L'occasione fa il ladro - GIOACHINO ROSSINI - Stagione d'Opera - Teatro Alighieri
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Fondazione Ravenna Manifestazioni Comune di Ravenna Teatro di Tradizione Dante Alighieri Assessorato alla Cultura Ministero per i Beni e le Attività Culturali Stagione d’Opera e Danza Regione Emilia Romagna 2011-2012 L’occasione fa il ladro ossia Il cambio della valigia BURLETTA PER MUSICA IN UN ATTO LIBRETTO DI LUIGI PRIVIDALI MUSICA DI Gioachino Rossini con il contributo di partner Teatro Alighieri dicembre | sabato 10, domenica 11
Sommario La locandina................................................................. pag. 5 Il libretto ........................................................................ pag. 7 Il soggetto di Emilio Sala ............................................................... pag. 29 L’opera in breve di Daniele Spini .......................................................... pag. 31 Jeu de l’amour et du hazard all’italiana di Giovanni Carli Ballola ...................................... pag. 33 Jean-Pierre Ponnelle . .......................................... pag. 39 Lavorare con Ponnelle di Sonia Frisell ............................................................ pag. 41 I protagonisti .............................................................. pag. 45 Coordinamento editoriale Cristina Ghirardini Grafica Ufficio Edizioni Fondazione Ravenna Manifestazioni Foto di scena Foto Brescia e Amisano © Teatro alla Scala. Si ringrazia l’Ufficio Edizioni del Teatro alla Scala per la concessione del materiale editoriale. L’editore si rende disponibile per gli eventuali aventi diritto sul materiale utilizzato. Stampa Tipografia Moderna, Ravenna
L’occasione fa il ladro ossia Il cambio della valigia burletta per musica in un atto libretto di Luigi Prividali, da Le Prétendu par hazard, ou L’Occasion fait le nom di Eugène Scribe musica di Gioachino Rossini (Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano, a cura di Giovanni Carli Ballola, Patricia B. Brauner e Philip Gossett) personaggi e interpreti Don Eusebio Fabrizio Mercurio Berenice Pretty Yende, Marika Gulordava Conte Alberto Leonardo Cortellazzi, Filippo Adami Don Parmenione Christian Senn, Filippo Polinelli Ernestina Valeria Tornatore, Evis Mula Martino Davide Pelissero, Valeri Turmanov Solisti dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala maestro al cembalo Vincenzo Scalera direttore Daniele Rustioni regia, scene e costumi Jean-Pierre Ponnelle regia ripresa da Sonja Frisell luci Marco Filibeck Allestimento originale del Rossini Opera Festival Coproduzione I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Comunale di Treviso, Teatro Alighieri di Ravenna in collaborazione con Teatro alla Scala e Accademia del Teatro alla Scala. costumi Tirelli Costumi, Roma calzature Pedrazzoli, Milano parrucche Teatro alla Scala, Milano clavicembalo Romano Danesi, Porto Mantovano (Mantova) assistente alla regia Fabio Ceresa direttore di scena Andrea Boi maestro collaboratore di sala Vincenzo Scalera maestri collaboratori Marco Borroni, Giorgio Martano, Nicolò Sbuelz, Annebelle Trinitè, Paolo Troian realizzatore delle luci Andrea Giretti Teatro alla Scala allestimento scenico Ruggero Bellini direzione di produzione Nadia Ferrigno responsabile macchinisti Salvatore Tolva responsabile elettricisti Marco Boccaccini responsabile sartoria Annunciata Pecoraro responsabile attrezzisti Maurizio Longhi I Teatri di Reggio Emilia tecnici in scena Andrea Testa, Luca Baroni, Maurizio Bellezza, Luca Foscato, Massimo Foroni, Alan Monney cabinista luci Luca Antolini trucco Luca Oblach responsabile Dipartimento Musica Accademia del Teatro alla Scala Daniele Borniquez ispettore Orchestra Enrica Di Bastiano comparse Michela Levi, Nadia Monti, Andrea Simone Didonè, Nicola Landi, Jacopo Gardelli, Luca Pozzi, Stefano Cleri, Davide Metrious, Nicolò Dondi, Antonio Piolanti, Filippo Parrino, Riccardo Raineri il bambino Francesco Giardini 5
L’occasione fa il ladro ossia Il cambio della valigia Burletta per musica in un atto Prima rappresentazione Venezia, Teatro di San Moisè, 24 novembre 1812 Libretto di Luigi Prividali da Le Prétendu par hazard, ou L’Occasion fait le nom di Eugène Scribe Musica di Gioachino Rossini Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano, a cura di Giovanni Carli Ballola, Patricia B. Brauner e Philip Gossett PERSONAGGI Don Eusebio, zio di Berenice tenore Berenice, sposa del Conte Alberto soprano Conte Alberto tenore Don Parmenione basso Ernestina mezzosoprano Martino, servo basso Camerieri di locanda, servi di Don Eusebio L’azione si finge a Napoli e suoi dintorni Le parti di testo in grigio sono state omesse nel presente allestimento. 7
ATTO UNICO Parmenione Senti, olà! di’ su, vien qua. Sala in un albergo di campagna, che introduce Martino in diverse stanze numerate. Che comandate? Notte oscura e tempestosa. (Si ferma.) [1. Sinfonia e Introduzione] Parmenione Dove vai? Scena prima Don Parmenione, che mangia e beve ad una Martino tavola rusticamente imbandita, e rischiarata da Non m’arrestate. un lucerniere: Martino seduto in disparte, che approfitta dei di lui avanzi, malgrado lo spavento Parmenione che soffre al fragore dei tuoni, ed al chiaror dei Scaccia, bestia, il tuo timore. lampi. Martino Parmenione Non vi posso contentar, Frema in cielo il nembo irato, non m’arrestate, scoppi il tuono, e fischi il vento; non vi posso contentar. che qui placido e contento io mi voglio riposar. Parmenione Quanto è dolce il mar turbato Cosa fai là sciocco in piè? dalle sponde il contemplar! Siedi qui vicino a me. (Tuono.) Se anche vedi il ciel cascar, mangia, bevi e non badar. Martino Ah saette maledette, Martino deh lasciatemi mangiar! Voi morir mi fate affè, (Si spaventa.) o seduto, o stando in piè. Par che debba il ciel cascar. Parmenione Come posso non tremar? Cos’è stato? (Don Parmenione sforza il suo servo a sedere Martino vicino a lui, facendolo tacere e mangiare, per Eh niente, niente. quanto è possibile, tranquillamente.) Parmenione Ma tu tremi. Scena seconda Il Conte Alberto, accompagnato da un Martino domestico, il quale, dopo aver gettato la valigia Oh, no signore. del padrone a canto a quella di Don Parmenione, si addormenta sopra una panca, e detti. Parmenione Tien, e mangia allegramente. Alberto Il tuo rigore insano, Martino fiero destin, sospendi: Tante grazie… quel Dio d’amore offendi, (Tuono.) che scorta mia sia fa. Oimè, che orrore! Tu gli elementi invano (Lascia cadere il piatto ricevuto dal padrone, e a danno mio fomenti; vuol fuggire.) 9
