I neuroni, noi e gli altri - L'infinito presente: la sorprendente unicità del linguaggio umano
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I neuroni, noi e gli altri L’infinito presente: la sorprendente unicità del linguaggio umano Andrea Moro (Professore di Linguistica Generale, Scuola Superiore Universitaria IUSS, Pavia) La frase con cui volevo iniziare è la frase del più bel giallo mai scritto dalla storia dell’umanità ed è già stata letta e c’è una cosa interessante che voglio dire su questa frase: “Accada quel che deve accadere; io voglio vedere il seme dal cui provengo, anche se è umile.[...] Sono stato generato così, non potrei diventare altro; dunque voglio andare fino in fondo nel conoscere la mia origine” (Edipo Re, nella tragedia di Sofocle). E’ molto interessante perché la maggior parte delle traduzioni non traduce seme e origine, ma traduce tutte e due le parole come origine. In greco antico le due parole sono diverse, si dice Tosperma per il seme e Eughenos per l’origine e questo fa vedere molto chiaramente che tutti noi esseri umani, quando parliamo di origine non dobbiamo confondere la nostra origine materiale, il seme, con la catena di semi che ci precedono, cioè la nostra origine, intesa come stirpe. Se le due cose non sono distinte, si rischia grosso. Quello di cui volevo parlarvi oggi è proprio dell’impronta digitale distintiva dell’essere umano, così come lo troviamo nel linguaggio. Vi dicevo prima che mi è già capitato di parlarne, anche con Giacomo: si intravedono da una parte delle convergenze sostanziali e fondamentali e dall’altra degli aspetti di complementarietà. [Anche io faccio parte di una squadra, la mia squadra è nata nel ’92 proprio al San Raffaele quando Don Luigi ci chiese di fondare il Dipartimento di Scienze Cognitive e ora insegno all’istituto universitario superiore di Pavia ma continua la collaborazione e continua anche il mio insegnamento al San Raffaele perché l’amicizia non è acqua e non bastano i dissesti di bilancio per scioglierla.] Quello di cui vorrei parlarvi oggi è la vera sfida di cui in tutti i laboratori maggiori al mondo, in cui ci si occupa di linguaggio, ci si sta occupando. Tutti noi sappiamo, e lo sapete anche voi, certamente meglio di me, che il linguaggio dipende dal cervello. Questo lo sappiamo almeno dalla seconda metà dell’800 dal paziente più famoso (o uno dei pazienti più famosi) della storia della medicina, il paziente Tan o Tantan che si presentò una volta con un unico difetto: aveva perso il dizionario, sostanzialmente il dizionario mentale e aveva un’unica parola, che era una sillaba: Tan e con questa parlava e diceva quello che poteva, aveva ancora tutte le espressioni del volto ed era rimasta integra la gestualità, aveva solo ed esclusivamente quel difetto (Figura 1). Figura 1: il cervello di Tantan Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 47
Qual è la domanda nuova, la sfida vera che oggi ci si pone ovunque? La sfida vera è se anche la grammatica dipenda dal cervello. Con grammatica, la intendo in modo anglosassone, come struttura del codice. Qui c’è un primo punto fondamentale da considerare: tutti gli esseri viventi comunicano: le api con le api, le libellule con le libellule, i cani con i cani, le libellule con i cani, i cani con le api, gli elefanti con le formiche (se ce la fanno). Tutti cercano di comunicare con tutti ma non è la comunicazione che è al centro dell’osservazione, è il codice della comunicazione. Se io riesco nel mio intento di oggi, vi vorrei far vedere che alcune particolarità del codice di comunicazione umano hanno due caratteristiche: -1°: sono specifiche dell’essere umano; -2°: sono espressione del modo in cui siamo costruiti. Se queste due cose vanno insieme, tutte le domande che noi ci facciamo sull’evoluzione devono essere in qualche modo riformulate e devono tener conto di questo punto di vista. Mi permetto ora un richiamo che fu il vero ostacolo agli studi di questo tipo. Vi leggerò una frase che è impressionante perché non è dell’800 ma è molto più recente. “Una ricerca biologica sul linguaggio appare necessariamente paradossale, dal momento che viene così ampiamente ammesso che le lingue consistono di convenzioni culturali di natura arbitraria” (Eric Lenneberg (1967), neurologo che si occupava del recupero del linguaggio in pazienti afasici, che lavorava tra Harward ed il Mas General Hospital). Se noi partiamo dal punto di vista che le lingue sono esclusivamente e solo convenzioni culturali di natura arbitraria non c’è nulla da scoprire. Così come nessuno di noi andrebbe a cercare l’area dei capelli lunghi nelle donne e dei capelli corti negli uomini, l’area delle gonne nelle donne e dei pantaloni negli uomini, per quanto possa poi essere già comunque variabile. Non esiste un’ area di cose convenzionali, le cose convenzionali sono cose convenzionali, non dipendono dalla necessità di come siamo costruiti. Questo singolo impatto ideologico, la citazione di Lenneberg accusa direttamente tra l’altro alcuni filosofi analitici che forse non se lo meritavano, continua parlando di Wittgenstein e di alcuni suoi compagni, ma probabilmente aveva preso quel frammento dell’evoluzione del pensiero di Wittgenstein che faceva leva soltanto sulla questione della regola come gioco. La seconda cosa è una testimonianza diretta delle parole di un grandissimo logico di origine israeliana (Yehoshua Bar Hillel) che è una specie di parafrasi di quello che diceva Giacomo prima. Lui fu testimone oculare di quello che accadde al Massachuttset Institute of Tecnology (MIT) negli anni ’50: periodo immediatamente successivo alla guerra in cui si era accumulato un mare di materiale sulla decodificazione dei codici segreti. In Inghilterra si era scoperto “Enigma”, Turing aveva scoperto un metodo per decifrare i codici segreti e con questo anche una teoria del linguaggio; dall’altra parte l’evoluzione informatica aveva fatto in modo che i computer non occupassero più una stanza come questa per fare un’addizione, ma potessero essere ridotti a meno. Guardate quello che si credeva di aver raggiunto in quegli anni: “C’era al laboratorio dell’MIT la convinzione generale ed irresistibile che con le nuove conoscenze di cibernetica e con le recenti tecniche della teoria dell’informazione, si era arrivati all’ultimo cunicolo verso una comprensione completa della complessità della comunicazione nell’animale e nella macchina”. Era addirittura sparito l’uomo. Si era arrivati a tal punto di fiducia nella risoluzione algoritmica dei sistemi di comunicazione che gli unici due protagonisti erano l’animale e la macchina. Questa frase fu scritta negli anni ’70 ma si riferiva ovviamente agli anni ’50. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 48
