L'in house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive

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CLAUDIO CONTESSA*

                  L’in house providing quindici anni dopo:
                    cosa cambia con le nuove direttive **

                                      (Roma, novembre 2014)

                                                  ***

SOMMARIO:        1. Un breve quadro di insieme. Sintesi delle principali novità - 2. Il pacchetto
                 ‘appalti/concessioni’ 2014 fra sintesi dell’acquis giurisprudenziale e fughe in avanti. -
                 3. Il modello ‘classico’ di in house providing (articolo 12, paragrafo 1) - 4. Una
                 particolare ipotesi di ‘in house inverso’ (articolo 12, paragrafo 2) - 5. Il c.d. ‘in house
                 frazionato’ (articolo 12, paragrafo 3): si tratta di un vero caso di delegazione
                 interorganica? – 6. La cooperazione orizzontale fra amministrazioni e i partenariati
                 pubblico-pubblico (PPP): in quali casi è possibile evitare la gara – 7. Una prima sintesi
                 - 8. E’ possibile (e fino a che punto) estendere o ridurre in via normativa i confini
                 dell’in house? - 9. C.S.A.R. (ovvero: cosa succederà al recepimento?) Riuscirà il
                 Legislatore italiano a guardare finalmente al modello in house in modo privo da
                 condizionamenti di contesto?

1. Un breve quadro di insieme. Sintesi delle principali novità

      Occuparsi di in house providing, per gli operatori del settore degli appalti e delle
concessioni, costituisce sempre una sfida piuttosto complessa e in qualche modo                                Aspetti generali
                                                                                                               della questione
rischiosa, per almeno tre ragioni.
      La prima è che si tratta di un argomento dibattutissimo da almeno tre lustri1 e nei
cui confronti (dopo la fase di curiosità iniziale, dopo un periodo – per così dire -
glorioso e uno di profonda crisi) gli operatori del diritto provano ormai solo una diffusa
– e in parte giustificabile – sensazione di refrain.
      La seconda è che, nell’esperienza nazionale, l’approccio del Legislatore e le
stesse analisi dottrinali relativi al fenomeno dell’in house providing non sono risultati
del tutto esenti da una sorta di generalizzato preconcetto di fondo secondo il quale il
ricorso a tale meccanismo rappresenterebbe (in modo più o meno confessabile) un
sinonimo della tendenza - invero, non solo italiana - alla fuga dalla gara.
      La terza ragione è che, nonostante l’in house providing costituisca alle sue origini
un istituto di squisita matrice comunitaria (di fatto, sconosciuto all’esperienza nazionale
almeno fino alla fine degli anni Novanta), l’evoluzione normativa e giurisprudenziale
interna è avvenuta in modo marcatamente autonomo e secondo linee di tendenza spesso
fortemente divergenti rispetto a quelle che hanno caratterizzato l’Ordinamento

(*) Consigliere di Stato.
(**) Il presente contributo costituisce l’estratto di un volume di imminente pubblicazione (C. CONTESSA,
D. CROCCO, Guida alle nuove direttive europee sugli appalti e sulle concessioni).
1
 Non si ritiene qui di offrire un richiamo neppure parziale ai numerosissimi contributi che negli ultimi
quindici anni circa la dottrina ha dedicato al fenomeno dell’in house providing. Appare, tuttavia,
necessario richiamare (in quanto estremamente recente, completo e autorevole) il contributo di C. VOLPE,
L’affidamento in house: situazione attuale e proposte per una disciplina specifica, in: www.giustizia-
amministrativa.it.

                                                            1
europeo2. Ne consegue che trattare del fenomeno in questione nell’ambito di una
disamina che prende le mosse dal diritto europeo può causare fraintendimenti e
incertezze per l’operatore di diritto interno, abituato a guardare all’istituto secondo un
angolo visuale in parte autonomo rispetto a quello europeo.
      Ad ogni modo, l’esame dell’istituto in questione offre ancora oggi notevoli spunti
di interesse sistematico per l’interprete, anche in considerazione del fatto che il
pacchetto ‘appalti/concessioni’ del 2014 sarà certamente in grado di apportare nuova
linfa al dibattito in materia.
      Con il presente paragrafo ci si limiterà a fornire un breve quadro d’insieme sulle                       Sintesi
principali novità che, in tema di in house providing, sono state recate dalle tre direttive                    del contributo
pubblicate lo scorso 28 marzo.
      Nei paragrafi immediatamente successivi ci si soffermerà sulle singole previsioni
delle nuove direttive e sui principali aspetti di novità che le caratterizzano.
      Nel paragrafo finale si tenterà di calare le novità in parola nell’ambito
dell’esperienza giuridica nazionale (nella quale l’evoluzione dell’istituto in esame si è
svolta con modalità del tutto peculiari) e di individuare alcune possibili linee di
tendenza che potrebbero caratterizzare la futura attività di recepimento.
      Ora, la prima rilevante novità che caratterizza il pacchetto ‘appalti/concessioni’                       La disciplina
del 2014 in relazione all’istituto in esame (si tratta dell’articolo 12 della direttiva                        positiva
2014/24/UE – settori classici -, dell’articolo 17 della direttiva 2014/23/UE –                                 dell’in house
concessioni e dell’articolo 28 della direttiva 2014/25/UE – settori speciali -) è costituita                   è di per sé
… dal fatto stesso che si sia reso finalmente possibile dettare disposizioni espresse in                       una novità
tema di in house providing.
      Si tratta, a ben vedere, di un’acquisizione che non era affatto scontata all’avvio
del processo normativo in sede europea (dicembre 2011)3, stanti le profonde divergenze                         I due possibili
di vedute che sussistevano fra (da un lato) la Commissione europea – la quale avrebbe                          approcci alla
                                                                                                               disciplina positiva
preferito sul punto un approccio più rigoroso, interamente riproduttivo della                                  dell’in house
giurisprudenza della Corte di giustizia – e (dall’altro) alcuni Stati membri, fra cui la
Francia, i quali invocavano invece un approccio più aperto ed innovativo, anche se
parzialmente difforme dall’attuale acquis giurisprudenziale.
      Non a caso, la richiamata, netta diversità di posizioni si era già manifestata in
modo evidente in occasione dell’approvazione del ‘pacchetto appalti’ del 2004 e già in
quell’occasione aveva reso impossibile l’approvazione (pure, da più parti auspicata) di
una disposizione che codificasse l’istituto dell’in house4.
      Del resto, anche nella legislazione nazionale (la quale, pure, ha sovente dedicato
attenzione all’istituto in esame), manca ancora oggi una disciplina generale e organica
dell’in house providing e – anzi – in sede di approvazione del ‘Codice de Lise’ fu infine

