JOHN CARPENTER: TUTTI I MANIFESTI ORIGINALI - DAL 27 AL 31 OTTOBRE 2019

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JOHN CARPENTER: TUTTI I MANIFESTI ORIGINALI - DAL 27 AL 31 OTTOBRE 2019
JOHN CARPENTER:
TUTTI I MANIFESTI ORIGINALI
      DAL 27 AL 31 OTTOBRE 2019
JOHN CARPENTER: TUTTI I MANIFESTI ORIGINALI - DAL 27 AL 31 OTTOBRE 2019
IL CINEMA DI CARTA
Quello della produzione                             dopo un lungo viaggio durato più di cento
                                                    anni e cominciato nel momento stesso in cui
cinematografica                                     il cinema ha visto la luce.
è un mondo composito
e complesso.                                        Potremmo anzi asserire, non senza un piz-
Il prodotto finale è, ovviamente, il film: fruito   zico di malizia, che la nascita della cartel-
in sala (o, sempre più spesso, sugli schermi        lonistica cinematografica abbia addirittura
di televisori, computer e dei più disparati di-     preceduto quella della stessa arte che era
spositivi elettronici) ci mostra un mondo rac-      destinata a pubblicizzare. La prima proie-
contando una storia che possiamo vivere e           zione pubblica a pagamento organizzata dai
rivivere, ci proietta in un immaginario che di-     fratelli Lumière al Salon indien du Grand Café
viene parte integrante del patrimonio cultu-        il 28 dicembre del 1895 fu infatti promossa
rale collettivo nella sua duplice accezione di      al pubblico diversi giorni prima attraverso
bene di consumo e di espressione artistica.         l’affissione di un’affiche, uno dei manifesti
Ma attorno all’opera in sé ruota un variegato       tradizionalmente destinati a pubblicizzare
universo legato alla manipolazione di tessuti       eventi quali opere liriche e spettacoli teatrali.
narrativi differenti, al contesto e all’ogget-      Già dalla fine dell’Ottocento dunque cinema
tualistica inerente alla fruizione e alla pubbli-   e manifesto si presentavano come indisso-
cizzazione del film. Tra questi a ricoprire un      lubilmente legati.
ruolo di primo piano è indubbiamente il ma-
nifesto cinematografico. Strumento di pro-          Il manifesto cinematografico si è posto fin
mozione, oggetto da collezionare, sorta di          dagli esordi su una labile linea di confine per
doppio cartaceo che costituisce l’altra faccia      quanto riguarda l’ambito di appartenenza,
di ogni film, per alcuni vero e proprio feticcio.   trovando intersezioni comuni con discipli-
La tentazione di raccontare il cinema su car-       ne differenti e apparentemente antietetiche
ta e porre quest’ultima a fronte della pellicola    tra loro. Se da un lato infatti le composizioni
che descrive, quasi fosse una transmediati-         delle grafiche delle locandine lasciava-
ca confezione per l’opera, risulta ancora irri-     no trasparire velleità artistiche,
nunciabile, perfino oggi che la promozione          dall’altro il fine pubbli-
delle opere cinematografiche si è spostata          citario impediva
su canali e in contesti molto distanti dalle        loro
pareti di affissione e dalle facciate degli edi-    di
fici su cui trovavano una volta ospitalità
le locandine. Il manifesto accom-
pagna dunque il cinema e
i suoi prodotti an-
cora oggi,
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essere ascritte al rango di vera e propria          di Warner, MGM e Columbia. Questi pionieri
arte, in quanto a inizio secolo l’apparato          inaugurarono una fortunata stagione del car-
critico era ancora tendenzialmente incline a        tellonismo che vide proprio in Italia l’affer-
ritenere degna di rispetto un’opera in cui il       mazione di alcuni dei suoi esponenti più au-
genio e la creatività fossero disinteressati, o     torevoli e riconosciuti come Renato Casaro,
per lo meno che non fossero messi al servi-         Angelo Cesselon, Silvano Campeggi, Enrico
zio di un fine tanto basso come quello di ra-       De Seta e Enzo Sciotti, i quali illustrarono le
cimolare biglietti per uno spettacolo. Questa       immagini immortali (basti pensare ai manife-
ambivalenza si rifletteva sul comportamento         sti iconici di Via col vento o Ben Hur, o ancora
di chi i cartelloni li disegnava, i cosiddetti      Balla coi lupi e Terminator) che richiamiamo
cartellonisti. Lungi dal ricavarne vanto, i pri-    alla mente quando pensiamo a determinati
mi disegnatori a cimentarsi nella creazione         film. Il manifesto cinematografico cominciò
di materiale pubblicitario per il cinema mini-      dunque a partire dagli anni Trenta ad assu-
mizzavano il loro apporto alla cartellonistica      mere forma e convenzioni proprie (come ad
definendola come un’attività secondaria al          esempio gli standard per quanto riguarda le
loro reale mestiere, quello di artisti. Questo      dimensioni e i formati delle locandine) che
“peccato originale” era aggravato dal fatto         lo separarono dal resto della cartellonistica
che il lavoro per le major cinematografiche         pubblicitaria.
si era rivelato inaspettatamente profittevole
e remunerativo, divenendo la maggior parte          Oltre al principale compito cui era adibito
delle volte la reale fonte di guadagno dell’ar-     il manifesto cinematografico (quello, ov-
tista. In un contesto culturale fluido come         viamente, di promuovere il film, attirando
quello degli anni ’20, anni in cui grazie alle      l’attenzione sul prodotto in questione), le
avanguardie artistiche la nozione stessa di         sue potenzialità furono via via sfruttate per
Arte sarebbe stata profondamente messa in           assolvere a una serie di compiti secondari
discussione, le forme di comunicazione del-         e collaterali, sempre legati a finalità di stra-
la modernità rivendicavano con veemenza             tegia comunicativa, per meglio esercitare la
sempre maggiore uno spazio di definizione           propria funzione. Uno di questi era quello cui
che fosse proprio, negato loro fino a quel          sono adibiti i moderni trailer cinematografici,
momento dall’ingombrante e altolocato ap-           ovvero anticipare elementi della trama della
parato critico e accademico che si era arro-        pellicola così che il pubblico potesse me-
gato fino ad allora il diritto di stabilire cosa    glio orientare le proprie scelte. Se il cinema
fosse degno di attenzione e di studio.              come arte si fonda sul montaggio conse-
                                                    quenziale di differenti immagini, il manifesto
Uno tra i primi a rivendicare con vanto il          procede con un montaggio interno alla stes-
proprio ruolo di cartellonista fu l’italiano An-    sa composizione figurativa degli elementi
selmo Ballester che, autore fin dagli anni          più rappresentativi del film che pubblicizza,
Venti delle locandine cinematografiche di           sovrapponendo i vari elementi e organizzan-
alcuni dei più grandi film dell’epoca, si impo-     do all’interno di una sola raffigurazione un
se come vero e proprio punto di riferimento         vero e proprio piccolo racconto. È
tra le personalità artistiche ruotanti attorno      interessante      sottolineare
al mondo del manifesto cinematografico. In-         come molto spesso
sieme ad Alfredo Capitani e Luigi Martinati,        i cartellonisti
Ballester fondò lo studio BMC a cui si rivol-
sero i più prestigiosi studi dell’industria cine-
matografica: dalle case di produzione
nostrane, come la CINES o
la Tirrenia, ai colossi
americani del
calibro
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dovessero procedere alla realizzazione del-       Ian Fleming. Nonostante il passare degli
le loro opere senza avere la possibilità di       anni e la rivoluzione avvenuta all’interno del
visionare il film di riferimento, basandosi       mondo della comunicazione, il manifesto
soltanto su una sinossi della trama e su al-      continua ad esistere, anche se raramente
cune fotografie di scena o piccole sequenze       le opere odierne reggono il confronto con
che venivano loro mostrate. Ecco spiegati i       quelle scaturite dai pennelli degli artisti del
casi di infedeltà o scarsa pertinenza, talvol-    passato. Si ritrovano oggi locandine che per
ta davvero eclatanti, di alcuni dei manifesti     lo più sono costituite dall’assemblamento
cinematografici nei confronti dei contenuti       grafico di porzioni di foto di scena con le so-
delle pellicole.                                  vrapposizioni dei volti degli attori principali e
