JOHN CARPENTER: TUTTI I MANIFESTI ORIGINALI - DAL 27 AL 31 OTTOBRE 2019
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IL CINEMA DI CARTA Quello della produzione dopo un lungo viaggio durato più di cento anni e cominciato nel momento stesso in cui cinematografica il cinema ha visto la luce. è un mondo composito e complesso. Potremmo anzi asserire, non senza un piz- Il prodotto finale è, ovviamente, il film: fruito zico di malizia, che la nascita della cartel- in sala (o, sempre più spesso, sugli schermi lonistica cinematografica abbia addirittura di televisori, computer e dei più disparati di- preceduto quella della stessa arte che era spositivi elettronici) ci mostra un mondo rac- destinata a pubblicizzare. La prima proie- contando una storia che possiamo vivere e zione pubblica a pagamento organizzata dai rivivere, ci proietta in un immaginario che di- fratelli Lumière al Salon indien du Grand Café viene parte integrante del patrimonio cultu- il 28 dicembre del 1895 fu infatti promossa rale collettivo nella sua duplice accezione di al pubblico diversi giorni prima attraverso bene di consumo e di espressione artistica. l’affissione di un’affiche, uno dei manifesti Ma attorno all’opera in sé ruota un variegato tradizionalmente destinati a pubblicizzare universo legato alla manipolazione di tessuti eventi quali opere liriche e spettacoli teatrali. narrativi differenti, al contesto e all’ogget- Già dalla fine dell’Ottocento dunque cinema tualistica inerente alla fruizione e alla pubbli- e manifesto si presentavano come indisso- cizzazione del film. Tra questi a ricoprire un lubilmente legati. ruolo di primo piano è indubbiamente il ma- nifesto cinematografico. Strumento di pro- Il manifesto cinematografico si è posto fin mozione, oggetto da collezionare, sorta di dagli esordi su una labile linea di confine per doppio cartaceo che costituisce l’altra faccia quanto riguarda l’ambito di appartenenza, di ogni film, per alcuni vero e proprio feticcio. trovando intersezioni comuni con discipli- La tentazione di raccontare il cinema su car- ne differenti e apparentemente antietetiche ta e porre quest’ultima a fronte della pellicola tra loro. Se da un lato infatti le composizioni che descrive, quasi fosse una transmediati- delle grafiche delle locandine lasciava- ca confezione per l’opera, risulta ancora irri- no trasparire velleità artistiche, nunciabile, perfino oggi che la promozione dall’altro il fine pubbli- delle opere cinematografiche si è spostata citario impediva su canali e in contesti molto distanti dalle loro pareti di affissione e dalle facciate degli edi- di fici su cui trovavano una volta ospitalità le locandine. Il manifesto accom- pagna dunque il cinema e i suoi prodotti an- cora oggi,
essere ascritte al rango di vera e propria di Warner, MGM e Columbia. Questi pionieri arte, in quanto a inizio secolo l’apparato inaugurarono una fortunata stagione del car- critico era ancora tendenzialmente incline a tellonismo che vide proprio in Italia l’affer- ritenere degna di rispetto un’opera in cui il mazione di alcuni dei suoi esponenti più au- genio e la creatività fossero disinteressati, o torevoli e riconosciuti come Renato Casaro, per lo meno che non fossero messi al servi- Angelo Cesselon, Silvano Campeggi, Enrico zio di un fine tanto basso come quello di ra- De Seta e Enzo Sciotti, i quali illustrarono le cimolare biglietti per uno spettacolo. Questa immagini immortali (basti pensare ai manife- ambivalenza si rifletteva sul comportamento sti iconici di Via col vento o Ben Hur, o ancora di chi i cartelloni li disegnava, i cosiddetti Balla coi lupi e Terminator) che richiamiamo cartellonisti. Lungi dal ricavarne vanto, i pri- alla mente quando pensiamo a determinati mi disegnatori a cimentarsi nella creazione film. Il manifesto cinematografico cominciò di materiale pubblicitario per il cinema mini- dunque a partire dagli anni Trenta ad assu- mizzavano il loro apporto alla cartellonistica mere forma e convenzioni proprie (come ad definendola come un’attività secondaria al esempio gli standard per quanto riguarda le loro reale mestiere, quello di artisti. Questo dimensioni e i formati delle locandine) che “peccato originale” era aggravato dal fatto lo