogenee (indice i), interne (apice d) o di importazione (apice m), tutte capaci di generare un pro- dotto unico e caratteristico (indice j); M tipologie lavorative (indice l), alle dipendenze (apice p) o autonomo (apice u); G categorie di beni capi- tali fissi (indice k); F tipi di capitali non prodotti, finanziari e non5 (indi- ce c), l’identità contabile tra la produzione e la remunerazione dei fattori utilizzati, intermedi e primari, si può definire come segue: ∑P Q + ∑P Q + ∑W L j∈N j d ji j∈N j m m ji l∈M p li li + ∑Wli Luli + ∑Pk Kki + ∑Rci Cci = Γ l∈M k∈G c∈F [4] = Γi Pi Qi , i ∈ N ————————————— ⁴ Si noti infatti che misure della TFP basate sui prezzi di mercato non riescono a sepa- rare l’effetto dell’innovazione dagli effetti di variazioni inattese della domanda finale di entità rilevante, di scioperi generali o di fusioni fra imprese che aumentino significati- vamente il grado di monopolio (De Juan e Febrero, 2000). Più in generale, la misura della TFP presenta problemi specifici nel caso di un mercato non concorrenziale, dove viene meno l’uguaglianza tra prezzo e prodotto marginale dei fattori impiegati, cfr. tra gli altri, Rotemberg e Woodford (1996). ⁵ Esempi di attività non finanziarie non prodotte utilizzate nel processo produttivo sono i terreni, i giacimenti, i contratti trasferibili, ecc. 79
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 dove Q è l’output in quantità; Q d e Q m rappresentano gli input in quantità di beni e servizi intermedi, interni e di importazione; P e Pm sono i prezzi dei beni e servizi, rispettivamente, interni e importati; K e C gli input in quantità dei capitali prodotti e non; L p e L u sono gli input di lavoro, dipendente e autonomo; W è il saggio salariale6; R è il tasso di rendimento dei capitali non prodotti; Γ è il rapporto tra la produzione al costo dei fattori e ai prezzi depart-usine (comprensivi cioè delle imposte indirette nette, ma non dei margini di commercio e trasporto). L’input totale al costo dei fattori è quindi distinto in con- sumi intermedi, di produzione interna o importati, reddito da lavoro dipendente e risultato lordo di gestione. Quest’ultimo, come noto, comprende i redditi da lavoro autonomo, gli ammortamenti dei beni strumentali utilizzati ed i rendimenti dei capitali finanziari e delle atti- vità non prodotte. Per la quantificazione di alcune componenti dei flussi di remune- razione dei fattori primari, tuttavia, lo stato dell’informazione statisti- ca disponibile impone l’adozione di ipotesi semplificatrici. In primo luogo, in mancanza di dati sufficientemente disaggregati per branca di attività, il costo del servizio dei capitali non prodotti è stato approssimato7 secondo un’ipotesi di mark-up sul totale degli altri costi correnti. Anche gli ammortamenti per l’uso dei capitali fissi possono essere considerati come un mezzo di produzione endogeno al sistema (Wolff, 1985), ossia come beni prodotti per essere riutilizzati nel processo produttivo, esattamente come i beni intermedi. Operativamente, ciò corrisponde a «chiudere» la matrice I/O rispetto agli investimenti sostitutivi, aggiungendo una branca di produzione fittizia che riporti in riga il valore degli ammortamenti per settore investitore, in colon- na gli input necessari per produrre i beni in cui si concretizzano detti ammortamenti per branca di produzione (in pratica, si scorpora dalla colonna intestata alla formazione di capitale la parte relativa agli ————————————— ⁶ Si è adottata l’ipotesi di uguaglianza delle retribuzioni unitarie tra dipendenti e indi- pendenti nello stesso settore di attività, analogamente a quanto fatto dall’ISTAT per determinare i flussi di reddito da lavoro autonomo delle famiglie consumatrici (ISTAT, 1996). ⁷ Si osservi che, se in base all’osservazione empirica è plausibile, almeno nel breve periodo, che i costi per l’indebitamento e per il pagamento delle rendite corrisposte per l’uso di terreni, licenze, ecc. varino in proporzione agli altri costi di gestione, dal punto di vista teorico l’ipotesi di proporzionalità tra fabbisogno degli input primari non pro- dotti e volume dell’output implica che non vi siano variazioni nella produttività dei capitali non prodotti. Anche se il problema ha una rilevanza maggiore in paesi a un livello inferiore dello stadio di sviluppo economico, in cui da un lato la terra e le risorse naturali sono un importante mezzo di produzione e dall’altro vi sono forti e differen- ziati vincoli nell’accesso al mercato del credito, va comunque ricordato che, in questa impostazione, quando si parla di produttività totale dei fattori si fa riferimento in realtà solo al lavoro ed ai capitali strumentali. 80