Come succede sempre la baldanza nella scienza porta sfortuna. Ha portato sfortuna nella fisica quando negli ultimi anni dell’800 si è detto basta solo mettere a posto alcuni decimali nelle costanti principali delle leggi fisiche e poi arrivarono Planck e Einstein e ribaltarono la situazione e in altri campi ci fu lo stesso destino. In questo caso la svolta fu data dalla capacità di una singola persona di mettere insieme tre fatti, dove due fatti erano in realtà già disponibili, ma lui li mise insieme in un modo originale. Scoprì il tipo di complessità del linguaggio, l’uniformità di questa complessità (al variare delle lingue) e l’apprendimento da parte dei bambini. La frase che sto per leggervi in un certo senso mi ricorda il commento che fu fatto ieri al quadro di Magritt, l’autore di questa citazione non può essere certo stato influenzato da una visione mistica o comunque teleologica delle cose. Guardate che cosa scrive: “Il fatto che tutti i bambini normali acquisiscano delle grammatiche sostanzialmente comparabili, di grande complessità e con notevole rapidità, suggerisce che gli esseri umani siano, in qualche modo, progettati in modo speciale[...] con una capacità di natura misteriosa”. La parola mistero è pronunciata da Noam Chomsky nella famosissima recensione ad un libro (“Review to verbal behavior” by Skinner, 1959) il cui contenuto in qualche modo si ripresenta ancora oggi in un modo molto attivo, di nuovo. La teoria che circolava in quegli anni era che la complessità delle grammatiche che i bambini apprendevano, non era nient’altro che una forma di imitazione della complessità della struttura del mondo e con essa anche della struttura delle lingue a cui i bambini erano esposti. Ora è chiaro che i bambini parzialmente imitano: se io nasco in Italia chiamo questo oggetto “bicchiere” mentre se nasco in Inghilterra lo chiamo “glass”. Questa differenza che i linguisti chiamano arbitrarietà saussuriana in onore del linguista morto esattamente 99 anni fa (De Saussure). A parte questo aspetto imitativo, il problema è: ma le regole grammaticali che stiamo usando io e voi ora, sono veramente frutto dell’imitazione? C’è qualcosa nel mondo che possiamo copiare oppure c’è qualcosa che invece noi esprimiamo per come siamo costruiti? Questa fu la seconda strada ed è quella che io cerco in qualche modo di presentarvi ora. Guardate questa frase che fu pronunciata: “I sistemi di comunicazione di tutti gli altri animali si basano su un numero limitato e fisso di messaggi discreti” (Stephen Anderson, professore di linguistica al Capo del Dipartimento di Linguistica della Yale University ed è stato Presidente della Società di Linguistica americana). Voi sapete che nei discorsi ufficiali che si fanno in apertura degli anni accademici, si cercano temi ecumenici, che non portino tensioni nell’auditorio. Quindi l’idea che tutti gli altri animali, meno noi, siano incapaci di comporre elementi primitivi in modi nuovi, è un dato che per i linguisti è assodato. Quando mi capita di far lezione, io di solito dico agli studenti, la dico in un modo che spero sia più chiaro: “Noi esseri umani abbiamo dizionari di parole, gli animali hanno dizionari di frasi”, cioè noi possiamo prendere le parole e ricombinarle. Se io vi do tre parole CAINO-ABELE- UCCISE, voi fate subito due frasi. “Caino uccise Abele”,” Abele uccise Caino” due frasi di significato completamente opposti. Gli animali hanno soltanto repertori di frasi già complete, non possono ri-segmentarle né costruirle. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 49
Questa non è soltanto un’intuizione vaga, questo corrisponde ad un lavoro uscito negli anni ’70, nel ’79 precisamente (Figura 2). Figura 2 Tra l’altro è uscito di recente un film per Feltrinelli “Nim Project ”, che è la storia di questo esperimento. In questo esperimento un gruppo di scienziati rapì dal mondo animale uno scimpanzé e decise di insegnargli il linguaggio umano per vedere come reagiva. Dato che però lo scimpanzé ha una struttura laringale e in generale un apparato fonatorio molto più semplice di quello umano, decisero di farlo con il linguaggio dei segni. All’inizio il bambino e lo scimpanzé procedevano identicamente, arrivarono a padroneggiare 128-130 parole a testa (che sono tantissime, se conoscete questo numero di parole in Giapponese potete girare per Tokyo comodamente) ma poi ci fu improvvisamente qualcosa di misterioso che nessuno è riuscito ancora a spiegare: il bambino iniziò ad usare l’ordine delle parole per dare nuovi significati mentre lo scimpanzé si fermò. Il numero delle frasi/enunciati che furono analizzate superava le 19.000. Ora vorrei portarvi attraverso due passaggi. Ora, ricordate che prima vi ho detto che il primo sforzo del linguista è cercare di capire qual è la trama nascosta dei nostri codici. Di che cosa è fatta, qual è la stoffa delle nostre grammatiche? Noi abbiamo qualche ricordo delle scuole elementari, le parti del discorso,le preposizioni, qualche regola ma è evidente che ci vuole un’introspezione superiore, un’ introspezione che ti porti a capire qual è davvero il nucleo fondamentale delle regole umane e solo umane. Il secondo passo sarà quello di farvi vedere che cosa succede se il cervello si confronta con regole diverse da quelle della natura umana. Quindi sono questi due i passi semplici che voglio farvi affrontare. Per parlarvi della trama nascosta uso questa immagine (Figura 3), e se qualcuno entrasse ora crederebbe di essere entrato in un corso di uncinetto o qualcosa del genere, anzi precisamente di maglia. Figura 3 Quando ero piccolo, tra le tante cose vietate che facevo, era di andare al museo a Pavia dove c’erano degli arazzi bellissimi e mi avvicinavo a guardare i puntini che componevano l’arazzo e vedevo puntini colorati molto vicini: magari vedevo il rosso che usciva dalla lingua di fuoco del drago, che era lo stesso rosso del sangue della principessa che stava in cima al castello e poi facevo la cosa vietata che era girare l’arazzo dall’altra parte e di verificare che quei due puntini rossi così distanti erano in realtà la stessa cosa. Cioè, noi, di fronte a certe realtà, ci dobbiamo rendere conto che due elementi che sembrano distanti, sono in Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 50