di te, degli elementi ma già un fulmine la festa Alberto Parmenione amor trionferà. viene or ora a terminar. Oibò. Molto impaziente Perché non voglio (Tuono e lampo.) (Toccano i bicchieri, e li vuotano, poi si sono anzi di vederla; e giacché parmi, far sapere ad ognuno i fatti miei, rimettono a sedere.) che la tempesta omai sia per finire, perché soffrir non posso, Martino con vostra permission voglio partire. d’andar con chi può farmi i conti addosso. Oimè, misericordia! (Cade con la sedia.) [Recitativo] Parmenione Martino Come v’aggrada. Sarà bene così. Alberto Alberto Chi è là? Grato conforto è l’incontrar per viaggio Martino Parmenione un passaggier cortese! E noi? Paghiamo il conto, Parmenione e poi si vada. Siam noi. Parmenione Parmenione (Va per aprire la valigia dove tiene il denaro.) Il fortunato Taci. Alberto in caso tal son io. Martino Chi siete? Alberto A meraviglia. Alberto (al servo) Parmenione Bene obbligato. Su presto Parmenione Dal tempo trettenuto Se v’aggrada, possiamo la valigia riprendi, andiam, che ho fretta. Oh bella! qui un forestier vedete. a Napoli recarci in compagnia. (a Don Parmenione) (Si sforza inutilmente d’aprir la valigia.) Vi ringrazio di nuovo, e vi saluto. Alberto Parmenione Martino Parmenione E la cagion medesima Quella, signor, non è la strada mia. Cos’è? Mille felicità. m’ha pur condotto qua. Martino Parmenione Alberto Martino Come! Per tua indolenza il forestiere Molto tenuto. E chi sa quando il Diavolo con la valigia sua cambiò la mia. da qui ci porterà! Parmenione (Alberto scuote il suo servo, che non ben desto A che c’entri tu? ancora, prende senza avvedersi la valigia Martino Parmenione dell’altro forestiere per quella del suo padrone, e Credo che un mal per voi questo non sia. Dunque facciamo un brindisi Alberto lentamente con lui s’allontana.) con questo vin perfetto. Me ne dispiace; Parmenione perché in paese ignoto Che dici? Alberto fra tanta oscurità può facilmente Scena terza L’amico invito accetto, l’un per l’altro cammin prendere in fallo, Parmenione, Martino. Martino di vostra urbanità. chi solo, come me, viaggia a cavallo. Eh c’intendiam. (Stando in piedi empiono i bicchieri, mentre Martino timoroso Martino sta in disparte osservandoli.) Parmenione E noi qui che facciam? Parmenione Esser deve l’affar di gran premura, Presto, va’… Parmenione e Alberto che a Napoli vi chiama. Parmenione Viva Bacco il Dio del vino, Noi partiremo. Martino viva il sesso femminino! Alberto Dove? che al piacer ogni alma desta, Un matrimonio. Martino che fa i cori giubilar; Per Napoli? Parmenione e anche in mezzo alla tempesta Parmenione Le mie carte… il denaro… il passaporto… sa i perigli disprezzar. Bravo! Parmenione corri… Si sa. Martino Alberto Martino Che terribile destino Certo. Martino Ma dove mai? a tal pazzi star vicino! Ma perché dire Riscaldata han già la testa, Parmenione di non volerci andar, perché con l’altro Parmenione non san più cos’han da far; La sposa voi conoscete? uniti non ci siam? Corri a cercarlo. 10 11
Martino Martino Martino non odo i tuoi consigli, Nel suo galoppo, al buio ove trovarlo? Buono! Qui c’è un grand’abito da gala. Ma come?… non curo più perigli; Amore bricconcello Parmenione Parmenione Parmenione m’ha colto nel cervello; Ma intanto? Oh che vaga, e gentil fisionomia! Che scioccone! e questa cara immagine Non sai capir? mi pizzica, mi stuzzica, Martino Martino in petto mi fa crescere Intanto approfittar bisogna Che fina biancheria! Martino dall’allegrezza il cor. del favor della sorte. Che cosa? Martino, allegramente! Parmenione Andiamo a farci onor. Parmenione M’incanta. Parmenione E vuoi?… Osserva che boccone, (Martino ripone tutti gli effetti nella valigia, e Martino che pasta deliziosa, portandola seco, segue il padrone, che pieno Martino Un passaporto… considera il mio cor. d’entusiasmo lo ha preceduto.) Lasciate, ch’io sia l’indagator di tal scoperta. Parmenione Martino Grand’atrio terreno in casa della Marchesa Un passaporto! Piuttosto d’un bastone elegantemente addobbato, con ampio verone Parmenione (Lo prende.) vi toccherà il favor. di prospetto, che mette nel giardino e con varie Cosa fai? porte laterali che introducono ai rispettivi loro Martino Parmenione appartamenti. Martino Certo: e molte cambiali. Io ve l’ho detto, D’arrogarsi un nome finto Cosa faccio? Eccola aperta. che non vi pentirete. veramente il passo è ardito, (Spezza il lucchetto, strappa la catena, ed apre e può mettermi in procinto [Recitativo] la valigia.) Parmenione di mangiare il pan pentito; Scena quarta Oh che bel colpo! ma se l’oro all’altro io rendo, Don Eusebio, Ernestina, Servi. Parmenione Più resister non posso. se rinunzio a ogn’altro effetto, Oh che ribaldo! l’interesse non offendo, Eusebio Martino non pregiudico l’onor. Non lo permetto. Martino Ebben?… E poi questo bel visetto Zitto: ecco una borsa. fa scusabile ogni error. Ernestina Parmenione Il mio dover… Parmenione Si faccia. Martino Lascia star… Ebben Don Parmenione?… Eusebio Martino Scusate: Martino Come! Parmenione dell’urbano trattar so la maniera. Quante gioie! Oh! oh! un ritratto. Io sono il Conte Alberto. Parmenione Ernestina Parmenione Riponi presto entro ogni cosa. Martino Ma in questa casa io son per cameriera. Mostralo. Alberto… voi… Martino Eusebio Martino E volete?… Parmenione Il caso vostro esige Che vi par? Sì certo. rispetto e compassione, e mia nipote Parmenione È questo il passaporto, sua compagna vi chiama. Parmenione Per me voglio la sposa. che mi conduce in porto, Che bella cosa! è questo il gran ricapito, Ernestina [2. Aria] che ha sottoscritto amor. So, che molta bontà per me conserva… Martino Che sorte, che accidente, Che diavolo sarà? che sbaglio fortunato! Martino Eusebio Amor mi vuol beato, Ma per pietà… È ver, si tratta Parmenione ed io ringrazio amor. d’un sposalizio in grande; Quest’è la sposa. Martino, allegramente! Parmenione e lo sposo da noi splendidamente Andiamo a farci onor. Eh, finiscela; oggi s’accoglierà. 12 13
Ernestina senza saper se brutto o bello sia, Berenice Martino Dunque? mi sembra una pazzia; Con noi d’accordo (Già non guarisce mai chi pazzo è nato.) ma un certo non so che se in lui non trovo, seconderà il progetto. (Via.) Eusebio che col mio modo di pensar combina… Per questo Oh, te appunto io volea, cara Ernestina! Ernestina Parmenione in uffizi servili il vostro grado E qual motivo L’unico dubbio mio sta nel sapere, non dovete abbassar; che se vi piace Ernestina v’induce?… se sono il preceduto o il precedente; manifestar per noi qualche premura, Comandate. ma d’ogni inconveniente agli altri il comandar sia vostra cura. Berenice mi trarran questi fogli: e giacché a tutto Berenice E che? non lo conosci ancora? son pronto a rinunziar, fuorché alla sposa, Ernestina Io per te non ho comandi. Di noi due vo’ scoprir chi l’innamora. non sarà il fallo mio poi sì gran cosa. Ebbe, permetterete?… Chi mai s’avanza? È dessa… oh che portento! Ernestina Ernestina Fatti onor, Parmenione, il primo omaggio Eusebio Ma almen… Pensate… si vada a tributarle. Anzi: a voi, presto (ai servi) Berenice Berenice attenti i cenni suoi tutti ascoltate, Già sai, che al figlio d’un suo amico Ho già pensato. Scena settima e quanto essa dirà, fate e disfate. il mio buon genitor pria di morire Ernestina, e Parmenione. (Via.) destinò la mia man. Ernestina Un tal pretesto… Ernestina Ernestina Ernestina (Alma coraggio!) Eppur del mio destin Lo intesi a dire. Berenice non mi posso lagnar, se in mezzo a tante Tu pensa a compiacermi, io penso al resto. [4. Quintetto] mie sciagure infinite… Berenice (Partono.) Basta, non ci pensiam: voi mi seguite. E sai, che dopo i viaggi suoi lontani Parmenione (Parte coi servi.) questo sposo a me ignoto Quel gentil, quel vago oggetto, oggi qui giungerà? Scena sesta che a voi sposo il ciel destina, Parmenione in abito da gala e Martino. tutto foco s’avvicina Scena quinta Ernestina alla cara sua metà. Berenice, indi Ernestina, e detta. Ciò pur m’è noto. Parmenione Eccomi al gran cimento. Ernestina [3. Aria] Berenice Io m’inchino con rispetto Nell’incertezza ch’ei mi piaccia, e ch’io Martino alla vostra gran bontà, Berenice a lui possa piacere, mia dolce amica, Aiuto! con rispetto alla vostra civiltà. Vicino è il momento, ho bisogno di te. che sposa sarò. Parmenione Parmenione Eppure contento Ernestina Cosa fai? (L’ho colpita a prima vista, il core non ho. Parlate. non s’accorda col ritratto.) Il solito ardire Martino non trovo più in me, Berenice Tremo all’aspetto Ernestina mi sento languire, Io voglio della tempesta, che per noi s’imbruna. (È bizzarro, ma grazioso. né intendo perché. cambiar teco di nome. S’egli fosse almen mio sposo. Ma dal timore oppressa, Parmenione Ma non parla?