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... ammortamenti, che entra così a far parte della sezione degli impieghi intermedi, lasciando nella domanda finale i soli investimenti netti). Ne deriva che nella equazione [4] l’ammortamento dei capitali fissi scompare come fattore autonomo, ma viene aggiunto agli altri input intermedi. A questo punto è possibile esprimere il guadagno di produttività in termini di variazioni di prezzo, in modo da illustrare più chiara- mente il meccanismo attraverso il quale, in un’economia di mercato, si distribuiscono i benefici da esso derivanti tra i vari agenti del siste- ma economico. Partendo dall’identità contabile tra la produzione e la remunerazione dei fattori utilizzati, il tasso di crescita della produtti- vità può essere espresso come somma algebrica dei tassi di variazione dei prezzi degli input, ponderati con la rispettiva incidenza sui costi totali, meno il tasso di variazione del prezzo dell’output, ossia: • Pj Q dji • Pjm Q mji • fi = ∑ Γ PQ j / πi Pj +∑ j Γi Pi Qi / π i Pjm + ∑ i i i +∑ ( Wli Llip + Luli • ) • • • W li + π i − Γi − P i , i ∈ N [5] l Γi Pi Qi / π i Da questa relazione (attraverso i passaggi esposti in Appendice A) è possibile arrivare a scomporre il tasso di variazione dei prezzi del- l’output proporzionalmente alle quote dei costi intermedi e primari al netto del mark-up e isolando le componenti che si riferiscono ai fatto- ri primari si vede come il tasso di crescita dei saggi di remunerazione dei fattori primari in un settore di attività può essere scomposto in tre fattori: 1) crescita della produttività totale; 2) aumento dei prezzi del- l’output; 3) cambiamento nelle ragioni di scambio, intese come diffe- renza esistente, per ogni branca, tra gli indici dei prezzi dell’output da essa generato e gli indici dei prezzi degli input intermedi (interni e importati) utilizzati nella produzione. Queste tre grandezze possono essere sintetizzate in un’unica variabile in grado di esprimere in gene- rale le «variazioni nelle condizioni di competitività» della branca con- siderata. È possibile a questo punto vedere come le variazioni di produtti- vità si ripercuotano sul mercato del lavoro, in particolare sui salari visti da due «prospettive» diverse: i salari distinti per branca e i salari distinti per categoria di lavoro. La crescita del salario medio in un settore di attività economica è influenzata da cambiamenti nei salari per categoria di lavoro e slitta- menti nella composizione delle forze di lavoro secondo la relazione (si veda anche l’Appendice A): 81
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 • • Γ i Pi Q i / π i • W = φ i − π i + ∑ .i W li ( L p li + L u li ) l • W l i L lpi L lpi + ∑ + ∑ ∑ W ( L p + L u ) ( L p + L u ) [6] l li li li li li l l • W l i L uli L uli + ∑ i∈ N ∑ + ∑ + p u p u l W li ( L li L li ) ( L li L li ) l l Pertanto, partendo dal salario medio per attività produttiva, il saggio salariale per branca varia: — positivamente con le variazioni di competitività in misura tanto maggiore quanto minore è la quota di costo del lavoro prima del- l’applicazione del mark-up; — negativamente con le variazioni del mark-up, con un effetto tanto maggiore quanto minore è il peso del costo del lavoro sul totale dei costi (sempre prima di aver calcolato il mark-up); — positivamente con uno slittamento nella composizione delle forze di lavoro verso categorie meglio retribuite. Analogamente si può ottenere la crescita del salario medio in una specifica categoria di lavoro. In questo caso, una categoria di lavora- tori può ottenere quindi un aumento salariale perché: — più rappresentata nei settori che hanno dato luogo a forti aumenti di stipendi; — presenta un saggio salariale più alto che tende a far rialzare anche altri gruppi di stipendi nella stessa branca; — va incontro ad uno slittamento verso settori con retribuzioni migliori. Per poter esaminare interamente il circuito distributivo, è ne- cessario illustrare, almeno da un punto di vista teorico, l’ultimo passo: lo studio delle variazioni nella distribuzione dei redditi ge- nerati nella produzione in relazione ai cambiamenti nell’impiego dei fattori produttivi forniti dalle famiglie e ai loro tassi di remunera- zione. L’analisi può essere sviluppata fino ad esplicitare il contributo di ogni fattore ai cambiamenti nella distribuzione dei redditi. In que- st’ottica, la crescita del reddito netto per famiglia viene ad essere scomposta nella somma di tre fattori (Keuning, 1995): — il tasso di crescita del salario; 82
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... — la variazione nel livello di occupazione; — la variazione nelle entrate nette non da lavoro. Questo tipo di collegamento tra crescita economica e concomitan- ti variazioni distributive mette in evidenza due meccanismi di varia- zione dei redditi primari: a) un effetto «volume», come per esempio la crescita di produttività per branca e gli slittamenti nell’ammontare dei diversi tipi di lavoro sempre per branca; b) un effetto «prezzo», come ad esempio le variazioni nelle ragioni di scambio, nei tassi dei salari relativi o nel mark-up per industria, e le variazioni nei tassi di salario per categoria di lavoro. 