2
  Lo stesso Legislatore comunitario ha dato atto del carattere frammentato (e talvolta decisamente
contraddittorio) dell’interpretazione fornita nei diversi Stati membri in ordine ai presupposti che
legittimano il ricorso all’in house (e della conseguente confusione applicativa che ne è derivata, al punto
di rendere ineludibile un intervento unificante al livello europeo). Al riguardo, il considerando 31 della
direttiva settori classici 2014/24/UE sottolinea che «la giurisprudenza della Corte di Giustizia
dell’Unione europea [in tema di affidamenti in house] viene interpretata in modo divergente dai diversi
Stati membri e anche dalle diverse amministrazioni aggiudicatrici. E’ pertanto necessario precisare in
quali casi i contratti conclusi nell’ambito del settore pubblico non sono soggetti all’applicazione delle
norme in materia di appalti pubblici».
3
  Ci si riferisce, in particolare, alla proposta di cui al documento della Commissione europea COM
2011(896) def del 20 dicembre 2011.
4
  In particolare, nel corso di esame della proposta di direttiva infine varata con il numero 2004/18/CE
(settori classici) era stato proposto l’inserimento – in seguito respinto – di un articolo 18-bis, rubricato
‘Appalti aggiudicati a entità costituite da amministrazioni aggiudicatrici’, cui era demandato, appunto, il
compito di codificare e disciplinare l’istituto dell’affidamento in regime di delegazione interorganica.

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stralciata dal testo la proposta di disposizione (inizialmente rubricata come articolo 15 –
‘Affidamenti interni’) che avrebbe avuto il compito di definirne i presupposti e le
condizioni legittimanti.
      Occorre fin da subito evidenziare che, nonostante l’iniziale proposta della                         Le fughe in avanti
Commissione europea prendesse le mosse da un approccio – per così dire – minimale                         rispetto all’iniziale
sul tema (proponendosi di disciplinare l’in house attraverso la pura e semplice                           proposta della
traduzione normativa dei principali acquis della giurisprudenza della Corte di giustizia),                Commissione
al contrario, il serrato negoziato svoltosi fra il 2013 e il 2014 ha prodotto numerose – e
rilevanti – fughe in avanti rispetto al modello delineato dalla giurisprudenza UE5.
      Il modello che ne è derivato (un modello – per così dire – ‘di carattere misto’: in                 Il carattere ‘misto’
parte ricognitivo dell’esistente e in parte decisamente innovativo) ha indotto taluni                     del modello
osservatori a dubitare della stessa legittimità in parte qua del risultato normativo finale.              normativo finale:
      Si è infatti osservato che, in tema di in house providing, le direttive                             profili di legittimità
‘appalti/concessioni’ del 2014 si sarebbero ingiustificatamente discostate dalle
insuperabili ipotesi eccezionali che la Corte di Lussemburgo aveva individuato in modo
sostanzialmente tassativo nel corso degli anni, desumendole in via diretta
dall’applicazione dei principi del Trattato di Roma (secondo un modus operandi che il
Legislatore europeo derivato non avrebbe potuto a propria volta ulteriormente
derogare).
      Spetterà, quindi, alla stessa Corte di giustizia stabilire (nell’ambito del controllo
di cui all’articolo 263 del TFUE) se le disposizioni delle direttive 2014 in tema di
‘Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico’ risultino invalide per aver
superato gli ambiti normativi legittimamente esercitabili in sede di formazione europea
derivata.
      Qui di seguito si illustrerà, quindi, in estrema sintesi il contenuto e la struttura                La nozione di
delle disposizioni (invero, sostanzialmente identiche) che le tre direttive dedicano alla                 ‘appalti pubblici tra
materia dell’in house providing (e, più in generale, alla cooperazione verticale ed                       enti nell’ambito del
orizzontale fra soggetti pubblici).                                                                       settore pubblico’
      Occorre premettere che il termine ‘in house providing’ non viene mai utilizzato                     e i suoi significati
nell’ambito delle direttive in esame.
      Al contrario, il testo in rassegna richiama la nozione di ‘appalti pubblici tra enti
nell’ambito del settore pubblico’: si tratta di una nozione onnicomprensiva idonea a
ricomprendere:
      a) sia il fenomeno dell’in house providing in senso proprio;
      b) sia ipotesi che possono essere definite come di ‘quasi-in house’ (come nel
          caso del c.d. ‘in house frazionato’ o del ‘controllo analogo congiunto’ di cui
          al paragrafo 3);
      c) sia – e più in generale – ulteriori forme di cooperazione fra amministrazioni
          pubbliche che non comportano l’istituzione di un organismo gestionale ad hoc
          (si tratta della c.d. ‘cooperazione pubblico-pubblico’)6.
      L’esame che segue sarà svolto sul testo dell’articolo 12 della direttiva settori
classici, ma le considerazioni che saranno svolte sono riferibili in toto anche al testo
dell’articolo 17 della direttiva concessioni e all’articolo 28 della direttiva settori
speciali.
      Il paragrafo 1 dell’articolo 12 disciplina i presupposti e le condizioni sussistendo i              L’art. 12, par. 1
quali può ritenersi che una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato                    e i cc.dd.
                                                                                                          ‘requisiti Teckal’
5
  Sul punto si rinvia al paragrafo successivo.
6
  Si veda sul punto il documento di lavoro della Commissione ‘concernente l’applicazione del diritto UE
in materia di appalti pubblici ai rapporti tra amministrazioni aggiudicatrici (‘Cooperazione pubblico-
pubblico’)’ (documento SEC (2011) 1169 del 4 ottobre 2011).

