L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri

Pagina creata da Camilla Molinari
 
CONTINUA A LEGGERE
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
Teatro Dante Alighieri
 Stagione d’Opera
 2011-2012

L’occasione fa il ladro
GIOACHINO ROSSINI
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
Fondazione Ravenna Manifestazioni
Comune di Ravenna
                                                    Teatro di Tradizione Dante Alighieri
Assessorato alla Cultura
Ministero per i Beni e le Attività Culturali        Stagione d’Opera e Danza
Regione Emilia Romagna
                                                    2011-2012

                                               L’occasione
                                               fa il ladro
                                               ossia
                                               Il cambio della valigia
                                               BURLETTA PER MUSICA IN UN ATTO
                                               LIBRETTO DI LUIGI PRIVIDALI
                                               MUSICA DI

                                               Gioachino Rossini

con il contributo di

partner

                                               Teatro Alighieri
                                               dicembre | sabato 10, domenica 11
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
Sommario
                                                             La locandina................................................................. pag.           5

                                                             Il libretto ........................................................................ pag.    7

                                                             Il soggetto
                                                             di Emilio Sala ............................................................... pag.         29

                                                             L’opera in breve
                                                             di Daniele Spini .......................................................... pag.            31

                                                             Jeu de l’amour et du hazard all’italiana
                                                             di Giovanni Carli Ballola ...................................... pag.                       33

                                                             Jean-Pierre Ponnelle . .......................................... pag.                      39

                                                             Lavorare con Ponnelle
                                                             di Sonia Frisell ............................................................ pag.          41

                                                             I protagonisti .............................................................. pag.          45

Coordinamento editoriale Cristina Ghirardini
Grafica Ufficio Edizioni Fondazione Ravenna Manifestazioni

Foto di scena Foto Brescia e Amisano © Teatro alla Scala.

Si ringrazia l’Ufficio Edizioni del Teatro alla Scala
per la concessione del materiale editoriale.

L’editore si rende disponibile per gli eventuali
aventi diritto sul materiale utilizzato.

Stampa Tipografia Moderna, Ravenna
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
L’occasione fa il ladro
ossia Il cambio della valigia
burletta per musica in un atto
libretto di Luigi Prividali, da Le Prétendu par hazard, ou L’Occasion fait le nom di Eugène Scribe
musica di Gioachino Rossini
(Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Universal Music Publishing Ricordi
srl, Milano, a cura di Giovanni Carli Ballola, Patricia B. Brauner e Philip Gossett)

personaggi e interpreti

Don Eusebio Fabrizio Mercurio
Berenice Pretty Yende, Marika Gulordava
Conte Alberto Leonardo Cortellazzi, Filippo Adami
Don Parmenione Christian Senn, Filippo Polinelli
Ernestina Valeria Tornatore, Evis Mula
Martino Davide Pelissero, Valeri Turmanov

Solisti dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala

Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala
maestro al cembalo Vincenzo Scalera

direttore Daniele Rustioni
regia, scene e costumi Jean-Pierre Ponnelle
regia ripresa da Sonja Frisell
luci Marco Filibeck

Allestimento originale del Rossini Opera Festival
Coproduzione I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Comunale di Treviso, Teatro Alighieri di Ravenna in
collaborazione con Teatro alla Scala e Accademia del Teatro alla Scala.
costumi Tirelli Costumi, Roma calzature Pedrazzoli, Milano parrucche Teatro alla Scala, Milano clavicembalo Romano
Danesi, Porto Mantovano (Mantova)
assistente alla regia Fabio Ceresa direttore di scena Andrea Boi maestro collaboratore di sala Vincenzo Scalera maestri
collaboratori Marco Borroni, Giorgio Martano, Nicolò Sbuelz, Annebelle Trinitè, Paolo Troian realizzatore delle luci Andrea Giretti
Teatro alla Scala
allestimento scenico Ruggero Bellini direzione di produzione Nadia Ferrigno responsabile macchinisti Salvatore Tolva
responsabile elettricisti Marco Boccaccini responsabile sartoria Annunciata Pecoraro responsabile attrezzisti Maurizio Longhi
I Teatri di Reggio Emilia
tecnici in scena Andrea Testa, Luca Baroni, Maurizio Bellezza, Luca Foscato, Massimo Foroni, Alan Monney
cabinista luci Luca Antolini trucco Luca Oblach
responsabile Dipartimento Musica Accademia del Teatro alla Scala Daniele Borniquez
ispettore Orchestra Enrica Di Bastiano
comparse Michela Levi, Nadia Monti, Andrea Simone Didonè, Nicola Landi, Jacopo Gardelli, Luca Pozzi, Stefano Cleri,
Davide Metrious, Nicolò Dondi, Antonio Piolanti, Filippo Parrino, Riccardo Raineri
il bambino Francesco Giardini

                                                                5
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
L’occasione fa il ladro
                        ossia Il cambio della valigia
                              Burletta per musica in un atto
          Prima rappresentazione Venezia, Teatro di San Moisè, 24 novembre 1812
                                Libretto di Luigi Prividali
                   da Le Prétendu par hazard, ou L’Occasion fait le nom
                                    di Eugène Scribe

                                      Musica di Gioachino Rossini

Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Universal Music Publishing Ricordi srl,
                   Milano, a cura di Giovanni Carli Ballola, Patricia B. Brauner e Philip Gossett

                                                PERSONAGGI

           Don Eusebio, zio di Berenice                                               tenore
           Berenice, sposa del Conte Alberto                                         soprano
           Conte Alberto                                                              tenore
           Don Parmenione                                                              basso
           Ernestina                                                            mezzosoprano
           Martino, servo                                                              basso

           Camerieri di locanda, servi di Don Eusebio

                               L’azione si finge a Napoli e suoi dintorni

           Le parti di testo in grigio sono state omesse nel presente allestimento.

                                                        7
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
ATTO UNICO                                               Parmenione
                                                         Senti, olà! di’ su, vien qua.

Sala in un albergo di campagna, che introduce            Martino
in diverse stanze numerate.                              Che comandate?
Notte oscura e tempestosa.                               (Si ferma.)

[1. Sinfonia e Introduzione]                             Parmenione
                                                         Dove vai?
Scena prima
Don Parmenione, che mangia e beve ad una                 Martino
tavola rusticamente imbandita, e rischiarata da          Non m’arrestate.
un lucerniere: Martino seduto in disparte, che
approfitta dei di lui avanzi, malgrado lo spavento       Parmenione
che soffre al fragore dei tuoni, ed al chiaror dei       Scaccia, bestia, il tuo timore.
lampi.
                                                         Martino
Parmenione                                               Non vi posso contentar,
Frema in cielo il nembo irato,                           non m’arrestate,
scoppi il tuono, e fischi il vento;                      non vi posso contentar.
che qui placido e contento
io mi voglio riposar.                                    Parmenione
Quanto è dolce il mar turbato                            Cosa fai là sciocco in piè?
dalle sponde il contemplar!                              Siedi qui vicino a me.
(Tuono.)                                                 Se anche vedi il ciel cascar,
                                                         mangia, bevi e non badar.
Martino
Ah saette maledette,                                     Martino
deh lasciatemi mangiar!                                  Voi morir mi fate affè,
(Si spaventa.)                                           o seduto, o stando in piè.
                                                         Par che debba il ciel cascar.
Parmenione                                               Come posso non tremar?
Cos’è stato?
                                                         (Don Parmenione sforza il suo servo a sedere
Martino                                                  vicino a lui, facendolo tacere e mangiare, per
               Eh niente, niente.                        quanto è possibile, tranquillamente.)

Parmenione
Ma tu tremi.                                             Scena seconda
                                                         Il Conte Alberto, accompagnato da un
Martino                                                  domestico, il quale, dopo aver gettato la valigia
             Oh, no signore.                             del padrone a canto a quella di Don Parmenione,
                                                         si addormenta sopra una panca, e detti.
Parmenione
Tien, e mangia allegramente.                             Alberto
                                                         Il tuo rigore insano,
Martino                                                  fiero destin, sospendi:
Tante grazie…                                            quel Dio d’amore offendi,
(Tuono.)                                                 che scorta mia sia fa.
               Oimè, che orrore!                         Tu gli elementi invano
(Lascia cadere il piatto ricevuto dal padrone, e         a danno mio fomenti;
vuol fuggire.)

