La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura
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18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura on 14 Novembre 2014. di PAOLO VIGNOLA Salvo iniziali o temporanee eccezioni, ad accompagnare e ammorbare il primo spicchio del XXI secolo sono state le numerose sfaccettature della crisi economica, politica e sociale, di fronte alle quali la quasi totalità dei filosofi e dei pensatori sensibili ai disagi della civiltà ha cercato di contribuire a un'analisi generale della situazione, europea e mondiale, che, del resto, non sembra ad oggi in alcun modo risollevarsi. A ben vedere, comunque, rari sono i casi di filosofi che abbiano provato ad analizzare la crisi ponendo come oggetto centrale – se non esclusivo o fondamentale – dei loro concetti i processi di costruzione della soggettività, delle relazioni e dei gruppi sociali. Ancora più rari, all'interno di questa scelta d'oggetto, sono gli esempi di analisi che abbiano manifestato la reale intenzione di interessarsi, e quindi di prendersi cura, dei sintomi di malessere, di sofferenza, di indebolimento o di regressione vissuti a livello collettivo e che si manifestano nell'esercizio delle facoltà cognitive, nella veicolazione delle culture e dei saperi, nella pratica dei linguaggi, nella condivisione degli affetti, delle emozioni e, più in generale, dei vissuti. Quando poi si è tentato di descrivere tali sintomi, la maggior parte dei più o meno titolati o esperti “clinici della civiltà” non è riuscita a passare dalla desolante lamentatio a una vera e propria terapeutica, non potendo perciò fare altro che individuare più o meno lucidamente i responsabili economici e politici della crisi e del disagio sociale ad essa conseguente, finendo spesso per designare – forse allora davvero poco lucidamente – anche un capro espiatorio relativo ai disagi della soggettivazione individuale e collettiva, ossia le nuove tecnologie d'informazione. In tal senso, se il 2008 è l'anno in cui i sintomi della crisi esplodono in tutta la loro virulenza, è anche l'anno che, da un lato, segna l'emergere delle nuove pratiche di occupazione dei luoghi del potere e delle interfacce della governance – in primis Occupy Wall Street – e, dall'altro lato, vede lo sviluppo di un nuovo, seppur minoritario, impegno intellettuale, che in Italia si declina nelle forme dell'ecosofia critica[1] e del “prendersi cura del mondo”[2], dell'attenzione ai beni comuni[3] e al comune della cooperazione come antagonismo alla vampirizzazione capitalistica[4], nonché nell'empirismo diagnostico del filone di ricerca sulla precarietà delle condizioni materiali e della riproduzione sociale[5]. In Francia, con un altro lessico e con una batteria concettuale al tempo stesso vicina e lontana da quella della cosiddetta Italian Theory, Bernard Stiegler ha saputo diagnosticare con grande lucidità i disagi della civiltà da lui definita «iperindustriale», dove il concatenamento tra i biopoteri della governance finanziaria, le tecnologie digitali d'informazione e la proletarizzazione generalizzata dei consumatori sta portando il mondo intero sull'orlo del baratro. Il 2008 è allora anche l'anno della pubblicazione francese di Prendersi cura, libro che già dal titolo indica la determinazione critica che ha permesso a Stiegler di superare la lamentatio intellettuale – o della «euristica delusionista», come viene definita nel testo – per incominciare a porre le fondamenta di un'effettiva terapeutica sociale, la farmacologia (da pharmakon, al tempo stesso rimedio e veleno), che rappresenta nel suo insieme proprio un prendersi cura dei disagi sociali che compaiono in un mondo sempre più intossicato dall'economia e dalla finanza. Se l'obiettivo della farmacologia, come vedremo, è ribaltare la situazione tossica in condizione di nuove potenzialità cognitive e sociali, il suo primo passo è quello delle diagnosi puntuali e attente ai fenomeni d'indebolimento dei legami sociali, di regressione pulsionale (xenofoba, pornografica, addittiva, ecc.), di disapprendimento e di perdita dei saperi (tanto dei saperi teorici quanto dei saperfare e dei sapervivere), che conducono a mettere seriamente in discussione le magnifiche e progressive sorti dell'intelligenza collettiva[6], fino a versare l'umanità intera nel regno dell'ignoranza e della stupidità sistemica. http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 1/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura Non volendo presentare l'opera nel dettaglio dei capitoli, anche perché si tratterebbe di dare una linearità a un testo che, coerentemente con il metodo di scrittura stiegleriano[7], piuttosto che essere lineare è strutturalmente reticolare, verranno di seguito presentati le intenzioni strategiche del libro, le ragioni che hanno condotto il percorso di Stiegler fino a Prendersi cura, e alcuni nodi sensibili di quest'ultimo. L'intelligenza delle generazioni Prendendo come bersaglio critico precisamente l'ignoranza e la stupidità generalizzate, e considerandole come fenomeni socialmente prodotti dalla logica finanziaria del breve termine e di quella economica del consumo, Stiegler intende proporre una trasformazione teorica dell'orizzonte contemporaneo, proprio facendo leva sul potenziale cognitivo e socialmente emancipativo di quelle stesse tecnologie digitali che da più parti sono state invece presentate, quasi esclusivamente, dal punto di vista della loro valenza turbocapitalistica, dunque come dispositivi tendenzialmente totalitari di assoggettamento.Pur sviluppando una profonda critica degli effetti tossici sul mondo sociale e sulle soggettività prodotti dall'industria culturale, dai media e dal marketing, la diagnosi stiegleriana della civiltà si vieta di indugiare in visioni esclusivamente catastrofiche, poiché risulterebbero inutilmente stucchevoli e soprattutto controproducenti per una costruzione eticopolitica del futuro prossimo. Da un lato, infatti, Stiegler considera le tecnologie dell'informazione e della comunicazione come il braccio armato – nei confronti delle coscienze individuali e collettive – dell'economia politica vigente e, dunque, quali strumenti di quelle che Gilles Deleuze, già nel 1990, aveva definito le «società di controllo»[8]. È infatti grazie a tali tecnologie che diviene possibile «controllare i tempi coscienti e incoscienti dei corpi e delle anime che li abitano, modulando mediante il controllo dei flussi questo tempo di coscienza e di vita»[9], al fine di estrarne un valore calcolabile economicamente e finanziariamente. La nozione stiegleriana di “controllo”, comunque, non rinvia all'immagine orwelliana di un