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L’illiberale                       censura               di
Facebook
L’illiberale censura di Facebook
di Davide Vairani⌋”La Croce”quotidiano⌋18 Aprile 2018

Il fattaccio di Cambridge Analytica rompe l’idillio del social
di Mark Zuckerberg come arcadia dei diritti: qual è la posta
in gioco.

Quante volte è capitato a ciascuno di noi (Mario Adinolfi
docet, in materia) di pubblicare una immagine o un contenuto
in post di Facebook e dopo poco tempo vederseli rimossi con
messaggi del tipo: “Abbiamo rimosso il contenuto che hai
pubblicato perché non rispetta gli Standard delle comunità di
Facebook”?

   E – se ci riprovi – trovarti fuori gioco dal social network
    di Zuckerberg accompagnato da un bel: “E’ stato applicato
un blocco temporaneo al tuo account. Ti è stato
temporaneamente impedito di pubblicare contenuti su Facebook
per le prossime 24 ore. Leggi i nostri Standard della comunità
per capire cosa è consentito su Facebook e garantire la
conformità del tuo account”?

In Facebook si può postare di tutto, dalle farfalline tatuate,
ai messaggi osceni, all’istigazione al suicidio, al
ciberbullismo, alle natiche dei vip o dei bimbiminkia, a
bestemmie di qualsiasi intensità, ma non contenuti che si
richiamino – esplicitamente o meno – ad argomenti e temi
“cristiani”.

Colpa degli algoritmi alchemici e misteriosi? No. Si tratta di
una scelta ben precisa: censura.

Il sospetto ce l’avevamo. Ora ne abbiamo la certezza.

Sull’onda lunga dello scandalo che ha travolto la sua azienda
per l’affaire della violazione dei dati sensibili di oltre 87
milioni di profili Facebook da parte della società di
consulenza Cambridge Analitica, il fondatore di Facebook è
stato torchiato dalla Camera e dal Senato americani in cerca
di spiegazioni in merito, con particolare riferimento alle
ultime elezioni politiche.

Pochi sanno che, durante le cinque ore nelle quali Mark
Zuckerberg ha provato a difendersi al Senato americano, si è
scoperchiato il vaso di Pandora sulle censure a contenuti e
messaggi “cristiani”.

Lo ha rivelato nei giorni scorsi “Crux”, un network cattolico
americano molto seguito (in “Facebook CEO apologizes for
‘mistake’ of blocking Catholic content, di Courtney Grogan”,
12 aprile 2018).

Che cosa è successo? Il senatore texano Ted Cruz ha affrontato
Zuckerberg sul tema pregiudizi e censura di contenuti politici
e religiosi sulla sua piattaforma tecnologica. Ha citato – tra
i vari – tre episodi in particolare.

Il primo. A luglio 2017, il “National Religious Broadcasters”
(piattaforma gestita dalle chiese evangeliche americane) ha
riferito che Facebook ha bloccato 25 pagine cattoliche in
inglese e portoghese. Più tardi Facebook si è scusata,
sostenendo che l’errore era stato dovuto ad un
malfunzionamento informatico piuttosto che ad un intento
malevolo.
Il secondo. All’inizio di quest’anno, un altro gruppo
cattolico ha dichiarato che stava subendo ritardi senza motivi
nell’approvazione di contenuti di raccolta fondi a sostegno
delle vocazioni durante il periodo natalizio. Anche in questo
caso, Facebook si è scusata.

Il terzo. L’Università francescana di Steubenville sì è vista
respingere un annuncio pubblicato su Facebook perché conteneva
“contenuti scioccanti, contenuti sensazionali, contenuti
eccessivamente violenti”. Qual era l’immagine offensiva? La
croce di San Damiano. Gesù nella gloria, regnante dal suo
trono crocifisso. Una immagine che l’Università aveva usato
per promuovere due dei corsi di laurea online della scuola –
in teologia e catechetica ed evangelizzazione.

Di fronte all’incalzare di Cruz, Mr. Facebook ha detto:
“Abbiamo fatto degli errori, ma non c’era alcun intento
malevole o pregiudiziale”.