separarono dal resto della cartellonistica che il lavoro per le major cinematografiche pubblicitaria. si era rivelato inaspettatamente profittevole e remunerativo, divenendo la maggior parte Oltre al principale compito cui era adibito delle volte la reale fonte di guadagno dell’ar- il manifesto cinematografico (quello, ov- tista. In un contesto culturale fluido come viamente, di promuovere il film, attirando quello degli anni ’20, anni in cui grazie alle l’attenzione sul prodotto in questione), le avanguardie artistiche la nozione stessa di sue potenzialità furono via via sfruttate per Arte sarebbe stata profondamente messa in assolvere a una serie di compiti secondari discussione, le forme di comunicazione del- e collaterali, sempre legati a finalità di stra- la modernità rivendicavano con veemenza tegia comunicativa, per meglio esercitare la sempre maggiore uno spazio di definizione propria funzione. Uno di questi era quello cui che fosse proprio, negato loro fino a quel sono adibiti i moderni trailer cinematografici, momento dall’ingombrante e altolocato ap- ovvero anticipare elementi della trama della parato critico e accademico che si era arro- pellicola così che il pubblico potesse me- gato fino ad allora il diritto di stabilire cosa glio orientare le proprie scelte. Se il cinema fosse degno di attenzione e di studio. come arte si fonda sul montaggio conse- quenziale di differenti immagini, il manifesto Uno tra i primi a rivendicare con vanto il procede con un montaggio interno alla stes- proprio ruolo di cartellonista fu l’italiano An- sa composizione figurativa degli elementi selmo Ballester che, autore fin dagli anni più rappresentativi del film che pubblicizza, Venti delle locandine cinematografiche di sovrapponendo i vari elementi e organizzan- alcuni dei più grandi film dell’epoca, si impo- do all’interno di una sola raffigurazione un se come vero e proprio punto di riferimento vero e proprio piccolo racconto. È tra le personalità artistiche ruotanti attorno interessante sottolineare al mondo del manifesto cinematografico. In- come molto spesso sieme ad Alfredo Capitani e Luigi Martinati, i cartellonisti Ballester fondò lo studio BMC a cui si rivol- sero i più prestigiosi studi dell’industria cine- matografica: dalle case di produzione nostrane, come la CINES o la Tirrenia, ai colossi americani del calibro
dovessero procedere alla realizzazione del- Ian Fleming. Nonostante il passare degli le loro opere senza avere la possibilità di anni e la rivoluzione avvenuta all’interno del visionare il film di riferimento, basandosi mondo della comunicazione, il manifesto soltanto su una sinossi della trama e su al- continua ad esistere, anche se raramente cune fotografie di scena o piccole sequenze le opere odierne reggono il confronto con che venivano loro mostrate. Ecco spiegati i quelle scaturite dai pennelli degli artisti del casi di infedeltà o scarsa pertinenza, talvol- passato. Si ritrovano oggi locandine che per ta davvero eclatanti, di alcuni dei manifesti lo più sono costituite dall’assemblamento cinematografici nei confronti dei contenuti grafico di porzioni di foto di scena con le so- delle pellicole. vrapposizioni dei volti degli attori principali e vengono utilizzate come parte delle moder- Come ogni tipo di comunicazione pubblici- ne e complesse operazioni di marketing che taria anche la cartellonistica utilizzava stra- precedono l’uscita delle pellicole più attese tegie mirate di persuasione a seconda del o come corredi per i successivi impieghi target che si pensava fosse più probabile commerciali del film, ad esempio le coperti- andasse a visionare la pellicola in questio- ne dei DVD o i poster decorativi. Il manifesto ne. Seguendo il modello con cui, in ottica di è quindi sempre più difficile da incontrare ottimizzazione delle risorse produttive e di sui muri, sui viadotti o per le strade e veglia standardizzazione dei prodotti, erano stati sonnolento solo davanti alle sale cinemato- inventati e suddivisi i generi cinematografici grafiche ad assolvere stolidamente all’ultimo dall’industria americana, anche sui manife- compito rimastogli: quello di segnalare il film sti assistiamo alla riproduzione di stilemi e in programmazione. Lo si trova