                                                     9
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
di te, degli elementi                                  ma già un fulmine la festa                   Alberto                                                Parmenione
amor trionferà.                                        viene or ora a terminar.                     Oibò. Molto impaziente                                 		                Perché non voglio
(Tuono e lampo.)                                       (Toccano i bicchieri, e li vuotano, poi si   sono anzi di vederla; e giacché parmi,                 far sapere ad ognuno i fatti miei,
                                                       rimettono a sedere.)                         che la tempesta omai sia per finire,                   perché soffrir non posso,
Martino                                                                                             con vostra permission voglio partire.                  d’andar con chi può farmi i conti addosso.
Oimè, misericordia!
(Cade con la sedia.)                                   [Recitativo]                                 Parmenione                                             Martino
                                                                                                    Come v’aggrada.                                        Sarà bene così.
Alberto                                                Alberto
Chi è là?                                              Grato conforto è l’incontrar per viaggio     Martino                                                Parmenione
                                                       un passaggier cortese!                                            E noi?                                             Paghiamo il conto,
Parmenione                                                                                                                                                 e poi si vada.
       Siam noi.                                       Parmenione                                   Parmenione                                             (Va per aprire la valigia dove tiene il denaro.)
                                                       		                        Il fortunato       		                         Taci.
Alberto                                                in caso tal son io.                                                                                 Martino
		                 Chi siete?                                                                       Alberto                                                              A meraviglia.
                                                       Alberto                                      (al servo)
Parmenione                                             		                 Bene obbligato.           			                           Su presto                Parmenione
Dal tempo trettenuto                                   Se v’aggrada, possiamo                       la valigia riprendi, andiam, che ho fretta.            		                         Oh bella!
qui un forestier vedete.                               a Napoli recarci in compagnia.               (a Don Parmenione)                                     (Si sforza inutilmente d’aprir la valigia.)
                                                                                                    Vi ringrazio di nuovo, e vi saluto.
Alberto                                                Parmenione                                                                                          Martino
                                                                                                    Parmenione
E la cagion medesima                                   Quella, signor, non è la strada mia.                                                                Cos’è?
                                                                                                    Mille felicità.
m’ha pur condotto qua.
                                                       Martino                                                                                             Parmenione
                                                                                                    Alberto
Martino                                                Come!                                                                                                       Per tua indolenza il forestiere
                                                                                                                      Molto tenuto.
E chi sa quando il Diavolo                                                                                                                                 con la valigia sua cambiò la mia.
da qui ci porterà!                                     Parmenione                                   (Alberto scuote il suo servo, che non ben desto
                                                            A che c’entri tu?                       ancora, prende senza avvedersi la valigia              Martino
Parmenione                                                                                          dell’altro forestiere per quella del suo padrone, e    Credo che un mal per voi questo non sia.
Dunque facciamo un brindisi                            Alberto                                      lentamente con lui s’allontana.)
con questo vin perfetto.                               		                     Me ne dispiace;                                                              Parmenione
                                                       perché in paese ignoto                                                                              Che dici?
Alberto                                                fra tanta oscurità può facilmente            Scena terza
L’amico invito accetto,                                l’un per l’altro cammin prendere in fallo,   Parmenione, Martino.                                   Martino
di vostra urbanità.                                    chi solo, come me, viaggia a cavallo.                                                                         Eh c’intendiam.
(Stando in piedi empiono i bicchieri, mentre                                                        Martino
timoroso Martino sta in disparte osservandoli.)        Parmenione                                   E noi qui che facciam?                                 Parmenione
                                                       Esser deve l’affar di gran premura,                                                                 		                         Presto, va’…
Parmenione e Alberto                                   che a Napoli vi chiama.                      Parmenione
Viva Bacco il Dio del vino,                                                                         		                         Noi partiremo.              Martino
viva il sesso femminino!                               Alberto                                                                                             				                                      Dove?
che al piacer ogni alma desta,                         Un matrimonio.                               Martino
che fa i cori giubilar;                                                                             Per Napoli?                                            Parmenione
e anche in mezzo alla tempesta                         Parmenione                                                                                          Le mie carte… il denaro… il passaporto…
sa i perigli disprezzar.                                                Bravo!                      Parmenione                                             corri…
                                                                                                             Si sa.
Martino                                                Alberto                                                                                             Martino
Che terribile destino                                  Certo.                                       Martino                                                      Ma dove mai?
a tal pazzi star vicino!                                                                            		                Ma perché dire
Riscaldata han già la testa,                           Parmenione                                   di non volerci andar, perché con l’altro               Parmenione
non san più cos’han da far;                                La sposa voi conoscete?                  uniti non ci siam?                                     		                    Corri a cercarlo.

                                                  10                                                                                                      11
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
Martino                                                  Martino                                       Martino                             non odo i tuoi consigli,
Nel suo galoppo, al buio ove trovarlo?                   Buono! Qui c’è un grand’abito da gala.        Ma come?…                           non curo più perigli;
                                                                                                                                           Amore bricconcello
Parmenione                                               Parmenione                                    Parmenione                          m’ha colto nel cervello;
Ma intanto?                                              Oh che vaga, e gentil fisionomia!                         Che scioccone!          e questa cara immagine
                                                                                                       Non sai capir?                      mi pizzica, mi stuzzica,
Martino                                                  Martino                                                                           in petto mi fa crescere
             Intanto approfittar bisogna                 Che fina biancheria!                          Martino                             dall’allegrezza il cor.
del favor della sorte.                                                                                                Che cosa?            Martino, allegramente!
                                                         Parmenione                                                                        Andiamo a farci onor.
Parmenione                                               M’incanta.                                    Parmenione
E vuoi?…                                                                                               Osserva che boccone,                (Martino ripone tutti gli effetti nella valigia, e
                                                         Martino                                       che pasta deliziosa,                portandola seco, segue il padrone, che pieno
Martino                                                             Un passaporto…                     considera il mio cor.               d’entusiasmo lo ha preceduto.)
          Lasciate,
ch’io sia l’indagator di tal scoperta.                   Parmenione                                    Martino                             Grand’atrio terreno in casa della Marchesa
                                                         			                          Un passaporto!   Piuttosto d’un bastone              elegantemente addobbato, con ampio verone
Parmenione                                               (Lo prende.)                                  vi toccherà il favor.               di prospetto, che mette nel giardino e con varie
Cosa fai?                                                                                                                                  porte laterali che introducono ai rispettivi loro
                                                         Martino                                       Parmenione                          appartamenti.
Martino                                                  Certo: e molte cambiali. Io ve l’ho detto,    D’arrogarsi un nome finto
          Cosa faccio? Eccola aperta.                    che non vi pentirete.                         veramente il passo è ardito,
(Spezza il lucchetto, strappa la catena, ed apre                                                       e può mettermi in procinto          [Recitativo]
la valigia.)                                             Parmenione                                    di mangiare il pan pentito;
                                                                                                                                           Scena quarta
                                                         		                   Oh che bel colpo!        ma se l’oro all’altro io rendo,
                                                                                                                                           Don Eusebio, Ernestina, Servi.
Parmenione                                               Più resister non posso.                       se rinunzio a ogn’altro effetto,
Oh che ribaldo!                                                                                        l’interesse non offendo,
                                                                                                                                           Eusebio
                                                         Martino                                       non pregiudico l’onor.
                                                                                                                                           Non lo permetto.
Martino                                                  Ebben?…                                       E poi questo bel visetto
                 Zitto: ecco una borsa.                                                                fa scusabile ogni error.            Ernestina
                                                         Parmenione                                                                                           Il mio dover…
Parmenione                                                       Si faccia.                            Martino
Lascia star…                                                                                           Ebben Don Parmenione?…              Eusebio
                                                         Martino                                                                           			                            Scusate:
Martino                                                  		                   Come!                    Parmenione                          dell’urbano trattar so la maniera.
               Quante gioie! Oh! oh! un ritratto.                                                      Io sono il Conte Alberto.
                                                         Parmenione                                                                        Ernestina
Parmenione                                               Riponi presto entro ogni cosa.                Martino                             Ma in questa casa io son per cameriera.
Mostralo.                                                                                              Alberto… voi…
                                                         Martino                                                                           Eusebio
Martino                                                  E volete?…                                    Parmenione                          Il caso vostro esige
          Che vi par?                                                                                                 Sì certo.            rispetto e compassione, e mia nipote
                                                         Parmenione                                    È questo il passaporto,             sua compagna vi chiama.
Parmenione                                                        Per me voglio la sposa.              che mi conduce in porto,
		                      Che bella cosa!                                                                è questo il gran ricapito,          Ernestina
                                                         [2. Aria]                                     che ha sottoscritto amor.           So, che molta bontà per me conserva…
Martino                                                  Che sorte, che accidente,
Che diavolo sarà?                                        che sbaglio fortunato!                        Martino                             Eusebio
                                                         Amor mi vuol beato,                           Ma per pietà…                       È ver, si tratta
Parmenione                                               ed io ringrazio amor.                                                             d’un sposalizio in grande;
		                  Quest’è la sposa.                    Martino, allegramente!                        Parmenione                          e lo sposo da noi splendidamente
                                                         Andiamo a farci onor.                                        Eh, finiscela;       oggi s’accoglierà.