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(organismo in house) sia posto in rapporto di delegazione interorganica con
un’amministrazione aggiudicatrice, così da consentire la – legittima – assegnazione in
favore di tale organismo di un appalto o di una concessione anche in assenza di una
procedura di gara.
      Si tratta, in definitiva, dei c.d. ‘requisiti Teckal’ (requisito del c.d. controllo
analogo e dell’attività prevalente), che il Legislatore comunitario del 2014 ha tuttavia
ridefinito, discostandosi in parte dalle correnti acquisizioni della giurisprudenza
comunitaria
      Rinviando al prosieguo un’analisi di maggior dettaglio, ci si limita qui ad
anticipare che le principali novità sul punto hanno riguardato: i) la più precisa
definizione dei presupposti del controllo analogo; ii) la possibilità di ammettere il
rapporto di delegazione interorganica anche in caso di società partecipata da soggetti
privati; iii) la fissazione di una soglia quantitativa in relazione al requisito della
prevalenza (in tal modo superando il consolidato orientamento nazionale che aveva
fatto coincidere il requisito della prevalenza con quello della sostanziale esclusività).
      Il paragrafo 2 ha ammesso una particolare figura che può essere definita come di                      L’art. 12, par. 2:
‘in house inverso’7, consentendo che l’aggiudicazione in via diretta (e senza gara) un                      una particolare
appalto o una concessione possa avvenire:                                                                   ipotesi di
      - da parte di un organismo controllato                                                                ‘in house inverso’
      - in favore della sua amministrazione controllante (a condizione che
          quest’ultima non sia partecipata – se non in misura trascurabile – da capitali
          privati) ovvero in favore di un altro soggetto dalla stessa controllato.
      Si tratta, a ben vedere, di un’ipotesi di fatto speculare e rovesciata rispetto allo
schema tipico dell’in house providing, nel cui ambito l’affidamento diretto viene invece
operato nella direzione soggetto controllante / organismo controllato.
      Il paragrafo 3 disciplina una prima forma di affidamento diretto che non                              L’art. 12, par. 3
costituisce in house providing in senso proprio (in quanto non viene svolto in favore di                    e il c.d.
un distinto organismo istituito ad hoc), ma che costituisce comunque una legittima                          ‘in house frazionato’
forma di cooperazione di tipo verticale fra amministrazioni aggiudicatrici.                                 (o pluripartecipato’)
      Si tratta dell’ipotesi del c.d. ‘in house frazionato’ o ‘pluripartecipato’ (o di
‘controllo analogo congiunto’), la quale si realizza nelle ipotesi in cui l’organismo
conferitario dell’appalto o della concessione sia partecipato e controllato
congiuntamente (non da una, ma) da più amministrazioni aggiudicatrici.
      Il paragrafo 4, dal canto suo, disciplina una seconda forma di affidamento diretto                    L’art. 12, par. 4
che non costituisce in house providing: si tratta delle ipotesi di cooperazione di tipo                     e le forme di
orizzontale fra amministrazioni aggiudicatrici che decidono di intrattenere rapporti                        cooperazione
contrattuali di comune interesse, ma senza costituire organismi ad hoc.                                     pubblico-pubblico
      La disposizione in questione presenta evidenti aspetti di intersezione sistematica
con le ipotesi di cui all’articolo 11 (in tema di ‘appalti di servizi aggiudicati in base a
un diritto esclusivo’), la cui portata applicativa è tuttavia limitata agli appalti pubblici di
servizi, secondo uno schema già noto all’esperienza comunitaria (articolo 18 della
direttiva 2004/18/CE) e nazionale (articolo 19, comma 2 del ‘Codice de Lise’ del 2006).

      Il paragrafo 5 ha una funzione – per così dire – ‘metodologica’ in quanto indica in
che modo possano essere determinate le soglie di fatturato rilevanti per verificare il
requisito dell’attività prevalente (c.d. ‘secondo requisito Teckal’).

7
 C. VOLPE, L’affidamento in house, cit. definisce l’ipotesi in esame come ‘in house verticale capovolto’,
sottolineando che la disposizione in rassegna testimoni una sorta di bidirezionalità negli affidamenti in
house.

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2. Il pacchetto ‘appalti/concessioni’ 2014 fra sintesi dell’acquis giurisprudenziale e
fughe in avanti.

       Si è già detto nel paragrafo che precede che la disciplina delle nuove direttive in              L’art. 12
tema di ‘appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico’ (articolo 12 della                 come punto
direttiva settori classici e articolo 17 della direttiva concessioni) costituisce un punto di           di equilibrio/sintesi
                                                                                                        fra istanze
– parziale - equilibrio e sintesi fra:                                                                  divergenti
       - (da un lato) l’approccio estremamente cauto della Commissione europea
           (secondo cui, in sede di disciplina del fenomeno dell’in house, occorreva
           limitarsi a una pura e semplice trasposizione dei principali orientamenti della
           Corte di giustizia, al fine di superare le incertezze applicative causate da prassi
           applicative eccessivamente differenziate nei singoli Paesi) e
       - (dall’altro) le vere e proprie spinte in avanti da parte di alcuni Stati membri –
           Francia in primis – i quali ritenevano che l’adozione di un quadro normativo
           unitario rappresentasse l’occasione per superare i troppo rigidi vincoli imposti
           dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e che il Trattato istitutivo non
           ponesse limiti di sorta a un siffatto superamento.
       Ebbene, se si pone in comparazione l’articolo 11 dell’iniziale proposta della                    Le principali
Commissione europea8 (rubricato ‘Relazione tra amministrazioni pubbliche’) con                          differenze
l’articolo 12 del testo finale della direttiva settori classici, emergono almeno tre                    con l’iniziale
importanti differenze (che corrispondono ad altrettante concessioni alle istanze di minor               proposta della
rigore avanzate dagli Stati membri).                                                                    Commissione
       In particolare, nel testo finale della direttiva:
       1)       è stata diminuita (dal 90 all’80 per cento) la quota di attività che
                l’organismo in house deve svolgere nei confronti o per conto
                dell’amministrazione aggiudicatrice affinché possa sussistere il requisito
                dell’attività prevalente (secondo requisito Teckal);
       2)       è stato ammesso (a determinate condizioni) che l’affidamento in house
                possa avvenire anche in favore di organismi partecipati da capitali privati
                (al contrario, l’iniziale proposta della Commissione europea escludeva in
                radice tale ipotesi, in rigida applicazione della giurisprudenza Parking
                Brixen);
       3)       è stato ammesso il c.d. affidamento in house ‘a cascata’ (si tratta
                dell’ipotesi in cui l’amministrazione ‘A’ esercita un controllo analogo
                sull’amministrazione ‘B’ e questa esercita a propria volta un controllo
                analogo sull’organismo in house ‘C’: in questo caso viene ammesso
                anche l’affidamento diretto dall’amministrazione ‘A’ all’organismo in
                house ‘C’, pure se – formalmente – non sussiste una relazione diretta fra
                le due entità).
       Ora, in tutte le ipotesi appena richiamate (salvo, in parte, quella sub 1)), il testo
finale delle direttive presenta aspetti di novità rispetto ai prevalenti orientamenti della
Corte di Giustizia (e ciò, nonostante il fatto che il considerando 31 della direttiva settori
classici indicasse quali criteri informatori «[i] principi di cui alla pertinente
giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea»).

8
  Si tratta della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici
(documento COM(2011) 896 def del 20 dicembre 2011).

                                                        5
Nel prosieguo9 ci si domanderà se e fino a che punto sia davvero possibile – e
legittimo - che il Legislatore europeo e nazionale estendano (come nel caso delle nuove
direttive) o riducano (come nel caso della più recente normativa nazionale in materia)
l’ambito applicativo dell’in house providing rispetto ai confini delineati dalla
consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE.