E come mai, invece, Facebook non dice nulla rispetto a
pubblicità e contenuti promossi da aziende e realtà come
“Planned Parenthood” o “MoveOn.org”, che guadagnano soldi con
la pratica dell’utero in affitto? L’amministratore delegato di
Facebook ha dichiarato di non essere a conoscenza di questi
fatti.

Pressato     dal   senatore   Cruz,    Zuckerberg    ha   poi
affermato:“Facebook e l’industria tecnologica si trovano nella
Silicon Valley, luogo estremamente incline alla sinistra“, ma
si impegna a “fare in modo di non avere pregiudizi”.

Capito?    “Businnes is businnes”. Chi più paga (non solo in
termini    di denaro) più ottiene favoritismi. Evidentemente
essere    cattolici non conviene a molti e soprattutto non
procura   denaro facile.

Curioso il fatto che i nostrani difensori della libertà ad
ogni costo, dei “Je suis Charlie Hebdo” per intenderci, non
abbiamo mai battuto ciglia. Eppure anche in Italia la censura
scientemente voluta da Facebook nei confronti di immagini e
contenuti cristiani non si è risparmiata. Anche perché è
importante tenere presente che Facebook non è una macchina,
non è un robot che si muove solo ed esclusivamente in base ad
algoritmi. A leggere e gestire le nostre segnalazioni non è
uno dei tanti algoritmi usati da Mark Zuckerberg, ma un team
di persone in carne e ossa. “Sparse in tutto il mondo,
lavorano 24 ore su 24, sette giorni su sette, per rispondere
alle segnalazioni nel giro di 48 ore al massimo”, come spiegò
Laura Bononcini, capo delle relazioni istituzionali di
Facebook Italia, in occasione della presentazione della
partnership con l’Unione nazionale consumatori nel 2016. Le
squadre di Facebook che hanno questo compito sono quattro,
ognuna con un’area di specializzazione: sicurezza, hate
speech, pornografia e spam, hacker e account fasulli (access
team). I team si trovano sparsi tra le sedi di Menlo Park,
Dublino, Austin e Hyderabad, in India. Sono “diverse centinaia
di persone”, spiegava Bononcini, di varie nazionalità. In
Italia non c’è nessuno che si occupa delle segnalazioni. Ma,
assicurano da Facebook, “chi gestisce quelle in italiano è
sempre un madrelingua che conosce la cultura italiana”.

Ma chi ne parla in Italia? Nessuno. Negli USA il tema sta
invece diventando scottante e si registrano reazioni
significative. Il “National Religious Broadcasters” (NRB), ad
esempio, ha lanciato una nuova iniziativa: “Internet Freedom
Watch”, progettato per attirare l’attenzione sulla censura dei
messaggi cristiani online da parte di aziende tecnologiche
come Facebook, Twitter, Google e Apple. Il suo sito web appena
creato, InternetFreedomWatch.org, documenterà casi di censura
sulle reti virtuali. La NRB ha anche inviato lettere a molte
delle più grandi società tecnologiche chiedendo loro di
incontrarsi per discutere come garantire che i contenuti
religiosi non siano bloccati.

“Stiamo cercando di attirare l’attenzione sulle istanze di
censura, in particolare la censura dei punti di vista”, ha
detto il vicepresidente delle relazioni governative della NRB,
Aaron Mercer. Ha detto che il gruppo NRB ha ringraziato le
aziende tecnologiche per le innovazioni che hanno fatto, ma al
contempo ha voluto sottolineare le crescenti preoccupazioni
sul blocco di determinati contenuti. “Vogliamo solo
assicurarci che le piattaforme che sono destinate a persone
per parlare non censurino i punti di vista cristiani e
conservatori”, ha detto Mercer. Il NRB non sta chiedendo al
Congresso o ai regolatori di adottare nuove leggi o
regolamenti – almeno non ancora – ma Mercer ha detto che
vogliono assicurarsi che il problema crescente ottenga
l’attenzione che merita. “Pensiamo che sia un luogo in cui il
Congresso dovrebbe dare un’occhiata a quello che sta
succedendo e che dovrebbero esserci audizioni su questo
argomento”, ha detto.
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