                                                    12                                                                                    13
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
Ernestina                                           senza saper se brutto o bello sia,                  Berenice                                          Martino
		                 Dunque?                          mi sembra una pazzia;                               		                  Con noi d’accordo             (Già non guarisce mai chi pazzo è nato.)
                                                    ma un certo non so che se in lui non trovo,         seconderà il progetto.                            (Via.)
Eusebio                                             che col mio modo di pensar combina…
			                             Per questo          Oh, te appunto io volea, cara Ernestina!            Ernestina                                         Parmenione
in uffizi servili il vostro grado                                                                       		                     E qual motivo              L’unico dubbio mio sta nel sapere,
non dovete abbassar; che se vi piace                Ernestina                                           v’induce?…                                        se sono il preceduto o il precedente;
manifestar per noi qualche premura,                 Comandate.                                                                                            ma d’ogni inconveniente
agli altri il comandar sia vostra cura.                                                                 Berenice                                          mi trarran questi fogli: e giacché a tutto
                                                    Berenice                                                        E che? non lo conosci ancora?         son pronto a rinunziar, fuorché alla sposa,
Ernestina                                                        Io per te non ho comandi.              Di noi due vo’ scoprir chi l’innamora.            non sarà il fallo mio poi sì gran cosa.
Ebbe, permetterete?…                                                                                                                                      Chi mai s’avanza? È dessa… oh che portento!
                                                    Ernestina                                           Ernestina                                         Fatti onor, Parmenione, il primo omaggio
Eusebio                                             Ma almen…                                           Pensate…                                          si vada a tributarle.
		                       Anzi: a voi, presto
(ai servi)                                          Berenice                                            Berenice
attenti i cenni suoi tutti ascoltate,                           Già sai, che al figlio d’un suo amico               Ho già pensato.                       Scena settima
e quanto essa dirà, fate e disfate.                 il mio buon genitor pria di morire                                                                    Ernestina, e Parmenione.
(Via.)                                              destinò la mia man.                                 Ernestina
                                                                                                        			                           Un tal pretesto…    Ernestina
Ernestina                                           Ernestina                                                                                             		                  (Alma coraggio!)
Eppur del mio destin                                		                  Lo intesi a dire.               Berenice
non mi posso lagnar, se in mezzo a tante                                                                Tu pensa a compiacermi, io penso al resto.        [4. Quintetto]
mie sciagure infinite…                              Berenice                                            (Partono.)
Basta, non ci pensiam: voi mi seguite.              E sai, che dopo i viaggi suoi lontani                                                                 Parmenione
(Parte coi servi.)                                  questo sposo a me ignoto                                                                              Quel gentil, quel vago oggetto,
                                                    oggi qui giungerà?                                  Scena sesta                                       che a voi sposo il ciel destina,
                                                                                                        Parmenione in abito da gala e Martino.            tutto foco s’avvicina
Scena quinta                                        Ernestina                                                                                             alla cara sua metà.
Berenice, indi Ernestina, e detta.                  		                 Ciò pur m’è noto.                Parmenione
                                                                                                        Eccomi al gran cimento.                           Ernestina
[3. Aria]                                           Berenice                                                                                              Io m’inchino con rispetto
                                                    Nell’incertezza ch’ei mi piaccia, e ch’io           Martino                                           alla vostra gran bontà,
Berenice                                            a lui possa piacere, mia dolce amica,               Aiuto!                                            con rispetto alla vostra civiltà.
Vicino è il momento,                                ho bisogno di te.
che sposa sarò.                                                                                         Parmenione                                        Parmenione
Eppure contento                                     Ernestina                                               Cosa fai?                                     (L’ho colpita a prima vista,
il core non ho.                                                      Parlate.                                                                             non s’accorda col ritratto.)
Il solito ardire                                                                                        Martino
non trovo più in me,                                Berenice                                                           Tremo all’aspetto                  Ernestina
mi sento languire,                                  		                    Io voglio                     della tempesta, che per noi s’imbruna.            (È bizzarro, ma grazioso.
né intendo perché.                                  cambiar teco di nome.                                                                                 S’egli fosse almen mio sposo.
Ma dal timore oppressa,                                                                                 Parmenione                                        Ma non parla?…Cosa fa?…)
la mia ragion non resti:                            Ernestina                                           Eh! bisogna arrischiar, per far fortuna.
arbitra di sé stessa                                		                      In qual maniera?                                                              Parmenione
l’anima mia si desti;                                                                                   Martino                                           (Eh non serve! Il colpo è fatto.)
e ceda solo ai palpiti                              Berenice                                            Ma se…                                            Marchesina!
d’un corrisposto amor.                              Diventando tu sposa, io cameriera.
                                                                                                        Parmenione                                        Ernestina
[Recitativo]                                        Ernestina                                                    Taci, ubbidisci, e fa’ che ognuno                     Mio Contino!
Sposarsi ad un, che non s’è mai veduto,             Che dirà vostro zio?                                sia dell’arrivo tuo tosto informato.

                                               14                                                                                                        15
L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
Parmenione                                 Berenice                                    Ernestina                             Parmenione
Io son qui.                                            In error voi siete.             È lì, nol vedete?                                     Quello son io.

Ernestina                                  Alberto                                     Parmenione                            Eusebio
            Qui sono anch’io.              Ma voi?…                                    Oh alfin permettete…                  Le prove io voglio, perché son zio.

Parmenione                                 Berenice                                    Eusebio                               Parmenione
Posso?…                                               Non conto un zero.               Chi siete, signor?                    Le prove?… Subito: eccole qua.

Ernestina                                  Alberto                                     Parmenione                            Alberto
Presto andiamo da mio zio,                 La sposa mia?…                              Io son Don Alberto,                   Le prove? Come… le prove?
che al vedervi esulterà.                                                               or vostro parente.                    Oh barbara fatalità!
                                           Berenice
Parmenione                                                    Vedrete.                 Berenice                              Eusebio
Con voi sono, a voi m’arrendo,                                                         Voi proprio?                          Tutto va in regola.
lucidissima mia stella!                    Alberto
qual s’arrende il pulcinella               Mi sembra un impossibile.                   Parmenione                            Parmenione
a chi muovere lo fa.                                                                             Sì, certo.                  		                    Mi son spiegato.
(Via.)                                     Berenice
                                           Vero vi sembrerà.                           Alberto                               Berenice ed Ernestina
Ernestina                                                                              Ed io?…                               Voi siete mutolo.
(Più lo guardo, più m’accendo              Alberto
a quel garbo, a tanto brio.)               Oh sventurato errore,                       Parmenione                            Alberto
Presto andiamo da mio zio,                 oh perdita affannosa!                               Non so niente,                                  Sono ingannato.
che al vedervi esulterà.                   Perché non è mia sposa                      io sono il sposo.
(Via.)                                     questa gentil beltà?                                                              Parmenione
                                                                                       Berenice, Ernestina ed Eusebio        Non gli credete, non gli badate;
                                           Berenice                                    Che strana sopresa,                   son tutte frottole mal inventate.
Scena ottava                               Oh generoso amore,                          che caso inaudito!                    Ch’io son lo sposo provato è già.
Alberto e Berenice da parti opposte        oh mio destin beato!                        Chi è il vero marito,
incontrandosi.                             Sposo di lui più grato                      chi è mai l’impostor?                 Alberto
                                           l’alma bramar non sa.                                                             Voi siete un asino, siete un briccone,
Alberto                                                                                Alberto e Parmenione                  rendere pubblica la mia ragione,
Se non m’inganna il core                                                               Ravviso il rivale,                    ch’io son lo sposo si proverà.
coi palpiti ch’io provo,                   Scena nona                                  conosco l’imbroglio;
quella beltà in voi trovo,                 Don Eusebio, e detti, indi Don Parmenione   ma ardito esser voglio,               Eusebio
che sposa mia sarà.                        con Ernestina.                              qui vano è il timor.                  Dunque lasciateci in libertà.

Berenice                                   Eusebio                                     Eusebio                               Alberto
Degna d’un tanto onore,                    Dov’è questo sposo?                         Orsù, spiegatevi.                     La mia valigia, gli effetti miei
no, mio signor, non sono;                                                                                                    prima tu rendere, vile, mi dei,
altra l’illustre dono                      Berenice                                    Alberto e Parmenione                  e poi del resto si parlerà.
di vostra man godrà.                       È qui per l’appunto.                                       Cosa ho io da dire?
                                                                                                                             Eusebio
Alberto                                    Eusebio                                     Berenice                              Dunque lasciateci in libertà.
Come?…                                     Oh siete alfin giunto!                      Leggittimatevi.
                                                                                                                             Alberto
Berenice                                   Alberto                                     Ernestina                             Questa è un’ingiuria.
           Vi ho detto il vero.            Vi son servitor.                                              Fate sentire…
                                                                                                                             Parmenione
Alberto                                    Parmenione                                  Alberto                               		                       Meglio parlate.
Dunque?…                                   Dov’è questo zio?                           Io son lo sposo.

                                      16                                                                                    17
Eusebio                                       che ad incontrar qualche pagnotta io vada;   Scena undicesima                                 amor da voi non chiede,
Questa è una cabala.                          onde trovando, o non trovando alcuno,        Ernestina, indi Alberto.                         chi amor per voi non ha.
                                              bastonato morir devo, o digiuno.                                                              Pèra, chi vuol costringere
Parmenione                                                                                 Ernestina                                        del cor la libertà.
		                     Non v’alterate.        Eusebio                                      Qual strano caso è il mio! Perdo un ingrato      Ma se un sopetto indegno
                                              Voi chi siete?                               che mi sedusse: a vagheggiarmi un nuovo          di soverchiarmi intende,
Eusebio                                                                                    amante arriva, e questi…                         quel generoso sdegno,
Posso…                                        Martino                                                                                       che il mio decoro accende,
                                                               (Ecco il caso.)             Alberto                                          dalla ragione armato,
Parmenione                                                                                 		                         Oh alfin vi trovo!    un vano ardir confondere,
      Tacete.                                 Eusebio                                                                                       e impallidir farà.
                                              Ebben?                                       Ernestina                                        (Parte.)
Alberto                                                                                    Che cercate, signor?
Voglio…                                       Martino
                                                     Signore!… io sono il servitore…       Alberto                                          [Recitativo]
Parmenione                                                                                 		                     Ragione io cerco
                                              Eusebio
      Finite.                                                                              dell’insulto sofferto.                           Ernestina
                                              Del forestiero?
                                                                                                                                            Quei fermi accenti, quel sicuro aspetto
Eusebio                                                                                    Ernestina                                        nel mirar, nel sentire,
                                              Martino
Sono…                                                                                      E sostenete ancor?…                              impossibile par ch’abbia a mentire.
                                                                Appunto.
                                                                                                                                            (Parte.)
Parmenione                                    Eusebio                                      Alberto
     Cedete.                                  E qui che fate?                              		                     D’essere Alberto.
                                                                                                                                            Scena dodicesima
Alberto                                       Martino                                      Ernestina                                        Berenice, indi Don Parmenione.
Sento…                                                          Io? Niente.                Il vostro ardir.
                                                                                                                                            Berenice
Parmenione                                    Eusebio                                      Alberto                                          Per conoscere l’inganno, un espediente
      Partite.                                Dunque andate.                                               È quell’ardir, che ispira        chi m’insegna a trovar? Ho un gran sospetto,
                                                                                           il vero onor. Da un impostor tradito,            che questo sposo un temerario sia,
Berenice ed Ernestina                         Martino                                      dall’apparenza condannato io sono;               un basso avventuriere;
Ma via calmatevi, per carità.                                    Vorrei…                   ma il dritto mio, lo sbaglio vostro in breve     ma il vero come mai si può sapere?
                                                                                           risarcito sarà.
Tutti                                         Eusebio                                                                                       Parmenione
Di tanto equivoco, di tal disordine,          Non serve il replicar.                       Ernestina                                        (Fino adesso va ben.)
nel cupo, orribile, confuso vortice,                                                                     Qualunque dritto
urta, precipita, s’avvolge, rotola,           Martino                                      meco, signor, voi richiamate invano,             Berenice
perduto il cerebro per aria va:               Ma almeno…                                   che vostra esser non può mai questa mano.        		                   (Voglio provarmi.)
ma si dissimuli, che senza strepito
già tutto in seguito si scoprirà.             Eusebio                                      Alberto                                          Parmenione
(Partono.)                                                 Andate dico.                    Voi pure dunque in mio danno                     Oh! chi vedo?
                                                                                           i torti vostri agl’altrui torti unite?
                                              Martino                                      Se un preventivo, fortunato affetto              Berenice
Scena decima                                  E dove?                                      occupa il vostro cor, approvo e lodo             (inchinando)
Martino, poi Don Eusebio.                                                                  sì bella ingenuità; ma se v’induce                              Signor!…
                                              Eusebio                                      un error tanto ingiusto ad oltraggiarmi,
[Recitativo]                                          Oh che insensato!                    trovar la via saprò di vendicarmi.               Parmenione
                                              in cucina a mangiar.                                                                          		                        Brava, ragazza:
Martino                                                                                    [5. Aria]                                        tu mi piaci.
                                              Martino
Non so più cosa far. Cauto m’impone                                                        D’ogni più sacro impegno
                                              		                      (Ripiglio fiato.)
il timor del bastone                                                                       sciolta pur sia la fede,                         Berenice
                                              (Via.)
d’evitar chi si sia; vuol l’appetito,                                                                                                                  Davver?