3. Il modello ‘classico’ di in house providing (articolo 12, paragrafo 1)

       Il paragrafo 1 dell’articolo 12 della direttiva settori classici (il cui contenuto                L’art. 12, par. 1
coincide di fatto con quello di cui all’articolo 17 della direttiva servizi e che, di seguito            e la sistematizza-
                                                                                                         zione dei cc.dd.
verrà assunto ad oggetto della presente analisi) definisce, portandoli ad ulteriori                      ‘requisiti Teckal’
conseguenze, i cc.dd. ‘requisiti Teckal’.
       Si tratta, come è noto, dei (due) requisiti funzionali e strutturali sussistendo i quali
può ritenersi che il rapporto fra amministrazione aggiudicatrice controllante ed
organismo controllato sia così stringente da far venire meno addirittura un genuino
rapporto di carattere intersoggettivo fra le due entità (a ciò non ostando il ‘velo
societario’10 che solitamente caratterizza l’organismo controllato), ragione per cui
l’affidamento diretto di un appalto o di una concessione viene considerato come una
semplice modalità organizzativa interna all’amministrazione conferente (in quanto tale,
non violativa del diritto europeo, con particolare riguardo ai princìpi in tema di
concorrenza e di libera circolazione).
       Al riguardo, occorre premettere che l’ordinamento europeo prevede che la                          Tutela della
prestazione dei servizi di interesse degli organismi pubblici e l’esercizio delle                        concorrenza
                                                                                                         vs. libertà di
concessioni possa avvenire essenzialmente sulla base di due principi fondamentali (la
                                                                                                         organizzazione
cui contestuale applicazione può comportare rischi di vere e proprie antinomie):
       a) (da un lato) il principio della piena e incoercibile libertà, per i soggetti
           pubblici, di organizzare come meglio ritengono le prestazioni dei servizi di
           rispettivo interesse11, senza che l’Ordinamento europeo possa imporre
           l’adozione di una particolare modalità gestionale (ad es.: il regime di
           affidamento con gara) rispetto a un'altra (ad es.: il regime di internalizzazione
           ed autoproduzione);
       b) (dall’altro) il principio della piena apertura concorrenziale dei mercati degli
           appalti e delle concessioni.
       E’ tuttavia fondamentale osservare (e si tratta di un’osservazione troppo spesso                  Il principio di libera
sottaciuta nel dibattito nazionale) che il principio sub b) presenta una valenza – per così              organizzazione
dire – sussidiaria rispetto al principio sub a) (ossia, rispetto al principio della libertà              è ontologicamente
nella scelta del modello gestionale).                                                                    poziore
       In definitiva, la prima scelta che viene demandata alle amministrazioni è quella di
optare fra il regime di autoproduzione e quello di esternalizzazione (modelli che
risultano posti dall’Ordinamento europeo su un piano di assoluta equiordinazione) e,
solo se si sia optato per il secondo di tali modelli, incomberà sull’amministrazione
l’obbligo di operare nel pieno rispetto dell’ulteriore principio della massima
concorrenzialità fra gli operatori di mercato.

9
  Si rinvia sul punto al paragrafo 7.
10
   Sul punto, cfr. A. BARTOLINI, La società in house perde il corporate veil: un ritorno all’organo-
impresa, in: Giur. It., fasc. 8-9/2014, p. 1988, ss.
11
   Si tratta del ‘Principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche’, espressamente sancito
dall’articolo 2 paragrafo 1 della direttiva concessioni. Sul punto, cfr. infra.

                                                         6
Tale premessa – apparentemente scontata – risulta invece del tutto necessaria al                      Il modello
fine di sgomberare il campo da un convincimento tanto diffuso nell’esperienza                               dell’autoproduzione
nazionale, quanto – ad avviso di chi scrive – non condivisibile: quello secondo cui                         costituisce davvero
l’internalizzazione e l’autoproduzione (di cui l’in house providing rappresenta una delle                   un’eccezione?
forme principali) costituirebbero altrettante eccezioni rispetto al modello paradigmatico
costituito dall’affidamento a terzi tramite gara, in quanto tali considerate con
sostanziale sfavore da parte dell’Ordinamento europeo.
      In realtà, la corretta impostazione della questione impone un ribaltamento
pressoché integrale di tale prospettiva: è la scelta nel senso dell’autoproduzione (anche
attraverso il modello dell’in house providing) che, laddove legittimamente esercitata,
impedisce sul piano sistematico ed operativo di invocare il ricorso al modello di
apertura alla concorrenza al mercato.
      Il principio in parola è stato a più riprese riaffermato dalla giurisprudenza della                   La giurisprudenza
Corte di Lussemburgo, la quale ha chiarito che l’Ordinamento comunitario non pone                           in materia
                                                                                                            della Corte
alcun limite alla libertà per le Amministrazioni di optare per un modello gestionale di                     di giustizia
autoproduzione, piuttosto che su un modello di esternalizzazione.
      In tal senso la Corte di giustizia si era già espressa nell’aprile del 200612 su un
rinvio pregiudiziale del T.A.R. della Puglia in relazione alla normativa nazionale allora
vigente (articolo 113, comma 5 del Testo unico degli enti locali del 2000, per come
modificato dall’articolo 14 del decreto-legge n. 269 del 2003) la quale consentiva alle
amministrazioni di optare liberamente – e in modo sostanzialmente paritario - per il
modello dell’affidamento tramite gara piuttosto che per l’affidamento a un organismo
in house: nell’occasione la Corte aveva già chiarito che l’Ordinamento comunitario non
osta a una normativa nazionale (quale quella italiana al tempo vigente) la quale ponga i
due richiamati modelli su un piano di sostanziale parità, demandando poi alla singola
amministrazione l’opzione per l’uno o l’altro di essi.
      Nel giugno del 2009, poi, la Grande Sezione della Corte ha inoltre ribadito il
principio in questione in termini ancora più chiari, affermando che «un’autorità
pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante
propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti
ai propri servizi e [può] farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche»13.
      E il medesimo principio è stato ulteriormente ribadito al considerando 5 della
direttiva settori classici, secondo cui «è opportuno rammentare che nessuna
disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a
esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare
con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva»14.
      Nel medesimo senso depone, inoltre, l’articolo 2 della direttiva concessioni                          L’art. 2 della
(significativamente rubricato ‘Principio di libera amministrazione delle autorità                           direttiva concessioni
pubbliche’), il quale riconosce in modo espresso la possibilità per le amministrazioni di                   conferma il
                                                                                                            principio di
                                                                                                            equiordinazione
12
   Sentenza 6 aprile 2006 in causa C-410/04 (ANAV).
13
   In tal senso, la sentenza della Grande Sezione in data 9 giugno 2009, in causa C-480/06, la quale
richiama – peraltro – quanto già espresso dai Giudici di Lussemburgo con la sentenza Coditel Brabant
del novembre 2008.
14
   In termini ancor più espliciti si è espressa la Commissione europea nella Comunicazione interpretativa
sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati
pubblico-privati istituzionalizzati – PPPi (documento C(2007)6661 del 5 febbraio 2008). Nel documento
in parola, la Commissione europea ha chiarito che «nel diritto comunitario, le autorità pubbliche sono
(…) libere di esercitare in proprio un'attività economica o di affidarla a terzi, ad esempio ad entità a
capitale misto costituite nell'ambito di un partenariato pubblico-privato. Tuttavia, se un soggetto
pubblico decide di far partecipare un soggetto terzo all'esercizio di un'attività economica a condizioni
che configurano un appalto pubblico o una concessione, è tenuto a rispettare le disposizioni del diritto
comunitario applicabili in materia».