…Cosa fa?…) la mia ragion non resti: Ernestina Eh! bisogna arrischiar, per far fortuna. arbitra di sé stessa In qual maniera? Parmenione l’anima mia si desti; Martino (Eh non serve! Il colpo è fatto.) e ceda solo ai palpiti Berenice Ma se… Marchesina! d’un corrisposto amor. Diventando tu sposa, io cameriera. Parmenione Ernestina [Recitativo] Ernestina Taci, ubbidisci, e fa’ che ognuno Mio Contino! Sposarsi ad un, che non s’è mai veduto, Che dirà vostro zio? sia dell’arrivo tuo tosto informato. 14 15
Parmenione Berenice Ernestina Parmenione Io son qui. In error voi siete. È lì, nol vedete? Quello son io. Ernestina Alberto Parmenione Eusebio Qui sono anch’io. Ma voi?… Oh alfin permettete… Le prove io voglio, perché son zio. Parmenione Berenice Eusebio Parmenione Posso?… Non conto un zero. Chi siete, signor? Le prove?… Subito: eccole qua. Ernestina Alberto Parmenione Alberto Presto andiamo da mio zio, La sposa mia?… Io son Don Alberto, Le prove? Come… le prove? che al vedervi esulterà. or vostro parente. Oh barbara fatalità! Berenice Parmenione Vedrete. Berenice Eusebio Con voi sono, a voi m’arrendo, Voi proprio? Tutto va in regola. lucidissima mia stella! Alberto qual s’arrende il pulcinella Mi sembra un impossibile. Parmenione Parmenione a chi muovere lo fa. Sì, certo. Mi son spiegato. (Via.) Berenice Vero vi sembrerà. Alberto Berenice ed Ernestina Ernestina Ed io?… Voi siete mutolo. (Più lo guardo, più m’accendo Alberto a quel garbo, a tanto brio.) Oh sventurato errore, Parmenione Alberto Presto andiamo da mio zio, oh perdita affannosa! Non so niente, Sono ingannato. che al vedervi esulterà. Perché non è mia sposa io sono il sposo. (Via.) questa gentil beltà? Parmenione Berenice, Ernestina ed Eusebio Non gli credete, non gli badate; Berenice Che strana sopresa, son tutte frottole mal inventate. Scena ottava Oh generoso amore, che caso inaudito! Ch’io son lo sposo provato è già. Alberto e Berenice da parti opposte oh mio destin beato! Chi è il vero marito, incontrandosi. Sposo di lui più grato chi è mai l’impostor? Alberto l’alma bramar non sa. Voi siete un asino, siete un briccone, Alberto Alberto e Parmenione rendere pubblica la mia ragione, Se non m’inganna il core Ravviso il rivale, ch’io son lo sposo si proverà. coi palpiti ch’io provo, Scena nona conosco l’imbroglio; quella beltà in voi trovo, Don Eusebio, e detti, indi Don Parmenione ma ardito esser voglio, Eusebio che sposa mia sarà. con Ernestina. qui vano è il timor. Dunque lasciateci in libertà. Berenice Eusebio Eusebio Alberto Degna d’un tanto onore, Dov’è questo sposo? Orsù, spiegatevi. La mia valigia, gli effetti miei no, mio signor, non sono; prima tu rendere, vile, mi dei, altra l’illustre dono Berenice Alberto e Parmenione e poi del resto si parlerà. di vostra man godrà. È qui per l’appunto. Cosa ho io da dire? Eusebio Alberto Eusebio Berenice Dunque lasciateci in libertà. Come?… Oh siete alfin giunto! Leggittimatevi. Alberto Berenice Alberto Ernestina Questa è un’ingiuria. Vi ho detto il vero. Vi son servitor. Fate sentire… Parmenione Alberto Parmenione Alberto Meglio parlate. Dunque?… Dov’è questo zio? Io son lo sposo. 16 17
Eusebio che ad incontrar qualche pagnotta io vada; Scena undicesima amor da voi non chiede, Questa è una cabala. onde trovando, o non trovando alcuno, Ernestina, indi Alberto. chi amor per voi non ha. bastonato morir devo, o digiuno. Pèra, chi vuol costringere Parmenione Ernestina del cor la libertà. Non v’alterate. Eusebio Qual strano caso è il mio! Perdo un ingrato Ma se un sopetto indegno Voi chi siete? che mi sedusse: a vagheggiarmi un nuovo di soverchiarmi intende, Eusebio amante arriva, e questi… quel generoso sdegno, Posso… Martino che il mio decoro accende, (Ecco il caso.) Alberto dalla ragione armato, Parmenione Oh alfin vi trovo! un vano ardir confondere, Tacete. Eusebio e impallidir farà. Ebben? Ernestina (Parte.) Alberto Che cercate, signor? Voglio… Martino Signore!… io sono il servitore… Alberto [Recitativo] Parmenione Ragione io cerco Eusebio Finite. dell’insulto sofferto. Ernestina Del forestiero? Quei fermi accenti, quel sicuro aspetto Eusebio Ernestina nel mirar, nel sentire, Martino Sono… E sostenete ancor?… impossibile par ch’abbia a mentire. Appunto. (Parte.) Parmenione Eusebio Alberto Cedete. E qui che fate? D’essere Alberto. Scena dodicesima Alberto Martino Ernestina Berenice, indi Don Parmenione. Sento… Io? Niente. Il vostro ardir. Berenice Parmenione Eusebio Alberto Per conoscere l’inganno, un espediente Partite. Dunque andate. È quell’ardir, che ispira chi m’insegna a trovar? Ho un gran sospetto, il vero onor. Da un impostor tradito, che questo sposo un temerario sia, Berenice ed Ernestina Martino dall’apparenza condannato io sono; un basso avventuriere; Ma via calmatevi, per carità. Vorrei… ma il dritto mio, lo sbaglio vostro in breve ma il vero come mai si può sapere? risarcito sarà. Tutti Eusebio Parmenione Di tanto equivoco, di tal disordine, Non serve il replicar. Ernestina (Fino adesso va ben.) nel cupo, orribile, confuso vortice, Qualunque dritto urta, precipita, s’avvolge, rotola, Martino meco, signor, voi richiamate invano, Berenice perduto il cerebro per aria va: Ma almeno… che vostra esser non può mai questa mano. (Voglio provarmi.) ma si dissimuli, che senza strepito già tutto in seguito si scoprirà. Eusebio Alberto Parmenione (Partono.) Andate dico. Voi pure dunque in mio danno Oh! chi vedo? i torti vostri agl’altrui torti unite? Martino Se un preventivo, fortunato affetto Berenice Scena decima E dove? occupa il vostro cor, approvo e lodo (inchinando) Martino, poi Don Eusebio. sì bella ingenuità; ma se v’induce Signor!… Eusebio un error tanto ingiusto ad oltraggiarmi, [Recitativo] Oh che insensato! trovar la via saprò di vendicarmi. Parmenione in cucina a mangiar. Brava, ragazza: Martino [5. Aria] tu mi piaci. Martino Non so più cosa far. Cauto m’impone D’ogni più sacro impegno (Ripiglio fiato.) il timor del bastone sciolta pur sia la fede, Berenice (Via.) d’evitar chi si sia; vuol l’appetito, Davver? 18 19