Grande Fratello totalitario, né al Panopticon di Bentham[10] o, in generale, ad un sistema di assoggettamento repressivo. Sviluppando invece le linee analitiche di Deleuze, Stiegler descrive la pericolosità di un controllo più “liberale” e, al tempo stesso, più profondo, di quello disciplinare che ha amministrato la società durante l'intero processo d'industrializzazione. L'autore di Prendersi cura decide allora di integrare le analisi foucaltiane sul biopotere con il concetto di psicopotere. Se, infatti, Foucault aveva saputo mostrare che le tecnologie del sé, in quanto tecniche di soggettivazione individuale, erano sempre anche tecniche di soggettivazione collettiva e quindi di organizzazione sociale, Stiegler ritiene che «Foucault non ha visto l'emergere della questione relativa allo psicopotere, in cui il marketing, attraverso lo sviluppo delle industrie di programmi, trasforma le psicotecniche del sé e dell'individuazione psichica in psicotecnologie industriali»[11]. Ed è così che tutti noi, oggi, «in quanto consumatori, siamo sistematicamente impegnati a diventare incoscienti, ossia a infischiarcene delle conseguenze dei nostri comportamenti e a vivere nel tempo del menefreghismo strutturale e generalizzato che privilegia in modo assoluto il breve termine, penalizzando sistematicamente il lungo termine»[12]. Dall'altro lato, però, in queste stesse psicotecnologie, Stiegler rintraccia gli elementi per contrastare lo psicopotere e per combattere il sistema del controllo con i «sistemi di cura», ossia con la formazione di un'attenzione sociale, premurosa per sé e per gli altri, letteralmente a lungo termine, che è poi la posta in gioco della sua “battaglia dell'intelligenza”: le psicotecnologie, in quanto tecnologie di captazione e controllo delle coscienze, devono essere rovesciate politicamente – e non solo individualmente – in nootecnologie, ossia tecnologie di potenziamento del nous, del pensiero e dei legami sociali che favoriscono lo sviluppo dei saperi. La noopolitica, in tal senso, in quanto politica di contrasto e di superamento dello psicopotere, consiste «non solo in una limitazione e una regolamentazione dell'utilizzo delle psicotecnologie, in particolare per la gioventù, ma anche nella trasformazione del veleno in rimedio. Quel che tende a produrre dipendenza deve allora divenire ciò che permette di emanciparsi da questa stessa dipendenza»[13]. È questo il nodo sul quale si avvita Prendersi cura, prendendo avvio dal mutare in Francia della responsabilità penale per i minori recidivi[14], che Stiegler pone in parallelo con la battaglia http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 2/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura dell'intelligenza in cui si contrappongono le «industrie di programmi», dai canali televisivi alle grandi imprese di Internet o del digitale, e le «istituzioni di programmi», quali la scuola, l'università e le associazioni culturali, ma anche il welfare ormai morente. Si tratta di una battaglia letteralmente all'ultimo neurone, dal momento che tanto l'educazione istituzionale quanto la captazione consumistica dell'attenzione hanno di mira la sinaptogenesi e, dunque, la formazione e la trasformazione dei circuiti neuronali. Risulta allora opportuno riportare un passaggio, piuttosto articolato, in cui si rendono espliciti non solo gli argomenti principali di Prendersi cura, ma anche la strategia argomentativa di Stiegler: Quel che i genitori e gli educatori formano pazientemente, lentamente, fin dalla più tenera età, e ripercorrendo a tappe, di anno in anno, ciò che la civilizzazione ha accumulato di più prezioso, le industrie degli audiovisivi lo disfano sistematicamente, quotidianamente, con le tecniche più volgari e brutali – e proprio accusando le famiglie e il sistema educativo di questo affondamento. È questa incuria a stabilire la causa primaria dell'estremo indebolimento tanto degli istituti d'insegnamento quanto della struttura familiare. Per essere reso disponibile agli imperativi del marketing, il cervello è così precocemente e letteralmente privato di coscienza, nel senso che la creazione dei circuiti sinaptici, in cui consiste la formazione della capacità attenzionale che altro non è se non la coscienza, è bloccata dalla canalizzazione dell'attenzione verso gli oggetti delle industrie di programmi. Il cervello giovanile, così affettato, o piuttosto disaffettato – e che corre tanto più il rischio di soffrire di un deficit attenzionale e di un fallimento scolastico quanto più sarà stato esposto precocemente ai programmi televisivi, come per esempio quelli di Canal J – è così sempre meno disponibile per ricostituire i circuiti lunghi della transindividuazione che hanno tracciato il sapere nel corso della storia umana. È proprio tale sapere, di cui il sistema educativo e le relazioni intergenerazionali sono incaricate di trasmettere per formare la società come sistema di cura, che le industrie di programmi distruggono mediante le psicotecnologie. Tuttavia, è solo a partire dalle psicotecnologie messe all'opera dalle industrie di programmi e dalle tecnologie cognitive emerse dalla recente digitalizzazione delle comunicazioni che è necessario e che è possibile pensare un futuro dell'insegnamento[15]. Come vedremo, l’operazione di Stiegler per descrivere la formazione della maggiorità risiede nell'implementare la teoria freudiana dell’identificazione attraverso la sublimazione con il processo di individuazione psichica e collettiva, direttamente ripreso dalla teoria di Simondon[16]. Tale processo d'individuazione e di transindividuazione[17], come si può evincere dalla citazione precedente, gli permette di stringere maggiormente il rapporto tra psiche, fisiologia e tecnica, solo attraverso il quale, per Stiegler, si può descrivere l'intelligenza collettiva. Si tratta del resto dello stesso rapporto che permette di comprendere non solo gli effetti delle psicotecnologie, ma anche la possibilità teorica di giungere alle nootecnologie, proprio mediante lo sviluppo dei processi d'individuazione e di transindividuazione. Si tratta però, al momento della stesura del testo, unicamente di una possibilità teorica, dato che è lo stesso autore a sottolineare come oggi l'individuazione e l'identificazione si trovino ad essere rovesciate in disindividuazione e in regressione pulsionale. Detto altrimenti, se per Freud l’identificazione primaria consiste nell’interiorizzazione, da parte del bambino, del modello genitoriale, e le identificazioni secondarie nella formazione della personalità adulta attraverso l’adozione di oggetti affettivi e forme di sublimazione, Stiegler vede nel marketing e nella