invece a sor- figure ricorrenti che identificano la locandi- presa rilocato sul web, insieme alle immagini na in base al genere di appartenenza. Oltre di scena e ad altri scorci fotografici fra i quali agli appassionati dei singoli generi i manife- si mimetizza e con i quali è facile confonder- sti potevano essere pensati suddividendo lo; oppure nei musei e nelle mostre come il pubblico nelle macrocategorie di genere, oggetto da collezione. maschile e femminile, dipingendo dunque Nonostante ciò, sebbene alla luce di quanto illustrazioni che si pensava potessero aggra- detto possa apparire anacronistico, ad ogni dare più un segmento di pubblico rispetto film in uscita continua a corrispondere una che un altro a seconda del tipo di film pub- locandina che lo illustra: quello che è stato blicizzato. Altro ovvio modo di promuove- definito come “il cinema di carta” accompa- re una pellicola era quello che faceva leva gna ancora il cinema, per così dire, in car- sull’apparato divistico: pubblicizzare un film ne e ossa. Ormai simbolo più che prodotto, con il volto dell’attore principale è indubbia- quasi vestigiale, testimoniante il funziona- mente la strategia più semplice ed efficace mento dei meccanismi pubblicitari relativi di accaparrarsi la fetta di pubblico che di all’industria cinematografica di un tempo quell’attore si professa ammiratrice. Non a che fu, e che la contemporaneità non può caso accadde spesso che taluni disegnatori, (o non vuole) scrollarsi di dosso per via di mostrata particolare maestria nel dipingere il quell’aura magica di cui rimane in- volto di un attore particolare, venissero suc- negabilmente ammantato. cessivamente chiamati a disegnare i mani- festi per ogni film in cui aveva parte il divo, come fu il caso di Campeggi al quale dob- biamo i ritratti di Sean Connery interprete di James Bond nella serie di film ispirati alle gesta del famoso agente segreto creato dalla penna di
FOLLIA Il tema della pazzia, follia come sintomo di una condizione tra- scendente la realtà stessa. Ripercorreremo della follia e della perdita queste tappe in ordine inverso partendo della sanità mentale dal legame che il regista ha instaurato con è stato trattato spesso dall’arte e dalla let- il nucleo poetico di un altro grande artista, teratura di matrice fantastica. Il fantastico lo scrittore americano Howard Philip Love- in sé è infatti qualcosa che per definizione craft. Lovecraft ha fatto, per quanto riguar- trascende la nostra esperienza sensibile, da la sua produzione letteraria, della perdita associando ambiti sensoriali e semantici della sanità mentale in seguito all’incontro di che nella nostra vita teniamo ben distinti. entità per l’uomo inintelligibili un vero e pro- Riprova del potere dell’immaginazione, atto prio marchio di fabbrica. ultimo della capacità umana di creare che si estende al di là del mondo concreto e fattua- Carpenter ha toccato spesso nelle sue ope- le, non c’è da stupirsi che la manifestazione re le tematiche lovcraftiane, cimentandosi di qualcosa che riteniamo fondamentalmen- nel difficile compito di affrontare l’irrappre- te impossibile avvenga sia posto in stretta sentabilità attraverso un medium, quello ci- relazione con la messa in dubbio del corretto nematografico, che ha proprio nell’atto del funzionamento delle nostre facoltà intelletti- rappresentare visivamente la propria pos- ve. Il nodo è perfino doppio se restringiamo sibilità di esistenza e definizione. Parreb- il cerchio al fantastico di matrice orrorifica. be un controsenso, eppure si può dire che Se il Mostro, figura sulla quale è imperniato Carpenter sia riuscito, attraverso le giuste il genere horror tanto a livello letterario quan- scelte narrative utilizzate per trattare il tema to cinematografico, nella sua accezione e l’elaborazione di un’estetica complessa e etimologica di “prodigio” o “portento” ci si personalissima, a dare una delle più com- palesasse davanti agli occhi sconvolgendo plete formulazioni che siano mai state pro- quella che è la nostra ordinaria percezione dotte a livello cinematografico dell’opera delle cose, disallineando le categorie con dello scrittore di Providence. Non che sia cui siamo abituati a ordinare la realtà, quan- stato l’unico a provarci. Da una to lascerebbe intatto l’equilibrio necessario a parte infatti il ciclo di film conservare la lucidità? dichiaratamente ispirati ai John Carpenter ha affrontato la tematica su più livelli, scandendola nelle sue differenti accezioni di condizione clinica, di conseguenza della paranoia fino a trattare la