                                                           7
espletare i compiti di rispettivo interesse pubblico: i) avvalendosi delle proprie risorse,
ovvero ii) in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici, ovvero – ancora iii)
mediante conferimento ad operatori economici esterni.
      E’ fondamentale osservare al riguardo che la direttiva in parola pone le tre
modalità in questione su un piano di integrale equiordinazione, senza riconoscere alla
modalità sub iii) valenza – per così dire – paradigmatica e, correlativamente, senza
riconoscere alle modalità sub i) e ii) valenza eccettuale o sussidiaria15.
      Ad avviso di chi scrive, la premessa in questione risulta necessaria al fine di
evitare ex ante qualunque possibile confusione (peraltro, piuttosto frequente) fra:
      - (da un lato) il modello stesso dell’in house providing il quale – costituendo
          null’altro, se non una modalità del tutto legittima dell’altrettanto legittimo
          modello dell’autoproduzione – non può essere considerato in se un’eccezione
          rispetto al modello dell’esternalizzazione e
      - (dall’altro) i presupposti e le condizioni che devono ricorrere perché si possa
          dire realizzata nel singolo caso un’ipotesi di delegazione interorganica (si
          tratta dei ben noti ‘requisiti Teckal’) i quali – al contrario – devono essere
          esaminati in modo estremamente rigoroso, per evitare che il richiamo a un
          modello del tutto legittimo e dotato di piena dignità al livello UE possa
          prestarsi a ricadute applicative di carattere elusivo con aggiramento
          dell’obbligo di gara.
      In definitiva, è l’esame sulla ricorrenza dei requisiti Teckal a dover essere
condotto in modo particolarmente rigoroso (e talvolta decisamente diffidente), mentre
analoga diffidenza non dovrebbe investire anche la scelta di ricorrere al modello di
autoproduzione in quanto tale.
      Si è talora eccepito al riguardo: a) che il principio dell’autorganizzazione, laddove                Critiche alla tesi
va ad incidere sul concomitante principio della concorrenza, risulterebbe di fatto                         qui esposta.
cedevole, non potendo la sua affermazione condurre a una chiusura al mercato; b) che                       Obiezioni
l’approccio in parola sarebbe confermato dall’articolo 106, paragrafo 2 del TFUE,
secondo cui le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico
generale (SIEG) o aventi carattere di monopolio fiscale sono comunque sottoposte alle
norme dei Trattati (e, in particolare, alle regole di concorrenza) nei limiti in cui
l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in via di diritto o di fatto, della
specifica missione loro affidata.
      Ad avviso di chi scrive, le due osservazioni/eccezioni non possono essere
condivise.
      Quanto all’osservazione sub a), potrebbe discutersi all’infinito se un’opzione
organizzativa del tutto legittima e insindacabile (laddove correttamente esercitata),
quale quella dell’autoproduzione, possa essere definita davvero un’eccezione alla
regola dell’apertura concorrenziale.
      E, in caso affermativo, occorrerebbe domandarsi quale sia l’effettivo valore
aggiunto, dal punto di vista sistematico, derivante dall’aver relegato la scelta
dell’autoproduzione al rango di eccezione (se non quello di rassicurare l’inconfessata
diffidenza che il fenomeno dell’in house in quanto tale – e non solo le sue derive
deteriori – reca sovente con sé).
      Tuttavia, riguardando i termini della questione sotto l’aspetto dell’effettività
(tipico delle indagini di matrice europea), ci si rende ben presto conto che non conduce

15
   L’approccio in questione è stato recentemente confermato dal Consiglio di Stato (Sez. V, 10 settembre
2014, n. 4599) il quale ha statuito che l’in house providing, lungi dal configurarsi quale modalità di
affidamento e gestione di carattere eccezionale e subvalente, rappresenta – al contrario – una delle tre
(parimenti legittime) opzioni a tal fine perseguibili (autoproduzione, cooperazione pubblico-pubblico,
esternalizzazione).

                                                          8
ad alcun effetto pratico la qualificazione (peraltro, ad avviso di chi scrive, non
condivisibile) dell’in house providing come eccezione.
     Certamente non può ritenersi (come pure talvolta sostenuto) che l’astratta
possibilità di conferire un appalto o una concessione sul mercato implichi ex se
l’impossibilità o il divieto di ricorrere al meccanismo dell’autoproduzione. Una siffatta
affermazione si porrebbe in evidente contrasto con il consolidato orientamento della
Corte di giustizia (di cui l’articolo 2 della direttiva concessioni rappresenta la puntuale
traduzione normativa) relativo all’incoercibile scelta per le amministrazioni di optare
fra modelli gestionali del tutto equiordinati.
      Né può ritenersi che la tesi della sostanziale prevalenza del principio di                              Gli argomenti
concorrenza su quello di libertà di organizzazione rinvenga una conferma nella                                desumibili
previsione di cui all’articolo 106, paragrafo 2 del TFUE.                                                     dall’art. 106, par. 2
      Al riguardo ci si limita ad osservare:                                                                  del TFUE
      - che la disposizione in questione risulta limitata al solo settore dei SIEG
          (ragione per cui è comunque arduo affermarne la riferibilità anche alla materia
          degli appalti, che rinviene un diverso fondamento giuridico nel Trattato di
          Roma);
      - che l’esame dell’articolo 106, cit., a ben vedere, conduce a conclusioni affatto
          opposte rispetto a quelle qui esaminate. Ed infatti, dalla lettura della
          disposizione in questione16 emerge che è l’applicazione delle regole di
          concorrenza a risultare di fatto subvalente e cedevole rispetto al
          perseguimento della mission di servizio pubblico, di cui il principio di libera
          amministrazione costituisce un corollario.
                                                                                                              I requisiti Teckal
      Tanto premesso dal punto di vista sistematico, è ora possibile esaminare più in                         nella disciplina
dettaglio il modo in cui il Legislatore europeo ha da ultimo declinato e disciplinato i                       positiva del 2014
due requisiti in house (si tratta di quelli, ben noti, del controllo analogo e dell’attività
prevalente).
      Ora, le lettere a) e c) del paragrafo 1 sono dedicate al primo requisito Teckal (e                      Il c.d. ‘primo
rispondono alla domanda: in quali casi si può affermare che fra un’amministrazione                            requisito Teckal’
aggiudicatrice e un organismo dalla stessa controllato sussista un controllo analogo a
quello esercitato dalla prima sui suoi servizi interni?)
      Ebbene, la disposizione in esame individua a tal fine due presupposti/condizioni
(uno dei quali risulta pienamente ricognitivo dell’acquis giurisprudenziale della Corte
di Lussemburgo, mentre l’altro risulta piuttosto innovativo):
      - il primo presupposto/requisito del controllo analogo è quello del controllo
          strutturale e funzionale sull’attività dell’organismo controllato. Al riguardo, il
          secondo comma del paragrafo 1 della direttiva ha affermato (in modo
          ampiamente ricognitivo della giurisprudenza in materia)17 che «si ritiene che
          un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un
          controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lettera a)