televisione, che formano un milieu simbolico altamente seducente, i nuovi “genitori” della soggettività: Mettendo in scena attraverso due annunci un padre e un nonno, cioè degli adulti, rappresentanti della maggiorità, il primo davanti a suo figlio, l'altro davanti a suo nipote, perciò davanti a dei minorenni di cui loro hanno la responsabilità di condurre alla maggiorità, il canale televisivo per minori [Canal J] (“J”, che designa attraverso questo logo la fetta che viene trattata in quanto massa di giovani “cervelli disponibili”) ridicolizza il padre e il nonno – vale a dire che sottrae loro ogni responsabilità[18]. A ciò è poi da accostare l'infantilizzazione correlativa e sistematica degli adulti come loro divenireirresponsabili: il divenire prematuramentemaggiori dei bambini è l'effetto speculare del prolungamento sempre più tardivo http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 3/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura della minorità dei loro parenti più anziani e dei genitori, che rappresenta anche la perdita della loro esemplarità. Tutto ciò costituisce una tendenza asintotica a cristallizzare una profonda incapacità tanto psichica quanto sociale nel raggiungere la responsabilità, vale a dire la maggiorità[19]. Di fronte a questa tendenza di «minorazione delle masse», tuttavia, Stiegler non solo mostra di non cedere ad analisi disarmanti o a mitologie della fuga dal mondo ipertecnologico, ma cerca di individuare la leva interna alle condizioni tecnologiche date che sia in grado di rovesciare la situazione. Così, se questo sistema mondiale generalizza [...] una miseria simbolica straordinariamente pericolosa per il futuro, in grado di instaurare l'irresponsabilità generalizzata in un'epoca che richiede più responsabilità di tutte le altre, [...] è anche, quest'epoca, la condizione farmacologica e organologica di una nuova intelligenza individuale e collettiva, ossia di una nuova maggiorità e di una nuova critica[20]. Tale atteggiamento ambivalente, ma comunque non ambiguo poiché chiaro nel denunciare i dispositivi di potere neoliberali e il percorso del capitalismo novecentesco che ha condotto fino ad oggi[21], è diretta espressione della prospettiva farmacologica di Stiegler, dove il pharmakon – che nel Fedro era la scrittura e oggi sono anche le tecnologie digitali, così come tutte le tecnologie cognitive – è sempre, al tempo stesso, rimedio e veleno per la psiche (per la memoria, per l'attenzione, per i saperi, ecc.). In un'ottica farmacologica, allora, si rende necessaria una terapeutica atta a prescrivere le pratiche di utilizzo di tali pharmaka, in modo tale che essi risultino funzionali all'accrescimento dell'intelligenza e non a una sua intossicazione: L'intelligenza è dapprima una cura, nel senso che essa si prende cura dei pharmaka con dei pharmaka per contrastare gli effetti perversi dei pharmaka. Vivere intelligentemente in società è prendersi cura del sociale in modo tale che il sociale stesso sia anche una cura offerta all'individuo in quanto individuo. Ciò significa articolare il sociale e l'individuo e superare la loro contraddizione apparente attraverso una politica dei pharmaka – e, nella nostra epoca, mediante una politica industriale delle psicotecnologie, che costituiscono uno psicopotere economico di fatto, al quale bisogna imporre una psicopolitica di diritto che implementi questa economia e ne faccia un'autentica ecologia – un'ecologia dello spirito[22]. Si tratta dunque, per Stiegler, di legare assieme le generazioni attraverso i pharmaka, fornendo cioè le condizioni tecnologiche, economiche e politiche per sviluppare effettivamente l'intelligenza collettiva – concetto che, esso sì, nel suo intrinseco ottimismo rispetto alle nuove tecnologie, ad oggi rimane fondamentalmente ambiguo nei confronti di un sistema economicopolitico che, in vista del profitto, annulla la possibilità stessa di interlegere, ossia di legare le generazioni, i soggetti e i saperi, provocando l'esatto contrario: stupidità generalizzata da un lato, individualismo consumistico dall'altro lato. In altre parole, un'autentica intelligenza (autenticamente) collettiva ha bisogno di una cura costante rivolta a tutte le sue individualità e agli strumenti che necessariamente contribuiscono all'elevazione della stessa intelligenza. Ma, analogamente, una cura dell'intelligenza collettiva che passa per le individualità deve essere strategicamente (dunque farmacologicamente) intelligente, ossia, come riportato sopra, deve prendersi «cura dei pharmaka con dei pharmaka per contrastare gli effetti perversi dei pharmaka». È evidentemente una cura che mira a un livello superiore rispetto a quello della semplice sussistenza; è la cura del pensiero nella sua individuazione, la cura di un'intelligenza che è sempre, al tempo stesso, noetica e sociale – in conformità con l'individuazione simondoniana, che è contemporaneamente psichica e, appunto, collettiva: Questa cura non è quella che ci si prende di sé stessi in condizioni di sopravvivenza, vale a dire della propria sussistenza. La cura «propriamente detta» è sempre quel che passa per la cura rivolta a sé passando per la cura rivolta agli altri, al punto che essi costituiscono proprio questo sé – che è a sua volta la transformazione in cui consiste l'individuazione[23]. http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 4/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura Il senso più completo del testo può allora essere rintracciato nell'interstizio, per dirla con Deleuze, tra il titolo e il sottotitolo: Prendersi cura. Della gioventù e delle generazioni, che a dire il vero possono essere letti in continuità semantica. Oggi più che mai, infatti, prendersi cura deve essere prendersi cura della gioventù e del rapporto tra le generazioni, quando tanto il marketing, quanto la governance e i governi spingono all'odio o all'antipatia tra i "giovani" e "gli anziani", tra i "precari" e i "garantiti", ecc., generando in definitiva un'incuria e uno stato di minorità generalizzate. Questo è il motivo per cui Stiegler decide di riprendere alla lettera le considerazioni di Kant sull'illuminismo e sull'uscita dallo stato di minorità – innanzitutto intellettuale – come compito storico dell'umanità, la quale deve giungere a sviluppare l'autonomia della coscienza e del pensiero nei singoli al fine di conquistare la maggiorità: questo è in definitiva il compito che spetta a noi oggi, nel XXI secolo, quali «esseri non inumani»[24], sempre a rischio di sprofondare nell'inumanità. È così che prendersi cura dell'intelligenza è innanzitutto prendersi cura della formazione dell'attenzione nelle nuove