                                                  vengono utilizzate come parte delle moder-
Come ogni tipo di comunicazione pubblici-         ne e complesse operazioni di marketing che
taria anche la cartellonistica utilizzava stra-   precedono l’uscita delle pellicole più attese
tegie mirate di persuasione a seconda del         o come corredi per i successivi impieghi
target che si pensava fosse più probabile         commerciali del film, ad esempio le coperti-
andasse a visionare la pellicola in questio-      ne dei DVD o i poster decorativi. Il manifesto
ne. Seguendo il modello con cui, in ottica di     è quindi sempre più difficile da incontrare
ottimizzazione delle risorse produttive e di      sui muri, sui viadotti o per le strade e veglia
standardizzazione dei prodotti, erano stati       sonnolento solo davanti alle sale cinemato-
inventati e suddivisi i generi cinematografici    grafiche ad assolvere stolidamente all’ultimo
dall’industria americana, anche sui manife-       compito rimastogli: quello di segnalare il film
sti assistiamo alla riproduzione di stilemi e     in programmazione. Lo si trova invece a sor-
figure ricorrenti che identificano la locandi-    presa rilocato sul web, insieme alle immagini
na in base al genere di appartenenza. Oltre       di scena e ad altri scorci fotografici fra i quali
agli appassionati dei singoli generi i manife-    si mimetizza e con i quali è facile confonder-
sti potevano essere pensati suddividendo          lo; oppure nei musei e nelle mostre come
il pubblico nelle macrocategorie di genere,       oggetto da collezione.
maschile e femminile, dipingendo dunque           Nonostante ciò, sebbene alla luce di quanto
illustrazioni che si pensava potessero aggra-     detto possa apparire anacronistico, ad ogni
dare più un segmento di pubblico rispetto         film in uscita continua a corrispondere una
che un altro a seconda del tipo di film pub-      locandina che lo illustra: quello che è stato
blicizzato. Altro ovvio modo di promuove-         definito come “il cinema di carta” accompa-
re una pellicola era quello che faceva leva       gna ancora il cinema, per così dire, in car-
sull’apparato divistico: pubblicizzare un film    ne e ossa. Ormai simbolo più che prodotto,
con il volto dell’attore principale è indubbia-   quasi vestigiale, testimoniante il funziona-
mente la strategia più semplice ed efficace       mento dei meccanismi pubblicitari relativi
di accaparrarsi la fetta di pubblico che di       all’industria cinematografica di un tempo
quell’attore si professa ammiratrice. Non a       che fu, e che la contemporaneità non può
caso accadde spesso che taluni disegnatori,       (o non vuole) scrollarsi di dosso per via di
mostrata particolare maestria nel dipingere il    quell’aura magica di cui rimane in-
volto di un attore particolare, venissero suc-    negabilmente ammantato.
cessivamente chiamati a disegnare i mani-
festi per ogni film in cui aveva parte il divo,
come fu il caso di Campeggi al quale dob-
biamo i ritratti di Sean Connery interprete di
James Bond nella serie di film ispirati
alle gesta del famoso agente
segreto creato dalla
penna di
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FOLLIA
Il tema della pazzia,                               follia come sintomo di una condizione tra-
                                                    scendente la realtà stessa. Ripercorreremo
della follia e della perdita                        queste tappe in ordine inverso partendo
della sanità mentale                                dal legame che il regista ha instaurato con
è stato trattato spesso dall’arte e dalla let-      il nucleo poetico di un altro grande artista,
teratura di matrice fantastica. Il fantastico       lo scrittore americano Howard Philip Love-
in sé è infatti qualcosa che per definizione        craft. Lovecraft ha fatto, per quanto riguar-
trascende la nostra esperienza sensibile,           da la sua produzione letteraria, della perdita
associando ambiti sensoriali e semantici            della sanità mentale in seguito all’incontro di
che nella nostra vita teniamo ben distinti.         entità per l’uomo inintelligibili un vero e pro-
Riprova del potere dell’immaginazione, atto         prio marchio di fabbrica.
ultimo della capacità umana di creare che si
estende al di là del mondo concreto e fattua-       Carpenter ha toccato spesso nelle sue ope-
le, non c’è da stupirsi che la manifestazione       re le tematiche lovcraftiane, cimentandosi
di qualcosa che riteniamo fondamentalmen-           nel difficile compito di affrontare l’irrappre-
te impossibile avvenga sia posto in stretta         sentabilità attraverso un medium, quello ci-
relazione con la messa in dubbio del corretto       nematografico, che ha proprio nell’atto del
funzionamento delle nostre facoltà intelletti-      rappresentare visivamente la propria pos-
ve. Il nodo è perfino doppio se restringiamo        sibilità di esistenza e definizione. Parreb-
il cerchio al fantastico di matrice orrorifica.     be un controsenso, eppure si può dire che
Se il Mostro, figura sulla quale è imperniato       Carpenter sia riuscito, attraverso le giuste
il genere horror tanto a livello letterario quan-   scelte narrative utilizzate per trattare il tema
to cinematografico, nella sua accezione             e l’elaborazione di un’estetica complessa e
etimologica di “prodigio” o “portento” ci si        personalissima, a dare una delle più com-
palesasse davanti agli occhi sconvolgendo           plete formulazioni che siano mai state pro-
quella che è la nostra ordinaria percezione         dotte a livello cinematografico dell’opera
delle cose, disallineando le categorie con          dello scrittore di Providence. Non che sia
cui siamo abituati a ordinare la realtà, quan-      stato l’unico a provarci. Da una
to lascerebbe intatto l’equilibrio necessario a     parte infatti il ciclo di film
conservare la lucidità?                             dichiaratamente
                                                    ispirati ai
John Carpenter ha affrontato la tematica su
più livelli, scandendola nelle sue differenti
accezioni di condizione clinica, di
conseguenza della
paranoia fino a
trattare
la
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racconti di Lovecraft, prodotti dalla coppia       sioni matematiche e dimostrando di avere
di registi statunitensi Stuart Gordon e Brian      una propria intelligenza. La follia si sprigiona
Yuzna tra gli anni ’80 e ’90 - di cui potrem-      esponenzialmente nel corso della pellicola,
mo citare a titolo esemplificativo Re-Anima-       contagiando dapprima i protagonisti per poi
tor (Stuart Gordon, 1985), Necronomicon            riversarsi all’esterno, nel mondo. Assistiamo
(Brian Yuzna, 1994), Dagon (Stuart Gordon,         al dilagare della pazzia in un furore messia-
1994) - si sforzava di mantenere un’ade-           nico. Le folle di senzatetto ottenebrati in-
sione ai racconti con l’utilizzo di citazioni e    neggiano all’avvento di una nuova era nella
della particolarissima terminologia nomen-         quale il vero bene è il male e il vero senno
clativa utilizzata dallo scrittore, ma lo faceva   è la completa perdita della ragione stessa.
in modo esclusivamente nominale, portan-           Ne Il seme della follia (1994) Carpenter por-
done in scena il tessuto narrativo e rappre-       ta questa riflessione all’estremo, legando la
sentandolo però attraverso i codici classici       follia al concetto stesso di creazione artisti-
del cinema dell’orrore. Dall’altra è possibile     ca. Durante la caccia del protagonista John
ravvisare questi influssi in opere completa-       Trent, ostinato a scoprire dove si nasconde
mente estranee al genere, quali Improvvisa-        il famigerato scrittore Sutther Cane, i confini
mente l’estate scorsa (Joseph L. Mankiewi-         tra ciò che è reale e ciò che è frutto di fanta-
cz, 1959) o L’ultima onda (Peter Weir, 1977),      sia gradualmente scompaiono, fino a inverti-
ma essi risultano totalmente distanti da quel      re totalmente la prospettiva. Il sicuro e solido
sentimento di repulsione trascendentale col-       terreno delle impressioni sensibili si sgretola
pevole di causare la perdita del senno e dei       rivelando una metaforica girandola caleido-
legami che ci lasciano connessi al mondo           scopica di scatole cinesi che si inghiottono
reale secondo Lovecraft. Carpenter ha ri-          l’una con l’altra. Metaforica fino ad un certo