16
   «Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di
monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei
limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della
specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura
contraria agli interessi dell'Unione».
17
   Ci si riferisce, in particolare, al punto 65 della sentenza Parking Brixen del 13 ottobre 2005 (in causa
C-458/03) il cui testo viene in parte qua riprodotto in modo pressoché testuale. A conclusioni del tutto
analoghe la Corte di Lussemburgo era altresì pervenuta con la sentenza dell’11 maggio 2006 in causa C-
340/04 (Carbotermo). Da ultimo la Corte ha ulteriormente chiarito che il controllo esercitato
dall’amministrazione aggiudicatrice deve risultare effettivo, strutturale e funzionale (in tal senso, la
sentenza 29 novembre 2012 in cause congiunte C-182/11 e C-183/11- Econord).

                                                            9
qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici
          che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata»18. In tal
          modo, il Legislatore europeo ha – per così dire – ‘chiuso il cerchio’ di un
          dibattito piuttosto vivace19 relativo al se il controllo analogo dovesse essere
          inteso come controllo di tipo strutturale sulla società in house, ovvero come
          controllo sull’attività dalla stessa svolta20 (si tratta di un dibattito invero in
          larga parte già risolto dalla giurisprudenza della Corte, la quale aveva optato
          sul punto per una soluzione di massimo rigore applicativo, richiedendo – di
          fatto - la sussistenza di entrambi i requisiti);
      - il secondo presupposto/requisito del controllo analogo riguarda la vexatissima                         Controllo analogo
          quaestio della compatibilità fra il modello in house e la partecipazione                             e partecipazione
          nell’organismo controllato da parte di capitali privati. Sul punto, la nuova                         di soggetti privati
          direttiva opera una cauta (ma non meno importante) apertura rispetto al
          passato, imponendo quale condizione per la sussistenza del primo requisito
          Teckal, «[il fatto che] nella persona giuridica controllata non vi [sia] alcuna
          partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di
          partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di
          veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei
          trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica
          controllata».
      Come è evidente, la previsione in questione risulta indubbiamente innovativa sia
rispetto a un consolidato acquis giurisprudenziale nazionale (secondo il quale anche
una partecipazione del tutto minoritaria di capitali privati nella compagine societaria
sarebbe idonea a compromettere ex ante qualunque possibilità di configurare un
rapporto di delegazione interorganica)21, sia rispetto all’iniziale proposta normativa
della Commissione europea22, secondo cui l’affidamento diretto avrebbe potuto essere

18
    Come si è già anticipato in precedenza, la parte finale del paragrafo 1, primo comma, ammette
l’affidamento diretto anche nelle ipotesi di c.d. ‘in house a cascata’. Si tratta (come già anticipato al
paragrafo 2) dell’ipotesi in cui l’amministrazione ‘A’ esercita un controllo analogo sull’amministrazione
‘B’, la quale esercita a propria volta un controllo analogo sull’organismo in house ‘C’: in tali ipotesi
viene ammesso l’affidamento diretto da parte dell’amministrazione ‘A’ in favore dell’organismo in house
‘C’, anche se – dal punto di vista solo formale – non sussiste una relazione diretta fra le due entità in
parola.
19
   Sul punto, D. CASALINI, L'organismo di diritto pubblico e l'organizzazione in house, Napoli, 2009,
passim.
20
    Sul punto, v. A. CASSATELLA, Partecipazione ‘simbolica’ alle società in house e requisito del
controllo analogo, in: Giur. It., fasc. 7/2014, 2588, ss. L’Autore si sofferma sul dibattito
giurisprudenziale nazionale che si era soffermato sul se il requisito del controllo analogo dovesse essere
indagato in base a elementi di carattere funzionale, ovvero di tipo dominicale.
21
   Sul punto ci si limita a richiamare quanto stabilito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 3
marzo 2008, n, 1, secondo cui è da considerare illegittimo l’affidamento diretto di un servizio pubblico in
favore di una società mista composta da amministrazioni pubbliche e da soci privati, persino nell’ipotesi
in cui questi ultimi siano stati scelti con una procedura a evidenza pubblica. Nell’occasione, l’Adunanza
plenaria aveva affermato che, da un lato, l’affidamento diretto a una società priva dei requisiti Teckal non
diviene legittimo per il solo fatto che il socio privato sia stato scelto tramite procedura a evidenza
pubblica e che, dall’altro, in presenza di una società avente un oggetto plurimo e variegato dal punto di
vista qualitativo, non può affermarsi che l’individuazione con gara del socio, effettuata ‘a monte’ della
costituzione della società, sia idonea a garantire i medesimi effetti di una pubblica gara da svolgersi con
riferimento al singolo servizio. Sul punto, ci si limita soltanto ad osservare che l’approccio così rigoroso
del Consiglio di Stato è stato superato dalla Commissione europea dopo un breve lasso di tempo (ci si
riferisce alla Comunicazione della CE sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e
delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) del 5 febbraio 2008 – ma
pubblicata solo il successivo 12 aprile -).
22
   Si tratta dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera c) del documento COM(2011) 896 def del 20 dicembre
2011.