generazioni, poiché solo tale formazione permette di puntare alla maggiorità individuale e collettiva come condizione dello sviluppo del sapere e della vita della democrazia, se è vero che l'attenzione, come Stiegler cerca di mostrare per tutto il corso del testo, è al tempo stesso noetica e sociale. Nascita della farmacologia Oggi, a vent'anni dalla pubblicazione del primo tomo di La Tecnique et le Temps, si è soliti identificare la prospettiva generale di Stiegler con la farmacologia, come prosecuzione in chiave sociopolitica della decostruzione derridiana e del discorso, sempre derridiano, attorno alla scrittura, alla traccia e, appunto, al pharmakon. In realtà, la farmacologia, come metodo teoretico e come strategia eticopolitica, rappresenta l'esito provvisorio di un percorso tra decostruzione, fenomenologia (che permette a Stiegler di elaborare la nozione di “ritenzione terziaria”) e pensiero simondoniano dell'individuazione e della tecnica, che ha cercato di utilizzare anche le cassette degli attrezzi di Freud, Winnicott, LeroiGourhan, Canguilhem, Foucault, Deleuze e molti altri. E il pharmakon, dal canto suo, viene tematizzato solo tardivamente, dal momento che in De la misère symbolique (2004), sebbene ve ne fosse enormemente bisogno, non aveva ancora fatto la sua comparsa. Se è solo con Reincantare il mondo e La Télécratie contre la démocratie (2006) che la prospettiva farmacologica propriamente detta letteralmente si manifesta, nel senso che si fa (anche) manifesto dell'associazione Ars Industrialis[25], essa si complessifica e viene approfondita proprio in Prendersi cura, per poi affinarsi, nel 2010, con Ce qui fait que la vie vaut la peine d'être vecue. De la pharmacologie[26] ed essere recentissimamente messa all'opera nella vita politica francese, a seguito dell'exploit del 2012 da parte dell'estrema destra, con Pharmacologie du Front National[27]. All'interno di tale percorso, la peculiarità di Prendersi cura risiede nel fatto che solo a partire da questo testo la prospettiva farmacologica trova la forza, ossia le ragioni e il coraggio, per confrontarsi con i suoi ascendenti – volendo rimanere sul tema intergenerazionale – e individuare le zone franche, le impasse o le denegazioni dei filosofi che comunque risultano imprescindibili per la costruzione della stessa farmacologia. In effetti, dopo i primi tre tomi di La Tecnique et le Temps,[28] in cui si dispiegano le basi teoretiche e concettuali del percorso stiegleriano, ma prendono anche forma i compiti filosofici e politici per gli anni a venire, la vocazione sociopolitica più esplicita dell'allievo di Derrida pare essere eminentemente diagnostica o sintomatologica e, in tal senso, i suoi responsi clinici sono tendenzialmente pessimistici, come dimostrano anche i titoli apocalittici o distopici di molte sue pubblicazioni – come De la misère symbolique o Mécréance et discrédit [29]. Perdita di motivazioni e di ragioni per credere nell'avvenire, discredito, miseria simbolica, catastrofe del sensibile, disorientamento, consumismo pulsionale, disagio dell'esistenza, disgusto di sé e degli altri, cognitive overflow synfrome, attention deficit hyperactivity disorder, individualismo, proletarizzazione, regno dell'ignoranza: ecco i sintomi del disagio della civiltà iperindustriale che Stiegler individua, prima di elaborare la prospettiva farmacologica nella sua forma più compiuta. Tali sintomi sono in definitiva gli effetti tossici caratteristici della nostra epoca e indotti da quel che, nella prospettiva e nel lessico stiegleriani, è un nuovo stadio del «processo di grammatizzazione», quello digitale. http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 5/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura Incrociando la decostruzione del fonologocentrismo di Derrida e le analisi storiche, epistemiche e tecnologiche del gramma di Sylvan Auroux[30], Stiegler concepisce il processo di grammatizzazione come «la storia tecnica della memoria» e, più precisamente, come un processo di descrizione, di formalizzazione e di discretizzazione dei comportamenti umani, dai linguaggi ai gesti, che permette la loro riproducibilità mediante la trasformazione di un continuo temporale (ad esempio la voce che effettua un discorso) in un discreto spaziale (come la scrittura alfabetica). I prodotti della grammatizzazione rappresentano dunque per Stiegler l'esteriorizzazione della memoria umana che, sviluppando fino alla fuoriuscita da essa la prospettiva fenomenologica di Husserl, si dà secondo una forma particolare di ritenzione, la ritenzione terziaria. Se, per Husserl, le ritenzioni sono quel che è trattenuto e selezionato dalla coscienza, e se le ritenzioni primarie sono ciò che la coscienza trattiene nel presente del flusso percettivo, mentre le ritenzioni secondarie sono selezioni delle ritenzioni primarie precedenti, diventate ricordi, le ritenzioni terziarie, concepite da Stiegler, sono esterne alla coscienza. Esse sono infatti sedimentazioni della memoria, spazializzata su supporti materiali (hypomnemata, dalla selce scheggiata al libro, dalle fotografie alla scrittura digitale, ecc.), ed hanno il potere di condizionare la selezione e la formazione delle ritenzioni secondarie, le quali a loro volta sovradeterminano le ritenzioni primarie, dal momento che i ricordi e la memoria influiscono direttamente sulla selezione della realtà percepibile. Ora, le ritenzioni terziarie che provengono dalla grammatizzazione sono precisamente i pharmaka per mezzo dei quali Stiegler decide di condurre la propria battaglia dell'intelligenza, cercando di rovesciare, sul piano economicopolitico la tossicità in rimedio, ossia in nuovi processi d'individuazione psichica e collettiva: La questione non è, in fin dei conti, quella di opporsi alla grammatizzazione, nemmeno a quella della psiche, bensì di comprendere la misura delle nuove questioni farmacologiche che essa pone, e di rispondervi con una terapeutica – il che si deve realizzare mediante l'invenzione al tempo stesso di un nuovo modello industriale e di una nuova era dell'educazione, dell'apprendimento e dell'insegnamento come formazione della responsabilità[31]. Del resto, non si tratta nemmeno di opporsi alla captazione dell'attenzione tout court, poiché essa è una prassi essenziale dell'insegnamento e, in definitiva, deve essere considerata come una condizione di possibilità della trasmissione dei saperi. La posta in gioco della battaglia dell'intelligenza, da questo punto di vista, sembra proprio essere l'egemonia nella captazione dell'attenzione, e questo, agli occhi di Stiegler, risulta vero oggi come all'epoca della nascita della filosofia, che per tale