realtà profondamente connessi da cose che noi non vediamo. Questa è fondamentalmente la metafora del lavoro che fa il linguista teorico: cerca di trovare in una stringa (usando un anglicismo) o una sequenza di parole, quei fili nascosti che prendono una parola e la mettono in contatto con un'altra. Immaginate un fatto semplice, dico: “Gianni corre” soggetto singolare, verbo singolare; se dico “Gianni corrono” la frase va male. Ma se dico “Tutti gli amici che mia sorella dice che amano Giovanni, corrono” la frase torna buona perché il mio cervello sa che corrono non si accorda con Giovanni ma si accorda con tutti gli amici. Ecco, noi in testa abbiamo fili di questo tipo quando parliamo e costruiamo continuamente trame complesse come queste. La decifrazione di queste trame è quella che ha portato alla scoperta della struttura fondamentale delle lingue umane. L’intuizione si ebbe già nel ‘600 (guardate questo principio che è stato enunciato nella Grammaire di Port- Royal, uno dei testi di linguistica più famosi di sempre e pubblicato per almeno 300 anni, espressione della visione Cartesiana): ”Gli uomini sono naturalmente portati ad abbreviare le loro espressioni”(Antoine Arnauld e Claude Lancelot) . Questo principio così semplice in realtà è potentissimo e può essere visto come una delle chiavi di lettura per scoprire il nucleo matematico delle strutture del linguaggio e vi faccio un esempio molto semplice. Immaginiamo di avere due frasi : “Andrea ama Bach” e “Andrea vive a New York “. In questo caso noi abbiamo due frasi composte una vicina all’altra con una congiunzione. Ma io posso dire nel modo più normale: “Andrea che ama Bach vive a New York”, perché di solito non ripeto il soggetto. Quello che succede in questo caso come voi vedete, è che le due frasi, ancorate con la congiunzione, in realtà si preferisce inscatolarle una nell’altra. Questo processo di inscatolamento è uno degli aspetti più frequenti ed esclusivi del codice di comunicazione umano. Solo noi esseri umani siamo in grado di costruire cose che contengono cose, che contengono cose. Questo tipo di proprietà, non inaspettatamente, ci ricorda un altro “gioco” matematico, che alcuni di voi forse conoscono. Se voi prendete un segmento, come la linea che vedete la più in alto (vedi Figura 4) e lo dividete in tre parti uguali e il segmento centrale lo sostituite da un pezzo di triangolo, questo procedimento potete continuarlo all’infinito su tutti i pezzi dritti e otterrete quella che si chiama una figura auto-simile. Le figure auto-simili sono figure in cui una parte ha la stessa struttura del tutto. Figura 4: auto-similarità: quando una parte ha la struttura del tutto Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 51
E’ chiaro che la matematica rispetto al linguaggio non può del tutto sovrapporsi, perché nella matematica, soprattutto nelle figure geometriche, esiste la nozione di continuo, che non c’è nel linguaggio: le parole non sono riducibili ad infinito, a un certo punto ci si ferma a livello del suono. Ma se voi ci pensate, c’è una somiglianza inaspettata tra queste due strutture e cioè tra la struttura auto- simile che abbiamo nella geometria e la struttura auto-simile che abbiamo nella linguistica. In tutte e due i codici abbiamo strutture di un certo tipo che contengono strutture dello stesso tipo. Questa proprietà, utilizzando un termine decisamente fuorviante ma ormai attestato nella vulgata scientifica, si chiama ricorsività e cioè la capacità di una struttura di contenere una struttura uguale a se stessa. E voi capite subito qual è l’effetto immediato della proprietà della ricorsività: il codice si spalanca all’infinito. Nel momento in cui voi ammettete che una cosa può contenere una cosa dello stesso tipo, non esiste un limite superiore, salvo ovviamente i limiti di memoria, di durata della vita e di energia, entro cui voi potete bloccare la computazione di elementi. Nessun altro essere vivente contiene regole di questo tipo, di questo modello qui. Vi faccio vedere come funziona una frase molto semplice: “Una foto di questo muro ha causato la rivolta di questa città”. Guardate quale sarebbe la rappresentazione ricorsiva di questa struttura così semplice. Questa struttura si ripete fino a contenerla tutta quanta (Figura 5). SX SX SX Una SX X SX X SX ha X SX Foto X SX causato la SX di questo X X SX muro rivolta X SX di quella X città Figura 5: natura ricorsiva della sintassi: quando una parte ha la struttura del tutto Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 52
