L'ARTE DI INSEGNARE Matteo Saudino - Tlon TV
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Matteo Saudino L’ARTE DI INSEGNARE • 2
Lezione 2 Programmi, mezzi e fini Il punto di partenza di ogni programmazione didattica è la scelta dei programmi e la scel- ta dei mezzi e dei fini. Ragionare intorno ai fini è fondamentale, dovrebbe essere il punto focale proprio dell’insegnamento. Perché si insegna? Qual è il punto di fuga di tutto l’insegnamento? E la domanda ine- ludibile: a cosa serve la scuola e a cosa serve insegnare? Ciò vale per la scuola primaria, per la scuola secondaria di primo grado, per la scuola secondaria di secondo grado. E dunque bisogna saper innanzitutto fare delle scelte, saper programmare e all’interno di una programmazione saper distinguere ovviamente i fini e i mezzi. Troppo spesso ancora non si distinguono bene i mezzi dai fini, si sovrappongono le due matrici, invece i fini sono una cosa, i mezzi sono un’altra cosa. In modo particolare bisogna capire perché si insegna, qual è il fine. Dal mio punto di vista il fine dell’insegnamento dev’essere l’emancipazione umana, l’emancipazione del ra- gazzo e della ragazza, dell’allievo e dell’allieva. Per far questo partiamo da Kant e par- tiamo da quel famosissimo pamphlet intitolato Che cos’è l’Illuminismo?. Per Kant l’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che l’uomo deve imputare a se stesso. Lo stato di minorità consiste nel non essere autonomi, nel non essere in grado di cam- minare con le proprie gambe. Questo deve fare l’insegnante: deve lasciare all’allievo la capacità, la competenza di camminare con le proprie gambe: deve lasciare al ragazzo e alla ragazza la possibilità di essere autonomo. Kant ci parla di preti, re, imperatori, di precettori che hanno la loro forza proprio nel continuare a guidare l’uomo sino alla morte. Dunque l’uomo, non essendo mai autono- mo, ha sempre bisogno di una guida e questa guida ottiene la propria forza a partire dall’ignoranza dell’allievo, del discente, dell’uomo in questione. La scuola deve invece proprio rovesciare questo paradigma. L’insegnante deve pro- gressivamente sciogliersi l’insegnante deve progressivamente sparire. L’insegnante non è al centro dell’insegnamento: al centro dell’insegnamento vi è l’allievo, vi è l’allieva. Dunque il fine è proprio questo: costruire dei percorsi didattici all’interno dei quali il ragazzo e la ragazza, l’allievo e l’allieva giungano ad essere profon- damente autonomi, cioè emancipati. L’emancipazione umana dev’essere il fine della nostra programmazione. La program- mazione non può essere piegata soltanto sui mezzi senza aver ben presenti i fini, non ci dev’essere un eccesso di mezzi rispetto ai fini. Prima cosa bisogna mettere al centro le fi- nalità e la finalità è la testa ben fatta, ad esempio, di Morin.
Cosa vuol dire avere una testa ben fatta? Avere una testa ben fatta significa costruire con il ragazzo una testa in grado di affron- tare la complessità. La realtà è complessa, per poter comprendere una realtà complessa serve ovviamente una testa pluridimensionale, una testa ben fatta che riesca a decostruire la complessità degli eventi. Dunque il fine, Kant ci dice, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che deve impu- tare a se stesso e in democrazia lo Stato stesso deve aiutare i ragazzi a uscire da questo stato di minorità ad esempio attraverso l’istituzione di una scuola democratica, laica, pubblica, aperta a tutti. Ma una volta stabilito che il fine è l’uscita dell’uomo da una condizione di minorità, bi- sogna capire cosa significhi essere autonomi. Essere autonomi significa avere una testa ben fatta, cioè non avere una testa che di fronte alla complessità riduca tutto a una mo- nodimensione. Dunque una testa ben fatta significa andare verso la pluridimensionalità cioè non esse- re, ci direbbe Marcuse, un uomo a una sola dimensione, che può essere il lavoro, il con- sumo, gli hobby, l’arte, una disciplina anziché un’altra. L’uomo pluridimensionale dev’essere un uomo in grado di affrontare la realtà nella propria complessità e una buona programmazione ad inizio anno deve tenere conto di questi fari: uomo a più dimensioni, uomo autonomo, uomo emancipato, donna a più di- mensioni, donna autonoma, donna emancipata. Uomo con una testa ben fatta, uomo e donna con una testa ben fatta. Dunque all’inizio la programmazione dev’essere di questo tipo. Lo ribadisco perché nella scuola spesso bulimica di tecnologia si dà tanto spazio a costruire didattiche tecnolo- giche con mezzi tecnologici