obiettivo ha dovuto combattere contro la sofistica. Ma è vero anche per l'illuminismo: La captazione dell'attenzione non è una tara esclusiva della nostra epoca: captare l'attenzione significa formarla. Reciprocamente, formare l'attenzione significa captarla – è quel che un insegnante sa per esperienza. La formazione di un'attenzione – ciò che Moses Mendelssohn, rispondendo alla questione dell'Aufklärung, definisce la Bildung (che in lui ingloba Kultur e Aufklärung) – è una condizione fondamentale di ogni società umana, ossia di ogni processo d'individuazione in quanto psichico e collettivo[32]. La scena iniziale della filosofia platonica, fino alla costituzione dell'Accademia, e la kantiana “risposta alla domanda: che cos'è l'Aufklärung?” rappresentano i due giri di boa che l'argomentazione di Prendersi cura ripercorre a più riprese, attribuendo loro due funzioni distinte e, in qualche modo, complementari al fine di costituire una farmacologia contemporanea dell'attenzione. Se l'operazione di Socrate e di Platone può infatti essere vista come la scena ancestrale dell'incessante battaglia dell'intelligenza che vede contrapporsi la filosofia, come pensiero critico e formazione dell'attenzione alla teoria, e il marketing come seduzione sofistica di questa stessa attenzione, essa rappresenta anche l'archetipo dell'atteggiamento filosofico nei confronti delle tecniche di formazione della psiche e di veicolazione dei significati. Questo atteggiamento è quello della denegazione del ruolo essenziale, per tale formazione, della scrittura, la psicotecnica per eccellenza dell'antica Grecia. Denegazione poiché, se da un lato Platone comprende la necessità, tanto per la polis quanto per la filosofia, di passare per il pharmakon della scrittura, e dunque di incaricarsi di somministrarla correttamente, la sua dottrina http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 6/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura delle idee inaugura una rimozione o una censura nei confronti della tecnica destinate a perpetuarsi fino ai nostri giorni: «nella tradizione occidentale, praticamente finora, la tecnica è stata pensata essenzialmente sotto la categoria del mezzo, ovvero come pura strumentalità che non partecipa in se stessa alla costituzione dei fini»[33]. Quanto al secondo giro di boa, anche se la seguente considerazione è valida solo per questo libro, si può affermare che Stiegler, tra i vari testi che ricombina per sviluppare la propria tesi farmacologica sulla cura e sull'attenzione, reputi intoccabili unicamente il Poscritto sulle società di controllo di Deleuze e, appunto, la “Risposta alla domanda: che cos'è l'Aufklärung?” di Kant. Le riflessioni di Kant sulle pratiche di lettura e di scrittura quali costitutive dell'illuminismo e della conquista della maggiorità rappresentano infatti la base al tempo stesso storica e teorica da cui prende le mosse la decostruzione stiegleriana degli altri testi analizzati – da quelli di Foucault al Principio responsabilità di Jonas, passando chiaramente per i dialoghi platonici, fino alle dichiarazioni di politici, neuroscienzati, pedagogisti, imprenditori, ecc. –, al fine di far emergere la necessità teorica e politica di un pensiero del pharmakon. Tutta questa monumentalità offerta alle considerazioni di Kant, a ben vedere, rischia però di sbilanciare l'operazione farmacologica verso una facile celebrazione dell'illuminismo e, di conseguenza, di condurre il pensiero filosofico a trovare, senza rifletterci adeguatamente, l'alleato in quello che troppe volte si è dimostrato essere un false friend, ossia la potenza pubblica nella sua dimensione statale. Se sulla prima di tali questioni sarà lo stesso Stiegler, in États de choc[34], a rivedere le sue considerazioni, sulla seconda vi torneremo a breve. Riprendiamo invece il discorso relativo alla captazione dell'attenzione o, meglio, alla produzione industriale della disattenzione. Se vi è sempre stata captazione dell'attenzione, ed essa è essenziale alla formazione dell'intelligenza, oggi il rischio è una sua deformazione radicale, per cui l'attenzione profonda, caratteristica dell'apprendimento riflessivo, letterario, scientifico e, in generale, critico, sembra essere man mano sostituita dalla hyper attention, un'attenzione sempre più diffusa tra i cosiddetti “nativi digitali”, direttamente connessa al multitasking e che, come viene descritta da Katherine Hayles e recepita da Prendersi cura, è caratterizzata da «rapide oscillazioni tra differenti compiti e molteplici flussi di informazione, alla ricerca di un sempre più elevato livello di stimolazione e dalla conseguente debole tolleranza per la noia»[35]. Criticando e, come sarà chiaro nel testo, decostruendo l'entusiasmo di Hayles per questa forma di attenzione, Stiegler mette in luce come l'iperattenzione nasconda, nel superlativo, una ipersollecitazione e una ipercaptazione della stessa attenzione che, a forza di essere stimolata, giungerebbe paradossalmente a dissiparsi e a perdere il carattere di profondità, guadagnato con le pratiche riflessive e contemplative connesse alla psicotecnica letteraria. In tal senso, l'iperattenzione è una forma di attenzione non solo necessaria a un utilizzo multitasking delle nuove tecnologie mediatiche, ma è anche plasmata da queste ultime. Per usare il vocabolario dei dirigenti televisivi, in quanto oggetto di compravendita, l'iperattenzione rappresenta il nutrimento privilegiato delle industrie di servizi e del marketing, «che ha di mira principalmente la gioventù e capta in modo massivo l'attenzione dei bambini fin dalla loro più giovane età, [...] modellando precocemente, strutturalmente e irreversibilmente i circuiti della loro sinaptogenesi, ossia le basi neurali della transindividuazione»[36]. Ecco dove Stiegler vede la battaglia dell'intelligenza condotta fino all'ultimo neurone, dal momento che, per il filosofo francese, la sinaptogenesi, «in quanto traslazione psichica e individuazione neuronale, è la costruzione di quel dispositivo attenzionale che, in senso freudiano, possiamo chiamare coscienza, e che può diventare la coscienza critica nel senso della maggiorità kantiana – che sarebbe proprio l'obiettivo di un sistema educativo moderno e democratico»[37], ma può appunto dissiparsi e regredire all'inumanità, ossia ad un livello di semplice soddisfacimento dell'indole pulsionale dei soggetti. Questo è dunque l'obiettivo delle industrie di programmi, le quali conducono una battaglia dell'intelligenza esclusivamente funzionale al profitto a breve termine e, perciò, estremamente pericolosa per la formazione delle nuove generazioni, sia a livello cerebrale come