Quando noi interpretiamo, quando un bambino interpreta “Una foto di questo muro ha causato la rivolta di questa città” per forza la sua struttura deve assegnare una struttura ricorsiva di questo tipo alla frase. Se non lo facesse commetterebbe tutta una serie di errori che nessuno ha mai osservato. Perciò c’è un enorme campo di studio della linguistica contemporanea che è lo studio degli errori che fanno i bambini. Siccome i bambini non fanno alcuni tipi di errori, noi possiamo dedurre che loro partano in qualche modo già provvisti di questa visione automatica della struttura ricorsiva. Un po’ come nel caso della visione reale, noi abbiamo una grammatica della visione. Voi sapete che se proiettate un cartone animato su un quadro, con una linea e questa linea la fate diventare sempre più panciuta sino a farla diventare un cerchio nero rotondo, e chiedete alla platea cosa ha visto, vi diranno che hanno visto un disco girare, non una linea diventare un cerchio. Questo perché noi siamo provvisti di una gerarchia di regole che ci fanno interpretare il mondo esterno dicendo: è meglio preferire ed immaginare che un oggetto non si deformi ma che ruoti nello spazio. Lo stesso succederebbe se io misurassi una testa di una persona qui davanti e quella di una persona in fondo: non penso che ci sia una differenza di dimensioni di teste, ma interpreto le teste più piccoline che vedo là infondo come una distanza diversa da me. Queste cose non ce le insegnano così come non ci insegnano questo tipo di informazioni. Da questa struttura così complicata nascono principi molto semplici. Ad esempio nasce un principio che afferma: nessuna regola può basarsi solo sulla posizione della parola e nella sequenza. Ora vi faccio vedere un esempio molto semplice di una regola impossibile: Immaginiamo che io vi spieghi che il NON và sempre inserito come seconda parola di una frase. Qui funzionerebbe: “Giovanni scrisse un libro”, la frase negativa diventerebbe,” Giovanni non scrisse un libro”. Ma tutti noi troveremmo ridicola questa regola perché se dicessi la frase “Mio fratello scrisse un libro” diventerebbe “ Mio fratello non scrisse un libro” e non “Mio non fratello scrisse un libro”. Nessuna regola di nessuna lingua al mondo può essere costruita in questo modo proprio per quel sistema a bolle ricorsivo. Visto che io devo poter sempre espandere le strutture non avrebbe senso bloccare una regola su un punto fisso proprio perché posso sempre in qualche modo costruire frasi che contengono frasi, che contengono frasi. Un'altra regola impossibile per esempio è l’impossibilità di invertire tutte le parole di una frase. Notate che questa è sorprendente che nessuna lingua al mondo la sfrutti. Sarebbe comodissima una regola del genere. Noi conosciamo delle regole in cui scambiamo l’ordine delle parole per cambiare le frasi. Se io dico: “Rome is beautiful” e devo fare una frase interrogativa, tutti noi sappiamo che basta invertire il verbo con il nome e dico “Is Rome beautiful?”. Quindi noi abbiamo la capacità computazionale di costruire inversioni di parole. Eppure non esiste nessuna regola al mondo in cui io posso passare da una struttura all’altra invertendo tutte le parole di una frase. Questa cosa, per chi ha passione per la matematica, ha poi inaugurato un vero e proprio filone che ha portato i lavori di Chomsky in giro per il mondo molto prima di quelli di linguistica nel settore dell’informatica e dell’ingegneria della comunicazione: noi non avremmo i cd, gli mp3, il digitale terrestre, se non si fossero sviluppate le teorie dell’informazione che si basano su queste visioni astratte. La lingua umana si situa più o meno a questo livello del tipo 2 (Figura 6). Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 53
Figura 6: i quattro tipi matematici che corrispondono ai possibili tipi di grammatiche e i modelli astratti di autori che accettano le grammatiche (Chomsky, 1956; Hopcroft Ullman, 1979). Vi faccio un riassunto brevissimo di quello che vi ho detto finora. Io ho cercato di dirvi questo: Le lingue umane hanno una capacità, tra le tante, che è unica dell’essere umano. Questa capacità, che si chiama ricorsività, di aprirsi all’infinito inscatolando strutture di un certo tipo in strutture dello stesso tipo. Questa è la proprietà principale del nostro sistema di comunicazione. Ora la seconda domanda che possiamo porci è: la vera sfida, abbiamo detto all’inizio, non è più chiedersi se il cervello controlla il linguaggio, ma se il cervello controlla anche la FORMA del linguaggio, capite quindi qual è la posta in gioco: siccome il linguaggio umano è unico tra tutti e tutti gli altri hanno la stessa proprietà cioè non sono ricorsivi, se io riesco in qualche modo ad ancorare il linguaggio umano alla struttura neurobiologica dell’essere umano, le domande sulla nostra origine come volevo far capire dalla citazione di Sofocle, cambiano radicalmente. [non suggerirò ovviamente risposte]. Questa immagine è invece abbastanza inutile, fa vedere quello che noi sappiamo con una risonanza (Figura 7). Figura 7 Non era inutile però per me capire come funzionava il metodo di sottrazione; io do per scontato che lo sappiate tutti, ed è vero, però voglio ripeterlo per un motivo semplice, perché in realtà introduce una variabile estremamente complessa negli studi di tipo linguistico. Voi sapete che se volete per caso sapere qual è, per esempio, la parte del cervello che fa fare questo movimento a me, cioè far tamburellare le dita della mano sul pollice, io non posso prendere una persona e fare una risonanza, facendogli tamburellare le dita della mano sul pollice: si forse qualcosa vedrei ma sarebbe talmente tutto attivato e non riuscirei a riconoscere la porzione giusta. Quindi quello che gli si da è un compito, in modo che lui o lei eviti di pensare ai fatti propri, nel secondo caso gli si fa rifare il compito più questo compito semplice, poi si sottrae la prima misura alla seconda e si ottiene il differenziale che viene associato al compito minimo ( Prima misura: il soggetto a riposo conta da 100 a 0; seconda misura: il soggetto a riposo conta da 100 a 0 e tamburella quattro dita sul pollice. Sottraendo la prima misura alla seconda, si isola la rete che controlla il movimento). Ma il problema principale che noi abbiamo ora é: quello che noi chiamiamo sintassi, cioè quella capacità che abbiamo di mettere insieme le parole è rappresentato nel cervello oppure è soltanto un modo comodo con cui circa 2400 anni fa circa in epoca Alessandrina i filosofi e i linguisti decisero di catalogare la sintassi. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 54