4. Variazioni di produttività e slittamenti nella distribuzione dei salari: un’applicazione per gli anni 1990-1998 4.1. Le fonti statistiche utilizzate Una volta costruito il quadro teorico di riferimento, in questa fase del lavoro si è cercato di verificare quale sia, tra i tre fattori (una variazione della produttività; un cambiamento nelle ragioni di scam- bio; un aggiustamento dei prezzi dell’output) che determinano le variazioni dei salari medi, il più rilevante per l’economia italiana. Lo scopo di questa applicazione è stato di natura essenzialmente esplora- tiva, in quanto si è anche voluto verificare il grado di «tenuta» del- l’informazione statistica rispetto alle esigenze conoscitive del modello. In effetti, data la disponibilità dei dati, in questo studio si è partiti da una rappresentazione matriciale di conti nazionali (detta NAM), che costituisce il nucleo centrale della SAM8. Successivamente, la NAM è stata integrata con alcune informazioni supplementari ricostruite a partire dalle indagini sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia. Per poter procedere nell’analisi, è necessario disporre almeno di una NAM a prezzi correnti e a prezzi costanti, oppure di una NAM a prezzi correnti e di un opportuno sistema di indici dei prezzi, con base nell’anno in cui si dispone della NAM, che siano in grado di misurare le variazioni attribuibili ai prezzi degli aggregati collocati in ciascuna cella della matrice. L’esercizio qui presentato segue il secondo approccio, applicando ad una matrice di contabilità nazionale, disponibile per il 1990, un sistema di indici dei prezzi relativi al 1992 in base 1990. Successiva- mente, si è applicato ad una matrice di contabilità nazionale, relativa al 1992, un sistema di indici al 1995 in base 1992 e un sistema al 1998 in base 1992. Le due matrici di contabilità sono di differente struttu- ra, poiché la prima segue i dettami del SEC79, mentre la seconda è stata realizzata seguendo il sistema di contabilità vigente attualmente nei paesi UE, il SEC95. ————————————— ⁸ Sulla costruzione della NAM per l’Italia, seguendo sia il vecchio sia il nuovo SEC, si veda Coli (1998, 2000). 83
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 Nella prima fase dell’applicazione è stato costruito, per ogni sin- golo aggregato della NAM, il relativo indice di prezzo, prestando par- ticolare attenzione alla coerenza dei dati utilizzati, in termini di corri- spondenza tra le diverse classificazioni dei beni e servizi. La seconda fase comprende l’applicazione per l’Italia, che mette in luce il proces- so attraverso il quale gli aumenti di produttività delle imprese si distribuiscono tra i lavoratori. Come detto, per inflazionare gli aggregati delle matrici di contabi- lità nazionale occorre un sistema di indici dei prezzi che comprenda informazioni relative ai prezzi alla produzione, alle importazioni e al costo del lavoro. Per quanto riguarda i prezzi dell’output, in linea teo- rica gli indici dei prezzi alla produzione sono gli indicatori maggior- mente idonei; in realtà, spesso si presentano dei problemi sia teorici che pratici: tra i più diffusi ci sono la selezione delle informazioni sui prezzi dell’output e, più rilevante, la procedura di deflazione delle branche relative ai servizi, per le quali in generale ci si basa su medie degli indici dei prezzi al consumo, costruendo i pesi in base alla matrice ponte dei consumi (Di Leo, 1999) che permette il passaggio dalla classificazione funzionale alla classificazione per branca produt- trice. Una ulteriore complicazione è rappresentata dall’aggiornamen- to degli indici da parte dell’ISTAT per adeguarsi al SEC95: dal 1995, infatti, data di revisione del paniere, sono disponibili dati a livello più dettagliato, cosa che da una parte ha permesso una maggiore artico- lazione delle diverse voci, soprattutto per quanto riguarda gli scambi con l’estero, ma dall’altra ha complicato la costruzione degli indici di nostro interesse a causa della non perfetta corrispondenza delle stes- se. Gli stessi indici sono stati utilizzati anche per inflazionare i flussi degli scambi intersettoriali, in modo da calcolare la variazione dei prezzi dei flussi di produzione intermedia interna relativamente ad ogni branca. Nella Tabella 1 sono riportati, a scopo esemplificativo, gli indici dei prezzi dei flussi intersettoriali utilizzati per inflazionare la matrice del 1990. Gli indici da noi elaborati per inflazionare gli output per settore e i flussi intermedi di produzione interna nelle applicazioni relative ai tre anni sono coerenti con i valori aggregati diffusi dall’ISTAT (Pisani, 2001; Moauro e Piergiovanni, 2001). Per inflazionare il vettore degli input intermedi importati, si è optato per la serie dei numeri indice dei prezzi del commercio con l’e- stero. È importante ricordare che l’ISTAT ha utilizzato per il 1992 la nomenclatura di tipo NACE/CLIO, articolata in 10 macro-branche, 27 branche e 127 gruppi, e che gli indici di prezzo ad essa relativa coprono, in termini di valore, circa il 90 per cento del totale delle importazioni. Per il 1998 sono disponibili dati più dettagliati, permet- tendo una maggiore precisione nella costruzione degli indici di nostro interesse. Per quanto riguarda gli esborsi dalle branche nazionali ver- so le branche di servizi esteri, non esistendo indici appropriati, si è 84