Parmenione Berenice Berenice Parmenione Certo: e se trovo Che appianar prima dovete, È mia sorella. È un brutto nome, detta è Pandora. in te condotta, e abilità discreta, e poi ci parleremo. della mia protezione Parmenione Berenice forse t’onorerò. Parmenione (Se ciò ver, l’ho fatta bella.) Nelle sue lettere si scrive Aurora. E che! In tal guisa Berenice una vil serva in faccia mia favella, Berenice Parmenione (Che mascalzone!) e non trema? (S’incomincia a imbarazzar.) Io la più giovine volli indicar. Parmenione Berenice Parmenione Berenice Cosa? Sbagliate: io non son quella. D’un parlar sì stravagante E del processo che nuove avete? non son molto persuaso; Berenice Parmenione pur se quella siete a caso, Parmenione Troppo favor. E chi sei dunque? il mio sbaglio è da scusar. Il tribunale ci dà ragione. Parmenione Berenice Berenice Berenice Io già ho fissato, Io sono un farfarello, Per un vero e gran birbante Ma qual è il punto della questione? dopo il mio sposalizio, che girar fa il cervello, presso ognun qui voi passate; di tener varie donne al mio servizio… a chi non ha giudizio. ma il contrario se provate, Parmenione onde… anch’io so quel ch’ho da far. Non so spiegarvelo, lungo è l’affar. Parmenione Berenice Orsù! T’accheta, Parmenione Berenice Dopo? lasciami. Le mie lettere… (Non c’è più equivoco, mi trovo a segno, scoperto è il perfido vile impostore. Parmenione Berenice Berenice Un foco, un impeto mi sento in core, Si sa. Io son… Ho vedute. non so la collera dissimular.) Berenice Parmenione Parmenione Parmenione Badate bene Via dillo, in tua malora. I ricapiti?… (Sempre più critico divin l’impegno, a quel proverbio, che facendo il conto d’un passo simile quasi mi pento: senza l’oste, talvolta Berenice Berenice un certo brivido al cor mi sento, si va a rischi di farlo un’altra volta. Io sono… Li ho letti. ma forza e spirito convien mostrar.) Parmenione Parmenione Parmenione Berenice Olà! Men confidenza: e se ti preme Una servaccia ardimentosa. Quai son dunque i miei difetti? E così, Contino mio? di stare in questa casa, bada di non mi far mai la dottora, Berenice Berenice Parmenione o ch’io… Oh! Tutt’altro, signore: io son… la sposa. Or vi voglio esaminar. Cosa far per voi poss’io? Il padre vostro si porta bene? Berenice Berenice Signor! Non siete sposo ancora. [6. Duetto] Parmenione Mi saluti il genitore. Egli sanissimo è sempre stato. Parmenione Parmenione Parmenione Se nol son, lo sarò. Voi la sposa! Berenice Lo farò con tutto il core. Ma se ci ha scritto ch’era ammalato? Berenice Berenice Berenice Ci son dei dubbi. Appunto quella. Parmenione E la cara sua sorella? Egli ha voluto così scherzar. Parmenione Parmenione Parmenione Quai dubbi? Ma quell’altra? Berenice Sempre buona, quanto bella. Come si chiama vostra sorella? 20 21
Berenice Eusebio rassembra un galantuomo, tolta la mia valigia Guadagnato è già il processo? La verità ci spiega. e forse tal sarà. non arrossite ancor? Vecchio non è, né giovine, Parmenione Martino né brutto, né avvenente, Alberto Così almen mi fu promesso. La verità! Ma come mai, signore non è villan, né principe, Dei cenci vostri pretenderla si può da un servitore? né ricco, né indigente, io non ne so che far. Berenice insomma un di quegli esseri Dunque tutto va a dovere? Ernestina comuni in società. Parmenione Meno pretesti. Portato è per le femmine, Io non mi curo Parmenione gli piace il vino, e il gioco, delle vostre ricchezze. Tutto va come ha da andar. Eusebio amante è di far debiti, Il tuo padron vogliamo ma di pagarli poco, Alberto Berenice conoscere da te. tutto censura, e critica, Ebben, sul fatto Ah uomo petulante, benché sia un ignorante, io le voglio. incomodo, arrogante! Martino con tutti fa il sensibile, cessate di mentire, Vorrei… ma di sé solo è amante, Parmenione scoperto è il vostro ardire; procura ognor di vivere Le avrete, voi siete un impostore, Ernestina in pace e in sanità, quando gl’effetti miei mi renderete. un vile avventuriere, Palesa è in somma di quegli esseri e queste le maniere il suo nome. comuni in società. Alberto non sono di trattar. (Fugge.) E il finto nome, e la mal tolta sposa Per forza, o per amore Martino chiedon riparo. da qui dovrete andar. Mi spiace… [Recitativo] Parmenione Parmenione Eusebio Eusebio Oh! questa è un’altra cosa! Ragazza impertinente, Il suo casato… Senti, aspetta, ove vai? ridicola, imprudente! (Lo insegue.) Alberto a te non rendo conti, Martino Resistete? da te non voglio niente; V’assicuro… Ernestina io sono un uom d’onore, Se fosse vero, Parmenione un cavalier son io, Ernestina ciò che vero pur sembra, io spererei Ma già. so dire il fatto mio, Il suo stato… di vedere appagati i voti miei. so il modo di trattar. (Parte.) Alberto Per forza o per amore Eusebio Così a un par mio?… mi voglio vendicar. Quel che fa. (Partono.) Scena quattordicesima Parmenione Ernestina Don Parmenione, ed Alberto incontrandosi. Un mio pari risponde. Quel che pensa. [Recitativo] Alberto Alberto Martino Voi qui appunto io cercava. Soffrir non so… Scena tredicesima E voi bramate?… Don Eusebio, Ernestina, e Martino. Parmenione Parmenione Ernestina Ed io correva Ceder non posso… Eusebio Tutto scoprir da te. giusto in traccia di voi. Qui non c’è scampo. Alberto Martino Alberto Io giuro Ernestina Dunque ascoltate. Dopo l’eccesso che vi farò pentir. Qui parlar bisogna. della vostra impostura [7. Aria] mostrate tanto ardir? Parmenione Martino Il mio padrone è un uomo, Ed io protesto Cosa ho da far? ognun che il vede il sa: Parmenione che non mi pentirò. Dopo d’avermi 22 23
Scena quindicesima Alberto Alberto Scena sedicesima Berenice, e detti. Ma del vero Alberto Mia vi voglio ad ogni costo. Don Eusebio, Ernestina, indi Don Parmenione, e se il premio è questo, l’usurpato nome, detti. Berenice i lesi dritti, l’onor mio tradito Parmenione Qual chiasso è questo? e questa man, che m’appartiene, io voglio. Per me scelta ho l’altra bella. Ernestina Il suo trascorso alfine Parmenione Parmenione Berenice un capriccio sarà, non un delitto. Tu qui che vuoi? E così finirà qualunque imbroglio. Vo’ saper la verità. Eusebio Berenice Alberto Ma se ancor non parlava il servitore, Più flemma. [8. Recitativo accompagnato…] Io v’ho detto. io parente sarei d’un impostore. Alberto Berenice Parmenione Ernestina (Oh quanto è bella!) Ma se incerti voi siete, Io v’ho risposto. Non mi pare. quale la sposa sia, dubbia non meno Alberto e Parmenione Parmenione del mio destin, dell’esser vostro io sono; Eusebio Stabilito il patto è già. Ebben, che cerchi? né tai patti si fanno in presenza, Perché? prima di conseguir la mia licenza. Berenice Berenice Ernestina Io non soffro quest’oltraggio, Se per mia disgrazia [… ed Aria] Perché diretto chi voi siete io vo’ sapere: lo sposo foste voi, nulla io ricerco; Voi la sposa pretendete, egli aveva a me sola ogni desio. d’ingannarmi chi ha coraggio, ma se poi… voi mi fate il cascamorto: chi deciso ha di tacere, ma, signori miei, chi siete, Parmenione qui scoperto, smascherato, Alberto chi ha ragion di voi, chi ha torto? Eccomi al vostro piè, bell’idol mio. vilipeso resterà; Se la prova, Se l’intrigo mi sciogliete, e d’un misero attentato che lo sposo son io, fosse evidente? qualche cosa nascerà. Ernestina tardi poi si pentirà. Lo sentite? (Parte.) Berenice Parmenione Allora parlerei diversamente. Se voi sposa esser bramate, [Recitativo.] Eusebio più non sono il Conte Alberto. Oh! la burla Parmenione Alberto v’invito a terminar: già l’esser vostro Tanto meglio. Alberto Fermatevi. più un mistero non è. Se il mio cor non rifiutate, Berenice io vi sposo, ancorché incerto. Parmenione Parmenione Eh, già so, ch’altra v’accende Che c’è? Se anche lo fosse, di me più vaga, e più gentil donzella. Berenice vengo io stesso a finire ogni questione, Che parole inzuccherate, Alberto e più Alberto non son, son Parmenione. Parmenione che obbligante ingenuità! L’impegno preso La tua padrona, e la mia sposa è quella. (Deh non tradirmi, Amore, dovete mantenere. Ernestina in sì fatal mistero! Voi Parmenione di Castelnuovo? Berenice Tu mi rischiara il vero, Parmenione Bravo da ver! in tanta oscurità.) Son pronto. Parmenione Appunto, Alberto Alberto e Parmenione Alberto del Conte Ernesto, or gravemente infermo, Dunque restiam d’accordo, Se siete un uom d’onore, Insieme l’amico io son, scelto a inseguir la sua che se l’altra è la sposa, io ve la cedo, io sono un uom sincero: verificar dobbiam, qual sia la sposa. fuggitiva sorella. e gl’insulti sofferti a voi perdono. si scopra prima il vero, e poi si parlerà. Parmenione Ernestina Parmenione E poi, come si è detto… Voi trovata l’avete: ecco io son quella. Ottimamente. Berenice E così, nessun favella? Alberto Parmenione Il patto convenuto avrà il suo effetto. Voi! (Parte.) 24 25