formazione di circuiti sinaptici, sia a livello sociale, vale a dire per i loro processi d'individuazione psichica e collettiva. L'operazione filosofica di Stiegler è allora quella di cominciare a mettere in dialogo i risultati delle neuroscienze, non solo con la prospettiva generale della psicoanalisi freudiana, ma http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 7/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura soprattutto con quella che può essere considerata la base più stabile del suo pensiero, che non concerne né la decostruzione derridiana né la teoria fenomenologica delle ritenzioni di Husserl, bensì il processo d'individuazione di Simondon: In quanto strutturalmente incompiuta e aperta, la plasticità cerebrale umana supporta il processo d'individuazione – anch'esso strutturalmente incompiuto – tanto dello psichismo quanto dell'apparato sociale, ed è questa comune incompiutezza a convergere nell'oggetto dell'attenzione, dal momento che quest'ultima è al tempo stesso psichica e sociale. Tutto ciò si basa su di una situazione neotenica, che è precisamente quella della farmacologia, in cui si vede come tecnica e cervello formano così un sistema trasduttivo[38]. Sebbene l'importanza attribuita alla tecnica, in particolare mediante il concetto di ritenzione terziaria, semini già numerosi indizi, risulterà più chiaro solo in seguito, con De la pharmacologie e poi con Pharmacologie du Front national, che l'atteggiamento di Stiegler nei riguardi della coscienza non è né spiritualista né riduzionista, bensì «organologico»[39], dove gli organi sono di tre tipi – fisiologici, tecnici e sociali – e, coinvolti da sempre nel processo di grammatizzazione, concorrono alla formazione e alla trasformazione degli apparati psichici. La peculiarità di tale approccio, allora, consiste nell'essere al tempo stesso antiriduzionista e materialista: «l'apparato psichico, che indubbiamente ha le sue radici nel cervello, non si riduce a quest'ultimo: attraversa un apparato simbolico che non è situato unicamente nel cervello, ma nella società – ossia negli altri cervelli con i quali questo cervello è in relazione, e tali relazioni tra cervelli formano un milieu associato e dialogico in seno al quale si configura il suo apparato psichico, vale a dire il suo potenziale d'individuazione psichica – e tra questi cervelli»[40]. Biopotere, marketing e psicopotere, o che cosa può essere un dispositivo Come anticipato, il Poscritto sulle società di controllo di Deleuze è uno dei testi che ispirano il discorso stiegleriano sulle psicotecnologie, sulla captazione dell'attenzione e, in sostanza, sullo psicopotere. Per Stiegler, infatti, «quando Deleuze afferma che le società disciplinari hanno fatto posto alle società di controllo, significa che è ormai lo psicopotere ad assicurare il controllo del comportamento, dal momento che la scienza della polizia e quella dello stato hanno lasciato il posto al management e al marketing, così come la disciplina alla modulazione»[41]. Su questo punto, l'operazione di Prendersi cura, che in molti però potrebbero vedere per certi aspetti forzosa o forzata, è quella di giocare Deleuze contro Foucault, o meglio il “controllo” contro il “biopotere”, puntando il dito contro una certa denegazione o rimozione, da parte del filosofo di Sorvegliare e punire, dell'ambivalenza del pharmakon, ossia delle psicotecnologie nella formazione (e nella deformazione distruzione) dell'attenzione al tempo stesso noetica e sociale. Denegazione perché, come riconosce lo stesso Stiegler, è proprio Foucault ad aver in qualche modo inaugurato una seria riflessione non solo sugli archivi in quanto sedimentazioni ipomnestiche, ma anche sulle tecniche del sé, e in particolare sugli hypomnemata e sulla “scrittura di sé” nell'antichità[42]. E, del resto, Stiegler riprende direttamente da Foucault la considerazione per cui la filosofia, a partire da Platone e progressivamente fino alla modernità, ha dimenticato il fatto che la conoscenza è anche e forse soprattutto un sistema di cura di sé e degli altri, dunque una epimeleia. Sempre grazie a Foucault, del resto, l'autore di Prendersi cura può far valere questa epimeleia sia come cura di sé e degli altri da parte degli individui, sia come amministrazione (che Foucault declinerà come «governamentalità»[43]) da parte della polis, dello Stato e, più in generale, della potenza pubblica – che è poi l'orizzonte entro al quale Stiegler vuole giocare la carta della farmacologia. Tuttavia, per Stiegler il fatto «che Foucault non contempli la possibilità che quel che egli descrive [lo statuto disciplinare dei dispositivi e la loro funzione di assoggettamento] sia una tendenza nel campo farmacologico aperto dalle tecnologie di potere, che sono anche tecnologie di sapere, e che il campo disciplinare (in senso foucaultiano, come controllo e assoggettamento degli individui) sia solo un polo di fronte all'altro polo, ossia quello delle discipline che formano un sapere [...] non è semplicemente una convinzione. È una incoerenza con il suo metodo e i suoi risultati»[44]. Foucault, in pratica, sarebbe impedito dalle sue stesse precedenti analisi a considerare adeguatamente il ruolo della http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 8/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura scrittura nella formazione del concetto kantiano di maggiorità. In tal modo, egli non potrebbe accedere alla dimensione farmacologica dell'epimeleia: Se Foucault ha concepito le psicotecniche dell'attenzione a titolo di quel che per lui sono le tecniche di sé, della cura, del riguardo e poi della scrittura di sé – ossia dell'individuazione mediante gli hypomnemata che costituiscono le nootecniche – egli ha stranamente tralasciato il momento della socializzazione delle nootecniche come tecniche di sé che divengono tecniche del noi attraverso la laicizzazione di quel che era stato istruito (sulla scia di quella che Silvain Auroux chiama la seconda rivoluzione della grammatizzazione) dapprima dalla Chiesa luterana e poi dall'ordine dei Gesuiti. Detto altrimenti, il suo studio delle società disciplinari lo conduce a espungere le questioni psicotecniche e nootecniche che emergono nella scuola religiosa e poi laica, così come, del resto, a cancellare quel che differenzia le forme religiose dell'insegnamento dall'istruzione laica, pubblica e obbligatoria[45]. A fronte di tali considerazioni, Stiegler giunge ad affermare che «non c'è movimento farmacologico per Foucault, ed è un problema fondamentale per una filosofia che si presenta in definitiva e integralmente come un pensiero della cura e del sé»[46]. Ora, questo problema legato alla