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... Tabella 1 – Indici di prezzo relativi ai flussi intersettoriali Branche Indici di prezzo 1 deflatore della produzione lorda vendibile 3, 5, 7, 9, 11 deflatori delle produzioni energetiche 13, 15, 19, 21, 23, 25, 27, 29, 45 indici dei prezzi all’ingrosso 17, 41, 43, 47, 49 indici dei prezzi alla produzione raccor- dati con i prezzi all’ingrosso 31, 33, 35, 37, 39 indici dei prezzi alla produzione 53 numero indice del costo di costruzione di un fabbricato residenziale 51, 55, 57 media ponderata degli indici dei prezzi al consumo e degli indici dei prezzi all’in- grosso 59, 61, 63, 65, 67, 71, 73, 75, indici dei prezzi al consumo 77, 79, 93 69 deflatore dei servizi bancari imputati 81, 85, 89 deflatore dei consumi collettivi utilizzato per il 1992 l’indice generale dei prezzi all’importazione. Dal 1995 è invece disponibile un indice relativo ai servizi importati. Per le imposte indirette nette, sono state considerate distintamente le imposte sulla produzione, quelle sulle importazioni e l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), ognuna delle quali al netto dei contributi. I numeri indice medi annui delle retribuzioni contrattuali per atti- vità economica e per le categorie degli operai e degli impiegati, costruiti sempre in riferimento al 1992 in base 1990 e al 1995 e al 1998 in base 1992 sono stati utilizzati come indici dei prezzi relativi all’input di lavoro dipendente9. Il mark-up è stato calcolato come coefficiente di proporzionalità delle altre voci di costo, come indicato nel paragrafo 3. In realtà, nelle matrici di contabilità nazionale non è presente la divisione dei redditi da lavoro autonomo dai redditi da capitale. Per isolare i redditi da ————————————— ⁹ La retribuzione, come è noto, è ottenuta dalla somma tra quanto determinato in base alla contrattazione collettiva e quanto stabilito invece nella singola azienda. Tut- tavia fra l’ammontare effettivamente percepito dal lavoratore ed il costo complessivo del lavoro esiste una non trascurabile differenza che scaturisce da una somma di com- ponenti contributive e tributarie che gravano sia sul dipendente che sull’impresa. Esiste quindi una obiettiva difficoltà nel cercare di mettere ordine tra le molteplici basi infor- mative disponibili e tra le diverse voci e relative quote che formano i differenti oneri. Tuttavia, se questo è vero in termini assoluti, quando si passa agli indici di variazione la rilevanza di eventuali errori legati alla discrepanza tra costo del lavoro e retribuzio- ne contrattuale si attenua notevolmente. 85
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 lavoro autonomo si sono utilizzati i dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia, che hanno permesso di ricavare le quote dei lavoratori autonomi e degli imprenditori relativamente alla voce della NAM «Altri redditi e ammortamenti»10. 4.2. L’estensione dell’orizzonte temporale Come indicato in precedenza, le variazioni del periodo 1990-92 sono state analizzate sulla base di una matrice di contabilità nazionale 1990 e degli indici di prezzo 1992 con base 1990. Successivamente, si è provato ad estendere l’orizzonte temporale di riferimento tramite l’uti- lizzo di una nuova matrice degli scambi intersettoriali (matrice input- output) relativa al 1992 e disaggregata in 92 settori di attività produtti- va, coerentemente con lo schema del SEC95. Si è così applicato alla matrice di contabilità nazionale del 1992 un sistema di indici dei prezzi relativi al 1995 e uno relativo al 1998, entrambi in base 1992. In questo lavoro si è fatto riferimento alla suddivisione in 31 setto- ri, secondo la nomenclatura SEC95, con alcuni accorpamenti e scis- sioni, resi possibili proprio dalla migliore disponibilità di dati a livello qualitativo, per tenere conto della realtà economica italiana: il SEC95, infatti, prevede diversi livelli di aggregazione delle branche di attività produttiva, ricavati all’interno del sistema Europa, ma che non tengono conto delle diverse specificità nazionali. Si sono così iso- late branche particolarmente importanti per la loro rilevanza quanti- tativa, purché protagoniste negli ultimi anni di un forte sviluppo, oppure soggette a particolari trattamenti fiscali o al centro di partico- lare interesse. Si sono invece accorpate branche inizialmente divise nella matrice input-output per la scarsa rilevanza nel panorama eco- nomico italiano o branche simili con analogo comportamento delle grandezze interessanti per la nostra analisi (indici dei prezzi alla pro- duzione, all’importazione, costo del lavoro…). Alla fine di questo percorso si è arrivati ad avere una suddivisione in 36 settori di attività (per la corrispondenza tra le 92 branche della NAM e le 36 della nostra analisi, si veda l’Appendice B). Per quanto riguarda i cambiamenti intercorsi nell’economia italia- na tra il 1995 e il 1998 occorre fare una premessa: l’analisi sui cam- biamenti di produttività parte dall’uguaglianza contabile tra valore dell’output e valore dell’input totale