                                         18                                                                                                19
Parmenione                                      Berenice                                        Berenice                                Parmenione
		                  Certo: e se trovo                         Che appianar prima dovete,                        È mia sorella.          È un brutto nome, detta è Pandora.
in te condotta, e abilità discreta,             e poi ci parleremo.
della mia protezione                                                                            Parmenione                              Berenice
forse t’onorerò.                                Parmenione                                      (Se ciò ver, l’ho fatta bella.)         Nelle sue lettere si scrive Aurora.
                                                		                  E che! In tal guisa
Berenice                                        una vil serva in faccia mia favella,            Berenice                                Parmenione
                (Che mascalzone!)               e non trema?                                    (S’incomincia a imbarazzar.)            Io la più giovine volli indicar.

Parmenione                                      Berenice                                        Parmenione                              Berenice
Cosa?                                                           Sbagliate: io non son quella.   D’un parlar sì stravagante              E del processo che nuove avete?
                                                                                                non son molto persuaso;
Berenice                                        Parmenione                                      pur se quella siete a caso,             Parmenione
     Troppo favor.                              E chi sei dunque?                               il mio sbaglio è da scusar.             Il tribunale ci dà ragione.

Parmenione                                      Berenice                                        Berenice                                Berenice
		                  Io già ho fissato,          		                  Io sono un farfarello,      Per un vero e gran birbante             Ma qual è il punto della questione?
dopo il mio sposalizio,                         che girar fa il cervello,                       presso ognun qui voi passate;
di tener varie donne al mio servizio…           a chi non ha giudizio.                          ma il contrario se provate,             Parmenione
onde…                                                                                           anch’io so quel ch’ho da far.           Non so spiegarvelo, lungo è l’affar.
                                                Parmenione
Berenice                                        		                     Orsù! T’accheta,         Parmenione                              Berenice
      Dopo?                                     lasciami.                                       Le mie lettere…                         (Non c’è più equivoco, mi trovo a segno,
                                                                                                                                        scoperto è il perfido vile impostore.
Parmenione                                      Berenice                                        Berenice                                Un foco, un impeto mi sento in core,
              Si sa.                                    Io son…                                                   Ho vedute.            non so la collera dissimular.)

Berenice                                        Parmenione                                      Parmenione                              Parmenione
		                     Badate bene                                 Via dillo, in tua malora.    I ricapiti?…                            (Sempre più critico divin l’impegno,
a quel proverbio, che facendo il conto                                                                                                  d’un passo simile quasi mi pento:
senza l’oste, talvolta                          Berenice                                        Berenice                                un certo brivido al cor mi sento,
si va a rischi di farlo un’altra volta.         Io sono…                                                    Li ho letti.                ma forza e spirito convien mostrar.)

Parmenione                                      Parmenione                                      Parmenione                              Berenice
Olà! Men confidenza: e se ti preme                     Una servaccia ardimentosa.               Quai son dunque i miei difetti?         E così, Contino mio?
di stare in questa casa,
bada di non mi far mai la dottora,              Berenice                                        Berenice                                Parmenione
o ch’io…                                        Oh! Tutt’altro, signore: io son… la sposa.      Or vi voglio esaminar.                  Cosa far per voi poss’io?
                                                                                                Il padre vostro si porta bene?
Berenice                                                                                                                                Berenice
        Signor! Non siete sposo ancora.         [6. Duetto]                                     Parmenione                              Mi saluti il genitore.
                                                                                                Egli sanissimo è sempre stato.
Parmenione                                      Parmenione                                                                              Parmenione
Se nol son, lo sarò.                            Voi la sposa!                                   Berenice                                Lo farò con tutto il core.
                                                                                                Ma se ci ha scritto ch’era ammalato?
Berenice                                        Berenice                                                                                Berenice
		                     Ci son dei dubbi.                        Appunto quella.                 Parmenione                              E la cara sua sorella?
                                                                                                Egli ha voluto così scherzar.
Parmenione                                      Parmenione                                                                              Parmenione
Quai dubbi?                                     Ma quell’altra?                                 Berenice                                Sempre buona, quanto bella.
                                                                                                Come si chiama vostra sorella?

                                           20                                                                                          21
Berenice                                         Eusebio                                          rassembra un galantuomo,                     tolta la mia valigia
Guadagnato è già il processo?                                      La verità ci spiega.           e forse tal sarà.                            non arrossite ancor?
                                                                                                  Vecchio non è, né giovine,
Parmenione                                       Martino                                          né brutto, né avvenente,                     Alberto
Così almen mi fu promesso.                       La verità! Ma come mai, signore                  non è villan, né principe,                   		                    Dei cenci vostri
                                                 pretenderla si può da un servitore?              né ricco, né indigente,                      io non ne so che far.
Berenice                                                                                          insomma un di quegli esseri
Dunque tutto va a dovere?                        Ernestina                                        comuni in società.                           Parmenione
                                                 Meno pretesti.                                   Portato è per le femmine,                    		                   Io non mi curo
Parmenione                                                                                        gli piace il vino, e il gioco,               delle vostre ricchezze.
Tutto va come ha da andar.                       Eusebio                                          amante è di far debiti,
                                                               Il tuo padron vogliamo             ma di pagarli poco,                          Alberto
Berenice                                         conoscere da te.                                 tutto censura, e critica,                    		                     Ebben, sul fatto
Ah uomo petulante,                                                                                benché sia un ignorante,                     io le voglio.
incomodo, arrogante!                             Martino                                          con tutti fa il sensibile,
cessate di mentire,                                                 Vorrei…                       ma di sé solo è amante,                      Parmenione
scoperto è il vostro ardire;                                                                      procura ognor di vivere                                 Le avrete,
voi siete un impostore,                          Ernestina                                        in pace e in sanità,                         quando gl’effetti miei mi renderete.
un vile avventuriere,                            		                           Palesa              è in somma di quegli esseri
e queste le maniere                              il suo nome.                                     comuni in società.                           Alberto
non sono di trattar.                                                                              (Fugge.)                                     E il finto nome, e la mal tolta sposa
Per forza, o per amore                           Martino                                                                                       chiedon riparo.
da qui dovrete andar.                                           Mi spiace…                        [Recitativo]
                                                                                                                                               Parmenione
Parmenione                                       Eusebio                                          Eusebio                                                      Oh! questa è un’altra cosa!
Ragazza impertinente,                            		                          Il suo casato…       Senti, aspetta, ove vai?
ridicola, imprudente!                                                                             (Lo insegue.)                                Alberto
a te non rendo conti,                            Martino                                                                                       Resistete?
da te non voglio niente;                         V’assicuro…                                      Ernestina
io sono un uom d’onore,                                                                           		                      Se fosse vero,       Parmenione
un cavalier son io,                              Ernestina                                        ciò che vero pur sembra, io spererei                  Ma già.
so dire il fatto mio,                                           Il suo stato…                     di vedere appagati i voti miei.
so il modo di trattar.                                                                            (Parte.)                                     Alberto
Per forza o per amore                            Eusebio                                                                                       Così a un par mio?…
mi voglio vendicar.                              Quel che fa.
(Partono.)                                                                                        Scena quattordicesima                        Parmenione
                                                 Ernestina                                        Don Parmenione, ed Alberto incontrandosi.    		                    Un mio pari risponde.
                                                             Quel che pensa.
[Recitativo]                                                                                      Alberto                                      Alberto
                                                 Martino                                          Voi qui appunto io cercava.                  Soffrir non so…
Scena tredicesima                                			                            E voi bramate?…
Don Eusebio, Ernestina, e Martino.                                                                Parmenione                                   Parmenione
                                                 Ernestina                                        			                         Ed io correva                    Ceder non posso…
Eusebio                                          Tutto scoprir da te.                             giusto in traccia di voi.
Qui non c’è scampo.                                                                                                                            Alberto
                                                 Martino                                          Alberto                                      			                                 Io giuro
Ernestina                                        		                     Dunque ascoltate.         		                     Dopo l’eccesso        che vi farò pentir.
		                    Qui parlar bisogna.                                                         della vostra impostura
                                                 [7. Aria]                                        mostrate tanto ardir?                        Parmenione
Martino                                          Il mio padrone è un uomo,                                                                     		               Ed io protesto
Cosa ho da far?                                  ognun che il vede il sa:                         Parmenione                                   che non mi pentirò.
                                                                                                  		                      Dopo d’avermi