e invece si sottovaluta la centralità del discente, quale sia il grande fiume dentro cui il nostro allievo, la nostra allieva devono riuscire a nuotare. E dunque prima di tutto mettiamoci bene il fine. Questo significherà anche probabil- mente scontrarsi con delle realtà che invece di emancipazione e di autonomia non ne vo- gliono sentire parlare. Significherà anche scontrarsi con dei dirigenti, con i ritmi, con la velocità, perché una scuola ultraveloce, bulimica di tecnologia tende ad annacquare i fini. Invece, a inizio anno, quando iniziamo la programmazione cominciamo a dire: qual è il fine del mio insegnamento? Questo: devo portare il mio bambino la mia bambina ad essere autonomo, ad essere più emancipato, a sapersi orientare, a saper scegliere, a saper ragionare, perché la testa ben fatta significa saper ragionare. Dunque la scuola dev’essere un luogo di ragionamento, un luogo di emancipazione. Per far questo bisogna compiere delle scelte. Dobbiamo liberarci dal dogma del pro- gramma! In parte tutto ciò sta già avvenendo, ma è importante andare in quella direzione, saper scegliere all’interno di un programma. Saper scegliere vuol dire innanzitutto capire quali siano le conoscenze e le competenze che vanno sempre a braccetto di un percorso formativo. Significa sapere dire: in questo percorso queste sono le conoscenze, queste sono competenze di lingua, competenza di conto, competenza di ragionamento, competenze di lettura.
Una testa ben fatta non è una testa delle competenze, ma è una testa delle competenze supportata dalle conoscenze, altrimenti le competenze senza conoscenze sono vuote e le competenze senza conoscenze sono cieche. Questo è un aspetto molto molto importante da tener presente, dunque vanno sempre a braccetto. Quando io programmo devo dare il giusto equilibrio alle conoscenze da svi- luppare, alle conoscenze da approfondire, alle conoscenze da dare da un lato e dall’altro alle competenze da sviluppare, alle competenze da irrobustire e da creare. Detto questo io dovrò però scegliere, perché non potrò sviluppare tutte le conoscenze, non potrò sviluppare tutte le competenze. Le competenze si sviluppano strada facendo, le conoscenze invece andranno chiara- mente selezionate. E qui non dobbiamo cadere nel, potremmo dire, paradosso dell’asilo di Buridano che di fronte a due mucchi di fieno li osserva, entrambi sono uguali, e si lascia morire di fame. Di fronte alle scelte da compiere, bisogna avere il coraggio di farle. Anche qua, bisogna andare oltre Kierkegaard, la scelta non è impossibilità di scelta, la scelta per un insegnante non è tanto dire cosa non farò, la scelta significa focalizzarsi su quello che invece io sceglierò di fare. E dunque la scelta va proprio vista come un irrobu- stimento del percorso formativo. La scelta va vista in modo nettamente positivo. Bisogna immaginare il programma come un albero, un albero a cui non portiamo i rami, ma un albero da cui crescono dei rami. Allora cresce il ramo della storia antica, cresce il ramo della filosofia moderna, e cresce Cartesio e non Bacone. Sarà cresciuta la chimica, sarà cresciuta l’astronomia. Alle elementari, nella scuola primaria più che mai è importante concentrarsi su alcuni contenuti e sviluppare quelli, in modo tale che i ragazzi abbiano una comprensione au- tentica e profonda di quello che stanno facendo. Altrimenti il fare tanto per dire di averlo fatto crea di fatto un percorso formativo poco coinvolgente, crea un annacquato e questo non deve accadere. Un tempo si sarebbe detto meglio poche cose fatte bene. Sì. Nella società della velocità, nella società dei tantissimi input che giungono anche al di fuori della scuola, fare scuola significa fare una vera palestra di contenuti e conoscenze. Dev’essere la scuola un luogo in cui questi contenuti e queste conoscenze vengono in- naffiate ogni giorno questo albero del programma non è un albero da potare, non è un albero a cui si tol- gono dei rami, ma un albero da cui partono dei rami. Dunque programmare significa sviluppare. La programmazione è uno sviluppo, e a inizio anno è fondamentale scegliere conoscenze e competenze da sviluppare, è fonda- mentale scegliere i contenuti, è fondamentale concentrarsi su quello che può maggior- mente servire per fare ritorno al punto iniziale, l’emancipazione dell’allieva e dell’allievo. Si danno i fini, si scelgono i contenuti le competenze e a quel punto ci si concentra sui mezzi. I mezzi sono sicuramente fondamentali per raggiungere i fini, ma i mezzi sono i mezzi e i fini sono i fini.