Eusebio Ernestina, Eusebio e Parmenione Alberto Parmenione Che sento? A propagar si vada Dunque?… Vidi anch’io d’aver sbagliato, l’inaspettato evento. ma allor tardi era di già. Ernestina Del giubilo, che sento, Berenice Ah! purtroppo io fui sedotta ognuno a parte io vo’! Parla… Eusebio da un’alma scellerata, Dunque?… che vincer non potendo il mio rigore, Martino sola qui mi lasciò! Scena diciassettesima Appunto or viene, Parmenione Alberto e Berenice. chi più chiaro parlerà. Invece ho ritrovato, Parmenione ciò che appunto io ricercava. Che traditore! Berenice e Alberto Eusebio Oh quanto son grate Ah nipote! Martino Eusebio le pene d’amore, Così amore ha qui pigliato Or comprendo… se premio al dolore Ernestina due piccioni ad una fava. è un tanto piacer! Anima mia! Parmenione Parmenione Non più: giacché m’è tolto Berenice Parmenione Spero poi, che scuserete… di punir quell’indegno, all’onor vostro Fidarmi poss’io? Io son vostro servitore. un riparo sarà forse non vano, Berenice l’offerta ch’io vi fo della mia mano. Alberto Berenice Già scusato appien voi siete. E ancor stai dubbiosa? D’onde vien quest’allegria? [9. Finale] Ernestina Berenice Alberto Io per me contenta sono. Quello, ch’io fui, ritorno, Tu sei dunque mio. D’onde mai tal buon umor? chiedo all’error perdono: Alberto se sposo vostro io sono, Alberto Eusebio Io v’abbraccio, e vi perdono. più che bramar non so. Tu sei la mia sposa. Non vedete? Eusebio Ernestina Berenice e Alberto Ernestina Ed un doppio matrimonio D’un sì prezioso dono Un tenero io provo Non capite? la burletta finirà. l’offerta accetterò. tumulto nel petto. A tanto diletto Parmenione Tutti Eusebio si perde il pensier. D’ascoltar se favorite, D’un sì placido contento Ma chi sarà frattanto tutto noto si farà. sia partecipe ogni core, quell’altro forestiero? Voi padron mi avete eletto e costante il Dio d’amore Scena ultima per un gioco della sorte renda il nostro giubilar; Parmenione Martino, e detti, indi Don Eusebio con Ernestina, delle vostre proprietà: e se a caso l’occasione Egli è lo sposo vero, e Don Parmenione. io per esserlo in effetto, l’uom fa ladro diventar, già tutto io vi dirò. volli ancor, che la cosorte c’è talvolta una ragione, Martino diventasse mia metà; che lo può legittimar. Ernestina Miei signori, allegramente, e fu sol questo ritratto, Che bel momento è questo! ogn’imbroglio è accomodato. che colpevole mi ha fatto di sì gran bestialità. Parmenione Berenice Che fortunato giorno! Cosa dici? Berenice Come mai?… Eusebio Alberto Io sbalordito resto. Cosa è stato? Alberto Di mia sorella Ernestina e Parmenione Martino il ritratto è questo qua. Io vostra/o ognor sarò. Ciò ch’è stato, non val niente, Alla sposa mia novella buono è ciò, che seguirà. era in dono destinato. 26 27
Il soggetto di Emilio Sala Atto unico Sala in un albergo di campagna. In una notte oscura e tempestosa. Don Parmenione e il suo servo Martino cenano in una locanda sulla strada per Napoli. Don Parmenione, spa- valdo e incurante dei tuoni, beve e mangia a quattro palmenti da bon viveur qual è, mentre Martino, impaurito e seduto in disparte, approfitta degli avanzi del padrone. Entra il Conte Alberto, un altro viaggiatore sorpreso dal temporale, il cui servo – dopo aver gettato la valigia del padrone accanto a quella di Don Parmenione – si addormenta su una panca. I due nobiluomini sembrano fraternizzare: il Conte Alberto sta andando a Napoli per sposarsi e ha molta fretta. Finito il temporale, egli scuote il suo servo e ripren- de il viaggio. Ma il servo, mezzo addormentato, prende la valigia di Don Parmenione e lascia quella del padrone. Quando si tratta di pagare la cena, Don Parmenione si accorge dello scambio della valigia, ma ormai il Conte Alberto è lontano. E d’altronde, spiantato com’è, quell’errore non può che giovargli. Martino forza subito la valigia che contiene, oltre ai documenti del Conte Alberto, varie cose preziose tra cui un ritratto femminile. “Quest’è la sposa”, dice tutto ringalluzzito Don Parmenione. La decisione è presto presa, nonostante le proteste di Martino: Don Parmenione si farà passare per il Conte Alberto e andrà a Napoli per sposare la bella sconosciuta. Grand’atrio terreno in casa della Marchesa. Don Eusebio sta aspettando lo sposo della nipote Berenice, la quale, per poter meglio studiare il suo pretendente che non ha mai visto, si scambia d’abiti con un’amica di famiglia, Ernestina, loro ospite. Arriva Don Par- menione tutto in ghingheri che si presenta a Ernestina credendola la sposa. Quest’ultima sembra tutt’altro che insensibile alle avances dell’improbabile nubendo. Ma entra anche il Conte Alberto che, incontrata fortuitamente Berenice, subito si dichiara a lei. Tornato in scena Don Eusebio, in compagnia di Ernestina e Don Parmenione, ecco che si scatena il parapiglia: il Conte Alberto accusa Don Parmenione di avergli rubato l’identità, fra lo sconcerto generale. Terminata la baraonda, l’azione si rimette in moto. Si viene a sapere che Ernestina è ospite di Don Eusebio dopo essere stata sedotta e abbandonata. Poco dopo, Berenice smaschera Parmenione accusandolo di essere un impostore. Anche Martino confessa la vera natura del suo padrone. Costui cerca di trovare un’onorevole soluzione: essendosi invaghito di Ernestina e detestando Berenice, preferirebbe di gran lunga sposare la prima della seconda, amata invece dal Conte Alberto. Dunque egli svela 28 29