Guardate che c’è una cosa straordinaria che mi ha sempre colpito: tutti noi da 2400 anni fa ai primi anni di scuola impariamo una sistematizzazione che è nata più o meno nello stesso periodo, cioè nel periodo in cui Euclide scrisse i testi sulla geometria e il periodo in cui i grammatici alessandrini inventarono la nozione di tempo, verbo, modo, parzialmente quella di aspetto e di paradigma: è 2400 anni che la nostra civiltà rispiega secondo gli stessi modelli ai bambini. Evidentemente sono modelli efficaci almeno dal punto di vista descrittivo. Voi capite bene che non posso chiedere ad un soggetto di entrare in una risonanza magnetica e dire: ”Adesso parla con la sintassi”, “Adesso parla senza sintassi”, perché fa ridere, perché parlare senza sintassi vuol dire snaturare completamente il compito. Dunque, quello che ci venne in mente al San Raffaele fu di costruire, siccome era impossibile eliminare la sintassi, degli errori sintattici e di paragonarli con errori di altro tipo. Avevamo però un grosso problema: l’intrusione della semantica e del significato. Allora una delle non rare volte in cui il nostro mestiere fortunato di ricercatori che consiste nell’agire, abbiamo potuto agire e divertirci, costruendo una lingua inventata: -“il gulco gianigeva la brala” -“nafantavano gli oprammi” -“il lappento non tonce mai” -“quella molmeca non alinava la frida” -“il triaggo fabbisce ogni lustasio” -“si tasalano molte barne” -“tutti i gorpotti sono stati gasporati” Noi abbiamo avuto delle prove dirette che queste...abbiamo preparato 1500 frasi e le abbiamo sottoposte torturando miliardi di studenti in modo da togliere le più evocative, ovviamente venivano in mente di tutto: parolacce, ecc. Una cosa che sarebbe molto interessante da esplorare e forse Giacomo ed io abbiamo già qualcosa in mente, è di vedere come mai, alcune parole, di tutti i repertori possibili, le parole nuove, vengono attribuite molto spesso agli animali. Cioè noi abbiamo tanti repertori possibili: verdure, colori, sentimenti, oggetti, attrezzi, eppure se vi dico cos’è una “brala”, la maggior parte delle persone pensa ad un animale. Io ho provato con altri nomi, “oprammi”, per esempio è meno facile, però la maggior parte delle persone è evidente che noi atavicamente abbiamo più bisogno di nomi per gli animali perché scappare da un “gulco” forse è più facile che scappare da una margherita, nel senso che se sta ferma probabilmente la nostra incapacità di dare nomi alla vegetazione forse riflette anche qualcosa di adattativo. Ora voi diventate tutti, in questo momento, dei soggetti di un esperimento, e vedete questa prima frase, e la leggete nella testa: ”il gulco gianitzgreva la brala”. Voi vedete, non sapete cos’è un “gulco”, non sapete cosa vuol dire “gianitzgreva”, e non sapete cos’è la “brala”, eppure tutti capite che c’è un errore, perché il gruppo “-tzgr-“ in italiano non c’è. Badate, io posso pronunciarlo, certo forse si fa fatica perché non sono abituato ma si può pronunciarlo, questo errore in qualche modo il cervello deve registrarlo (errore fonologico). Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 55
Guardate la prossima frase: “il gulco gianigevano la brala”. Voi giuratemi che non sapete cosa sono i “gulchi” e le “brale”, ma siete sicuri che qui c’è un errore di accordo. Da dove lo sapete? E’ evidente che avete da qualche parte un meccanismo che vi fa dire che avete un errore morfosintattico. Ora per il gioco della sottrazione, manca solo un tipo; abbiamo: a) parole nell’ordine giusto con suono sbagliato; b) parole nell’ordine giusto con l’accordo sbagliato ci mancano parole con suono giusto, l’accordo giusto, ma l’ordine sbagliato. E sono esattamente queste: “gulco il gianigeva brala la”. Utilizzando queste, dove è evidente che il problema è nell’ordine degli elementi (errore sintattico). Utilizzando la tecnica sottrattiva siamo riusciti con questo primo lavoro a isolare un’area dedicata solo all’errore sintattico; un’area che comprende tra l’altro l’area di Broca (non inaspettatamente), ed il nucleo caudato di sinistra (Figura 8). Figura 8: a sinistra: attivazione dell’area di Broca; a destra: attivazione del nucleo caudato; entrambe le aree sono attivate nell’emisfero sinistro. In un lavoro recente che vi citerò alla fine fatto da Osherson e Monti, si rivede di nuovo l’attivazione del nucleo caudato. Non siamo riusciti a trovare spiegazioni, però per lo meno la descrizione del fatto ci fa vedere che la sintassi non è solo quel modo descrittivamente efficace con cui i grammatici alessandrini procedevano 2400 anni fa, ma evidentemente corrisponde ad un’attività diretta nel cervello. E’ comunque importante evitare di concludere che l’area di Broca sia “il luogo” dove avviene l’elaborazione sintattica: innanzitutto non esistono luoghi ma solo reti e coinvolgimenti preferenziali di aree, inoltre è possibile che l’area di Broca sia solo il crocevia di varie reti essenziali per l’elaborazione sintattica ed altri compiti. Ci siamo quasi, nel senso che siamo di fronte al problema; prima vi ho fatto vedere il codice segreto, la trama nascosta del codice umano, cioè la ricorsività e qui vi ho fatto vedere che si può isolare la sintassi. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 56
Ora abbiamo tutti gli ingredienti per costruire l’esperimento finale. Basta costruire una grammatica non ricorsiva e andare a vedere cosa succede nei punti della rete che costruisce la sintassi. In realtà questa cosa, corrisponde, dal punto di vista diciamo storico-filosofico e critico, ad una domanda e ad un fatto molto importante: una delle scoperte più importanti della linguistica del 20° secolo è che non tutte le sintassi concepibili sono realizzate nelle lingue del mondo, incluse le lingue dei segni. Ovviamente tutte le volte che uno scienziato trova un buco nella realtà, si chiede se è un fatto storico o un fatto strutturale (ossia riflette l’organizzazione neurobiologica del cervello): se io in un campo di margherite trovo soltanto margherite del tipo “non m’ama”, o sono proprio sfigatissimo io e devo cambiare morosa oppure è evidente che c’è qualcosa nella struttura della margherita che mi dice che i petali sono pari; l’alternativa è che io debba cercare meglio, magari in un cespuglio nascosto non so dove, c’è una margherita del tipo “m’ama” o ha un solo petalo. Ci sarebbe una soluzione, una soluzione immediata e molto naturale per certi versi: vedete