racconti di Lovecraft, prodotti dalla coppia sioni matematiche e dimostrando di avere di registi statunitensi Stuart Gordon e Brian una propria intelligenza. La follia si sprigiona Yuzna tra gli anni ’80 e ’90 - di cui potrem- esponenzialmente nel corso della pellicola, mo citare a titolo esemplificativo Re-Anima- contagiando dapprima i protagonisti per poi tor (Stuart Gordon, 1985), Necronomicon riversarsi all’esterno, nel mondo. Assistiamo (Brian Yuzna, 1994), Dagon (Stuart Gordon, al dilagare della pazzia in un furore messia- 1994) - si sforzava di mantenere un’ade- nico. Le folle di senzatetto ottenebrati in- sione ai racconti con l’utilizzo di citazioni e neggiano all’avvento di una nuova era nella della particolarissima terminologia nomen- quale il vero bene è il male e il vero senno clativa utilizzata dallo scrittore, ma lo faceva è la completa perdita della ragione stessa. in modo esclusivamente nominale, portan- Ne Il seme della follia (1994) Carpenter por- done in scena il tessuto narrativo e rappre- ta questa riflessione all’estremo, legando la sentandolo però attraverso i codici classici follia al concetto stesso di creazione artisti- del cinema dell’orrore. Dall’altra è possibile ca. Durante la caccia del protagonista John ravvisare questi influssi in opere completa- Trent, ostinato a scoprire dove si nasconde mente estranee al genere, quali Improvvisa- il famigerato scrittore Sutther Cane, i confini mente l’estate scorsa (Joseph L. Mankiewi- tra ciò che è reale e ciò che è frutto di fanta- cz, 1959) o L’ultima onda (Peter Weir, 1977), sia gradualmente scompaiono, fino a inverti- ma essi risultano totalmente distanti da quel re totalmente la prospettiva. Il sicuro e solido sentimento di repulsione trascendentale col- terreno delle impressioni sensibili si sgretola pevole di causare la perdita del senno e dei rivelando una metaforica girandola caleido- legami che ci lasciano connessi al mondo scopica di scatole cinesi che si inghiottono reale secondo Lovecraft. Carpenter ha ri- l’una con l’altra. Metaforica fino ad un certo creato una via personale attraverso cui rap- punto, perché nel momento in cui ogni rife- presentare la follia, declinandola di volta in rimento è perduto, nel momento in cui tra i volta a contesti diversi e rappresentandola due termini dell’allegoria non riusciamo più a con stili variegati a seconda delle differenti dire quale possa dirsi concreto e quale figu- accezioni con le quali intendeva affrontare il rato, allora ogni punto di riferimento è per- tema. Carpenter omaggia invece Lovecraft, duto. Non c’è più distinzione tra ciò che è piuttosto che attingere dal contenuto delle reale e ciò che è proiezione e fantasia dello sue storie, e ne carpisce la vera essenza scrittore/demiurgo e, nella conquista, sem- collocandola non nei contenuti, bensì nelle bra non esserci più posto nel mondo per atmosfere e nelle ambientazioni. coloro che ostinatamente e insensatamente continuano a professarsi sani di mente. Ne Il signore del male (John Carpenter, 1987) la follia assume i contorni metafisici Anche ne La cosa (1981) assistiamo al pro- dal sapore apocalittico tanto cari al Solitario gressivo impazzire dei protagonisti. È que- (come venne definito lo scrittore del Rhode sta volta però, a far perdere loro la ragione Island) di Providence. Carpenter unisce gli un assedio “al contrario”, una lotta con un apparentemente inconciliabili ambiti della nemico che si manifesta all’interno fisica teorica e della religiosità messianica in delle mura di quello che ri- questo horror che vede al centro della pro- teniamo un rifugio pria narrazione l’essenza stessa del male: sicuro. L’insi- un misterioso liquido verde custodito nei nuar- sotterranei di un’antica chiesa abbandona- ta, il quale risponde alle rilevazioni effettuate tramite macchinari scientifici esprimen- dosi attraverso espres-