creato una via personale attraverso cui rap-       punto, perché nel momento in cui ogni rife-
presentare la follia, declinandola di volta in     rimento è perduto, nel momento in cui tra i
volta a contesti diversi e rappresentandola        due termini dell’allegoria non riusciamo più a
con stili variegati a seconda delle differenti     dire quale possa dirsi concreto e quale figu-
accezioni con le quali intendeva affrontare il     rato, allora ogni punto di riferimento è per-
tema. Carpenter omaggia invece Lovecraft,          duto. Non c’è più distinzione tra ciò che è
piuttosto che attingere dal contenuto delle        reale e ciò che è proiezione e fantasia dello
sue storie, e ne carpisce la vera essenza          scrittore/demiurgo e, nella conquista, sem-
collocandola non nei contenuti, bensì nelle        bra non esserci più posto nel mondo per
atmosfere e nelle ambientazioni.                   coloro che ostinatamente e insensatamente
                                                   continuano a professarsi sani di mente.
Ne Il signore del male (John Carpenter,
1987) la follia assume i contorni metafisici       Anche ne La cosa (1981) assistiamo al pro-
dal sapore apocalittico tanto cari al Solitario    gressivo impazzire dei protagonisti. È que-
(come venne definito lo scrittore del Rhode        sta volta però, a far perdere loro la ragione
Island) di Providence. Carpenter unisce gli        un assedio “al contrario”, una lotta con un
apparentemente inconciliabili ambiti della         nemico che si manifesta all’interno
fisica teorica e della religiosità messianica in   delle mura di quello che ri-
questo horror che vede al centro della pro-        teniamo un rifugio
pria narrazione l’essenza stessa del male:         sicuro. L’insi-
un misterioso liquido verde custodito nei          nuar-
sotterranei di un’antica chiesa abbandona-
ta, il quale risponde alle rilevazioni
effettuate tramite macchinari
scientifici esprimen-
dosi attraverso
espres-
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si di una minaccia metamorfica e dalle sem-           efferatezze compiute da un maniaco omici-
bianze mutevoli, inconsistente per quanto             da, quanto l’ineluttabilità della morte stessa
vividissima e terribilmente pericolosa, che           nel suo incedere violento.
trasforma un’iniziale situazione di conviven-
za pacifica in un’esperienza di sopravviven-          La psicopatologia si pone invece come sno-
za in condizioni estreme. Sembra costituire           do fondamentale di quella che è ad oggi l’ul-
un’esperienza paranoica anche quella dei              tima opera diretta da Carpenter per il grande
protagonisti di Essi vivono (1988), giocata           schermo: The ward – Il reparto (2010). Anco-
abilmente sul filo di quelle suggestioni che          ra le disfunzioni mentali, i disturbi psichici e
tanto cinema di fantascienza degli anni ’50           le turbe dettate dal disagio post-traumatico
aveva già portato sugli schermi, un film su           vanno a braccetto con l’esposizione al male
tutti L’invasione degli ultracorpi (Don Siegel,       e i suoi effetti disastrosi. Le sinistre visioni
1956). A sorpresa tuttavia, laddove i registi         della protagonista Kristen, giovane ragaz-
degli anni del maccartismo avevano lasciato           za ricoverata in una clinica psichiatrica in
una volontaria aporia, Carpenter decide di            quanto vittima di un’amnesia che sembra
alzare energicamente il sipario, mostrando            averle cancellato ogni ricordo del passato,
alla fine del film quale sia la (terribile) verità.   sembrano in qualche modo anticipare una
                                                      serie di misteriose sparizioni ai danni degli
Non ci resta che rintracciare, nell’opera del         altri ricoverati ospiti della struttura. Le anti-
nostro, la follia indagata dal suo punto di           nomie mentali di Kristen e il propagarsi del
vista più banale e ovvio, quello che fa rife-         male nella clinica si riveleranno essere due
rimento alle condizioni psicologiche dell’uo-         facce della stessa medaglia. Ma Carpenter
mo nell’accezione clinica del termine. Si             evita abilmente di incappare nella trappola
sarebbe tentati di rintracciarla nel film più         insidiosa di far coincidere pedissequamente
celebre del regista, quell’Halloween – La not-        l’orrore con il disturbo mentale. In The ward
te delle streghe (1978) che lo ha consacrato          – Il reparto osserviamo la psiche farsi invece
presso il grande pubblico. È evidente però,           campo di battaglia, così come un po’ in tutto
a uno sguardo che penetra oltre le apparen-           il cinema di Carpenter, per lo scontro tra il
ze più immediate, che il famigerato Michael           bene e il male. Per la strenua difesa contro
Myers lungi dal rappresentare gli effetti di un       i vibranti attacchi di una minaccia che non
disturbo dalle tinte psicanalitiche, sia veicolo      conosce tregua, di una piccola isola di sal-
per rappresentare ben altro. Myers è infatti          vezza che, sembra dirci Carpenter, non po-
l’essenza del Male personificata, la malva-           trà resistere per sempre…
gità pura. Nonostante il suo passato segna-
to dai traumi infantili e le evidenti patologie
psichiche gravi di cui il personaggio soffre,
Myers è troppo grottescamente esagerato
nella propria perseveranza a perpetrare il
male per poter innescare con la sua figura
una qualsiasi riflessione sulla follia. No, il vil-
lain di Halloween – La notte delle stre-
ghe rappresenta, non tanto un
legame con lo scardina-
mento dell’Io e le
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MUSCOLI
Ogni                                               è l’effetto simbolico di una corazza costruita
      storia che si rispetti combattendo contro il mondo e le sue av-
ha un eroe.                  versità più che frutto di un mero allenamento
Al netto delle implicazioni morali, ideolo-        ginnico; perennemente irrequieti e amman-
giche ed etiche con le quali siamo abituati        tati loro malgrado da un carisma laconico
a connotare questo termine nel linguaggio          e misterioso. Gli eroi che Carpenter ama
comune, è indubbio che l’eroe costituisca il       tratteggiare nelle sue pellicole sono fatti tutti
motore primo della narrazione per come noi         della medesima pasta, variazioni di un unico
siamo abituati a concepirla. Possono esse-         tema che si riallaccia a tradizioni e nuclei po-
re diversi i connotati che lo caratterizzano,      etici molto distanti tra loro.
differenti le ragioni che muovono il suo agire
o il suo modo di relazionarsi con il contesto      Uno tra i profili che sicuramente ha influen-
che lo circonda, ma nelle storie che fruiamo       zato Carpenter nella costruzione dei suoi
attraverso i media più disparati ci confron-       principali personaggi è quello dell’eroe we-
tiamo sempre con il percorso di un perso-          stern incarnato dalla monumentale figura di
naggio alle prese con un obiettivo da rag-         John Wayne, complice la passione e l’ammi-
giungere. Gli studi sulla fiaba del filologo e     razione del regista per le pellicole di questo
linguista russo Vladimir Propp, i quali stanno     genere, in particolar modo per le opere di
alla base della semiotica e della narratologia     John Ford e Howard Hawks. Molti dei film
moderna, rivelano che dietro ai singoli per-       di Carpenter ricalcano infatti le atmosfere
sonaggi, oggetti ed eventi di ciascuna delle       western e i topo narrativi legati a questo ge-
storie da noi raccontate si celano delle figure    nere, ricollocandoli però in contesti inediti:
archetipiche di cui essi non sarebbero che         duelli all’arma da fuoco, assedi in spazi an-
manifestazioni di volta in volta particolari: in   gusti contro un nemico numericamente so-
parole povere la natura di un personaggio          verchiante, luoghi in cui la giurisdizione del
non è definita da ciò che esso è, bensì dalla      diritto risulta assente e regna una violenta
funzione che esso svolge nell’economia del-        anarchia in cui ad imporsi è la legge det-
la narrazione. Ed è proprio l’Eroe (o nel gergo    tata dalla determinazione a so-
di Propp il Destinatario, al quale è appunto       pravvivere. Come John
destinata una missione) la più importante di       Wayne e i perso-
queste figure, quella in grado di catalizzare      naggi cui
su di sé l’attenzione di coloro ai quali la sto-
ria è raccontata.