questa è una di quelle tabelle (vedi Figura 9) che sono il frutto degli studi iniziati da un altro pavese che poi ha insegnato in giro per il mondo e che comunque ci siamo ritrovati in squadra assieme sempre al San Raffaele che è Cavalli Sforza: vedete che è un mondo girato a testa in giù: vedete l’Africa qui, da cui abbiamo avuto origine noi e l’emigrazione. Figura 9: la comune origine potrebbe spiegare l’esistenza dei confini di babele. Uno potrebbe dire: certo va bene che tutte le lingue contengono cose simili e questo è dovuto al fatto che noi tutti discendiamo da un gruppo in cui ci fu una mutazione che produsse la sintassi. Casualmente si scelse una certa lingua e poi un po’ come i copisti medievali copiando di volta in volta si sono differenziate le lingue ma è rimasta l’ossatura generale. Ma noi non abbiamo pazienza di aspettare altri 100 mila anni o 120 mila anni per verificare se questa ipotesi è vera, dunque quello che abbiamo fatto è stato quello semplicemente di impartire ad un gruppo di soggetti esposti solo alla lingua tedesca, lezioni di italiano e giapponese che nascondevano regole impossibili. E poi siamo andati a misurare la reazione del cervello nell’area di Broca, durante l’apprendimento delle regole possibili e di quelle impossibili. Questo esperimento fu fatto in realtà non al San Raffaele, ma all’università di Amburgo e Jena e l’esperimento in realtà fu ripetuto con 3 gruppi diversi (vedi Figura 10): un gruppo, sempre quello del San Raffaele, un altro gruppo che è quello dell’esperimento di cui vi sto parlando che è uscito nel 2003 su Nature Neuroscience, e poi un terzo esperimento fatto addirittura non con parole ma con disegni senza senso. In tutti e tre gli esperimenti la tecnica era uguale: si costruivano regole basate sulla posizione fissa delle parole in una sequenza, cioè regole che contraddicevano la ricorsività. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 57
Figura 10: articoli in cui vengono discussi i tre esperimenti In tutti questi casi, il risultato è stato identico. Come leggiamo questo grafico (Figura 11)? Figura 11: il flusso ematico nell’area di Broca (nella figura a destra), aumenta all’aumentare della padronanza delle regole possibili e diminuisce all’aumentare di quelle impossibili (Nature Neuroscience, 2003) Voi mettete sull’asse delle X la padronanza, cioè più andate lontani dallo zero, più siete bravi a distinguere se una frase è grammaticale oppure no, cioè se segue una regola o no e voi non sapete se la regola è possibile o impossibile; e sull’asse delle Y mettete invece il flusso ematico nell’area di Broca: uno di quei nodi della rete dedicata alla sintassi. Non è che la sintassi sia in Broca, è una frase che non ha senso questa; l’area di Broca è un crocevia e da lì ci passano molte cose; tra l’altro ci passa anche la matematica e la musica ed in questo crocevia molto affollato forse non succede nulla. [Io alle volte la chiamo la “Voghera del cervello”, cioè come quelle stazioni che sono sproporzionate rispetto alla città in cui sono, ma solo perché passano delle direttrici ferroviarie importanti. Magari scopriremo che Broca è davvero la Voghera del cervello]. Dunque il risultato era netto, e cosa concludiamo da questo risultato? Concludiamo che quella preoccupazione di Lenneberg che diceva che le lingue possono essere un artefatto culturale arbitrario, è banalmente falsa, perché noi non possiamo arbitrariamente alterare la nostra fisiologia e quindi noi non possiamo arbitrariamente e culturalmente decidere di far aumentare o diminuire l’attivazione dell’area di Broca. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 58
Questi sono i dati originali per l’italiano (Figura 12): Figura 12: L’attivazione rCBF dell’area di Broca aumenta all’aumentare dell’accuratezza delle regole possibili e diminuisce all’aumentare dell’accuratezza delle regole impossibili. Questi invece sono i dati per il giapponese (Figura 13): Figura 13: L’attivazione rCBF dell’area di Broca aumenta all’aumentare dell’accuratezza delle regole possibili e diminuisce all’aumentare dell’accuratezza delle regole impossibili. Ci sono per l’italiano e per il giapponese perché i reviewer ci avevano detto che sì avevamo scoperto una cosa importante ma solo per il fatto che l’italiano ed il tedesco erano lingue indoeuropee e tu vai a spiegargli che un bambino quando è nato se non è figlio di linguisti perversi non segue un corso di filologia romanza ma di solito apprende la lingua. Ora: in 5 minuti dovrei spiegarvi perché c’è la sintassi?, e non ve lo dirò. Vi dirò che cosa possiamo escludere. Possiamo escludere che la sintassi abbia una ragione logica e ve lo faccio vedere come al solito Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 59
usando come metodo l’esperienza; usiamo anche nella scienza lo sguardo e non l’ideologia. Vi faccio vedere questa frase: “Pensano che Giovanni voglia sentire Pietro prima di incontrare Andrea?” e poi vi faccio vedere questa frase interrogativa: “Chi pensano che Giovanni voglia sentire prima di incontrare Andrea?”. Questa è una frase un pochino elaborata ma che tutti i nostri cervelli computano. Guardate questa frase: “Chi pensano che Giovanni voglia sentire Andrea prima di incontrare?” è completamente agrammaticale: perché? Sono 40 anni che i linguisti si chiedono perché, nessuno riesce a trovare un motivo. E’ probabile che il motivo non ci sia, è probabile che nei nostri codici di comunicazione noi abbiamo soltanto un filtro che ci escluda soltanto alcune grammatiche e non altre. E perché dovremmo avere questa cosa? Beh intanto qui vi mostro quell’articolo (vedi Figura 14) di cui vi dicevo prima che dimostra una separazione netta tra gli errori logici e gli errori linguistici; è un lavoro molto bello dove Daniel Osherson che ha lavorato per due anni al San Raffaele ha mostrato che gli errori linguistici ri-attivano il nucleo caudato di sinistra e l’area di Broca mentre quelli logici no. Figura 14 Questa è quella parte complementare a cui accennava Giacomo quando dicevano che non spiegano tutto i neuroni specchio. I neuroni specchio è nella parte finale