rimozione del pharmakon, precisamente nell'ottica farmacologica, è duplice: da un lato, rischia di condurre a ignorare oggi, nel XXI secolo, la possibilità di rovesciare le psicotecnologie di assoggettamento in nootecnologie di soggettivazione (o d'individuazione); dall'altro lato, impedisce di «vedere lo sviluppo del potere del marketing e la regressione storica che esso costituisce come specificità della nostra epoca mondializzata», dunque di analizzare e denunciare «la guerra che questa scienza delle società di controllo che è il marketing conduce contro le istituzioni di programmi», come invece avrebbe fatto Deleuze, sebbene – è giusto ricordarlo – solo qualche anno dopo la morte di Foucault. In sostanza, Stiegler è convinto che oggi, con l'avvento delle psicotecnologie digitali, quel che Foucault aveva definito come biopotere e società di sicurezza siano mutati radicalmente. Parlare di biopotere in termini esclusivamente foucaultiani, può allora «condurre a dissimulare la specificità della nostra situazione»: Si può e si deve invece parlare di uno psicopotere da quando appaiono tecniche che permettono di controllare l'attività mentale degli individui in modo sempre più calcolabile, e come audience; da quando compaiono quindi le industrie culturali, in primo luogo il cinema, poi i programmi audiovisivi – ossia la radiodiffusione all'inizio degli anni Venti, poi la telediffusione alla fine degli anni Quaranta. Con queste industrie di programmi, il capitalismo, che diviene così “culturale”, si mette a produrre oggetti temporali industriali. Questi ultimi sono gli elementi chiave di quelle che Deleuze chiama le società di controllo, poiché essi permettono di captare l'attenzione dei consumatori e di fare loro adottare i nuovi comportamenti psicomotori mediante i quali si formano i mercati richiesti di continuo dall'innovazione industriale. […]Per via delle loro capacità di captazione, di monopolizzazione e di penetrazione dell'attenzione senza equivalenti nella storia, gli oggetti temporali industriali nel corso del XX secolo divengono i principali prodotti dell'industria nella misura in cui mediante essi sono plasmati i modi di vita, al punto che il biopotere e la biopolitica diventano una questione relativamente secondaria, o meglio semplicemente un aspetto dello psicopotere (il suo aspetto somatico). Poiché attraverso gli oggetti temporali industriali, il potere economico cortocircuita il potere politico degli Stati, prendendo massivamente il controllo dei comportamenti[47]. Starà al lettore di Prendersi cura valutare la chiarezza, il senso e l'efficacia dell'operazione di Stiegler, che appare sicuramente ambiziosa e puntuale, ma anche a tratti irriverente rispetto alla generazione filosofica che precede l'autore. Qui si vogliono unicamente esprimere due constatazioni, di cui la prima consiste proprio nel considerare tale operazione di decostruzione dell'epimeleia foucaltiana e dell'atteggiamento filosofico «delusionista», in qualche modo disarmante, comune alla generazione di Foucault, non come un atto di incuria e di strappo generazionale, bensì precisamente come il rivolgere un'attenzione profonda a testi che rimangono comunque fondamentali per la costruzione di un avvenire dell'intelligenza e della collettività – dunque in tal senso Stiegler si prende cura dei testi foucaultiani. La seconda constatazione risiede nella legittimità della strategia di Stiegler, in quanto http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 9/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura egli si trova a dover far emergere le potenzialità euristiche, etiche e politiche del pharmakon al di là di quel che è stato recepito dal discorso di Derrida sulla "farmacia di Platone" e, perciò, l'autore di Prendersi cura cerca di scovare le tracce della rimozione o della denegazione farmacologica in quei filosofi, come Foucault, in cui sapere, potere e soggettivazione sono legati (d)al tema concreto e storico delle discipline e delle psicotecniche. In altre parole, per spiegare la condizione farmacologica in cui noi versiamo, che oggi è quella delle società di controllo, Stiegler ha bisogno forse ancor più di Foucault che di Deleuze. Tuttavia, volendo qui detournare la frase con cui lo stesso Deleuze descriveva il suo modo di fare storia della filosofia[48], Stiegler in questo caso può utilizzare Foucault a suo vantaggio solo facendogli non dire quel che lui non ha detto. Successivamente, ed avviandosi verso la conclusione, Stiegler tenta ancora l'operazione decostruttiva di emersione del pharmakon, questa volta con Agamben e, in particolare, attraverso il breve testo Che cos'è un dispositivo?[49], in cui il filosofo italiano, riprendendo e cercando di elaborare in profondità le analisi foucaultiane sui dispositivi di potere, incapperebbe in una critica dei dispositivi tecnologici (come i cellulari e Internet) troppo superficiale e persino obliosa nei confronti dell'epimeleia foucaultiana. Per Agamben, infatti, non esiste un «modo giusto», ossia critico o accorto e, in definitiva, politicamente emancipativo di utilizzare i dispositivi tecnologici, poiché essi sono per statuto strumenti tendenzialmente totalitari di assoggettamento. Anche per Stiegler non esiste un modo corretto e critico di utilizzare i dispositivi, ma non perché essi sarebbero “totalitari”; semmai perché il filosofo francese contesta il rapporto tra soggetto e dispositivo precisamente nei termini dell'utilizzo. Arrivati a questo punto del libro, è ormai evidente che i dispositivi in quanto psicotecnologie, secondo Stiegler, devono essere praticati in vista di un fine ulteriore rispetto al loro semplice utilizzo individuale o di massa, ossia devono diventare strumenti per superare la condizione di minorità nella quale loro stessi hanno contribuito a relegarci. Questa pratica potrebbe esser pensata, in termini agambeniani, come una profanazione, se solo il filosofo di Homo sacer riuscisse a contemplare l'adozione degli strumenti tecnici nel senso simondoniano, per cui se l'uso di uno strumento produce disindividuazione o assoggettamento, la profanazione deve essere un modo di adottare diversamente tale strumento, ossia un modo per individuarsi, e non solo per resistere al totalitarismo dei dispositivi. Questo ragionamento è però assente in Che cos'è un dispositivo?, e Agamben manifesta la preferenza a resistere piuttosto che inventare nuove condizioni tecnologiche per la politica rivoluzionaria. Inutile dire comunque che, in questo caso, Stiegler abbia gioco facile nel mostrare l'assenza del movimento farmacologico, e lo fa indicando anche una totale mancanza di riflessione attorno all'economia