Cinici, pragmatici, solitari;
dotati di una pos-
sanza fisica
che
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ha dato vita con la sua inconfondibile ma-        leone rimane solo un individuo impegnato,
schera, su tutti il Ringo di Ombre rosse (John    come tutti, nella lotta disperata per la so-
Ford, 1939) e l’Ethan Edwards di Sentieri         pravvivenza, per il quale il bene o il male
selvaggi (1956), gli eroi carpenteriani vivono    compiuti non sono che frutto delle situazioni
in mezzo a tutto questo e non si situano mai      nelle quali si è trovato ad agire.
ai due poli opposti di una moralità che a loro
fondamentalmente non appartiene. Si collo-        Il fatto che questi personaggi abbiano un
cano nel mezzo, o meglio al di fuori, esuli dai   comportamento che ostenta sostanziale in-
valori tradizionali ai quali si proclamano con    differenza nei confronti dei crismi di un uto-
forza estranei. Le battaglie che combatto-        pismo ideologico o degli stucchevoli “buoni
no sono esclusivamente loro e non portate         sentimenti” non significa però che perse-
avanti nel nome di un’intera categoria. Ciò       guano un’incosciente amoralità sistematica.
non comporta però tanto un’accettazione           La loro enigmaticità, la loro ambiguità nel
cinica dell’individualismo e dell’egoismo in      ricadere tanto nel bene quanto nel male, di
ottica del raggiungimento di un obiettivo         apparire alternativamente misericordiosi o
personale, quanto una presa di coscienza          gelidamente distaccati è ciò che riconferma
della condizione di solitudine in cui l’uomo      la loro sostanziale umanità, mostrata sempre
è lasciato in assenza di una società che si       con grande schiettezza e al netto degli orpel-
occupi di creare le condizioni per cui possa      li retorici e ipocriti dietro ai quali si maschera
esistere una giustizia sociale, esattamente       la gente di cui sono circondati. Emblematica
come negli universi inventati da Carpenter        in questo senso è indubbiamente la figura
o come, per l’appunto, nel selvaggio West.        di Jena Plissken. Jena, protagonista del film
                                                  1997: Fuga da New York (1981), ha il volto di
Il Napoleone Wilson di Distretto 13 – Le bri-     Kurt Russell ed è con tutta probabilità uno
gate della morte (John Carpenter, 1976) ha        dei personaggi più iconici e riusciti dell’intera
già in nuce tutte le caratteristiche degli eroi   storia del cinema e dal cui fascino è diffici-
che gli succederanno nel corpus di pellicole      le non rimanere soggiogati. Impossibile da
di Carpenter. Nel film Napoleone è ritenuto       dimenticare, con la benda sull’occhio, il mi-
uno dei criminali più pericolosi in circolazio-   tragliatore a tracolla e il serpente tatuato sul
ne: in passato deve aver fatto cose terribi-      braccio, è un antieroe nei confronti del quale
li che non ci vengono raccontate ma sono          è difficile provare empatia dati la freddezza,
lasciate all’immaginazione dello spettatore.      e l’algido distacco con il quale si relaziona a
Ciò non gli impedisce di aiutare i protagoni-     ciò che lo circonda. Eppure, mano a mano
sti nella fuga dal distretto assediato metten-    che scorre la pellicola comprendiamo sem-
do a repentaglio la sua stessa vita. Ciò non      pre più quanto il suo cinismo sia in realtà
lo rende un pendolo impazzito sulla bilancia      giustificata circospezione nei confronti di un
del bene e del male, e se troviamo discrasia      mondo che non concede passi falsi, e che fa
o contraddizione all’interno dei suoi com-        pagare caro qualsiasi tipo di errore di valuta-
portamenti è soltanto perché adottiamo uno        zione. Non si sottrae mai alla possibilità di
sguardo polarizzato. Napoleone è semplice-        poter fare del bene, ma lo fa senza
mente una persona con luci e ombre o for-         avere la pretesa di ergersi a
se, potremmo dire, una persona che segue          paladino di una pre-
una luce cercando di lasciarsi alle spalle le     sunta giusti-
proprie ombre. Che vi sia o meno in questo        z i a
gesto un tentativo di redenzione sta a noi
giudicare giacché solo noi, in quanto
spettatori, possiamo accor-
dargliela. Alla nuda
osservazione
Napo-
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della quale sa già in partenza di non poter         ne per quanto riguarda i ritratti umani cui il
essere garante. Ha gettato la maschera da           cinema di Carpenter ci ha abituati.
un pezzo e si rifiuta di scendere a compro-
messi velati da farisaica benevolenza. Ne è         Come Napoleone e Jena Plissken così an-
riprova l’epilogo del film in cui il confronto      che Jack Crow di Vampires (1998), R.J. Ma-
tra Jena e il presidente degli Stati Uniti rivela   cReady de La cosa (1982) l’esagerato Ja-
la bieca e calcolata doppiezza delle logiche        mes “Desolazione” Williams di Fantasmi da
del potere alla quale si lascia preferire il ras-   Marte (2001) e il John Nada di Essi vivono
segnato, per quanto sfacciato, disincanto           (1988), per interpretare il quale non a caso si
dell’antieroe.                                      è scelto il wrestler Roddy Piper, sono uomini
                                                    muscolosi, forti fisicamente perché temprati
La solitudine titanica di questi personaggi si      da un mondo che ha cercato di abbatterli e
pone in linea di continuità con i protagonisti      sono sopravvissuti nonostante tutto. Ma tal
di Ernest Hemingway, di Sam Peckinpah e in          possanza non è quel decantato inno a una
un certo qual modo con quelli del John Milius       mascolinità di stampo machista cui ci ha
di Conan il barbaro (John Milius, 1980), film       abituati tanto cinema muscolare americano
che aveva infatti in esergo la celebre mas-         degli anni ‘80: è prima di tutto estrinsecazio-
sima di Nietzsche secondo cui “ciò che non          ne e manifestazione tangibile della volontà di
ci abbatte ci rende più forti”. Uomini a tu per     sopravvivenza dell’essere umano. A dimo-
tu con il loro destino, alle prese con un’epo-      strazione di ciò sta la caratterizzazione delle
pea personale che potrebbe essere scandita          (rare ma pur sempre presenti) protagoniste
dai tempi del mito se non fosse ammantata           femminili. Laurie Strode ed Elizabeth Solley,
dal pessimismo tetro e convulso che anima           personaggi principali rispettivamente di Hal-
la poetica di Carpenter. Fa eccezione Jack          loween – La notte delle streghe (1978) e Fog
Burton, ciarliero e simpatico energumeno            (1980) nonché vero e proprio trampolino di
protagonista di Grosso guaio a China Town           lancio per la carriera dell’attrice Jamie Lee
(John Carpenter, 1986), sempre interpretato         Curtis, non sfoggiano addominali scolpiti o
da Kurt Russell, il quale deve invece il suo        bicipiti poderosi, ma manifestano quell’osti-
successo finale contro il demone Lo Pan             nata risoluzione, quella pragmatica determi-
proprio all’aiuto degli amici e compagni che        nazione che caratterizza le loro controparti
ne condividono le vicissitudini e le peripezie.     maschili e che permette loro di rimanere in
Forse per le esigenze di un genere con cui il       vita.
regista si è cimentato raramente durante la
sua carriera (il film mescola le caratteristiche
della commedia con quelle del film di azio-
ne e di avventura) o forse proprio per effetto
della bonarietà di Burton e della sua burbera
vena polemica dietro cui si nasconde un
malcelato altruismo, Grosso gua-
io A China Town si rivela in
tal senso una gu-
stosa ecce-
zio-
ASSEDIO
Andrew Tudor in Monsters                          gine ne Gli uccelli (1962) di Hitchocook e La
                                                  notte dei morti viventi (1968) di Romero.
and mad scientist
definisce diverse forme di minaccia ricor-        Il cinema di John Carpenter mette in scena
renti nel cinema dell’orrore di cui evidenzia     in modo ossessivo queste due forme di as-
le specificità e le emergenze storiche. Tudor     sedio a cui l’essere umano è sottoposto. Da
sviluppa le sue teorie in un periodo di gran-     una parte un gruppo umano che combatte
de vitalità del genere, ovvero nel corso degli    contro creature che assediano la quotidia-
anni Ottanta, e individua tre caratteristiche     nità minacciando di distruggerne ogni cer-
principali delle forme di minaccia rappresen-     tezza, dall’altra un più insidioso e pericoloso
tate in questo genere. La prima riguarda la       assedio che proviene dall’interno dell’uomo
loro origine, la seconda si riferisce alla loro   stesso e che ha a che vedere con la sua fol-
natura, mentre la terza caratteristica, che       lia e la sua incapacità al vivere sociale. Di-
certamente riconosce come molto diffusa           stretto 13 – Le brigate della morte (1976),
nel cinema a lui contemporaneo, riguarda la       come egli stesso dichiara, è un film western
relazione con il corpo umano. Tudor defini-       in chiave horror. Il riferimento sono quei film
sce così tre coppie di termine dentro ai quali    western classici in cui una piccola comunità
riconduce tutte le minacce messe in campo         è assediata dai banditi. La comunità di Di-
nel genere horror: autonomo/dipendente,           stretto 13 è formata da poliziotti e delinquen-
soprannaturale/secolare, interno/esterno.         ti, necessari a contrastare l’assalto esterno.
Nel cinema horror degli anni Settanta e Ot-       Il film di Carpenter costruisce quindi uno
tanta la relazione tra interno ed esterno è       status quo che solo la situazione di pericolo
certamente una delle più dibattute a causa di     rende possibile ma che, al termine del peri-
quel sotto-genere che si diffonde a macchia       colo, riassegna i dovuti ruoli sociali ad ogni
d’olio detto body horror e che vede il corpo      personaggio. Si tratta di un cinema horror
dell’uomo smembrato e distrutto da attacchi       che va al contrario: l’assedio sembra rende-