al costo dei fattori, distinto in ————————————— ¹⁰ In realtà, in questa maniera non è stato possibile considerare tra i costi la retribuzione per il lavoro prestato dagli imprenditori stessi e, soprattutto, il deprezzamento del capitale fisso impiegato, con conseguente sovrarappresentazione del mark-up. Poiché il problema è analogo per i quattro anni rilevati, si può ipotizzare che l’entità degli effetti delle distor- sioni sulla costruzione dei numeri indice del mark-up sia ridotta. Relativamente al 1995 e al 1998 esiste l’indagine della Banca d’Italia; per quel che riguarda il 1990 e il 1992, non esistendo le indagini relative, si sono utilizzate le indagini del 1991 e del 1993, ipotizzando che i cambiamenti nella composizione delle quote da un anno all’altro siano trascurabili. 86
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... consumi intermedi, reddito da lavoro dipendente e risultato lordo di gestione. I cambiamenti di produttività, quindi, sono legati ai cam- biamenti dei valori degli input e degli output. In realtà, in letteratura vengono calcolati attraverso le variazioni delle quantità di input e di output o dei prezzi di input e di output (Keuning, 1995). In questo lavoro, come detto, le variazioni intercorse tra i diversi anni sono sta- te calcolate utilizzando i cambiamenti nei prezzi, e questo per due motivi: per una migliore disponibilità dei dati, e, soprattutto, perché i cambiamenti del quadro economico si riflettono molto più veloce- mente sui prezzi piuttosto che sulle quantità, molto più lente ad ade- guarsi alle nuove necessità della branca produttrice. Non bisogna però dimenticare che tra il 1992, l’anno a cui si riferiscono gli aggre- gati della NAM, e il 1998 intercorre un lasso di tempo piuttosto ampio, nel quale sicuramente i cambiamenti di valore sono stati influenzati anche da cambiamenti nelle quantità non considerati. 4.3. Le variazioni di produttività tra il 1990 e il 1998 Nel presentare l’applicazione empirica11 della struttura appena esposta, relativa alle 44 attività produttive classificate secondo la NACE /CLIO, è bene ricordare che per gli input intermedi è stata adottata l’ipotesi consueta nell’analisi input-output di omogeneità dei prezzi settoriali per ogni acquirente. Ne deriva che, per eliminare l’influenza di differenziali nelle aliquote impositive e nei margini distributivi, la produttività è stata stimata ai prezzi base. In generale, la stima della variazione di produttività non differisce in maniera troppo marcata tra le branche, eccezion fatta per l’8,2 per cento della branca cokefazione e il – 6,5 per cento della branca tabacchi lavorati. Il resto dei settori si muove invece in un intervallo che va dal –2,8 per cento della branca carbone e lignite al + 3,6 per cento della branca minerali e metalli ferrosi e non ferrosi. Da un’analisi più approfondi- ta dei dati, appare come, nei primi anni Novanta, le branche di pro- duzione industriale abbiano vissuto una dinamica della domanda in favore dei consumi e a svantaggio degli investimenti; questo ha cau- sato, in alcuni settori, un eccesso nel livello di scorte di prodotti finiti rispetto al margine considerato «normale» dagli operatori, con una conseguente contrazione della produttività, date le rigidità nel mer- cato dei fattori primari. Il fenomeno appare particolarmente rilevan- te per gli estrattivi, le altre industrie manifatturiere, i tabacchi e le forniture elettriche . È allora possibile (cfr. Tabella 2) suddividere le branche in quattro tipologie, in base alla direzione delle variazioni della produttività e delle ragioni di scambio. Nel primo quadrante (in alto a sinistra) si collocano i settori in cui ad una variazione positiva della produttività ————————————— ¹¹ I principali risultati sono riportati nelle tabelle in Appendice C. 87
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 Tabella 2 – Suddivisione delle branche di attività secondo le variazioni della produttività e delle ragioni di scambio tra il 1990 e il 1992 Variazioni nelle «ragioni di scambio» – + Agricoltura, zootecnia e pesca; Cokefazione; Elettricità, gas e Minerali e metalli ferrosi e non acqua; Prodotti in metallo; Al- ferrosi; Prodotti chimici e far- tri mezzi di trasporto; Bevande maceutici; Macchine per ufficio alcooliche e non alcooliche; e di precisione, ottica; Latte e Cuoio, pelli e calzature; Legno e prodotti del latte; Commercio; mobili in legno; Trasporti inter- + Ausiliari dei trasporti; Credito e ni e oleodotti. assicurazioni; Locazione di fab- bricati; Ricerca ed insegnamen- Variazioni di produttività to privati; Servizi generali delle AA.PP. Carbone e lignite; Forniture Petrolio e gas naturale; Mi- elettriche; Comunicazioni. nerali non metalliferi; Mac- chine agricole e industriali; Autoveicoli e relativi motori; Carni fresche e conservate; Altri alimentari; Tabacchi lavorati; Tessili e abbigliamento; Carta, stampa ed editoria; Gomma e plastica; Manifatture varie; Co- – struzioni e opere pubbliche; Re- cupero e riparazioni; Alberghi e pubblici esercizi; Trasporti ma- rittimi e