libidinale che presiede all'uso e alla pratica dei dispositivi – di qualsiasi dispositivo: Agamben non pone la questione di tale oikonomia della libido, vale a dire di questa oikonomia degli oggetti del desiderio, e di un desiderio che si tratta di sviare ad esempio verso i telefoni cellulari; e se non può porla, è forse perché essa è incompatibile con il modo in cui Foucault ha pensato i dispositivi – ad eccezione tuttavia di quel che compare con le tecniche e la scrittura di sé. [...] Ora, la farmacologia, da cui proviene ogni dispositivo di cui parla Agamben, a partire da Foucault e al di là, non è pensabile al di fuori dell'economia pulsionale che essa può legare o disfare; di cui essa cioè può essere il rimedio, ossia il supporto, oppure il veleno, vale a dire la rovina. Non considerando questa oikonomia del pharmakon, questo veleno rimane per Agamben sempre senza rimedio. E siccome non pone tali questioni, Agamben non può che descrivere il divenire velenoso dei dispositivi come una fatalità di fronte a cui non esisterebbe alcun'altra possibilità se non la sottomissione e la perdita di sé, da una parte, e il ritiro in qualcosa che assomiglia a una Gelassenheit, dall'altra parte[50]. Che cos'è un dispositivo?, in ultimo, rappresenta per Stiegler la versione aggiornata dell'atteggiamento intellettuale rassegnato, «delusionista» e fondato sulla logica ipercritica del "nient'altro che", tanto in voga negli anni Settanta, la quale, nel momento stesso in cui elaborava analisi acutissime dei dispositivi di assoggettamento dello Stato borghese, del capitalismo fordista e della psicoanalisi ad esso funzionale, precludeva di fatto ogni alternativa concreta allo status quo dell'immediato futuro, quello cioè nel quale noi viviamo, che ha saputo rimodellare e rivoluzionare in peggio questi stessi http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 10/16
18/12/2015 La cura dell'intelligenza e l'intelligenza della cura dispositivi. ******* È così che si giunge all'ultimo capitolo del libro, dove Stiegler fa appello in modo programmatico e progettuale alla potenza pubblica, francese ed europea, affinché si faccia carico di una nuova responsabilità, quella di «rovesciare profondamente la situazione di quella potenza che è diventato lo psicopotere e di sottometterla alle obbligazioni prescritte da una psicopolitica condotta al servizio di una noopolitica, attraverso una politica industriale delle tecnologie dello spirito»[51]. Ma l'ultimo capitolo è anche costruito argomentativamente per fare da ponte al secondo tomo di Prendersi cura, dove si anticipa che verrà affrontata la questione della temporalità e della differenza ontologica in Heidegger, alla luce delle considerazioni sull'importanza fondamentale della tecnica in generale, e delle psicotecnologie in particolare, per la costituzione stessa della temporalità e dell'essere. In questo disegno, Hans Jonas funge allora da bersaglio preventivo, ossia da causa scatenante per proseguire Prendersi cura, dal momento che in Il principio responsabilità, l'etica della responsabilità è presentata come ciò che deve solamente contenere la tecnica quando diviene una tecnologia industriale dalle potenzialità e dai rischi spaventosamente inediti. Anche se, per concludere, Stiegler decide di tagliare con l'accetta tutta una serie di luoghi problematici, tanto nella sua argomentazione quanto in quella di Jonas, l'essenziale della sua critica è piuttosto chiaro e, giunti a questo punto, persino facilmente prevedibile. Innanzitutto, oltre “chiaramente” a non contemplare la dimensione farmacologica della tecnica, Jonas non terrebbe in considerazione il fatto che «l'attenzione è precisamente in questo senso tecnicamente costituita, il che significa che qualsiasi etica è sempre in una relazione essenziale con la tecnica (ma parimenti in una relazione essenzialmente accidentale, se è vero che la tecnica è irriducibilmente artefattuale)»[52]. Ma mancherebbero inoltre un'analisi dell'economia libidinale e un'autentica rielaborazione della temporalità del rapporto tra Sorge (cura) e Besorgen (prendersi cura) in Heidegger, dunque della cura e dell'attenzione costitutive del Dasein nei confronti di sé, degli altri e del mondo. In altre parole, Jonas ignorerebbe la tecnicità del processo di formazione dell'attenzione, proprio come Heidegger ha fatto della tecnicità il principio di deiezione del Dasein. Per queste ragioni, Stiegler giunge ad affermare che «Jonas è condannato a costruire la sua etica della tecnica e della responsabilità su di un'euristica della paura»[53]. Dalla delusione dei poststrutturalisti alla paura dei postesistenzialisti (si passi il termine), dunque. È precisamente contro questi atteggiamenti – ma non contro le teorie dei filosofi presi in esame – che sembra svilupparsi, a volte un po' sbrigativamente, il senso del percorso di Prendersi cura, che termina invece, forse per contrappasso, quasi sognando: Allo stesso modo in cui sono stati processati i fabbricanti di sigarette che hanno avvelenato intere generazioni e hanno provocato cancri e diverse altre malattie, così come l'industria automobilistica è stata denunciata dallo Stato della California per aver contribuito al riscaldamento climatico, ed è stata recentemente condannata in Giappone per via delle malattie respiratorie che ha provocato agli abitanti di Tokyo, bene, allo stesso modo verranno istruiti dei processi contro le industrie di programmi e i loro poteri pubblici – ora che sappiamo quali sono i loro effetti sui bambini e sulla società in generale, e sulle istituzioni di programmi che sono le sole garanti di un sistema di cura degno di questo nome, nonché i supporti di ogni battaglia dell'intelligenza[54]. Per incominciare a concludere questa introduzione, viene allora il dubbio che, al presente, manchi pressoché del tutto l'interlocutore fondamentale al quale costantemente si rivolge Stiegler per attuare sul piano istituzionale e concreto gli intenti della farmacologia positiva, poiché il settore pubblico, in Francia, come nel resto d'Europa e del mondo, tende ad essere assorbito dal privato, ossia proprio da quelle "industrie di programmi" e dai colossi della finanza che fanno dell'incuria il metodo privilegiato di amministrare la vita degli «esseri noninumani», non preoccupandosi delle condizioni inumane nelle quali versano sempre più persone, nel mondo come nel vecchio continente. In altre parole, di questa potenza pubblica a cui fa appello Stiegler, fanno parte anche, più o meno http://www.commonware.org/index.php/gallery/500recensionestiegler?tmpl=component&print=1&layout=default&page= 11/16
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