Bisogna avere la capacità di saper scegliere il mezzo giusto dato il fine, e il fine è l’emancipazione dell’allievo e dell’allieva. Il fine è uscire dallo stato di minorità che l’uomo deve imputare a se stesso, il fine è la testa ben fatta. Detto che questo è il fine, non vado a scegliere dei mezzi tanto per occupare il tempo. Questa è una rivoluzione che noi insegnanti dobbiamo fare. La scuola non è passare del tempo, quella è la scuola parcheggio. La scuola parcheggio è per passare il tempo, mentre i genitori lavorano o per togliere semplicemente i bambini dalla noia. Anzi, in realtà più spesso si annoiano quando la scuola è progettata in quel modo. A quel punto, nella scuola parcheggio qualunque mezzo va bene, anche fare un buco in una stanza A, poi fare un buco nella stanza B, tornare nella stanza A a ricoprire il buco, andare nella stanza B e ricoprire il buco. Svuotare un armadio, riempire un armadio risvuotarlo, ri-riempirlo la scuola parcheg- gio è una scuola in cui basta passare del tempo, basta controllare. Questa scuola chiara- mente non ha bisogno di riflettere sui fini e sui mezzi, perché è una scuola ormai standar- dizzata verso questa direzione. Dunque la scuola deve scegliere i mezzi, l’insegnante deve scegliere i mezzi a partire dai fini e a quel punto qualunque mezzo può andar bene. Dobbiamo uscire dall’idea che soltanto la lettura, soltanto i compiti a casa, no alla lezione frontale, soltanto la didattica laboratoriale la DaD sì, fantastica, la DaD no, YouTube il demonio, la rete invece è il pa- radiso: non c’è Inferno e Paradiso nell’ambito dei mezzi. Ci sono i mezzi che io adatto, che io adatto rispetto ai fini. Questa è una cosa impor- tante e nel far questo l’insegnante deve lasciare sempre più autonomia al ragazzo. Tu devi insegnargli i mezzi. Tu dai i mezzi e progressivamente ti togli all’interno del processo di apprendimento, altrimenti è l’insegnante che parla a se stesso, è l’insegnante che si auto-specchia in ma- niera narcisistica. L’insegnante progetta i fini, sceglie i mezzi e poi progressivamente sparisce. Ma l’aspetto importantissimo di tutto ciò è proprio la creazione, alla fine, di un ambiente di apprendimento significante. I fini vanno esplicati. Un buon allenatore entra in palestra e dice qual è il fine di quell’allenamento. L’insegnante che è più di un allenatore perché l’insegnante non è semplicemente un allenatore che ti insegna una tecnica l’insegnante è un educatore che utilizza le tecniche per educare. E un buon insegnante invece dice: guardate, ragazze e ragazzi, questi sono i fini che ci diamo, per raggiungere questi fini scegliamo questi mezzi, dunque giochiamo a carte sco- perte, perché questo giocare a carte scoperte fa crescere la consapevolezza dello studente e della studentessa, fa crescere quel discorso di autonomia. Ma allora io ho scelto questo mezzo perché il fine è questo, questo fine, la matematica, le scienze, la biologia, la filosofia, la lingua inglese, questi sono tanti mezzi, le discipline, tanti mezzi per arrivare a un fine più alto, che è il fine tanto caro alla scuola teorizzata se- coli fa dagli umanisti, dell’uomo come animale sociale e politico, dell’uomo come creatu- ra che ambisce alla conoscenza, che ambisce al sapere, che ambisce ad espandersi. Un ragazzo entra in una classe a livello 10, se a fine anno è a livello 12, 13, 14 vuol di- re che ha avuto un percorso di espansione. È entrato a 10 e ha finito a 30? È cresciuto!
È entrato a 90 e ha finito a 93, 94? Ogni allievo, ogni allieva inizia un percorso ad ini- zio anno e deve terminarlo con una crescita complessiva. Questo è il fine e io, dato questo fine, vado a scegliere i mezzi più adatti per poterlo realizzare. © Matteo Saudino © Tlon SRL Tutti i diritti riservati. Questo file è destinato solo agli acquirenti del videocorso L’arte di insegnare, condotto da Matteo Saudino sul portale www.tlon.tv. Diffonderlo costituisce reato ai sensi della legge del diritto d’autore (L. n. 633/1941).
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