                                            22                                                                                                23
Scena quindicesima                                  Alberto                                      Alberto                                    Scena sedicesima
Berenice, e detti.                                                     Ma del vero Alberto       Mia vi voglio ad ogni costo.               Don Eusebio, Ernestina, indi Don Parmenione, e
                                                    se il premio è questo, l’usurpato nome,                                                 detti.
Berenice                                            i lesi dritti, l’onor mio tradito            Parmenione
		                   Qual chiasso è questo?         e questa man, che m’appartiene, io voglio.   Per me scelta ho l’altra bella.            Ernestina
                                                                                                                                            Il suo trascorso alfine
Parmenione                                          Parmenione                                   Berenice                                   un capriccio sarà, non un delitto.
Tu qui che vuoi?                                    E così finirà qualunque imbroglio.           Vo’ saper la verità.
                                                                                                                                            Eusebio
Berenice                                                                                         Alberto                                    Ma se ancor non parlava il servitore,
                Più flemma.                         [8. Recitativo accompagnato…]                Io v’ho detto.                             io parente sarei d’un impostore.

Alberto                                             Berenice                                     Parmenione                                 Ernestina
			                         (Oh quanto è bella!)    Ma se incerti voi siete,                                      Io v’ho risposto.         Non mi pare.
                                                    quale la sposa sia, dubbia non meno
                                                                                                 Alberto e Parmenione
Parmenione                                          del mio destin, dell’esser vostro io sono;                                              Eusebio
                                                                                                 Stabilito il patto è già.
Ebben, che cerchi?                                  né tai patti si fanno in presenza,                                                                    Perché?
                                                    prima di conseguir la mia licenza.
                                                                                                 Berenice
Berenice                                                                                                                                    Ernestina
                                                                                                 Io non soffro quest’oltraggio,
		                  Se per mia disgrazia            [… ed Aria]                                                                             		                   Perché diretto
                                                                                                 chi voi siete io vo’ sapere:
lo sposo foste voi, nulla io ricerco;               Voi la sposa pretendete,                                                                egli aveva a me sola ogni desio.
                                                                                                 d’ingannarmi chi ha coraggio,
ma se poi…                                          voi mi fate il cascamorto:
                                                                                                 chi deciso ha di tacere,
                                                    ma, signori miei, chi siete,                                                            Parmenione
                                                                                                 qui scoperto, smascherato,
Alberto                                             chi ha ragion di voi, chi ha torto?                                                     Eccomi al vostro piè, bell’idol mio.
                                                                                                 vilipeso resterà;
           Se la prova,                             Se l’intrigo mi sciogliete,
                                                                                                 e d’un misero attentato
che lo sposo son io, fosse evidente?                qualche cosa nascerà.                                                                   Ernestina
                                                                                                 tardi poi si pentirà.
                                                                                                                                            Lo sentite?
                                                                                                 (Parte.)
Berenice                                            Parmenione
Allora parlerei diversamente.                       Se voi sposa esser bramate,                  [Recitativo.]                              Eusebio
                                                    più non sono il Conte Alberto.                                                                       Oh! la burla
Parmenione                                                                                       Alberto                                    v’invito a terminar: già l’esser vostro
Tanto meglio.                                       Alberto                                      Fermatevi.                                 più un mistero non è.
                                                    Se il mio cor non rifiutate,
Berenice                                            io vi sposo, ancorché incerto.               Parmenione                                 Parmenione
              Eh, già so, ch’altra v’accende                                                              Che c’è?                          		                    Se anche lo fosse,
di me più vaga, e più gentil donzella.              Berenice                                                                                vengo io stesso a finire ogni questione,
                                                    Che parole inzuccherate,                     Alberto                                    e più Alberto non son, son Parmenione.
Parmenione                                          che obbligante ingenuità!                    		                L’impegno preso
La tua padrona, e la mia sposa è quella.            (Deh non tradirmi, Amore,                    dovete mantenere.                          Ernestina
                                                    in sì fatal mistero!                                                                    Voi Parmenione di Castelnuovo?
Berenice                                            Tu mi rischiara il vero,                     Parmenione
Bravo da ver!                                       in tanta oscurità.)                          Son pronto.                                Parmenione
                                                                                                                                            Appunto,
Alberto                                             Alberto e Parmenione                         Alberto                                    del Conte Ernesto, or gravemente infermo,
               Dunque restiam d’accordo,            Se siete un uom d’onore,                                  Insieme                       l’amico io son, scelto a inseguir la sua
che se l’altra è la sposa, io ve la cedo,           io sono un uom sincero:                      verificar dobbiam, qual sia la sposa.      fuggitiva sorella.
e gl’insulti sofferti a voi perdono.                si scopra prima il vero,
                                                    e poi si parlerà.                            Parmenione                                 Ernestina
Parmenione                                                                                       E poi, come si è detto…                    Voi trovata l’avete: ecco io son quella.
Ottimamente.                                        Berenice
                                                    E così, nessun favella?                      Alberto                                    Parmenione
                                                                                                 Il patto convenuto avrà il suo effetto.    Voi!
                                                                                                 (Parte.)

                                               24                                                                                          25
Eusebio                                               Ernestina, Eusebio e Parmenione                     Alberto                                Parmenione
   Che sento?                                         A propagar si vada                                  Dunque?…                               Vidi anch’io d’aver sbagliato,
                                                      l’inaspettato evento.                                                                      ma allor tardi era di già.
Ernestina                                             Del giubilo, che sento,                             Berenice
                Ah! purtroppo io fui sedotta          ognuno a parte io vo’!                                           Parla…                    Eusebio
da un’alma scellerata,                                                                                                                           Dunque?…
che vincer non potendo il mio rigore,                                                                     Martino
sola qui mi lasciò!                                   Scena diciassettesima                               		                Appunto or viene,    Parmenione
                                                      Alberto e Berenice.                                 chi più chiaro parlerà.                          Invece ho ritrovato,
Parmenione                                                                                                                                       ciò che appunto io ricercava.
                   Che traditore!                     Berenice e Alberto                                  Eusebio
                                                      Oh quanto son grate                                 Ah nipote!                             Martino
Eusebio                                               le pene d’amore,                                                                           Così amore ha qui pigliato
Or comprendo…                                         se premio al dolore                                 Ernestina                              due piccioni ad una fava.
                                                      è un tanto piacer!                                               Anima mia!
Parmenione                                                                                                                                       Parmenione
                    Non più: giacché m’è tolto        Berenice                                            Parmenione                             Spero poi, che scuserete…
di punir quell’indegno, all’onor vostro               Fidarmi poss’io?                                    Io son vostro servitore.
un riparo sarà forse non vano,                                                                                                                   Berenice
l’offerta ch’io vi fo della mia mano.                 Alberto                                             Berenice                               Già scusato appien voi siete.
                                                      E ancor stai dubbiosa?                              D’onde vien quest’allegria?
[9. Finale]                                                                                                                                      Ernestina
                                                      Berenice                                            Alberto                                Io per me contenta sono.
Quello, ch’io fui, ritorno,                           Tu sei dunque mio.                                  D’onde mai tal buon umor?
chiedo all’error perdono:                                                                                                                        Alberto
se sposo vostro io sono,                              Alberto                                             Eusebio                                Io v’abbraccio, e vi perdono.
più che bramar non so.                                Tu sei la mia sposa.                                Non vedete?
                                                                                                                                                 Eusebio
Ernestina                                             Berenice e Alberto                                  Ernestina                              Ed un doppio matrimonio
D’un sì prezioso dono                                 Un tenero io provo                                                Non capite?              la burletta finirà.
l’offerta accetterò.                                  tumulto nel petto.
                                                      A tanto diletto                                     Parmenione                             Tutti
Eusebio                                               si perde il pensier.                                D’ascoltar se favorite,                D’un sì placido contento
Ma chi sarà frattanto                                                                                     tutto noto si farà.                    sia partecipe ogni core,
quell’altro forestiero?                                                                                   Voi padron mi avete eletto             e costante il Dio d’amore
                                                      Scena ultima                                        per un gioco della sorte               renda il nostro giubilar;
Parmenione                                            Martino, e detti, indi Don Eusebio con Ernestina,   delle vostre proprietà:                e se a caso l’occasione
Egli è lo sposo vero,                                 e Don Parmenione.                                   io per esserlo in effetto,             l’uom fa ladro diventar,
già tutto io vi dirò.                                                                                     volli ancor, che la cosorte            c’è talvolta una ragione,
                                                      Martino                                             diventasse mia metà;                   che lo può legittimar.
Ernestina                                             Miei signori, allegramente,                         e fu sol questo ritratto,
Che bel momento è questo!                             ogn’imbroglio è accomodato.                         che colpevole mi ha fatto
                                                                                                          di sì gran bestialità.
Parmenione                                            Berenice
Che fortunato giorno!                                 Cosa dici?                                          Berenice
                                                                                                          Come mai?…
Eusebio                                               Alberto
Io sbalordito resto.                                            Cosa è stato?                             Alberto
                                                                                                                          Di mia sorella
Ernestina e Parmenione                                Martino                                             il ritratto è questo qua.
Io vostra/o ognor sarò.                               Ciò ch’è stato, non val niente,                     Alla sposa mia novella
                                                      buono è ciò, che seguirà.                           era in dono destinato.