che provengono sia dall’interno che dall’e-       re possibile ciò che le norme sociali non
sterno. Nel primo gruppo rientrano tutti i film   permettono. Anche in Fog (1980)
di follia e possessioni demoniache che co-        e ne Il signore del male
noscono grande successo grazie a Psycho           (1987) Carpenter
(1960) di A. Hitchcook e L’esorcista (1974) di    affronta
W. Friedkin, mentre fanno parte del secon-
do tutti quei film in cui l’essere umano si
trova assediato da creature pronte
ad ucciderlo, farlo a pezzi o
divorarlo e che han-
no la loro
ori-
alcuni dei suoi temi più cari: l’esistenza del       anni Cinquanta, gli invasori non vengono
male, la polemica anti-religiosa, l’assedio, il      mai sconfitti. La Cosa è un’entità capace di
disvelamento di una verità terribile pronta a        trasformarsi geneticamente per imitare e ri-
manifestarsi in tutta la sua ferocia. Nel suo        produrre ogni essere vivente, e si configura
cinema, infatti, spesso accade che ci sia            come una minaccia ad ogni genere di sta-
qualcosa nascosto dietro all’apparenza del-          bilità e di identità, capace di introdurre un
le cose, qualcosa di terribile che aspetta di        dubbio paranoico su chiunque ci circondi,
ritornare da un antico passato o di trascinare       derivante dallo spostamento del conflitto
l’umanità dentro ad un mondo irreale e fan-          bene/male all’interno del corpo umano. Ciò
tastico. In Fog si tratta di una verità tenuta       testimonia una forma di insicurezza causata
nascosta dalla Chiesa ma che l’assedio di            forse dagli strascichi delle terribili immagini
veri e propri morti viventi finalmente rivelerà.     della guerra del Vietnam, dall’inquietudine le-
Più incisivo in questi termini è Il Signore Del      gata alle trasformazioni portate dagli ingenti
Male, vede un gruppo di ricercatori universi-        sviluppi tecnologici e informatici, dall’emer-
tari convocati in un’antica cripta da un pre-        genza di nuove, invincibili, malattie come
te alle prese con lo studio di una misteriosa        l’Aids. Questa creatura rappresenta una mi-
sostanza verde che si rivelerà essere nulla          naccia, non solo dal punto di vista fisico, ma
meno che l’Anticristo, occultato dall’isti-          anche cognitivo, perché compromette con
tuzione religiosa per migliaia di anni. Nello        le sue sembianze metamorfiche la normale
sgretolarsi progressivo delle loro certezze e        conoscenza, il normale modo di pensare. La
delle loro cognizioni i protagonisti si trove-       cosa non dipinge infatti un mostro in forma
ranno a fronteggiare l’assedio di una massa          umana ma un mostro di forma mutante la
di senzatetto posseduti dalla malefica enti-         cui minaccia giace nell’imprevedibilità della
tà. Essenziale e classico nella sua struttura        sua apparenza. Esso delinea il crollo dell’au-
narrativa il film si avvale di semplici effetti      torità, dell’amicizia e della fiducia del team
speciali e di un’unica location dentro cui si        quando nell’ordine sociale si infiltra l’ambi-
svolge tutta la vicenda. Come in Distretto           gua “cosa”, la cui esistenza compromette il
13 i personaggi sono assediati dall’esterno          significato stesso della comunità. La versio-
e lottano strenuamente contro le forze irra-         ne di Carpenter è anti-hawksiana, nel modo
zionali, capaci di sovvertire le regole di com-      in cui rappresenta i valori comunitari. Ancora
prensione del reale. Non a caso è proprio un         prima dell’arrivo del mostro l’unità di grup-
gruppo di studiosi, animati da un pensiero           po era zoppicante: mancando un termine di
scientifico, a doversi confrontare con questa        base di differenziazione – la donna –, l’ordine
forza irrazionale che scompagina i modelli di        sociale maschile è vulnerabile alla minaccia
comprensione del mondo e ribalta le conce-           in arrivo. La noia e l’isolamento hanno ero-
zioni tradizionali di bene e male, di spazio e       so il cameratismo hawksiano enfatizzando
tempo, di lontano e vicino.                          la fragilità del mondo umano. Inoltre, una
                                                     strategia formale del film è di spazializzare le
Identità molteplici di alieni, mutanti e creatu-     condizioni sociali interne: nel momento in
re artificiali che minano l’unità indivisibile tra   cui la configurazione spaziale inizia
coscienza e corpo, segnano, come abbiamo             a collassare, la disintegra-
detto, la produzione horror a cavallo tra gli        zione interna della
anni Settanta e Ottanta. Il tema dell’invasio-       comunità
ne dallo spazio, propria del cinema ameri-           della
cano degli anni Cinquanta, viene ripresa da
Carpenter nel film La cosa (1982), in
cui l’invasione è di tipo interno
e, a differenza della vi-
sione ottimista
degli
quale rappresenta la metafora è comunica-            La prima inquadratura del film, attraverso
ta in maniera vivida. Il film lavora continua-       l’occhio cavo e scintillante del jack-o’-lan-
mente sui concetti di dentro e fuori a partire       tern, annuncia che la sua questione primaria
dal campo base dove si svolge la vicenda.            sarà il modo in cui vediamo noi stessi e gli
Dentro c’è il caldo sistema sociale, fuori un        altri. Quella zucca, in rilievo contro un cam-
freddo letale; dentro ruoli sociali definiti, fuo-   po di nero, si profila nel buio come una ma-
ri l’assenza di tutte le distinzioni, e così via.    schera scintillante dentro cui brucia un fuoco
Il film si muove quindi verso una trasgres-          distruttivo. Carpenter usa questa immagine
sione dei confini e la violazione del sistema        per suggerire un mondo inanimato ma mi-
sociale spazializzato con tutto ciò che ne           naccioso, che guarda verso di noi. Hallowe-
consegue. Tale minaccia è sia epistemologi-          en, seguendo il pattern di Psycho, piazza il
ca che materiale; incapace di definire la sua        suo pubblico in una posizione voyeuristica.
comunità umana escludendo membri non                 Mentre Psycho si apre con la camera che
umani, l’ordine sociale della Station 4 inizia       attraversa una finestra per inserirsi su due
a fratturarsi. MacReady e gli altri cercano di       amanti in una camera d’hotel, Halloween fa
resistere a ciò escludendo l’intruso; quando         un passo ulteriore. La carrellata introduttiva
però la minaccia aumenta, prendono misu-             offre al pubblico uno sguardo voyeuristico
re drastiche: il vero orrore del film risiede nel    del piccolo Michael che guarda la sorella e
riconoscimento di ciò che gli uomini fanno           il suo ragazzo mentre si baciano. A questo
per preservare la loro comunità. La strategia        punto Carpenter sposta la prospettiva, e at-
iniziale è di isolare i membri pericolosi. Blair     traverso la soggettiva di Michael gli spetta-
lo scienziato capisce che se il team e poi il        tori sono forzati a partecipare all’azione che
mondo vengono infettati, tutte le distinzioni        seguirà. Lo sguardo è ora interamente attra-
tra umano e non umano cesseranno di aver             verso gli occhi di Michael che sbircia nella fi-
significato. Dunque decide di agire da solo,         nestra, con il vantaggio del suo punto di vista,
ma fallisce: nel film di Carpenter la scienza        ovvero che vediamo senza essere visti. Co-
capitola per prima, incarnando la rabbia cie-        munque, come accade spesso nel caso del
ca di un uomo. Siamo di fronte quindi a un           voyeur, sperimentiamo frustrazione, essen-
doppio assedio interno. Il primo è quello del        doci impedito di osservar, essendoci ostru-
corpo fisico, il secondo del corpo sociale.          ita la vista. Ma il nostro desiderio di vedere
                                                     viene presto soddisfatto, e nella maniera più
Da Psycho in avanti si conosce una grande            terrificante, perché Michael entra in casa e,
diffusione dei così detti psycho-movies, film        dopo aver indossato una maschera, sale in
che raccontano vicende di schizoidi e ma-            camera per dare luogo a una carneficina. In
lati di mente. Fra gli esempi più importanti         ogni caso, Michael affronta due barriere più
di film di questo genere occorre ricordare           significanti e imponenti – quella psicologica
Halloween – La notte delle streghe (1978) di         e l’altra fenomenologica; ed è per loro opera
Carpenter. In questo caso abbiamo un killer          che Carpenter porta a casa le conseguen-
mascherato che uccide persone giovani, in            ze di questa identificazione. Il bambino
particolare donne. Carpenter costruisce un           con cui siamo stati forzati a iden-
film che parla allo spettatore chiamandolo           tificarci difficilmente può
in causa, offrendogli la maschera di Micha-          capire la complessi-
el Myers, assediando così le sue certezze e          tà della ses-
scuotendolo. Il film richiede allo spettatore di     sua-
guardare il mondo attraverso l’occhio di una
zucca – simbolo delle nostre paure e
dell’urgenza profonda di na-
sconderle sotto una
forma mitica.
lità adulta, come di quella adolescenziale.                  dall’azione, come se lo spettatore avesse
Una conseguenza, e forse una spiegazione                     appena realizzato cosa è stato: se non com-
per la violenza che segue, è che attraverso                  plice, quantomeno testimone interessato di
questa prospettiva voyeuristica Judy è già                   un evento terribile.
stata ridotta da Michael (e da noi stessi) a
qualcosa di lontano dall’umano, oggetto di
interesse scopico sebbene incomprensibile.
Dopo che Michael uccide sua sorella e vie-
ne scoperto dai genitori, siamo infine strap-
pati via da questa prospettiva. La comple-
ta mancanza di comprensione nel suo viso
suggerisce un modo di visione a noi alie-
no. A questo shock segue una
rapida accelerazione del-
la camera che si
allontana