affascinante della tua comunicazione, tu fai vedere quanta parte dell’uomo sociale c’è. Ma è chiaro che la parte strutturale del codice non c’entra nemmeno perché la ricorsività non è un gesto volontario che io posso in qualche modo imitare. Quindi è possibilissimo e c’è un lavoro sulla negazione in cui siamo esattamente partiti dal lavoro che Giacomo ha fatto insieme a Buccino e ad altri al San Raffaele sull’interpretazione delle frasi, in cui si vede che i mirror neurons sono centrali per l’interpretazione delle frasi negative. Ma tutto quello che voglio dirvi è semplicemente che il motivo per cui noi probabilmente comprendiamo solo alcune grammatiche è un po’ il motivo per cui noi vediamo soltanto alcuni colori. Immaginate se noi vedessimo tutte le radiazioni elettromagnetiche: sarebbero inutili gli occhi, perché tra di noi in questo momento passerebbero tutti i canali dei nostri cellulari, le televisioni, rai, mediaset.. tutte le onde elettromagnetiche: noi saremmo immersi in una nebbia totale, un po’ come una televisione accesa su un canale morto (Figura 15). Figura 15: l’occhio umano è sensibile solo ad una gamma ristretta di onde elettromagnetiche. Non è implausibile pensare che una maggiore sensibilità porterebbe ad un sovraccarico. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 60
Quindi è possibile che il motivo per cui il cervello è sensibile solo ad alcune grammatiche potrebbe essere simile al motivo per cui l’occhio non vede tutte le radiazioni elettromagnetiche, cioè troppa informazione porterebbe il bambino al caos totale come due volte la stessa informazione. L’ultimissima cosa, una ottimistica e una pessimistica. Quella pessimistica è che forse noi non capiremo mai l’origine di Babele e ve lo faccio con un esempio. Tutti noi usiamo computer e ci troviamo una tastiera con scritto QWERTI: perché abbiamo quelle tastiere con quell’ordine buffo, dove se una persona deve imparare dice: dove hanno messo la “f”, la “l”, perché non abbiamo l’ordine alfabetico, per esempio? Non l’abbiamo perché le prime macchine da scrivere erano di metallo, e le macchine da scrivere di metallo e i dattilografi e le dattilografe erano talmente veloci che le lettere vicine si incastravano. Io ho fatto in tempo ad usarle: ti si incastravano i due martelletti sul nastro, che allora dovevi toglierlo e ti sporcavi.. un caos pazzesco. Cosa hanno fatto gli industriali di allora? Hanno fatto una cosa ideale, hanno detto: le lettere più frequenti, statisticamente per vicinanza, noi le mettiamo lontane e tra tutte le soluzioni possibili si è affermata quella che ora noi vediamo nei nostri computer. Soltanto che poi l’industria è andata avanti, non ci sono più i martelletti ma c’è appunto questa. Ecco forse noi che studiamo il linguaggio ci troviamo di fronte ad un effetto QWERTY, cioè noi non sappiamo più quali sono stati i motivi originari che hanno costruito regole ricorsive per la nostra struttura, né ontogeneticamente né filogeneticamente e dobbiamo accontentarci (figura 16). Figura 16 Però siccome io sono un inguaribile ottimista, in fondo la mia formazione classica si è vista dall’inizio e mi piace concludere sempre con questa immagine (Figura 17). Figura 17 Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 61
Io penso che il linguaggio stia all’uomo un po’ come la tartaruga per Achille. Sapete questa immagine “snervante” dove Achille più veloce di Bolt, non riesce neanche a raggiungere una tartaruga che è più lenta di me quando sono veloce e l’idea è che tutte le volte che ti avvicini al linguaggio e cerchi di afferrarlo quello si allontana un po’, ci sfugge e davvero rimane un mistero. Ma io ho la sensazione che con l’aiuto di tutti quelli che si interessano al linguaggio, che vuol dire dalla clinica, dagli educatori, dai linguisti, dai matematici, dai logopedisti, dagli interpreti.. noi arriveremo almeno così vicini da guardare dritto negli occhi la nostra tartaruga. DOMANDE D: Moro dice: guardare la tartaruga negli occhi. Parto con questa domanda brevissima. La tartaruga è imprendibile, però la guarderò dritta negli occhi; io immagino che guardare la tartaruga negli occhi vuol dire quando avremo la visione dell’assoluto, che sarà diretta, senza riflessione, senza ipotesi ed immaginazioni, senza il pensiero modulare. Lui ci ha fatto cogliere nei confini di Babele che il linguaggio può non essere modulare; modulare cosa vuol dire: le componenti sintattiche, fonologiche e morfologiche. Anche il pensiero può non essere modulare, nel senso il problem solving cognitivo, le ipotesi, se ma.. allora la mia domanda è: quale, secondo lei, quale pensiero può non essere modulare, può essere incognitivo? Lei in una frase dice: “Il cervello non è un hardware, cioè la parte dura, non è un software, quindi le componenti, ma un mindware. Sono d’accordo nel senso che mindware vuol dire qualcosa di non modulare, che non è rappresentabile, ma la parole mente: ecco forse a me viene in mente qualcosa che può non essere riducibile alla parola mente. Moro: Sono tante domande in una e cercherò di rispondere soltanto per accenni. La prima cosa che hai detto colpisce tantissimo, è medioevale, ci sono pochi periodi luminosi come il Medioevo, soprattutto per quanto riguarda la logica e il linguaggio. Nel Medioevo ci si esercitava su capire come avrebbero parlato gli angeli, ma non perché si era futili, ma perché si provava a pensare cosa poteva essere la comunicazione in assenza delle condizioni fisiche che ci sono imposte: ad esempio la linearità del discorso, ed è molto interessante pensare proprio in questi termini. Gli ultimissimi lavori di Chomsky vanno esattamente in questa direzione, cioè pensare a quel che rimane del linguaggio se togliamo gli elementi fisici che lo condizionano e la linearità è certamente uno di questi. Sulla questione hardware/software, qui la complementarietà è totale con quello che dice Giacomo: è una metafora desueta, semmai la nostra mente, l’unico software è espresso da quell’unico hardware che ci troviamo noi, ma non è certamente un supporto vuoto sul quale noi possiamo far circolare ciò che vogliamo. Però mi