la sua vera identità: il suo nome è Parmenione di Castelnuovo e doveva venire a Napoli per inseguire la sorella dell’amico Conte Ernesto, fuggita di casa con un seduttore. Erne- L’opera stina resta sbalordita. È lei infatti la giovane fuggitiva che Parmenione stava cercando: abbandonata dall’amante, accetta la proposta di matrimonio di Parmenione. Il lieto fine è assicurato per entrambe le coppie. in breve di Daniele Spini V enezia, teatro di San Moisè, 24 novembre 1812: va in scena L’occasione fa il la- dro, ossia Il cambio della valigia, “burletta per musica” di Luigi Prividali. Gioachino Rossini, che ne ha composto la musica, non ha ancora ventun anni, ma nel teatro musicale italiano è già qualcuno. In poco più di due anni ha rappresentato sette titoli, cin- que dei quali in questo stesso straordinario 1812, specialmente fertile di opere comiche, ora brevi ora ampi e impegnativi. Geniale fin dalle prime prove, Rossini sta rapidamente crescendo, e lo dimostra anche in questa partitura breve – un solo atto, due quadri, nove “numeri” musicali – ma geniale, e tutt’altro che tirata via, anche se scritta – pare – in soli undici giorni, contribuendo a formare una fama di rapidità senza uguali che rimarrà par- te integrante della sua storia. Una fretta giustificata dall’accumularsi forsennato degli impegni: e alla quale si debbono sia la composizione dei recitativi secchi affidata proba- bilmente ad altri, sia il riciclaggio, in luogo di una sinfonia vera e propria, di un episodio strumentale ripreso dalla Pietra del paragone, e destinato a ricomparire addirittura nel Barbiere di Siviglia: la descrizione di un temporale, qui definito in partitura “Tempesta”, che conferma, pur nella leggerezza quasi cameristica dell’organico, l’importanza anche narrativa della scrittura orchestrale con la quale Rossini in tutta l’opera circonda una vo- calità sempre impegnativa, perfetta nel definire le singole identità dei personaggi. È infatti una notte buia e tempestosa quella che vede l’avvio della vicenda di scambi di oggetti e identità e di equivoci a ripetizione che Prividali ricava da un testo francese (un vaudeville di Eugène Scribe, re dei librettisti parigini). In un unico pezzo musicale ampio e articolato si susseguono l’introduzione orchestrale con la “Tempesta” e le prime scene. In una locanda sulla via di Napoli Don Parmenione (buffo), un avventuriero che sapremo poi essere “né ricco né indigente”, e “un di quegli esseri comuni in società” che “procura ognor di vivere in pace e sanità”, cena, infischiandosi dei fulmini e della pioggia (“Frema in cielo il nembo irato”), in compagnia del suo servo Martino (buffo), che invece ha una gran paura dei tuoni. Costretto dal temporale a cercar riparo (“Il tuo rigore insano / fiero destin, sospendi”), entra un altro viaggiatore, il Conte Alberto (tenore), pure scortato da un servo. Si fraternizza, si brinda (“Viva Bacco, il Dio del vino, / viva il sesso femminino!”). Alberto è impaziente di proseguire per Napoli: sta per prender moglie, e non ha mai visto la sposa. Partendo, il suo servo, che casca dal sonno, prende per sbaglio la valigia di Parmenione, e lascia nella locanda quella del suo signore. Al momento di pagare il conto, 30 31
Parmenione e Martino si accorgono dello scambio: forzano la serratura della valigia e ci trovano dentro begli abiti, documenti, cambiali, e il ritratto di una giovane di “vaga e gen- Jeu de l’amour til fisionomia”. Sarà certo la sposa. In un attimo Parmenione (“Che sorte, che accidente, / che sbaglio fortunato!”) concepisce il suo piano: si farà passare per Alberto, e si pren- derà la sposa. Quando sarà scoperto, gli basterà restituire il denaro per esser lasciato in et du hazard pace a godersi il suo nuovo stato. Il resto dell’azione si snoda a Napoli, nella casa fastosa della marchesa Berenice, la all’italiana promessa sposa di Alberto. Lo zio di lei, Eusebio (tenore) ed Ernestina (mezzosoprano), di Giovanni Carli Ballola che Berenice ospita più come amica che come cameriera, nonostante la sua condizione economica sfortunata, discutono del prossimo matrimonio. Berenice (soprano) in una grande aria (“Vicino è il momento”) confessa a se stessa dubbi e timori per il passo che sta per compiere. Si confida con Ernestina: non sa chi sia lo sposo che le ultime volontà di suo padre le hanno assegnato, e vuole scoprire se sia capace di amare lei e non un’altra. Ernestina e Berenice si scambieranno dunque i ruoli, e l’una fingerà di essere l’altra, per mettere alla Q prova il pretendente. Arriva quindi Parmenione, con l’abito di gala di Alberto e seguito dall’inseparabile uarto dei cinque atti unici composti per il Teatro Giustiniani in San Moisè di Vene- Martino: ancora una volta il padrone è sicuro di sé e il servo invece pauroso, e si presen- zia, L’occasione fa il ladro va in scena il 24 novembre 1812 concludendo il primo ta a Ernestina pure travestita. Rimane sconcertato non riconoscendo in lei la bella del tour de force annuale dei molti che caratterizzeranno, almeno fino al secondo ritratto, ma i due sembrano piacersi a vicenda. Il falso Alberto avvia dunque il corteggia- decennio del secolo, la carriera rossiniana. mento della falsa Berenice in un dialogo (“Quel gentil, quel vago oggetto”) esteso in un Aperto con L’inganno felice, quel vorticoso 1812 era infatti proseguito con Ciro in Babi- quintetto via via che entrano l’altra coppia ed Eusebio. In questo pezzo d’insieme, vero lonia, Demetrio e Polibio (la cui stesura risaliva però al periodo di apprendistato anteriore cuore della partitura, Rossini tesse da par suo la tela degli intrighi. Alla fine nessuno sem- al 1809), La scala di seta e La pietra del paragone; se a questi titoli s’aggiungano quello bra capirci più nulla, e la “stretta” del quintetto (“Di tanto equivoco, di tal disordine / nel successivo di Il signor Bruschino, dato, sempre al San Moisè, nel gennaio 1813, e quelli cupo, orribile, confuso vortice / urta, precipita, s’avvolge, rotola, / perduto il cerebro per precedenti di La cambiale di matrimonio (San Moisè, 3 novembre 1810) e di L’equivoco aria va”) lascia sospesa la situazione. stravagante (Bologna, Teatro del Corso, 26 ottobre 1811), si avrà il panorama completo Poco a poco la situazione si chiarisce. Alberto ha una spiegazione con quella che cre- della prima fioritura rossiniana. de Berenice, e confessa di non amarla in un’aria (“D’ogni più sacro impegno”) che con- Una primavera che privilegia vistosamente il genere buffo contro quello serio (rap- ferma la sua nobiltà d’animo. Parmenione invece si mette da solo nei guai tentando di presentato da due opere), non diversamente, del resto, da quella della più parte degli sedurre Berenice, che crede semplice domestica: ma quella gli dice d’essere in realtà la operisti italiani precedenti o coevi, i cui esordi erano condizionati da committenze, per sua promessa, e con accorte domande lo smaschera. Il duetto (“Voi la sposa!”) termina così dire, esplorative da parte di teatri di secondaria importanza destinati al genere con uno scambio di minacce fra i due. subalterno dell’opera buffa. Senonché da tempo le due categorie tradizionali dell’opera Ma il vero deus ex machina è Martino, che in una tipica aria da basso comico (“Il mio pa- italiana, tenute ufficialmente separate da uno steccato eretto dalle forze coalizzate del drone è un uomo”) descrive a Eusebio e alle due donne il vero carattere di Parmenione. Un mercato e della poetica dei generi teatrali, se la intendevano effettivamente in forme dialogo animato fra Alberto e Parmenione coinvolge poi anche Berenice, che in un’aria pre- più o meno esplicite e secondo un processo che sarà irreversibile. Di tale evoluzione ceduta da un recitativo accompagnato (“Voi la sposa pretendete, / voi mi fate il cascamor- l’opera di Rossini rappresenta, sotto molti aspetti, il culmine irradiante valori assoluti to”) costringe ciascuno dei due a dire la verità. Parmenione conferma di amare Ernestina, di stile e di drammaturgia, destinati contemporaneamente al trionfo e alla sconfitta da lui ancora creduta Berenice, e Alberto gliela cede volentieri, innamorato com’è della storici. Dal momento, infatti, in cui il rossinismo diverrà la langue del melodramma co- vera Berenice. Ma l’equivoco circa l’identità dei due uomini l’offende, e la lascia indispettita. evo, il codice linguistico di uso corrente (“Dio