                                                 26                                                                                             27
Il soggetto
                                                                                    di Emilio Sala

     Atto unico
         Sala in un albergo di campagna. In una notte oscura e tempestosa. Don Parmenione e
     il suo servo Martino cenano in una locanda sulla strada per Napoli. Don Parmenione, spa-
     valdo e incurante dei tuoni, beve e mangia a quattro palmenti da bon viveur qual è, mentre
     Martino, impaurito e seduto in disparte, approfitta degli avanzi del padrone.
         Entra il Conte Alberto, un altro viaggiatore sorpreso dal temporale, il cui servo – dopo
     aver gettato la valigia del padrone accanto a quella di Don Parmenione – si addormenta
     su una panca. I due nobiluomini sembrano fraternizzare: il Conte Alberto sta andando a
     Napoli per sposarsi e ha molta fretta. Finito il temporale, egli scuote il suo servo e ripren-
     de il viaggio. Ma il servo, mezzo addormentato, prende la valigia di Don Parmenione e
     lascia quella del padrone. Quando si tratta di pagare la cena, Don Parmenione si accorge
     dello scambio della valigia, ma ormai il Conte Alberto è lontano. E d’altronde, spiantato
     com’è, quell’errore non può che giovargli. Martino forza subito la valigia che contiene,
     oltre ai documenti del Conte Alberto, varie cose preziose tra cui un ritratto femminile.
     “Quest’è la sposa”, dice tutto ringalluzzito Don Parmenione. La decisione è presto presa,
     nonostante le proteste di Martino: Don Parmenione si farà passare per il Conte Alberto e
     andrà a Napoli per sposare la bella sconosciuta.
         Grand’atrio terreno in casa della Marchesa. Don Eusebio sta aspettando lo sposo della
     nipote Berenice, la quale, per poter meglio studiare il suo pretendente che non ha mai
     visto, si scambia d’abiti con un’amica di famiglia, Ernestina, loro ospite. Arriva Don Par-
     menione tutto in ghingheri che si presenta a Ernestina credendola la sposa. Quest’ultima
     sembra tutt’altro che insensibile alle avances dell’improbabile nubendo. Ma entra anche
     il Conte Alberto che, incontrata fortuitamente Berenice, subito si dichiara a lei. Tornato
     in scena Don Eusebio, in compagnia di Ernestina e Don Parmenione, ecco che si scatena
     il parapiglia: il Conte Alberto accusa Don Parmenione di avergli rubato l’identità, fra lo
     sconcerto generale. Terminata la baraonda, l’azione si rimette in moto. Si viene a sapere
     che Ernestina è ospite di Don Eusebio dopo essere stata sedotta e abbandonata. Poco
     dopo, Berenice smaschera Parmenione accusandolo di essere un impostore. Anche
     Martino confessa la vera natura del suo padrone. Costui cerca di trovare un’onorevole
     soluzione: essendosi invaghito di Ernestina e detestando Berenice, preferirebbe di gran
     lunga sposare la prima della seconda, amata invece dal Conte Alberto. Dunque egli svela

28                                                29
la sua vera identità: il suo nome è Parmenione di Castelnuovo e doveva venire a Napoli
per inseguire la sorella dell’amico Conte Ernesto, fuggita di casa con un seduttore. Erne-                                                                               L’opera
stina resta sbalordita. È lei infatti la giovane fuggitiva che Parmenione stava cercando:
abbandonata dall’amante, accetta la proposta di matrimonio di Parmenione. Il lieto fine
è assicurato per entrambe le coppie.
                                                                                                                                                                        in breve
                                                                                                                                                                           di Daniele Spini

                                                                                             V
                                                                                                      enezia, teatro di San Moisè, 24 novembre 1812: va in scena L’occasione fa il la-
                                                                                                      dro, ossia Il cambio della valigia, “burletta per musica” di Luigi Prividali. Gioachino
                                                                                                      Rossini, che ne ha composto la musica, non ha ancora ventun anni, ma nel teatro
                                                                                             musicale italiano è già qualcuno. In poco più di due anni ha rappresentato sette titoli, cin-
                                                                                             que dei quali in questo stesso straordinario 1812, specialmente fertile di opere comiche,
                                                                                             ora brevi ora ampi e impegnativi. Geniale fin dalle prime prove, Rossini sta rapidamente
                                                                                             crescendo, e lo dimostra anche in questa partitura breve – un solo atto, due quadri, nove
                                                                                             “numeri” musicali – ma geniale, e tutt’altro che tirata via, anche se scritta – pare – in soli
                                                                                             undici giorni, contribuendo a formare una fama di rapidità senza uguali che rimarrà par-
                                                                                             te integrante della sua storia. Una fretta giustificata dall’accumularsi forsennato degli
                                                                                             impegni: e alla quale si debbono sia la composizione dei recitativi secchi affidata proba-
                                                                                             bilmente ad altri, sia il riciclaggio, in luogo di una sinfonia vera e propria, di un episodio
                                                                                             strumentale ripreso dalla Pietra del paragone, e destinato a ricomparire addirittura nel
                                                                                             Barbiere di Siviglia: la descrizione di un temporale, qui definito in partitura “Tempesta”,
                                                                                             che conferma, pur nella leggerezza quasi cameristica dell’organico, l’importanza anche
                                                                                             narrativa della scrittura orchestrale con la quale Rossini in tutta l’opera circonda una vo-
                                                                                             calità sempre impegnativa, perfetta nel definire le singole identità dei personaggi.
                                                                                                 È infatti una notte buia e tempestosa quella che vede l’avvio della vicenda di scambi di
                                                                                             oggetti e identità e di equivoci a ripetizione che Prividali ricava da un testo francese (un
                                                                                             vaudeville di Eugène Scribe, re dei librettisti parigini). In un unico pezzo musicale ampio
                                                                                             e articolato si susseguono l’introduzione orchestrale con la “Tempesta” e le prime scene.
                                                                                             In una locanda sulla via di Napoli Don Parmenione (buffo), un avventuriero che sapremo
                                                                                             poi essere “né ricco né indigente”, e “un di quegli esseri comuni in società” che “procura
                                                                                             ognor di vivere in pace e sanità”, cena, infischiandosi dei fulmini e della pioggia (“Frema
                                                                                             in cielo il nembo irato”), in compagnia del suo servo Martino (buffo), che invece ha una
                                                                                             gran paura dei tuoni. Costretto dal temporale a cercar riparo (“Il tuo rigore insano / fiero
                                                                                             destin, sospendi”), entra un altro viaggiatore, il Conte Alberto (tenore), pure scortato da
                                                                                             un servo. Si fraternizza, si brinda (“Viva Bacco, il Dio del vino, / viva il sesso femminino!”).
                                                                                                 Alberto è impaziente di proseguire per Napoli: sta per prender moglie, e non ha mai
                                                                                             visto la sposa. Partendo, il suo servo, che casca dal sonno, prende per sbaglio la valigia di
                                                                                             Parmenione, e lascia nella locanda quella del suo signore. Al momento di pagare il conto,

                                           30                                                                                              31
Parmenione e Martino si accorgono dello scambio: forzano la serratura della valigia e ci
trovano dentro begli abiti, documenti, cambiali, e il ritratto di una giovane di “vaga e gen-                                                              Jeu de l’amour
til fisionomia”. Sarà certo la sposa. In un attimo Parmenione (“Che sorte, che accidente,
/ che sbaglio fortunato!”) concepisce il suo piano: si farà passare per Alberto, e si pren-
derà la sposa. Quando sarà scoperto, gli basterà restituire il denaro per esser lasciato in
                                                                                                                                                             et du hazard
pace a godersi il suo nuovo stato.
     Il resto dell’azione si snoda a Napoli, nella casa fastosa della marchesa Berenice, la                                                                    all’italiana
promessa sposa di Alberto. Lo zio di lei, Eusebio (tenore) ed Ernestina (mezzosoprano),                                                                                di Giovanni Carli Ballola
che Berenice ospita più come amica che come cameriera, nonostante la sua condizione
economica sfortunata, discutono del prossimo matrimonio. Berenice (soprano) in una
grande aria (“Vicino è il momento”) confessa a se stessa dubbi e timori per il passo che
sta per compiere.
     Si confida con Ernestina: non sa chi sia lo sposo che le ultime volontà di suo padre le
hanno assegnato, e vuole scoprire se sia capace di amare lei e non un’altra. Ernestina e
Berenice si scambieranno dunque i ruoli, e l’una fingerà di essere l’altra, per mettere alla