aerei; Servizi alle imprese; Sanitari privati; Servizi ricreativi e culturali; Inse- gnamento pubblico; Sanitari pubblici; Servizi domestici e delle istituzioni sociali private senza scopi di lucro. si accompagna una variazione negativa delle ragioni di scambio. Ciò significa che il beneficio derivante dall’aumento dell’output (in volu- me) rispetto al volume degli input utilizzati, si è trasferito al resto del sistema economico in termini di riduzione del rispettivo prezzo (il peggioramento delle ragioni di scambio si traduce infatti in un aumento del prezzo dell’output del settore inferiore rispetto a quello dei prezzi degli input utilizzati). Rientrano in questa situazione, ad esempio, le macchine per ufficio, il credito e il commercio. Nel qua- drante opposto (in basso a destra) la «perdita» di produttività del set- tore è stata «pagata» dal resto del sistema, visto l’aumento delle 88
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... ragioni di scambio del settore stesso. È questo il caso di branche sot- toposte a particolari sistemi di fissazione dei prezzi e di molti com- parti del terziario, ma anche di alcune industrie meccaniche e delle costruzioni. I settori che, invece, registrano variazioni positive di entrambe (secondo quadrante, in alto a destra nella Tabella 2) sono quelli che, nella logica del modello, «si appropriano» dei guadagni di produtti- vità conseguiti senza trasferirli al resto del sistema: il fenomeno è più rilevante per le branche energetiche (cokefazione, elettricità, gas e acqua), quella dei prodotti in metallo e delle bevande. Nel periodo successivo (tra il 1992 e il 1995), l’economia italiana, sottoposta ad una serie di tensioni internazionali (la recessione del 92-93) e nazionali (la svalutazione della lira nel ’92 e le tensioni sui cambi negli anni successivi, le politiche monetarie e fiscali restrittive per raggiungere i parametri necessari a far parte della moneta unica europea) fa registrare una generale perdita di competitività: ben 28 settori su 36, infatti, registrano una variazione negativa di produtti- vità, con una media di –1,31 per cento; inoltre, si registra anche una generale caduta delle ragioni di scambio (media nazionale di –2,32 per cento contro il +1,94 per cento del ’92 sul ’90), dovuta fondamen- talmente alla svalutazione della lira in quegli anni, che si è tradotta in un incremento molto forte dell’incidenza dei costi intermedi di importazione. Ben 19 settori su 36 presentano variazioni negative sia della produttività che delle ragioni di scambio, contro il solo settore della zootecnia che registra un doppio incremento (cfr. Tabella 3). Tra le 8 branche che registrano variazioni positive di produttività, vanno segnalati il settore creditizio e finanziario, che fa registrare il salto più alto (+ 8,05 pe cento, con una perdita nelle ragioni di scambio molto modesta) e i settori dell’agricoltura, delle poste e telecomunicazioni e dell’industria farmaceutica, con variazioni di produttività superiori al punto percentuale; questi settori, peraltro, escluso il settore creditizio, fanno registrare forti perdite nelle ragioni di scambio con il resto del- l’economia, e ciò significa che hanno trasferito i vantaggi derivanti dall’aumento della produttività al resto del sistema economico. Per contro, diversi settori hanno fatto «pagare», in misura diversa, al resto del sistema la perdita di produttività registrata: questi sono la branca delle attività immobiliari e dei noleggi, l’industria chimica, l’e- strazione di minerali energetici e non energetici, l’industria di gomma e plastica, della carta e delle bevande e tabacco. Tra le tante branche di attività produttiva che hanno fatto registra- re variazioni negative sia della produttività che delle ragioni di scam- bio, appaiono il commercio e i pubblici esercizi, cioè settori nei quali maggiore è l’impatto della fiducia e delle disponibilità dei consumato- ri; il comparto di energia elettrica, gas e acqua, settore che risente del- la condizione della produzione industriale interna, e il settore del- l’informatica, ma anche le industrie manifatturiere tradizionali, in 89
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 Tabella 3 – Suddivisione delle branche di attività secondo le variazioni della produttività e delle ragioni di scambio tra il 1992 e il 1995 Variazioni nelle «ragioni di scambio» – + Agricoltura; Lavorazione e con- Zootecnia. servazione delle carni; Prodotti farmaceutici; Costruzioni; Poste + e telecomunicazioni; Credito e assicurazioni; Attività ricreati- ve, culturali e sportive. Prodotti alimentari; Industrie Estrazione di minerali energetici tessili e abbigliamento; Indu- e non energetici; Tabacco e stria del cuoio e calzature; bevande; Pasta carta e prodotti Variazioni di produttività Prodotti in legno; Editoria e in carta; Prodotti chimici e fibre prodotti della stampa; Prodotti sintetiche; Prodotti in gomma e petroliferi e di cokeria; La- plastica; Mezzi di trasporto; vorazione di minerali non Trasporti; Locazione, attività metalliferi; Metallo e prodotti immobiliari