                                                           10
consentito, ma solo a condizione che «nella persona giuridica controllata non vi [fosse]
alcuna partecipazione privata»
      E’ noto, del resto, che la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia avesse                          La partecipazione
mantenuto sino a tempi piuttosto recenti un atteggiamento di estremo rigore (e di vera e                        dei soggetti privati
propria diffidenza) circa la possibilità di coniugare l’affidamento diretto con il carattere                    e la giurisprudenza
                                                                                                                della CGCE
misto della compagine societaria.
      Ed infatti, con la sentenza Stadt Halle del gennaio 200523, la Corte di giustizia
aveva affermato che il requisito del controllo analogo può configurarsi solo in caso di
partecipazione pubblica totalitaria alla compagine sociale («la partecipazione, anche
minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche
l’amministrazione aggiudicatrice in questione esclude in ogni caso che tale
amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che
essa esercita sui propri servizi»24).
      Inoltre, con la successiva sentenza Parking Brixen dell’ottobre 2005 (la quale
rappresenta, in qualche misura, l’apice della diffidenza dei Giudici di Lussemburgo nei
confronti del modello in house), la Corte ebbe a precisare che la partecipazione
pubblica totalitaria costituisce condizione necessaria ma non sufficiente perché possa
affermarsi la sussistenza del requisito del controllo analogo.
      Ed infatti, pure a fronte di società interamente partecipate da un Ente pubblico, è
ben possibile che ulteriori fattori strutturali o organizzativi siano in grado di incidere in
modo negativo sulla possibilità per l’Ente stesso di esercitare un’influenza determinante
(in quel caso, la Corte individuò quale fattore ostativo la presenza di un Organo sociale
– il CdA – dotato di ampi poteri gestionali)25.
      Ebbene, la nuova direttiva presenta sul punto alcuni aspetti di indubbia novità.                          Aspetti di novità
      La logica di fondo sottesa in parte qua all’articolo 12 della direttiva settori                           della direttiva
classici è quella secondo cui non sempre la partecipazione di capitali privati alla                             del 2014
compagine dell’organismo controllato è idonea a far venire meno il requisito del
controllo analogo.
      Al contrario, una siffatta partecipazione risulterà non ostativa alla configurazione
di un controllo analogo (e a un affidamento diretto) a due condizioni:
      1)       che la partecipazione di capitali privati non sia tale da determinare
               situazioni di controllo o poteri di veto in favore degli stessi soci privati,
               consentendo loro di esercitare un’influenza determinante sulla società;
      2)       che tale partecipazione sia prescritta da espresse disposizioni di legge e
               non si ponga in contrasto con gli obiettivi comuni dei Trattati.
     La previsione è di quelle idonee a far discutere ed è evidente che la sua
formulazione abbia rappresentato una (rilevante) concessione alle spinte di maggiore
apertura provenienti da numerosi Stati membri.

23
   Sentenza in data 11 gennaio 2005 in causa C-26/03.
24
   Punto 49 della motivazione.
25
   Il principio di diritto enunciato nell’occasione dalla Corte era il seguente: «gli artt. 43 CE e 49 CE
nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza devono essere
interpretati nel senso che ostano a che un’autorità pubblica attribuisca, senza svolgimento di pubblica
gara, una concessione di pubblici servizi a una società per azioni nata dalla trasformazione di
un’azienda speciale della detta autorità pubblica, società il cui oggetto sociale è stato esteso a nuovi
importanti settori, il cui capitale dev’essere a breve termine obbligatoriamente aperto ad altri capitali, il
cui ambito territoriale di attività è stato ampliato a tutto il paese e all’estero, e il cui Consiglio di
amministrazione possiede amplissimi poteri di gestione che può esercitare autonomamente». Sul punto,
sia consentito rinviare a C. CONTESSA, Servizi pubblici locali ed evoluzione giurisprudenziale: quale
futuro per il modello societario?, in: Il Corriere del Merito, fasc. 12/2005.

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Probabilmente, la Corte di giustizia sarà in futuro chiamata a pronunciarsi in
ordine alla conformità con i Trattati di tale disposizione, per la parte in cui esclude
dall’ambito di applicazione della normativa uniforme in materia di appalti e concessioni
questo tipo di affidamenti diretti, disposto – in ultima analisi – in favore di società che
non presentano i genuini requisiti di una delegazione interorganica26.
      La previsione normativa di (cauta) apertura ai capitali privati in società affidatarie             Alcuni interrogativi
dirette di appalti e concessioni suscita almeno tre interrogativi, che possono essere così               sul punto
compendiati:
      1)       è possibile, nelle ipotesi di cui all’articolo 12, paragrafo 1 della direttiva,
               individuare una percentuale/quota massima di partecipazione societaria
               superata la quale l’influenza determinante del socio privato può
               comunque considerarsi presunta (e l’affidamento diretto risultare
               vietato)?;
      2)       le particolari ipotesi di società ‘in house’ di cui alla disposizione in
               esame sono o non sono società miste ai sensi del diritto europeo e
               nazionale?;
      3)       nelle ipotesi in questione la scelta del socio privato necessita il previo
               espletamento di una gara?

       Ebbene, quanto al primo quesito, si deve prendere atto che il Legislatore                         Prima questione:
comunitario del 2014 ha omesso di fissare una soglia partecipativa oltre la quale                        la soglia
l’influenza determinante del socio privato deve essere comunque presunta.                                partecipativa
       E la lacuna in questione non può certamente considerarsi casuale (o frutto di una
dimenticanza), se solo si consideri che lo stesso articolo 12 ha fissato in modo puntuale
la soglia percentuale di fatturato (80 per cento) al di sotto della quale non può dirsi
sussistente il requisito dell’attività prevalente (c.d. secondo requisito in house).
       Ora, se la scelta di non fissare una soglia parametrica può risultare condivisibile
(al fine di riservare l’indagine sul carattere determinante dell’influenza del socio privato
a elementi di ordine qualitativo)27, allo stesso tempo non può negarsi che l’assenza di
un parametro certo e il richiamo a un concetto giuridico di fatto indeterminato (come
quello dell’influenza determinante, appunto) sono fattori potenzialmente forieri di
possibili incertezze in fase applicativa.
      Per quanto riguarda il secondo e il terzo quesito (che, a ben vedere, meritano un                  Le ipotesi in esame
esame congiunto) la risposta in termini di diritto comunitario può sembrare                              sono forme di
apparentemente agevole a condizione di considerare la particolare tipologia di società                   società miste?
con partecipazione di capitali privati di cui all’articolo 12 della direttiva settori classici
alla pari di una qualunque società mista (e, quindi, quale forma di partenariato
pubblico-privato istituzionalizzato (PPPi) ai sensi della Comunicazione interpretativa
della Commissione europea del febbraio 2008).
      In tale ipotesi si dovrà ritenere (conformemente al punto 2.2. della
Comunicazione) che il partner privato vada selezionato nell'ambito di una procedura ad
evidenza pubblica la quale avrà ad oggetto – allo stesso tempo - sia l’affidamento
dell’appalto pubblico o la concessione da aggiudicare alla società, sia il contributo
operativo del partner privato all’esecuzione di tali prestazioni e/o il suo contributo
amministrativo alla gestione dell'entità a capitale misto.

26
  Sul punto si rinvia a quanto si esporrà infra, al paragrafo 7.
27
   Un’ulteriore ragione in favore della scelta di non fissare un rigido valore/soglia ai fini della
partecipazione del socio privato è rappresentata dalla finalità di impedire fenomeni di elusione che
potrebbero essere agevolmente realizzati semplicemente mantenendo la partecipazione appena al di sotto
del limite legale.