                        Halloween – La notte delle streghe (Halloween, 1978)
Con Halloween Carpenter raggiunge per            minato in questo modo proprio per evocare
la prima volta un grande successo di pub-        le efferate uccisioni prodotte attraverso armi
blico. Il film segna anche l’inizio del soda-    da taglio. Le riverberazioni della lama vanno
lizio artistico del regista con la produttrice   a comporre la sinistra zucca simbolo della
e sceneggiatrice Debrah Hill. Le strade dei      festa che dà il nome alla pellicola saldando
due rimarranno intrecciate per molti dei film    così insieme i due elementi.
a venire. Prende vita così il mito di Michael
Myers, lo squilibrato omicida vera e propria
icona titanica del cinema horror. Sulla lo-
candina ammiriamo ritratto in primo piano
il coltello brandito minacciosamente, l’arma
preferita di Myers che tanta fortuna avrà nel
successivo filone del cinema slasher, deno-

      JOHN CARPENTER
Dark Star (1974)
          Dark Star rappresenta il vero esordio cine-          fantapolitiche sul futuro, nonché di un certo
          matografico di Carpenter, la prima sua pelli-        tipo di cinema magico e dalle apoteosi tota-
          cola distribuita nelle sale cinematografiche.        lizzanti di cui il cinema di Kubrick costituisce
          La lavorazione del film, nato come tesi finale       certamente un esempio. Il richiamo alle due
          per la University of Southern California, ha         pellicole in questione è talmente lampante
          conosciuto diverse peripezie durante la              da essere utilizzato, sulla locandina del film,
          lunga fase produttiva prolungatasi per ben           come potenziale attrattiva per gli spettatori,
          quattro anni. Il progetto si configura come          richiamati attraverso titoli noti a gustare in
          un omaggio a due pellicole di Kubrick: Il            sala l’opera prima di un giovane regista il cui
          dottor Stranamore (1964) e 2001: Odissea             nome sconosciuto avrebbe da solo riscos-
          nello spazio (1968). Una rappresentazione            so uno scarso appeal.
          parodistica e grottesca orientata a capo-
          volgere i luoghi comuni e le elucubrazioni