e noleggi; Istru- in metallo; Macchine e apparec- zione. chi meccanici; Apparecchi elet- – trici, ottici, elaboratori, sistemi elettronici e radio-TV; Altre industrie manifatturiere; Ener- gia elettrica, gas e acqua; Commercio; Alberghi e risto- ranti; Servizi privati alle impre- se; Software, servizi e manuten- zione di prodotti informatici; Amministrazione pubblica; Sanità ed assistenza sociale; Altri servizi pubblici e alle fami- glie. particolare legno, tessile e conciario, produzione di metallo e lavora- zione dei minerali non metalliferi. Negli anni successivi, si registra un leggero miglioramento della produttività nazionale. Di contro, il cambiamento generale delle ragio- ni di scambio segna il +1,27 per cento rispetto al 1995: questo sta a significare che è stata recuperata parte della perdita intercorsa tra ’92 e ’95, soprattutto grazie agli effetti della stabilizzazione della valuta nazionale sulle importazioni. In realtà, la stabilizzazione della nostra economia ha fatto sì che anche le variazioni della produttività fossero in qualche maniera «calmierate»: si nota, così, che 29 settori su 36 fan- no registrare, tra il ’95 e il ’98, variazioni di produttività comprese tra –1 per cento e +1 per cento (cfr. Tabella 4). Gli unici settori che subi- 90
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... Tabella 4 – Suddivisione delle branche di attività secondo le variazioni della produttività e delle ragioni di scambio tra il 1995 e il 1998 Variazioni nelle «ragioni di scambio» – + Prodotti chimici e fibre sinteti- Altre industrie manifatturiere; che; Commercio; Poste e teleco- Alberghi e ristoranti; Trasporti; municazioni; Software, servizi e Servizi privati alle imprese; + manutenzione di prodotti infor- Locazione, attività immobiliari matici; Attività ricreative, cultu- e noleggi. Variazioni di produttività rali e sportive. Zootecnia; Estrazione di mine- Agricoltura; Prodotti alimenta- rali energetici e non energetici; ri; Lavorazione e conservazioni Tabacco e bevande; Pasta carta di carni; Industrie tessili e abbi- e prodotti in carta; Prodotti in gliamento; Industria del cuoio e gomma e plastica; Metallo e calzature; Prodotti in legno; prodotti in metallo; Apparecchi Editoria e prodotti della stam- elettrici, ottici, elaboratori, pa; Prodotti petroliferi e di – sistemi elettronici e radio-TV; cokeria; Prodotti farmaceutici; Costruzioni; Sanità ed assisten- Lavorazione di minerali non za sociale. metalliferi; Macchine e apparec- chi meccanici; Mezzi di traspor- to; Energia elettrica, gas e acqua; Credito e assicurazioni; Amministrazione pubblica; Istruzione; Altri servizi pubblici e alle famiglie. scono un forte peggioramento sia nella produttività che nelle ragioni di scambio, sono la branca dell’estrazione di minerali energetici e non energetici e il settore della zootecnia, che vede la propria posizione capovolta rispetto al periodo precedente; su quest’ultimo settore han- no probabilmente influito i primi allarmi internazionali sulla diffusio- ne del morbo della «mucca pazza», che hanno comportato una varia- zione negativa molto forte del mark-up settoriale. La crisi del settore zootecnico ha avuto influenza negativa più in generale su tutto il setto- re agricolo, che presenta infatti un peggioramento accentuato della produttività non compensato dal leggero miglioramento delle ragioni di scambio. Tra i settori che, invece, hanno fatto pagare al resto del sistema economico il proprio calo di produttività, spiccano le interme- diazioni finanziarie e la branca di energia elettrica, gas e acqua. Vice- versa, i settori che hanno trasferito i propri guadagni di produttività alle altre branche sono stati l’industria chimica e il settore delle poste e telecomunicazioni. Infine, le branche che si appropriano in toto dei propri guadagni di produttività risultano essere il settore dei trasporti, 91
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002 i servizi privati alle imprese, le attività immobiliari e i noleggi, alberghi e ristoranti, tutti settori che in qualche modo denotano una ripresa delle attività economiche interne a un paese. 4.4. L’andamento della crescita dei salari tra il 1990 e il 1998 Tra il 1990 e il 1992, le variazioni dei tassi di remunerazione non presentano un andamento omogeneo, ma riflettono gli andamenti dei cambiamenti di produttività descritti precedentemente. Quattro bran- che registrano una variazione negativa dei tassi di remunerazione (carbone e lignite, minerali e metalli ferrosi e non ferrosi, macchine per ufficio e di precisione, forniture elettriche). Come si può notare, sono tutte branche che non hanno goduto della crescita della produt- tività, o perché hanno registrato variazioni negative o perché, pur in presenza di una crescita, ne hanno trasferito i benefici al resto del sistema. Per converso, le numerose branche che hanno fatto registrare variazioni positive dei tassi di remunerazione superiori ai 10 punti percentuali (tra questi i settori energetici, bevande e tabacchi, i pub- blici esercizi, i servizi privati alle imprese, la