sembra che fondamentalmente la cosa centrale che tu hai detto travalica il linguaggio. Io credo che l’autore che più di tutti abbia parlato di questo tema è stato Dante Alighieri quando ha parlato dell’ineffabilità. La nozione di ineffabilità, se ci pensate, è una delle nozioni più misteriose e contraddittorie della cultura: l’indicibile. Gli stoici avevano intuito più o meno un problema simile. Ma il problema dell’ineffabile, cioè la capacità dell’uomo di percepire qualcosa che non sa neanche nominare: questa a me tutte le volte fa venire i brividi. Nella raccolta che tu hai nominato c’è un passo della Genesi che mi ha colpito tantissimo. Noi nella vulgata comune probabilmente non dei cristiani ma della cultura comune, Dio è quello che da le leggi e noi dobbiamo sottostare punto e basta. C’è un passo della Genesi che è meraviglioso: Dio si siede e dice: ”Adesso tu uomo dai il nome alle creature e io ti ascolto”. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 62
Ecco questa, quando mi chiedono perché l’uomo assomiglia a Dio?, gli dico: perché è capace di dare dei nomi. Ma anche in questo noi sappiamo che riusciamo a dare dei nomi, che non tutto quello che è pensabile è nominabile. E addirittura abbiamo il nome per quello che non sappiamo nominare, che è ineffabile e quindi chiunque pensasse che il linguaggio esaurisce le nostre esperienze finirebbe già male anche solo guardando un dizionario. D: due domande che sono legate. Ieri si è parlato per colpa mia del numero aureo. Dentro questa ricorsività che ha caratteristiche frattarie e di auto-similarità, qualcuno ha visto se la ricorsività ha delle relazioni precise e matematiche magari auree? Seconda cosa che può essere legata: la musica, l’armonia, ha dentro una sintassi anche lei che ha anche dei tratti universali. Mi colpiva il fatto che Stravinsky dice che Bach nelle sue “Partite per violoncello solo”, quando fa le fughe, fa il gioco di tirare via sempre più note per poter far sentire l’armonia, perché l’orecchio ricostruisce l’armonia che non sente, anche avendo solo dei pilastrini. Il linguaggio funziona così, che posso sopprimere una ricorsività e farla sentire? Moro: sono 3 domande; per limiti di tempo non riesco a rispondere a tutte e 3, bellissime. Dunque, per quanto riguarda l’ultima direi di sì: il linguaggio ha una struttura che si chiama l’ellissi, che è la struttura con cui tu elimini parte della struttura della frase e la ricostruisci, e le strutture ellittiche sono proprio strutture in cui tu salti un pezzo di comunicazione e devi ricostruirla in base a quello che precede, ed è un intero campo dell’indagine linguistica, però non riesco in pochi minuti a fare degli esempi. Per quanto riguarda le due cose precedenti, c’è una cosa straordinaria del codice umano di comunicazione, che lo differenzia dalla matematica; per il resto la ricorsività è proprio l’anello comune tra tutti e due: il linguaggio umano non contiene contatori. Cioè noi non abbiamo nessuna regola che si basi su ad esempio il numero di parole contenuto in una frase. Questo sfavorisce tutte le possibili implicazioni di regolarità geometriche. Devo dire però che c’è uno studioso, che si chiama Juan Huria Ghereka di Maryland, che ha provato a vedere se i numeri di Fibonacci in qualche modo c’entravano con la progressione. Io li vedo un po’ troppo dappertutto i numeri di Fibonacci. Non credo che ci siano regolarità di questo tipo. L’ultima domanda invece che mi avevi fatto sulla questione della musica. La risposta qui è: assolutamente sì, addirittura David Pitzesky, che tiene la cattedra di sintassi al MIT, ha pubblicato dei lavori recenti, in cui non solo si è scoperta la struttura ricorsiva della musica tonale, quindi non è detto che ci sia in tutti i tipi di musica, ma addirittura si è scoperto che la maggior parte delle restrizioni, che sono simili nelle lingue naturali, ci sono anche nelle lingue tonali. Faccio un esempio semplice per tutti: tu sai che puoi pronunciare il pronome invece che a destra del verbo, nella sinistra come clitico. Tu puoi dire: “Le ho viste”, invece che dire: “Ho visto loro”. Se però la frase è complessa, e dici: “Penso che le hai viste”, non puoi dire: “Le penso che hai viste”. Cioè il clitico può solo muoversi nell’elemento verbale più vicino. Si è visto che in musica il movimento della dominante sulla tonica può procedere solo per processi locali e quindi in questo senso probabilmente quella co-attivazione dell’area di Broca che si vede sia quando percepisci una musica tonale, che quando percepisci sintassi può non essere casuale. D’altronde c’è un fatto stranissimo, quel paper che vi ho citato prima di Nature Neuroscience (quello sul linguaggio dei tedeschi, giapponese., uscì su un numero che era tutto dedicato alla musica, anche in copertina), quindi è probabile che quei sottoinsiemi che i medievali avevano così ben incapsulato nel sistema scolastico del Trivio e del Quadrivio, anche se leggermente in modo diverso, di musica, grammatica e matematica, in realtà abbia davvero un’unità comune che è la cifra distintiva dell’uomo in quanto capacità di manipolare consapevolmente l’infinito. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 63
L’armonia è una cosa un pochino diversa, io ho parlato proprio di musica tonale, perché l’armonia entra in gioco quando tu hai l’ascolto simultaneo di due elementi. E a questa domanda qui non posso rispondere, ma ci provo lo stesso: ti dice una cosa stranissima che capita all’essere umano: noi possiamo ascoltare una sola persona. Se parla X e parla Y, io devo scegliere. Guardate che questa cosa dal punto di vista sociale ha un impatto enorme: la struttura del gruppo si basa sul fatto che tu ne ascolti uno; se voi tutti state parlando e io potessi ascoltarvi, la nostra civiltà sarebbe diversissima e quindi in un certo senso la sintassi manca in un certo senso di armonia, non ovviamente la fonologia: l’armonia vocalica è una delle cose più studiate di sempre. Comunque vedo che siete dei linguisti agguerriti. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 64
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