si di una minaccia metamorfica e dalle sem- efferatezze compiute da un maniaco omici- bianze mutevoli, inconsistente per quanto da, quanto l’ineluttabilità della morte stessa vividissima e terribilmente pericolosa, che nel suo incedere violento. trasforma un’iniziale situazione di conviven- za pacifica in un’esperienza di sopravviven- La psicopatologia si pone invece come sno- za in condizioni estreme. Sembra costituire do fondamentale di quella che è ad oggi l’ul- un’esperienza paranoica anche quella dei tima opera diretta da Carpenter per il grande protagonisti di Essi vivono (1988), giocata schermo: The ward – Il reparto (2010). Anco- abilmente sul filo di quelle suggestioni che ra le disfunzioni mentali, i disturbi psichici e tanto cinema di fantascienza degli anni ’50 le turbe dettate dal disagio post-traumatico aveva già portato sugli schermi, un film su vanno a braccetto con l’esposizione al male tutti L’invasione degli ultracorpi (Don Siegel, e i suoi effetti disastrosi. Le sinistre visioni 1956). A sorpresa tuttavia, laddove i registi della protagonista Kristen, giovane ragaz- degli anni del maccartismo avevano lasciato za ricoverata in una clinica psichiatrica in una volontaria aporia, Carpenter decide di quanto vittima di un’amnesia che sembra alzare energicamente il sipario, mostrando averle cancellato ogni ricordo del passato, alla fine del film quale sia la (terribile) verità. sembrano in qualche modo anticipare una serie di misteriose sparizioni ai danni degli Non ci resta che rintracciare, nell’opera del altri ricoverati ospiti della struttura. Le anti- nostro, la follia indagata dal suo punto di nomie mentali di Kristen e il propagarsi del vista più banale e ovvio, quello che fa rife- male nella clinica si riveleranno essere due rimento alle condizioni psicologiche dell’uo- facce della stessa medaglia. Ma Carpenter mo nell’accezione clinica del termine. Si evita abilmente di incappare nella trappola sarebbe tentati di rintracciarla nel film più insidiosa di far coincidere pedissequamente celebre del regista, quell’Halloween – La not- l’orrore con il disturbo mentale. In The ward te delle streghe (1978) che lo ha consacrato – Il reparto osserviamo la psiche farsi invece presso il grande pubblico. È evidente però, campo di battaglia, così come un po’ in tutto a uno sguardo che penetra oltre le apparen- il cinema di Carpenter, per lo scontro tra il ze più immediate, che il famigerato Michael bene e il male. Per la strenua difesa contro Myers lungi dal rappresentare gli effetti di un i vibranti attacchi di una minaccia che non disturbo dalle tinte psicanalitiche, sia veicolo conosce tregua, di una piccola isola di sal- per rappresentare ben altro. Myers è infatti vezza che, sembra dirci Carpenter, non po- l’essenza del Male personificata, la malva- trà resistere per sempre… gità pura. Nonostante il suo passato segna- to dai traumi infantili e le evidenti patologie psichiche gravi di cui il personaggio soffre, Myers è troppo grottescamente esagerato nella propria perseveranza a perpetrare il male per poter innescare con la sua figura una qualsiasi riflessione sulla follia. No, il vil- lain di Halloween – La notte delle stre- ghe rappresenta, non tanto un legame con lo scardina- mento dell’Io e le
MUSCOLI Ogni è l’effetto simbolico di una corazza costruita storia che si rispetti combattendo contro il mondo e le sue av- ha un eroe. versità più che frutto di un mero allenamento Al netto delle implicazioni morali, ideolo- ginnico; perennemente irrequieti e amman- giche ed etiche con le quali siamo abituati tati loro malgrado da un carisma laconico a connotare questo termine nel linguaggio e misterioso. Gli eroi che Carpenter ama comune, è indubbio che l’eroe costituisca il tratteggiare nelle sue pellicole sono fatti tutti motore primo della narrazione per come noi della medesima pasta, variazioni di un unico siamo abituati a concepirla. Possono esse- tema che si riallaccia a tradizioni e nuclei po- re diversi i connotati che lo caratterizzano, etici molto distanti tra loro. differenti le ragioni che muovono il suo agire o il suo modo di relazionarsi con il contesto Uno tra i profili che sicuramente ha influen- che lo circonda, ma nelle storie che fruiamo zato Carpenter nella costruzione dei suoi