buono! come si faceva se non vi era altro Parmenione rivela allora la verità a Eusebio e Ernestina. A sua volta scopre che Erne- mezzo per sostenersi?”, dovrà ammettere con patetica sincerità Giovanni Pacini nelle stina è la sorella di un suo amico, sedotta e fuggita da casa, e da lui ricercata per conto sue tarde Memorie) avrà inizio la sua disgregazione ad opera dei germi patogeni di una del fratello di lei. I due possono finalmente amarsi con le rispettive vere identità. Nel poetica ad esso intimamente avversa, basata, come sarà, sulla comunicatività imme- pezzo d’insieme finale (“Quello, ch’io fui, ritorno”), terzo grande pilastro della partitura, diata e bruciante del pathos e sul mito della “verità” drammaturgica, agli antipodi del intervengono tutti e sei i personaggi: riconoscimenti, ricomposizione di coppie, giubilo di convenzionale “bello ideale” rossiniano. Sarebbe comunque assai riduttivo il conside- Eusebio e soddisfazione di Martino. E il ritratto? Altro equivoco: non era della promessa rare gli esordi “buffi” del compositore ventenne nell’ottica angusta di un genere che già sposa di Alberto, ma di sua sorella. Tutto è bene quel che finisce bene: “e se a caso l’occa- il Paisiello, il Sarti e il Cimarosa maggiori (per tacere, ovviamente, di Mozart) e in se- sione / l’uom fa ladro diventar, / c’è talvolta una ragione, / che lo può legitimar”. guito musicisti come Mayr e Paer (da Stendhal considerati come pericolosi prevarica- tori delle buone, vecchie maniere) avevano portato a un punto estremo di saturazione 32 33
stilistica e strutturale. E lo sarebbe in modo particolare per L’occasione fa il ladro, il più ne buffa dei teatri d’opera italiani, in travestimenti librettistici di prima mano (Rossini ne esorbitante, tra gli atti unici, dal proprio modesto contenitore di “burletta per musica” era già stato alle prese con La scala di seta) o in testi liberamente imitati. A quest’ultima per diversi aspetti peculiari che qui si prenderanno in esame e che ne fanno un caso li- categoria sembra appartenere la “burletta” di Prividali, della quale, sulla scorta del Radi- mite: oltre il quale la buccia del frutto stramaturo si spaccherà, lasciando allo scoperto ciotti, è ormai invalso l’andazzo di dire tutto il male possibile. la polpa turgida di Tancredi e dell’Italiana in Algeri. “Burletta per musica” viene dunque Scorrendo il libricciolo edito “in Venezia nella stamperia Rizzi”, ci si avvede in realtà di definito l’intreccio fornito dall’impresario del San Moisè a Rossini, il quale, al dire del un dato di fatto di qualche importanza. Certo che non è degno, non che di Monti e Pinde- redattore musicale del Giornale dipartimentale dell’Adriatico, l’avrebbe rivestito di note monte, neppure di Romanelli, Anelli o Rossi, questo Prividali: ma la sua tecnica teatrale, in undici giorni. Librettista è quel Luigi Prividali, agente di teatro, gazzettiere e verseg- tutta francese, ad incastro (quella stessa che verrà sublimata da Scribe), i dialoghi e il giatore, di cui Giuseppe Rovani in Cento anni traccia un profilo tra penoso e grottesco. carattere dei personaggi, per tacere del taglio e della distribuzione dei “pezzi”, denotano Un povero diavolo che “dalla cronica bolletta e dal fegato guasto era tenuto in continua che la stagione dell’opera buffa di fine Settecento (non importa se di Casti, Da Ponte, esacerbazione”; uno dei tanti eredi e successori di Macario, “cattivo e povero poeta” Bertati, o di Palomba) è finita per sempre e con essa i suoi tipi, i suoi intrecci, in una pa- di L’impresario delle Smirne goldoniano, che allignano nel sottobosco teatrale di primo rola, il suo mondo. Ottocento e che, a fianco dell’inamovibile Metastasio (che va sempre bene) e di una La locandina del libretto riporta ancora, è vero, la convenzionale suddivisione del cast copia del rimario del Ruscelli (trisecolare direttore di coscienza di ogni zappatore di secondo i ruoli di prima e seconda donna, primo e secondo buffo, primo e secondo “mez- Parnaso), allineano sul loro tavolo di lavoro più tomi di quelle “commedie francesi” che zo carattere”, rispondenti ciascuno a precise situazioni contrattuali nei confronti dell’im- già una ventina d’anni prima a Vienna il maligno e ficcanaso Da Ponte aveva sbirciato presa e a un’altrettanto precisa, formale divisione del lavoro. Pure, a veder le cose come negli scaffali dell’odiato rivale Bertati. realmente stanno e senza i paraocchi di quell’angusta sociologia musicale che oggi va La Rivoluzione e l’Impero a codesto teatro d’ambiente borghese – vaudevilles, atti per la maggiore, il personaggio di Parmenione nella pelle del tradizionale “buffo” all’i- unici, farse e simili – Duval, in prima linea, seguito da Bouilly, Planard, Jars, Dupaty, taliana ci sta assai stretto (non per nulla, a impersonarlo sarà un interprete eccentrico Désaugieres ecc. avevano dato e stavano dando fondo in modo non meno che forsenna- come Luigi Pacini, assai stimato da Rossini per la sua versatilità – prima di essere basso to: e la schiuma del gran calderone parigino si riversava necessariamente sulla produzio- buffo era stato tenore, con tutt’altro repertorio e tutt’altri “caratteri” – e per le sue doti di attore). Né l’elegante, bizzarro avventuriero, “uomo di ripiego, faceto e intraprendente” proprio come il Dottor Malatesta donizettiano, attorno a cui ruota l’intera vicenda della burletta, è il solo a tralignare ben oltre i confini delle patrie istituzionalità del genere buf- fo. L’interno borghese, con quel tutore di manica larga che si barcamena tra le due coppie di giovani, scatenate in un jeu de l’amour et du hazard all’insegna dell’equivoco, del gusto per l’avventura e della spregiudicatezza morale e sociale, s’apre alla brezza eccitante di una Napoli murattiana, dove lo sventato carpe diem, insieme cinico e tenero, del giovane Stendhal ha spazzato via, con la semplice volgarità della farsa lazzarona, ogni vecchio vestigio di moralismo settecentesco, con la sua spicciola saggezza illuministica e i suoi lacrimevoli ricatti sentimentali. Fine esclusivo della nuova opera buffa doveva essere il Piacere: ma un piacere asso- luto, sublimato e assurto a categoria estetica in virtù di quell’”istinto del gioco” nel quale soltanto, secondo Schiller, l’uomo trova la propria compiutezza terrena e ideale, contem- perando pura vita e pura forma. L’Europa percossa dalla Rivoluzione e posta d’improvviso innanzi ad inquietanti incognite; l’Europa dispogliata delle sue antiche autorità e disperatamente intenta a fabbricarne di nuove, ricevette dall’immenso Rossini una specie di estrema vacanza. [...] Per una società già impegnata in dure intraprese, ma non ancora indifferente al vecchio fascino di riuscire a dimenticarsi, quelle tenere melodie e quei floreali rabeschi, quelle rappresentazioni un poco primitive ma precisamente allegoriche di eterni temi umani, rappresentavano un agile ponte gettato sopra i vortici delle sapienze, sopra le false promesse e le contraddizioni del secolo (Giulio Confalonieri). A ben vedere, per un’Europa scossa alle radici da inauditi rivolgimenti ideologici, so- ciali e politici, l’avvento di Rossini ebbe la stessa profonda necessità di quello di Beetho- ven, nel senso che i due Grandi sentirono e operarono nell’ambito di antitetiche sfere di 34 35