                                                                                                    Q
prova il pretendente.
     Arriva quindi Parmenione, con l’abito di gala di Alberto e seguito dall’inseparabile                    uarto dei cinque atti unici composti per il Teatro Giustiniani in San Moisè di Vene-
Martino: ancora una volta il padrone è sicuro di sé e il servo invece pauroso, e si presen-                  zia, L’occasione fa il ladro va in scena il 24 novembre 1812 concludendo il primo
ta a Ernestina pure travestita. Rimane sconcertato non riconoscendo in lei la bella del                      tour de force annuale dei molti che caratterizzeranno, almeno fino al secondo
ritratto, ma i due sembrano piacersi a vicenda. Il falso Alberto avvia dunque il corteggia-         decennio del secolo, la carriera rossiniana.
mento della falsa Berenice in un dialogo (“Quel gentil, quel vago oggetto”) esteso in un                Aperto con L’inganno felice, quel vorticoso 1812 era infatti proseguito con Ciro in Babi-
quintetto via via che entrano l’altra coppia ed Eusebio. In questo pezzo d’insieme, vero            lonia, Demetrio e Polibio (la cui stesura risaliva però al periodo di apprendistato anteriore
cuore della partitura, Rossini tesse da par suo la tela degli intrighi. Alla fine nessuno sem-      al 1809), La scala di seta e La pietra del paragone; se a questi titoli s’aggiungano quello
bra capirci più nulla, e la “stretta” del quintetto (“Di tanto equivoco, di tal disordine / nel     successivo di Il signor Bruschino, dato, sempre al San Moisè, nel gennaio 1813, e quelli
cupo, orribile, confuso vortice / urta, precipita, s’avvolge, rotola, / perduto il cerebro per      precedenti di La cambiale di matrimonio (San Moisè, 3 novembre 1810) e di L’equivoco
aria va”) lascia sospesa la situazione.                                                             stravagante (Bologna, Teatro del Corso, 26 ottobre 1811), si avrà il panorama completo
     Poco a poco la situazione si chiarisce. Alberto ha una spiegazione con quella che cre-         della prima fioritura rossiniana.
de Berenice, e confessa di non amarla in un’aria (“D’ogni più sacro impegno”) che con-                  Una primavera che privilegia vistosamente il genere buffo contro quello serio (rap-
ferma la sua nobiltà d’animo. Parmenione invece si mette da solo nei guai tentando di               presentato da due opere), non diversamente, del resto, da quella della più parte degli
sedurre Berenice, che crede semplice domestica: ma quella gli dice d’essere in realtà la            operisti italiani precedenti o coevi, i cui esordi erano condizionati da committenze, per
sua promessa, e con accorte domande lo smaschera. Il duetto (“Voi la sposa!”) termina               così dire, esplorative da parte di teatri di secondaria importanza destinati al genere
con uno scambio di minacce fra i due.                                                               subalterno dell’opera buffa. Senonché da tempo le due categorie tradizionali dell’opera
     Ma il vero deus ex machina è Martino, che in una tipica aria da basso comico (“Il mio pa-      italiana, tenute ufficialmente separate da uno steccato eretto dalle forze coalizzate del
drone è un uomo”) descrive a Eusebio e alle due donne il vero carattere di Parmenione. Un           mercato e della poetica dei generi teatrali, se la intendevano effettivamente in forme
dialogo animato fra Alberto e Parmenione coinvolge poi anche Berenice, che in un’aria pre-          più o meno esplicite e secondo un processo che sarà irreversibile. Di tale evoluzione
ceduta da un recitativo accompagnato (“Voi la sposa pretendete, / voi mi fate il cascamor-          l’opera di Rossini rappresenta, sotto molti aspetti, il culmine irradiante valori assoluti
to”) costringe ciascuno dei due a dire la verità. Parmenione conferma di amare Ernestina,           di stile e di drammaturgia, destinati contemporaneamente al trionfo e alla sconfitta
da lui ancora creduta Berenice, e Alberto gliela cede volentieri, innamorato com’è della            storici. Dal momento, infatti, in cui il rossinismo diverrà la langue del melodramma co-
vera Berenice. Ma l’equivoco circa l’identità dei due uomini l’offende, e la lascia indispettita.   evo, il codice linguistico di uso corrente (“Dio buono! come si faceva se non vi era altro
     Parmenione rivela allora la verità a Eusebio e Ernestina. A sua volta scopre che Erne-         mezzo per sostenersi?”, dovrà ammettere con patetica sincerità Giovanni Pacini nelle
stina è la sorella di un suo amico, sedotta e fuggita da casa, e da lui ricercata per conto         sue tarde Memorie) avrà inizio la sua disgregazione ad opera dei germi patogeni di una
del fratello di lei. I due possono finalmente amarsi con le rispettive vere identità. Nel           poetica ad esso intimamente avversa, basata, come sarà, sulla comunicatività imme-
pezzo d’insieme finale (“Quello, ch’io fui, ritorno”), terzo grande pilastro della partitura,       diata e bruciante del pathos e sul mito della “verità” drammaturgica, agli antipodi del
intervengono tutti e sei i personaggi: riconoscimenti, ricomposizione di coppie, giubilo di         convenzionale “bello ideale” rossiniano. Sarebbe comunque assai riduttivo il conside-
Eusebio e soddisfazione di Martino. E il ritratto? Altro equivoco: non era della promessa           rare gli esordi “buffi” del compositore ventenne nell’ottica angusta di un genere che già
sposa di Alberto, ma di sua sorella. Tutto è bene quel che finisce bene: “e se a caso l’occa-       il Paisiello, il Sarti e il Cimarosa maggiori (per tacere, ovviamente, di Mozart) e in se-
sione / l’uom fa ladro diventar, / c’è talvolta una ragione, / che lo può legitimar”.               guito musicisti come Mayr e Paer (da Stendhal considerati come pericolosi prevarica-
                                                                                                    tori delle buone, vecchie maniere) avevano portato a un punto estremo di saturazione

                                               32                                                                                                33
stilistica e strutturale. E lo sarebbe in modo particolare per L’occasione fa il ladro, il più   ne buffa dei teatri d’opera italiani, in travestimenti librettistici di prima mano (Rossini ne
esorbitante, tra gli atti unici, dal proprio modesto contenitore di “burletta per musica”        era già stato alle prese con La scala di seta) o in testi liberamente imitati. A quest’ultima
per diversi aspetti peculiari che qui si prenderanno in esame e che ne fanno un caso li-         categoria sembra appartenere la “burletta” di Prividali, della quale, sulla scorta del Radi-
mite: oltre il quale la buccia del frutto stramaturo si spaccherà, lasciando allo scoperto       ciotti, è ormai invalso l’andazzo di dire tutto il male possibile.
la polpa turgida di Tancredi e dell’Italiana in Algeri. “Burletta per musica” viene dunque           Scorrendo il libricciolo edito “in Venezia nella stamperia Rizzi”, ci si avvede in realtà di
definito l’intreccio fornito dall’impresario del San Moisè a Rossini, il quale, al dire del      un dato di fatto di qualche importanza. Certo che non è degno, non che di Monti e Pinde-
redattore musicale del Giornale dipartimentale dell’Adriatico, l’avrebbe rivestito di note       monte, neppure di Romanelli, Anelli o Rossi, questo Prividali: ma la sua tecnica teatrale,
in undici giorni. Librettista è quel Luigi Prividali, agente di teatro, gazzettiere e verseg-    tutta francese, ad incastro (quella stessa che verrà sublimata da Scribe), i dialoghi e il
giatore, di cui Giuseppe Rovani in Cento anni traccia un profilo tra penoso e grottesco.         carattere dei personaggi, per tacere del taglio e della distribuzione dei “pezzi”, denotano
Un povero diavolo che “dalla cronica bolletta e dal fegato guasto era tenuto in continua         che la stagione dell’opera buffa di fine Settecento (non importa se di Casti, Da Ponte,
esacerbazione”; uno dei tanti eredi e successori di Macario, “cattivo e povero poeta”            Bertati, o di Palomba) è finita per sempre e con essa i suoi tipi, i suoi intrecci, in una pa-
di L’impresario delle Smirne goldoniano, che allignano nel sottobosco teatrale di primo          rola, il suo mondo.
Ottocento e che, a fianco dell’inamovibile Metastasio (che va sempre bene) e di una                  La locandina del libretto riporta ancora, è vero, la convenzionale suddivisione del cast
copia del rimario del Ruscelli (trisecolare direttore di coscienza di ogni zappatore di          secondo i ruoli di prima e seconda donna, primo e secondo buffo, primo e secondo “mez-
Parnaso), allineano sul loro tavolo di lavoro più tomi di quelle “commedie francesi” che         zo carattere”, rispondenti ciascuno a precise situazioni contrattuali nei confronti dell’im-
già una ventina d’anni prima a Vienna il maligno e ficcanaso Da Ponte aveva sbirciato            presa e a un’altrettanto precisa, formale divisione del lavoro. Pure, a veder le cose come
negli scaffali dell’odiato rivale Bertati.                                                       realmente stanno e senza i paraocchi di quell’angusta sociologia musicale che oggi va
    La Rivoluzione e l’Impero a codesto teatro d’ambiente borghese – vaudevilles, atti           per la maggiore, il personaggio di Parmenione nella pelle del tradizionale “buffo” all’i-
unici, farse e simili – Duval, in prima linea, seguito da Bouilly, Planard, Jars, Dupaty,        taliana ci sta assai stretto (non per nulla, a impersonarlo sarà un interprete eccentrico
Désaugieres ecc. avevano dato e stavano dando fondo in modo non meno che forsenna-               come Luigi Pacini, assai stimato da Rossini per la sua versatilità – prima di essere basso
to: e la schiuma del gran calderone parigino si riversava necessariamente sulla produzio-        buffo era stato tenore, con tutt’altro repertorio e tutt’altri “caratteri” – e per le sue doti di
                                                                                                 attore). Né l’elegante, bizzarro avventuriero, “uomo di ripiego, faceto e intraprendente”
                                                                                                 proprio come il Dottor Malatesta donizettiano, attorno a cui ruota l’intera vicenda della
                                                                                                 burletta, è il solo a tralignare ben oltre i confini delle patrie istituzionalità del genere buf-
                                                                                                 fo. L’interno borghese, con quel tutore di manica larga che si barcamena tra le due coppie
                                                                                                 di giovani, scatenate in un jeu de l’amour et du hazard all’insegna dell’equivoco, del gusto
                                                                                                 per l’avventura e della spregiudicatezza morale e sociale, s’apre alla brezza eccitante di
                                                                                                 una Napoli murattiana, dove lo sventato carpe diem, insieme cinico e tenero, del giovane
                                                                                                 Stendhal ha spazzato via, con la semplice volgarità della farsa lazzarona, ogni vecchio
                                                                                                 vestigio di moralismo settecentesco, con la sua spicciola saggezza illuministica e i suoi
                                                                                                 lacrimevoli ricatti sentimentali.
                                                                                                     Fine esclusivo della nuova opera buffa doveva essere il Piacere: ma un piacere asso-
                                                                                                 luto, sublimato e assurto a categoria estetica in virtù di quell’”istinto del gioco” nel quale
                                                                                                 soltanto, secondo Schiller, l’uomo trova la propria compiutezza terrena e ideale, contem-
                                                                                                 perando pura vita e pura forma.