attraverso i media più disparati ci confron- principali personaggi è quello dell’eroe we- tiamo sempre con il percorso di un perso- stern incarnato dalla monumentale figura di naggio alle prese con un obiettivo da rag- John Wayne, complice la passione e l’ammi- giungere. Gli studi sulla fiaba del filologo e razione del regista per le pellicole di questo linguista russo Vladimir Propp, i quali stanno genere, in particolar modo per le opere di alla base della semiotica e della narratologia John Ford e Howard Hawks. Molti dei film moderna, rivelano che dietro ai singoli per- di Carpenter ricalcano infatti le atmosfere sonaggi, oggetti ed eventi di ciascuna delle western e i topo narrativi legati a questo ge- storie da noi raccontate si celano delle figure nere, ricollocandoli però in contesti inediti: archetipiche di cui essi non sarebbero che duelli all’arma da fuoco, assedi in spazi an- manifestazioni di volta in volta particolari: in gusti contro un nemico numericamente so- parole povere la natura di un personaggio verchiante, luoghi in cui la giurisdizione del non è definita da ciò che esso è, bensì dalla diritto risulta assente e regna una violenta funzione che esso svolge nell’economia del- anarchia in cui ad imporsi è la legge det- la narrazione. Ed è proprio l’Eroe (o nel gergo tata dalla determinazione a so- di Propp il Destinatario, al quale è appunto pravvivere. Come John destinata una missione) la più importante di Wayne e i perso- queste figure, quella in grado di catalizzare naggi cui su di sé l’attenzione di coloro ai quali la sto- ria è raccontata. Cinici, pragmatici, solitari; dotati di una pos- sanza fisica che
ha dato vita con la sua inconfondibile ma- leone rimane solo un individuo impegnato, schera, su tutti il Ringo di Ombre rosse (John come tutti, nella lotta disperata per la so- Ford, 1939) e l’Ethan Edwards di Sentieri pravvivenza, per il quale il bene o il male selvaggi (1956), gli eroi carpenteriani vivono compiuti non sono che frutto delle situazioni in mezzo a tutto questo e non si situano mai nelle quali si è trovato ad agire. ai due poli opposti di una moralità che a loro fondamentalmente non appartiene. Si collo- Il fatto che questi personaggi abbiano un cano nel mezzo, o meglio al di fuori, esuli dai comportamento che ostenta sostanziale in- valori tradizionali ai quali si proclamano con differenza nei confronti dei crismi di un uto- forza estranei. Le battaglie che combatto- pismo ideologico o degli stucchevoli “buoni no sono esclusivamente loro e non portate sentimenti” non significa però che perse- avanti nel nome di un’intera categoria. Ciò guano un’incosciente amoralità sistematica. non comporta però tanto un’accettazione La loro enigmaticità, la loro ambiguità nel cinica dell’individualismo e dell’egoismo in ricadere tanto nel bene quanto nel male, di ottica del raggiungimento di un obiettivo apparire alternativamente misericordiosi o personale, quanto una presa di coscienza gelidamente distaccati è ciò che riconferma della condizione di solitudine in cui l’uomo la loro sostanziale umanità, mostrata sempre è lasciato in assenza di una società che si con grande schiettezza e al netto degli orpel- occupi di creare le condizioni per cui possa li retorici e ipocriti dietro ai quali si maschera esistere una giustizia sociale, esattamente la gente di cui sono circondati. Emblematica come negli universi inventati da Carpenter in questo senso è indubbiamente la figura o come, per l’appunto, nel selvaggio West. di Jena Plissken. Jena, protagonista del film 1997: Fuga da New York (1981), ha il volto di Il Napoleone Wilson di Distretto 13 – Le bri- Kurt Russell ed è con tutta probabilità uno gate della morte (John Carpenter, 1976) ha dei personaggi più iconici e riusciti dell’intera già in nuce tutte le caratteristiche degli eroi storia del cinema e dal cui fascino è diffici- che gli succederanno nel corpus di pellicole le non rimanere soggiogati. Impossibile da di Carpenter. Nel film Napoleone è ritenuto dimenticare, con la benda sull’occhio, il mi- uno dei criminali più pericolosi in circolazio- tragliatore a tracolla e il serpente tatuato sul ne: in passato deve aver fatto cose terribi- braccio, è un antieroe nei confronti del quale