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Tuttavia, dall’esame dell’articolo 12 della direttiva settori classici non è agevole                        Dubbi applicativi
comprendere:
       - se davvero il Legislatore comunitario abbia inteso limitarsi a richiamare una
           forma piuttosto nota di PPPi quale la società mista (ma, in questo caso, non si
           comprenderebbe come sia possibile coniugare l’assenza di una gara per
           l’affidamento con le note previsioni della Comunicazione della CE del
           febbraio 2008 la quale – al contrario – postula l’esperimento di una gara per la
           selezione del socio privato e l’affidamento dell’appalto o del servizio), ovvero
       - se – come appare maggiormente plausibile - il Legislatore comunitario abbia
           inteso delineare con l’articolo in esame una tipologia del tutto nuova di
           affidamento in favore di società partecipata da soggetti privati, la quale –
           tuttavia – non si configura come un PPPi (ma in questo caso è fin troppo
           evidente il rischio di sovrapposizioni e confusioni sistematiche fra i due
           modelli, sia perché il modello di affidamento di cui all’articolo 12, cit.
           presenta l’indubbio vantaggio dell’assenza di una gara – e potrebbe quindi
           indurre a comportamenti opportunistici -, sia perché, come si è già esposto,
           l’articolo in esame lascia ampi margini di incertezza circa gli effettivi confini
           applicativi di questa particolarissima tipologia di affidamento).
       Ad avviso di chi scrive, la dottrina e la giurisprudenza dovranno chiarire al più
presto tali confini applicativi per evitare che – soprattutto in vista dell’imminente
recepimento del pacchetto appalti/concessioni del 2014 – si introducano
nell’ordinamento nuovi e ulteriori elementi di incertezza soprattutto per quanto riguarda
il delicatissimo settore degli affidamenti di servizi pubblici locali.
       Si può ora passare ad esaminare l’articolo 12, paragrafo 1, lettera b) dell’articolo                        L’art. 12,
12 il quale si sofferma sul secondo requisito Teckal (quello c.d. dell’attività prevalente)                        par. 1, lett. b)
e stabilisce che l’affidamento diretto sia possibile «[a condizione che] oltre l’80% delle                          e il c.d. ‘secondo
                                                                                                                   requisito Teckal’
attività della persona giuridica controllata [siano] effettuate nello svolgimento dei
compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre
persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi».
       Il successivo paragrafo 5 specifica in quale modo vada computata la quota dell’80
per cento.
       Viene specificato, al riguardo, che occorre prendere in considerazione il fatturato
totale medio dell’attività dell’organismo aggiudicatario o, in alternativa, «una idonea
misura [basata] sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o
amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei
lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto»28.
       Ebbene, anche per quanto riguarda il secondo requisito Teckal, il testo da ultimo                           La disciplina
approvato reca rilevanti aperture e concessioni rispetto alla proposta iniziale della                              positiva del
Commissione europea29, in tal modo recependo – almeno in parte – le spinte di                                      ‘secondo requisito’
numerosi Stati membri nel senso del riconoscimento di maggiori margini operativi.                                  e le aperture
                                                                                                                   della nuova direttiva
       Al riguardo si osserva:

28
   Il secondo comma del paragrafo 5 si propone di adattare il principio in questione per le ipotesi in cui la
misura dei dati relativi ai tre anni antecedenti l’aggiudicazione dell’appalto non sia disponibile o non sia
più pertinente. Per tali ipotesi viene stabilito che, al fine di rendere legittimo l’affidamento diretto, sia
sufficiente dimostrare (vi è da ritenere, senza particolari vincoli di forma) che la misura dell’attività sia in
concreto credibile.
29
    Nella proposta iniziale dell’Esecutivo comunitario, il secondo requisito Teckal era così delineato:
«almeno il 90% delle attività [dell’organismo controllato] sono effettuate per l’amministrazione
aggiudicatrice controllante o per altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione
aggiudicatrice di cui trattasi».

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-   che la previsione trasfusa nel testo finale supera l’orientamento (del tutto
           prevalente nella giurisprudenza nazionale a talvolta affermato dalla stessa
           Corte di giustizia) secondo cui il secondo requisito Teckal potrebbe dirsi
           sussistente soltanto laddove l’organismo controllato realizzi in regime di «in
           regime di quasi esclusività, dal punto di vista quantitativo e qualitativo»30 le
           proprie attività nei confronti dell’Ente conferente. Ed infatti, la fissazione di
           una soglia di attività elevata (ma non elevatissima) lascia comunque residuare
           apprezzabili margini di operatività per l’organismo controllato. A questo
           punto occorre domandarsi se, in sede di recepimento, il Legislatore nazionale
           intenderà avvalersi degli indubbi margini di flessibilità offerti dalla
           disposizione richiamata, ovvero se – proseguendo sulla scia dei recenti
           orientamenti di politica legislativa – preferirà mantenere un regime di
           accentuato sfavore nei confronti dello svolgimento di attività sul mercato da
           parte degli Organismi in house e delle società miste31;
       -   che la medesima previsione comporta altresì il superamento del dibattito –
           svoltosi anche in ambito nazionale – sul se, ai fini del secondo requisito
           Teckal, ‘la parte più importante dell’attività’ dell’organismo in house fosse da
           riferire alle attività svolte nei confronti dell’Ente conferente, ovvero alle
           attività svolte per conto di tale Ente. E’ infatti evidente che la formulazione
           finale del testo sia di ampiezza tale da ricomprendere entrambi i profili,
           peraltro in base a indicazioni già desumibili dalla sentenza Carbotermo del
           maggio 200632;
       -   che, anche nel caso del secondo requisito Teckal, l’articolo 12 della direttiva
           ha ammesso che esso possa essere indagato sulla base di un meccanismo ‘a
           cascata’, a tal fine esaminando: i) non solo gli affidamenti disposti
           direttamente dall’Ente controllante, ii) ma anche gli affidamenti disposti «da
           altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di
           cui trattasi». Ancora una volta si tratta di una previsione il cui effetto è nel
           senso di ampliare il capo applicativo dell’in house providing.

30
    In tal senso: CGCE, sentenza 11 maggio 2006 in causa C-340/04 – Carbotermo.
31
    Il riferimento va all’articolo 13 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, secondo cui «al fine di evitare
alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le
società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e
locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti
dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, debbono
operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore
di altri soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara, e non possono partecipare ad
altre società o enti». Sul punto, sia consentito richiamare C. CONTESSA, Ancora sul divieto di attività
extra moenia delle società degli Enti locali: verso una nuova nozione di ‘strumentalità’?, in: Urbanistica
e appalti, fasc. 4/2010.
 32
     La sentenza in questione (punti 66 e 67) ha chiarito al riguardo che «le attività di un’impresa
aggiudicataria da prendere in considerazione sono tutte quelle che quest’ultima realizza nell’ambito di
un affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice, indipendentemente dal fatto che il
destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o l’utente delle prestazioni.
 67. Non è rilevante sapere chi remunera le prestazioni dell’impresa in questione, potendo trattarsi sia
dell’ente controllante sia di terzi utenti di prestazioni fornite in forza di concessioni o di altri rapporti
giuridici instaurati dal suddetto ente. Risulta parimenti ininfluente sapere su quale territorio siano
erogate tali prestazioni».

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