                                                                                                    L’Europa percossa dalla Rivoluzione e posta d’improvviso innanzi ad inquietanti incognite;
                                                                                                    l’Europa dispogliata delle sue antiche autorità e disperatamente intenta a fabbricarne di
                                                                                                    nuove, ricevette dall’immenso Rossini una specie di estrema vacanza. [...] Per una società
                                                                                                    già impegnata in dure intraprese, ma non ancora indifferente al vecchio fascino di riuscire
                                                                                                    a dimenticarsi, quelle tenere melodie e quei floreali rabeschi, quelle rappresentazioni un
                                                                                                    poco primitive ma precisamente allegoriche di eterni temi umani, rappresentavano un agile
                                                                                                    ponte gettato sopra i vortici delle sapienze, sopra le false promesse e le contraddizioni del
                                                                                                    secolo (Giulio Confalonieri).

                                                                                                    A ben vedere, per un’Europa scossa alle radici da inauditi rivolgimenti ideologici, so-
                                                                                                 ciali e politici, l’avvento di Rossini ebbe la stessa profonda necessità di quello di Beetho-
                                                                                                 ven, nel senso che i due Grandi sentirono e operarono nell’ambito di antitetiche sfere di

                                             34                                                                                                  35
valori espressi da una medesima realtà storica. S’è detto più sopra come all’esuberante           clusione del primo quadro. In entrambi i casi, la frequenza e la consistenza delle entrate
inventiva rossiniana, di fresco cimentatasi con due impegni compositivi di vasto respiro          dei “pertichini” (Parmenione e Alberto, nella prima aria; Martino, nella seconda) sono tali
quali erano stati Ciro in Babilonia e La pietra del paragone, l’economia dell’atto unico          da forzare i limiti entro cui si era mossa la tradizione di fine Settecento, sì da insinuare
di genere farsesco incominciasse a stare di stretta misura. In quasi ciascuno dei nove            subdolamente, in un brano di istituzionale destinazione solistica, l’animazione e la varie-
“numeri” di cui consta la partitura di L’occasione fa il ladro è evidente l’impazienza ambi-      tà d’accenti e di situazioni sceniche, propri d’un pezzo d’assieme.
ziosa del giovane artista la cui prepotente personalità più non s’appaga di cose ordinarie.           Anche la vocalità si emancipa dalla relativa pianificazione cui era giunta nel preceden-
Impazienza che esplode, è il caso di dire strepitosamente, fin dall’inizio dell’opera, col        te o coevo artigianato operistico, fiorendo in un’opulenta e fantasiosa varietà di scrittura,
favore di quella “Notte oscura, e tempestosa”, di quel “fragore dei tuoni” e “chiaror dei         che va dal fitto sillabato ritmico al rabesco belcantistico ricco di fini ornamentazioni: la
lampi”, proposti dalle didascalie della prima scena.                                              parte mediana del Quintetto ne offre un saggio preclaro per la raffinata poliritmia che
    Prendendo tutto in parola, Rossini accantona per la prima volta la tradizionale sin-          porta all’estremo ed esalta, in un sublimato gioco di linee e di timbri, una tra le più pre-
fonia passepartout ed eventualmente intercambiabile, adottando una soluzione specifi-             ziose eredità dell’opera buffa settecentesca. Di questo intenso sfavillio di colori risplende
ca e squisitamente “drammaturgica”: un brano orchestrale di carattere descrittivo che,            anche la piccola orchestra, quasi sempre trattata con grande cura e non di rado (come
trascorrendo da un Andante introduttivo a un corrusco Allegro in do minore, denomi-               nella “stretta”conclusiva “Di tanto equivoco” del Quintetto) limata mediante drastici ri-
nato espressamente “Tempesta”, conduce direttamente al levar di sipario sul monologo              pensamenti.
di Parmenione “Frema in cielo il nembo irato”. È forse troppo scomodare al proposito il               Il distacco dagli andazzi correnti di stampo cimarosiano o paisielliano, come anche
Gluck di Iphigénie en Tauride, il Salieri di L’Europa riconosciuta ed altri più o meno illustri   dal fare opulento e greve inaugurato da Mayr, non potrebbe essere più clamoroso. Passi
autori di melodrammi seriosissimi? Troppo forse sì, ma per nulla incongruo: giacché re-           come lo stacco dell’Allegro vivace dell’Introduzione, giocato su un piccante “martella-
sta il fatto della peregrina trovata rossiniana, lo sforzo di rivestire la prima scena dell’o-    to” di ottavino, oboi, clarinetti, fagotto e corni contro un “pizzicato” di viole e violoncelli;
perina di una “tinta” adeguata e non generica, d’imprimerle un’allure vigorosa e sapida,          come il già citato Andante del Quintetto, intessuto di un ingegnosissimo intarsio poli-
di teatro comico fin che si vuole, ma concepito con impegno e realizzato, se ci si passa          cromo (flauto con clarinetti e fagotto; fagotto con corni; oboi con clarinetti, il tutto tra-
l’ossimoro, molto sul serio.                                                                      punto dal “pizzicato” di violini, violoncelli e contrabbassi, mentre le viole si estendono in
    Che poi i materiali della “Tempesta” provengano da un altro temporale, quello scop-           lunghe note tenute); il frequente ricorrere a coloriti particolari (“sul ponticello”, “in punta
piato di recente nella Pietra del paragone per riapparire in seguito, convenientemente            d’arco”) e a incisive accentuazioni dinamiche: l’impiego privilegiato dei fiati non solo e
rielaborati, in quello del Barbiere, è un argomento in più a favore della miracolosa perti-       non tanto – come in Paisiello e in Mayr – in interventi solistici, raddoppi, impasti con gli
nenza in cui di regola avvengono tali trapianti nel contesto delle rispettive, diverse aiuole     archi, quanto con un gusto tutto divisionistico della campitura timbrica, rivelano che una
melodrammatiche. Si ascolti la bellissima frase melodica d’impronta primo-beethove-               nuova dimensione del suono orchestrale, alternativa a quella del sinfonismo viennese o
niana – quasi il “trio” dello “scherzo” di una immaginaria sinfonia “zero” – che fiorisce         francese (Cherubini), si sta facendo strada in Italia tra l’epigonismo dei settecentisti in
quando Parmenione esclama: “Quanto è dolce il mar turbato – dalle sponde il contem-               ritardo e i compromessi pseudosinfonici di Mayr.
plar!” (dopo tutto anche il povero Prividali aveva letto Lucrezio); e vi si ravviserà una con-        Una dimensione destinata a codificarsi in strutture e procedimenti talora sin troppo
tropartita equilibratrice, di schietta dialettica sonatistica, alla turbata esagitazione della    chiaramente riconoscibili e in seguito, scaduta a formulario, ad alimentare di sé il rossi-
precedente pagina sinfonica: oltre che uno scampolo utile a comprendere di che stoffa             nismo imperante per più decenni: ma che nella piccola orchestra di L’occasione riluce in
sopraffina fosse l’inventiva di questo maestrino ventenne.                                        tutta la sua geniale tensione sperimentalistica e la sua strepitosa novità. Ancora un toc-
    La partitura si regge su tre grandi ensembles – la Sinfonia e Introduzione, che, come         co di perfezionamento, nel Signor Bruschino, e la lucente macchina del Gioco assoluto
s’è detto, formano un tutt’uno; il grande Quintetto centrale “Quel gentil, quel vago og-          rossiniano, realizzando una profezia di Schiller, confonderà le acque della commedia e
getto”; il Finale significativamente collocato a fungere da simmetrico supporto architet-         della tragedia in quella pulsione catartica che aveva fatto “sparire dalla fronte delle beate
tonico all’edificio melodrammatico. Attorno a questi capisaldi si distribuiscono gli altri        divinità [della Grecia] tanto la serietà e la fatica che solcano le gote dei mortali, quanto il
“numeri”, quasi tutti di vasto impianto e talora (come l’aria di Berenice “Voi la sposa pre-      fatuo piacere che spiana il viso vuoto d’espressione”.
tendete”) di complessa articolazione. Se si considera che il Quintetto inglobante tre sce-
ne ben distinte, si estende per 398 battute, che è dire poco più del Sestetto del II atto del
Don Giovanni e poco meno della media degli usuali Finali primi delle più prolisse opere
buffe settecentesche in due atti, si avrà un’idea del formidabile afflusso di energie inven-
tive incanalato dal giovanissimo compositore entro gli argini angusti dell’atto unico far-
sesco e, più in generale, del colpo di timone da lui impresso alla rotta dell’opera italiana.
    Le stesse considerazioni valgono per talune soluzioni formali, come l’aria con “per-
tichini” (ossia con uno o più personaggi che fanno da sfondo, con interventi sporadici e
marginali, al canto del protagonista), della quale si riscontrano due esempi nella sopra
citata aria di Berenice e in quella di Parmenione, “Che sorte, che accidente”, posta a con-

                                              36                                                                                                37
Puoi anche leggere