valori espressi da una medesima realtà storica. S’è detto più sopra come all’esuberante clusione del primo quadro. In entrambi i casi, la frequenza e la consistenza delle entrate inventiva rossiniana, di fresco cimentatasi con due impegni compositivi di vasto respiro dei “pertichini” (Parmenione e Alberto, nella prima aria; Martino, nella seconda) sono tali quali erano stati Ciro in Babilonia e La pietra del paragone, l’economia dell’atto unico da forzare i limiti entro cui si era mossa la tradizione di fine Settecento, sì da insinuare di genere farsesco incominciasse a stare di stretta misura. In quasi ciascuno dei nove subdolamente, in un brano di istituzionale destinazione solistica, l’animazione e la varie- “numeri” di cui consta la partitura di L’occasione fa il ladro è evidente l’impazienza ambi- tà d’accenti e di situazioni sceniche, propri d’un pezzo d’assieme. ziosa del giovane artista la cui prepotente personalità più non s’appaga di cose ordinarie. Anche la vocalità si emancipa dalla relativa pianificazione cui era giunta nel preceden- Impazienza che esplode, è il caso di dire strepitosamente, fin dall’inizio dell’opera, col te o coevo artigianato operistico, fiorendo in un’opulenta e fantasiosa varietà di scrittura, favore di quella “Notte oscura, e tempestosa”, di quel “fragore dei tuoni” e “chiaror dei che va dal fitto sillabato ritmico al rabesco belcantistico ricco di fini ornamentazioni: la lampi”, proposti dalle didascalie della prima scena. parte mediana del Quintetto ne offre un saggio preclaro per la raffinata poliritmia che Prendendo tutto in parola, Rossini accantona per la prima volta la tradizionale sin- porta all’estremo ed esalta, in un sublimato gioco di linee e di timbri, una tra le più pre- fonia passepartout ed eventualmente intercambiabile, adottando una soluzione specifi- ziose eredità dell’opera buffa settecentesca. Di questo intenso sfavillio di colori risplende ca e squisitamente “drammaturgica”: un brano orchestrale di carattere descrittivo che, anche la piccola orchestra, quasi sempre trattata con grande cura e non di rado (come trascorrendo da un Andante introduttivo a un corrusco Allegro in do minore, denomi- nella “stretta”conclusiva “Di tanto equivoco” del Quintetto) limata mediante drastici ri- nato espressamente “Tempesta”, conduce direttamente al levar di sipario sul monologo pensamenti. di Parmenione “Frema in cielo il nembo irato”. È forse troppo scomodare al proposito il Il distacco dagli andazzi correnti di stampo cimarosiano o paisielliano, come anche Gluck di Iphigénie en Tauride, il Salieri di L’Europa riconosciuta ed altri più o meno illustri dal fare opulento e greve inaugurato da Mayr, non potrebbe essere più clamoroso. Passi autori di melodrammi seriosissimi? Troppo forse sì, ma per nulla incongruo: giacché re- come lo stacco dell’Allegro vivace dell’Introduzione, giocato su un piccante “martella- sta il fatto della peregrina trovata rossiniana, lo sforzo di rivestire la prima scena dell’o- to” di ottavino, oboi, clarinetti, fagotto e corni contro un “pizzicato” di viole e violoncelli; perina di una “tinta” adeguata e non generica, d’imprimerle un’allure vigorosa e sapida, come il già citato Andante del Quintetto, intessuto di un ingegnosissimo intarsio poli- di teatro comico fin che si vuole, ma concepito con impegno e realizzato, se ci si passa cromo (flauto con clarinetti e fagotto; fagotto con corni; oboi con clarinetti, il tutto tra- l’ossimoro, molto sul serio. punto dal “pizzicato” di violini, violoncelli e contrabbassi, mentre le viole si estendono in Che poi i materiali della “Tempesta” provengano da un altro temporale, quello scop- lunghe note tenute); il frequente ricorrere a coloriti particolari (“sul ponticello”, “in punta piato di recente nella Pietra del paragone per riapparire in seguito, convenientemente d’arco”) e a incisive accentuazioni dinamiche: l’impiego privilegiato dei fiati non solo e rielaborati, in quello del Barbiere, è un argomento in più a favore della miracolosa perti- non tanto – come in Paisiello e in Mayr – in interventi solistici, raddoppi, impasti con gli nenza in cui di regola avvengono tali trapianti nel contesto delle rispettive, diverse aiuole archi, quanto con un gusto tutto divisionistico della campitura timbrica, rivelano che una melodrammatiche. Si ascolti la bellissima frase melodica d’impronta primo-beethove- nuova dimensione del suono orchestrale, alternativa a quella del sinfonismo viennese o niana – quasi il “trio” dello “scherzo” di una immaginaria sinfonia “zero” – che fiorisce francese (Cherubini), si sta facendo strada in Italia tra l’epigonismo dei settecentisti in quando Parmenione esclama: “Quanto è dolce il mar turbato – dalle sponde il contem- ritardo e i compromessi pseudosinfonici di Mayr. plar!” (dopo tutto anche il povero Prividali aveva letto Lucrezio); e vi si ravviserà una con- Una dimensione destinata a codificarsi in strutture e procedimenti talora sin troppo tropartita equilibratrice, di schietta dialettica sonatistica, alla turbata esagitazione della chiaramente riconoscibili e in seguito, scaduta a formulario, ad alimentare di sé il rossi- precedente pagina sinfonica: oltre che uno scampolo utile a comprendere di che stoffa nismo imperante per più decenni: ma che nella piccola orchestra di L’occasione riluce in sopraffina fosse l’inventiva di questo maestrino ventenne. tutta la sua geniale tensione sperimentalistica e la sua strepitosa novità. Ancora un toc- La partitura si regge su tre grandi ensembles – la Sinfonia e Introduzione, che, come co di perfezionamento, nel Signor Bruschino, e la lucente macchina del Gioco assoluto s’è detto, formano un tutt’uno; il grande Quintetto centrale “Quel gentil, quel vago og- rossiniano, realizzando una profezia di Schiller, confonderà le acque della commedia e getto”; il Finale significativamente collocato a fungere da simmetrico supporto architet- della tragedia in quella pulsione catartica che aveva fatto “sparire dalla fronte delle beate tonico all’edificio melodrammatico. Attorno a questi capisaldi si distribuiscono gli altri divinità [della Grecia] tanto la serietà e la fatica che solcano le gote dei mortali, quanto il “numeri”, quasi tutti di vasto impianto e talora (come l’aria di Berenice “Voi la sposa pre- fatuo piacere che spiana il viso vuoto d’espressione”. tendete”) di complessa articolazione. Se si considera che il Quintetto inglobante tre sce- ne ben distinte, si estende per 398 battute, che è dire poco più del Sestetto del II atto del Don Giovanni e poco meno della media degli usuali Finali primi delle più prolisse opere buffe settecentesche in due atti, si avrà un’idea del formidabile afflusso di energie inven- tive incanalato dal giovanissimo compositore entro gli argini angusti dell’atto unico far- sesco e, più in generale, del colpo di timone da lui impresso alla rotta dell’opera italiana. Le stesse considerazioni valgono per talune soluzioni formali, come l’aria con “per- tichini” (ossia con uno o più personaggi che fanno da sfondo, con interventi sporadici e marginali, al canto del protagonista), della quale si riscontrano due esempi nella sopra citata aria di Berenice e in quella di Parmenione, “Che sorte, che accidente”, posta a con- 36 37
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