locazione di fabbricati e i servizi culturali) si sono tutte appropriate dei guadagni di produtti- vità senza trasferirli al resto del sistema o hanno fatto pagare al resto del sistema la propria variazione negativa di produttività. Per valutare il tasso di crescita del salario è stata calcolata la varia- zione nella composizione dell’occupazione, sviluppando un’analisi shift-share sugli occupati delle diverse attività produttive in Italia nel periodo considerato. L’analisi si fonda sull’idea che le variazioni nella struttura dell’occupazione per qualifica professionale si possano scomporre in due parti (Barbieri e Zelli, 1996): una componente (between) che riporta le variazioni delle quote di occupati con profes- sioni diverse tra le industrie; e una componente (within) che misura le variazioni degli occupati con gradi diversi all’interno dell’industria. Il calcolo è basato sulla componente within dell’analisi. In pratica si sono calcolate le variazioni tra il 1990 e il 1992 delle quote degli occu- pati all’interno delle singole branche, secondo l’equazione (A7) del- l’Appendice A. Per fare ciò, si sono utilizzati ancora i dati della Ban- ca d’Italia, attraverso i quali è stato possibile calcolare le quote delle diverse tipologie lavorative sul totale dei lavoratori per settore. A questo punto si è calcolato il tasso di crescita medio dei salari nei diversi settori, dovuto quindi non solamente alle variazioni delle retribuzioni, ma anche ad una variazione della composizione per qualifica professionale dell’occupazione all’interno di ciascun setto- re di attività economica12. I risultati hanno evidenziato un anda- ————————————— ¹² Si noti che i tassi utilizzati riflettono la crescita nominale complessiva rispetto all’anno base (nell’ordine 1990, 1992 e 1995). La valenza di questi risultati consiste quindi nella capacità di mettere in luce le differenze nelle dinamiche settoriali e le posi- zioni relative delle singole branche. 92
M. CARLUCCI - A. CUTILLO - R. ZELLI, LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFICI DI PRODUTTIVITÀ ... mento generale medio del 16,2 per cento, con 34 branche su 44 che hanno fatto registrare variazioni tra il 14 per cento e il 19 per cento (con il massimo, 19,2 per cento per i metallurgici). La dinamica salariale appare significativamente ridotta, rispetto all’andamento generale del sistema economico, nel comparto pubblico, specie per i servizi dell’istruzione ed i servizi generali delle Amministrazioni pubbliche. Nel periodo compreso tra il 1992 e il 1995, tra le branche che hanno fatto registrare i tassi di crescita minori troviamo ancora il comparto statale, largamente al di sotto sia della media nazionale (+ 9,7 per cento) che del tasso di inflazione, dato che indica come le politiche restrittive dei governi abbiano avuto effetto fondamental- mente sulle retribuzioni degli statali, nonostante non si siano regi- strati slittamenti occupazionali verso professioni peggio retribuite all’interno della Pubblica amministrazione; le bevande e tabacchi ed i pubblici esercizi, ovvero settori che, con una produzione largamente destinata a consumi non di immediata necessità, sono più reattivi alle fasi di rallentamento dell’economia. Le branche che hanno fatto registrare variazioni salariali positive più forti risultano, invece, le attività immobiliari e i noleggi (che presenta la crescita maggiore, +16,3 per cento), i servizi privati alle imprese, il settore informatico, la raffinazione di petrolio e le poste e telecomunicazioni, quest’ulti- mo settore grazie soprattutto allo slittamento interno verso mansioni meglio retribuite. Nell’ultimo periodo, tra i settori con una maggiore crescita sala- riale, risultano il commercio (con la variazione più alta, +15,8 per cento), i pubblici esercizi, la branca della raffinazione di petrolio, in virtù di un buon miglioramento delle ragioni di scambio del settore, la sanità. Viceversa, i settori a più bassa dinamica salariale sono risultati essere l’intermediazione finanziaria, i trasporti e le comuni- cazioni, i servizi privati alle imprese, sui quali pesa la scarsa dinami- ca interna verso professioni meglio retribuite, le industrie alimentari e la lavorazione e conservazione delle carni, che sperimentano, come già indicato, un vero e proprio crollo della domanda finale setto- riale. Nella Tabella 5 sono riportate le sole branche di attività economi- ca che hanno fatto registrare nei tre periodi le dinamiche di crescita salariale che più si discostano13 dall’andamento generale. In realtà, in tutti gli anni di interesse, c’è un addensamento dei settori intorno alla media nazionale, calcolata ponderando i tassi di variazione con i ————————————— ¹³ Dato l’addensamento sulla media, evidente soprattutto nei due periodi più recenti, si è preferito fare riferimento, per isolare i casi «anomali», alla mediana e quindi nella Tabella sono indicate le branche che presentano un valore del tasso esterno all’inter- vallo mediana più o meno la differenza interquartilica. 93
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