Distretto 13 – Le brigate della morte (Assault on Precinct 13, 1976)
          Come per molte altre sue opere, in Distret-          cana, mira a dare in un’unica raffigurazione
          to 13 Carpenter omaggia i grandi registi del         una rappresentazione schietta e sincera di
          passato, metabolizzandone però lo stile e            quello che è il cuore della pellicola. Un as-
          rielaborandone le tematiche fondamentali             salto interminabile alla postazione difesa
          con gusto e estetica personali, portando             dai protagonisti, sui pertugi della quale si
          archetipi narrativi noti a riflessioni inedite. Si   affacciano con insistenza sempre maggiore
          può dire infatti che il film costituisca una ma-     orde di assalitori determinati a tutto pur di
          nipolazione della trama del grande classico          portare a termine i loro folli propositi di inva-
          di Howard Hawks Un dollaro d’onore (1959)            sione, ritratto in un bianco e nero da carta di
          e al contempo vada a comporre la tavolozza           giornale, evidente richiamo alla cronaca e ai
          di base per le sfumature con cui Carpenter           disordini politico-civili che hanno caratteriz-
          connoterà le sue successive opere. Il ma-            zato la decade degli anni Settanta.
          nifesto, esposto nella sua versione ameri-

         I MANIFESTI
             Elvis – Il re del rock (Elvis the movie, 1979)
          Elvis segna per Carpenter il debutto nel             Il manifesto è esplicito nell’anticipare ciò
          mondo delle produzioni televisive. Lungi dal         che vedrà lo spettatore. Il Re del rock’n roll,
          raggiungere gli importanti risultati artistici       viene ritratto in molteplici versioni, varianti
          conseguiti dal regista con alcune delle sue          d’abito e di stile che simboleggiano le sfac-
          più grandi opere cinematografiche, il film si        cettature in cui si è declinata la sua sover-
          presenta come un importante esperimento              chiante personalità.
          con il quale vede la luce la collaborazione
          che legherà per molti anni Carpenter e il suo
          attore feticcio, Kurt Russell. Russell si pre-
          senta come la maschera ideale per ritrarre
          i protagonisti del cinema carpenteriano
          diventando ben presto un tassello fonda-
          mentale nel quadro produttivo dell’autore.
Fog (The Fog, 1980)
                         Il sodalizio con Debrah Hill e con gli altri       gredienti essenziali del cinema di Carpenter
                         membri del gruppo fidato di tecnici di cui         sono tutti presenti in questa storia di fanta-
                         Carpenter si circonda al fine di avere totale      smi. La locandina del film richiama la nebbia
                         controllo e autonomia sulla realizzazione dei      del titolo: luogo immaginifico che, piuttosto
                         propri progetti diventa con Fog una costan-        che mostrare dando forma alla paura, oc-
                         te dell’universo produttivo del regista. Per       culta e nasconde i fatti che vi vengono com-
                         la realizzazione del film Carpenter recupe-        messi. Laddove i contorni delle cose sono
                         ra archetipi classici del terrore, veri e pro-     sfumati la linea che distingue il reale dal
                         pri modelli mescolati insieme con sapiente         fantastico si fa sempre più tenue, rendendo
                         maestria. L’assedio, la presenza costante          tutto possibile.
                         del male, il ritorno di un passato che allunga
                         le proprie ombre su un presente ignaro ma
                         che porta con se colpe incancellabili. Gli in-

                         1997: Fuga da New York (Escape from New York, 1981)
                         La “Grande Mela”, ribaltata nella sua for-         che non è altro che trasposizione figurata
                         ma e nella propria concezione simbolica,           del presente di Carpenter. Manhattan, isola
                         ritratta obliquamente nella locandina di           simbolo della ricchezza economica, mani-
                         1997: Fuga da New York è la vera protago-          festazione opulenta del regno della finanza,
                         nista della quinta fatica di John Carpenter.       diventa un carcere a cielo aperto dove trova
                         Simbolicamente dagli anfratti della testa          reclusione, senza possibilità di redenzione,
                         deturpata della celeberrima Libertà fuorie-        la peggiore feccia criminale. Un indice pun-
                         sce una fiumana di assalitori che ricorda le       tato impietosamente dal regista contro una
                         masse violente e convulse di Distretto 13 e        certa élite sociopolitica: forse i veri furfanti
                         che si appresta ad assalire i protagonisti in      sono proprio coloro che, ben lontani dalle
                         fuga. Le splendide scenografie che fanno           prigioni, trovano il loro rifugio sicuro in un
                         da sfondo alla vicenda raccontata nel film         vero e proprio paradiso dorato.
                         raccontano le macerie di un futuro distopico

                                            La Cosa (The Thing, 1982)
Il primo film di Carpenter ad alto budget,          ritardo la meritatissima rivalutazione de La
quello che avrebbe dovuto consacrare il             cosa, film che vanta oltre a uno script stre-
regista agli occhi del pubblico e della criti-      pitoso e a una messa in scena impeccabile,
ca, si rivelerà insospettabilmente un clamo-        degli effetti speciali analogici rimasti forse
roso insuccesso al botteghino, a discapito          ancora oggi ineguagliati. Sul manifesto,
dell’ingente impiego di mezzi e risorse inve-       divenuto col tempo tanto iconico quanto il
stiti nella sua realizzazione. Complice anche       film stesso, troviamo emblematicamente
il grande successo del film di Spielberg E.T.       rappresentata con le tinte glaciali che fanno
che, uscito nelle sale in quello stesso anno,       riferimento all’ambientazione antartica una
portava sullo schermo una tematica equiva-          minaccia senza nome e senza volto, capa-
lente (l’impatto dell’incontro con un’entità        ce di incarnarsi in qualsiasi essere vivente e
aliena) con toni decisamente più accessi-           dalla quale nessuno è al sicuro.
bili per quanto superficiali. Arriva dunque in

                           Christine – La macchina infernale (Christine, 1983)
Sono innumerevoli le opere cinematogra-             tinte assai più cupe di quelle con cui siamo
fiche che hanno tratto il proprio materia-          abituati a ricordare quella decade. Sul mani-
le narrativo dai romanzi del noto scrittore         festo la protagonista indiscussa del film: la
americano Stephen King. Con fortune e               Plymouth Fury del ’58 Christine, incarnazio-
risultati alterni molti registi di genere (e non    ne del male stesso e della sua voracità an-
solo) si sono cimentati nel sostituire la loro      nientatrice. La locandina ricalca l’immagine
macchina da presa alla penna del roman-             minacciosa per quanto stereotipa utilizzata
ziere per raccontarne ossessioni e incubi.          per pellicole come Duel (Steven Spielberg,
Carpenter, come pochi anni prima aveva              1971) e La macchina nera (Elliot Silverstein,
fatto Stanley Kubrick nell’indimenticabile          1977), in cui la narrazione ruota attorno a un
Shining (1980), piega il materiale offerto alla     veicolo misteriosamente animato da forze
propria personalissima visione del mondo,           oscure e impenetrabili.
fornendo un ritratto degli anni Cinquanta a
Starman (1984)
Un film forse poco carpenteriano Star-            tutti gli effetti come uno dei prodotti meno
man, il quale si avvale di attori famosi e        interessanti sotto il profilo qualitativo fra
una sceneggiatura patinata per ricercare il       quelli offerti dalla presente esposizione, è
successo commerciale che sembrava aver            sintomatico di una linea di tendenza che
abbandonato il regista dall’uscita in sala de     proprio a partire dagli anni Ottanta vedrà
La cosa. Contrariamente alla maggior parte        progressivamente sostituirsi la grafica foto-
del corpus di opere di Carpenter, in questo       grafica all’estro pittorico dei cartellonisti di
film dalle smaccate atmosfere sentimentali        professione.
è all’apparenza difficile ritrovare un’anima
genuinamente riconducibile alla poetica
dell’artista, nonostante non sia privo di
spunti stimolanti sul tema della diversità.
Il manifesto americano, che si presenta a

                    Grosso guaio a China Town (Big Trouble in Little China, 1986)
Azione, colori, avventura, divertimento rit-      versità delle situazioni che verranno offerte
mato e incalzante: questo è quanto sembra         agli occhi dello spettatore. All’interno della
promettere il manifesto di Grosso guaio a         composizione vengono accostati e sovrap-
China Town. Chi ha visto il film sa che queste    posti elementi dalla differente connotazione
promesse vengono puntualmente mante-              tematica e perfino cromatica per rendere ra-
nute da una pellicola che riesce a insinuarsi     gione della sregolata varietà che caratteriz-
trasversalmente tra i generi cinematografici      za una delle pellicole più peculiari dell’intero
e in cui la messa in scena di Carpenter tra-      cinema di Carpenter.
sforma una classica storia di salvataggio in
un’esplosione sensazionale e indefinibile di
scatenata follia. La locandina del film rical-
ca tutti i codici dei manifesti del cinema di
avventura, in cui si punta sull’incredibile di-

                              Il signore del male (Prince of Darkness, 1987)
                        Il rapporto che lega il Male e la sua origine è     lo spazio in lontananza. È interessante nota-
                        trattato diffusamente e in vari modi nei film di    re come l’effetto reso dalla rappresentazione
                        Carpenter. I manifesti di molte tra queste pel-     non ci permetta di dire se il volto scaturisca
                        licole presentano curiose assonanze tra loro,       o venga attratto da quella particolare loca-
                        prescindendo dal fatto di essere stati realizzati   zione, rendendola di fatto al tempo stesso
                        da persone diverse e in differenti epoche e         origine e destinazione, inizio e fine. Il colore è,
                        contesti. Il signore del male racconta in ultima    ovviamente, il verde, il medesimo dell’antico
                        analisi, attraverso una narrazione frammen-         e misterioso liquido la cui scoperta innesca la
                        tata, dell’avvento su questo mondo dell’An-         trama, mentre l’edificio in lontananza è la chie-
                        ticristo. Nella locandina del film vediamo ri-      sa in cui la narrazione ha luogo, sulla quale le
                        tratto un volto trasfigurato e urlante il quale     nuvole sembrano addensarsi nell’incombere
                        sembra fondersi con una nuvola miasmatica           imminente di quella che sarà la notte portata
                        che lo congiunge ad un edificio che domina          dall’irresistibile ascesa del male.

                                          Essi vivono (They Live, 1988)
                        Piccolo film a basso costo, Essi vivono si fa       devastazione e dalla povertà. Sul manifesto
                        invece carico di veicolare una grande alle-         è ritratto lo sguardo sconcertato del prota-
                        goria, densa di temi pregnanti e di stimolanti      gonista, il wrestler Roddy Piper. Lo sguardo
                        riflessioni. Cosa succederebbe se entrassi-         dell’attore è puntato sul mondo all’esterno
                        mo in possesso di occhiali speciali che ci          del manifesto, sul nostro universo, e l’imma-
                        rivelassero che il mondo come lo abbiamo            gine riflessa nelle lenti dell’occhiale scuro ci
                        sempre conosciuto non è quello reale? È             dice che l’immagine che osserviamo all’uni-
                        esattamente quello che succede ai protago-          sono sembra in qualche modo essere pro-
                        nisti di questa pellicola, i quali si muovono       prio la nostra…
                        su un filo tra la realtà e l’allucinazione, alla
                        scoperta progressiva di una verità tanto mo-
                        struosa quanto inimmaginabile, sullo sfon-
                        do di una periferia americana segnata dalla
Avventure di un uomo invisibile (Memoirs of an Invisible Man, 1992)
L’uomo invisibile fa parte di quel vero e pro-       e graffiante dalle forti tinte comiche che non
prio pantheon orrorifico offerto da tutti i per-     riesce a resistere dall’omaggiare i vecchi
sonaggi archetipici che hanno contribuito a          film targati Universal con numerose cita-
rendere grande la storia di questo genere.           zioni. Lo vediamo stagliarsi sul manifesto,
Dal romanzo di H. F. Saint alla celebre saga         il suo uomo invisibile, nei panni di Chavey
che lo ha visto protagonista nei film degli          Chase. Locandina dalla scarsa sostanza
anni Trenta, fino al relativamente recente           che si limita a suggerire un blando isomor-
Uomo senza ombra (2000) di Paul Verhoe-              fismo tra l’immaterialità del protagonista e
ven, l’attributo dell’invisibilità insieme a tutte   l’etereo riflesso delle superfici specchiate
le dinamiche di esenzione dal crimine e dal-         dei grattacieli che gli fanno da sfondo.
le conseguenze morali che ne conseguono
è stata affrontata in innumerevoli varianti.
Carpenter ci offre la sua, con un film ironico

                                Body Bags – Corpi estranei (Body Bags, 1993)
Una seconda parentesi televisiva nella car-          ne come in un gioco di specchi e rimandi, e
riera di Carpenter ci regala, oltre a un gu-         suggerendo l’affiorare della mostruosità nel
stosissimo film horror antologico, uno dei           mondo reale ritratta nel suo protrarsi verso il
manifesti più interessanti dell’esposizione.         pubblico che la osserva.
Prescindendo dal contenuto dei tre episodi
di cui si compone il film l’illustratore si basa
sul concetto offerto dal titolo mostrando
l’emergere dirompente di un essere (dai
tratti insolitamente somiglianti a quelli del-
lo stesso John Carpenter) dal ventre di una
persona. La lacerazione del giubbino ritratto
va di pari passo con quella del manifesto
stesso, confondendo i livelli di raffigurazio-

                            Il seme della follia (In the mouth of Madness, 1994)
                          I legami tra Il seme della follia e Il signore del   volta, guardando il manifesto, siamo portati
                          male non si esauriscono nei contenuti che            a interrogarci, a chiederci se il libro (simbolo
                          le due pellicole trattano in modo difforme           che identifica il prodotto, la tangibile con-
                          ma parallelo, e sono resi evidenti anche dai         cretizzazione dell’umana fantasia) costitui-
                          manifesti che pubblicizzano questi due film.         sca il punto di origine di qualcosa che viene
                          Il seme della follia costituisce un’attenta e        proiettato al di fuori, o il vertice più basso
                          pervasiva disamina dei poteri della creazio-         verso il quale tutto viene trascinato, nell’im-
                          ne artistica, portata avanti attraverso una          possibilità dolorosa di liberarsi dalle catene
                          narrazione che si fa sempre meno lineare             che esso impone. Questo contrasto tra due
                          con l’avanzare della pellicola. Il racconto si       poli di verso contrario e intrinsecamente
                          frantuma, si disgrega, insieme alla psiche           opposti costituisce uno dei più fecondi nodi
                          del protagonista che vive le avventure che           semantici dell’intera poetica di Carpenter.
                          siamo chiamati a osservare. Ancora una

               Il Villaggio dei dannati (John Carpenter’s Village of the Damned, 1995)
                          Rifacimento non particolarmente fortunato            un elemento estraneo all’interno di una piccola
                          dell’omonimo film di culto del 1960 il Villaggio     comunità che si regge su regole e principi au-
                          dei dannati è riconosciuto come uno dei film         tonomi e consolidati, l’informe e indefinibile mi-
                          meno ispirati del regista. In realtà si possono      naccia aliena, la rapacità delle istituzioni sotto-
                          ritrovare al suo interno quasi tutte le temati-      messe alle logiche del potere; rimangono temi
                          che care a John Carpenter, anche se vengono          abbozzati malgrado la loro indiscutibile presen-
                          presentate in nuce, ed aleggiano pervadendo          za. Il film trova il suo punto di forza piuttosto
                          l’atmosfera del film senza che siano manifesta-      nella reinterpretazione del concept ideato per i
                          te platealmente. La nascita sospettosamente          bambini, terrificanti con i loro capelli bianchi e il
                          innaturale di una folta schiera di bambini albini    gelido sguardo vitreo e insensibile, ritratti nella
                          fa da preambolo alle catastrofiche vicissitudini     locandina al di sopra della cittadina sulla quale
                          che sconvolgeranno la vita di una piccola citta-     esercitano una minaccia incombente.
                          dina costiera della California. L’introduzione di
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