li che non ci vengono raccontate ma sono è difficile provare empatia dati la freddezza, lasciate all’immaginazione dello spettatore. e l’algido distacco con il quale si relaziona a Ciò non gli impedisce di aiutare i protagoni- ciò che lo circonda. Eppure, mano a mano sti nella fuga dal distretto assediato metten- che scorre la pellicola comprendiamo sem- do a repentaglio la sua stessa vita. Ciò non pre più quanto il suo cinismo sia in realtà lo rende un pendolo impazzito sulla bilancia giustificata circospezione nei confronti di un del bene e del male, e se troviamo discrasia mondo che non concede passi falsi, e che fa o contraddizione all’interno dei suoi com- pagare caro qualsiasi tipo di errore di valuta- portamenti è soltanto perché adottiamo uno zione. Non si sottrae mai alla possibilità di sguardo polarizzato. Napoleone è semplice- poter fare del bene, ma lo fa senza mente una persona con luci e ombre o for- avere la pretesa di ergersi a se, potremmo dire, una persona che segue paladino di una pre- una luce cercando di lasciarsi alle spalle le sunta giusti- proprie ombre. Che vi sia o meno in questo z i a gesto un tentativo di redenzione sta a noi giudicare giacché solo noi, in quanto spettatori, possiamo accor- dargliela. Alla nuda osservazione Napo-
della quale sa già in partenza di non poter ne per quanto riguarda i ritratti umani cui il essere garante. Ha gettato la maschera da cinema di Carpenter ci ha abituati. un pezzo e si rifiuta di scendere a compro- messi velati da farisaica benevolenza. Ne è Come Napoleone e Jena Plissken così an- riprova l’epilogo del film in cui il confronto che Jack Crow di Vampires (1998), R.J. Ma- tra Jena e il presidente degli Stati Uniti rivela cReady de La cosa (1982) l’esagerato Ja- la bieca e calcolata doppiezza delle logiche mes “Desolazione” Williams di Fantasmi da del potere alla quale si lascia preferire il ras- Marte (2001) e il John Nada di Essi vivono segnato, per quanto sfacciato, disincanto (1988), per interpretare il quale non a caso si dell’antieroe. è scelto il wrestler Roddy Piper, sono uomini muscolosi, forti fisicamente perché temprati La solitudine titanica di questi personaggi si da un mondo che ha cercato di abbatterli e pone in linea di continuità con i protagonisti sono sopravvissuti nonostante tutto. Ma tal di Ernest Hemingway, di Sam Peckinpah e in possanza non è quel decantato inno a una un certo qual modo con quelli del John Milius mascolinità di stampo machista cui ci ha di Conan il barbaro (John Milius, 1980), film abituati tanto cinema muscolare americano che aveva infatti in esergo la celebre mas- degli anni ‘80: è prima di tutto estrinsecazio- sima di Nietzsche secondo cui “ciò che non ne e manifestazione tangibile della volontà di ci abbatte ci rende più forti”. Uomini a tu per sopravvivenza dell’essere umano. A dimo- tu con il loro destino, alle prese con un’epo- strazione di ciò sta la caratterizzazione delle pea personale che potrebbe essere scandita (rare ma pur sempre presenti) protagoniste dai tempi del mito se non fosse ammantata femminili. Laurie Strode ed Elizabeth Solley, dal pessimismo tetro e convulso che anima personaggi principali rispettivamente di Hal- la poetica di Carpenter. Fa eccezione Jack loween – La notte delle streghe (1978) e Fog Burton, ciarliero e simpatico energumeno (1980) nonché vero e proprio trampolino di protagonista di Grosso guaio a China Town lancio per la carriera dell’attrice Jamie Lee (John Carpenter, 1986), sempre interpretato Curtis, non sfoggiano addominali scolpiti o da Kurt Russell, il quale deve invece il suo bicipiti poderosi, ma manifestano quell’osti- successo finale contro il demone Lo Pan nata risoluzione, quella pragmatica determi- proprio all’aiuto degli amici e compagni che nazione che caratterizza le loro controparti ne condividono le vicissitudini e le peripezie. maschili e che permette loro di rimanere in Forse per le esigenze di un genere con cui il vita. regista si è cimentato raramente durante la sua carriera (il film mescola le caratteristiche della commedia con quelle del film di azio- ne e di avventura) o forse proprio per effetto della bonarietà di Burton e della sua burbera vena polemica dietro cui si nasconde un malcelato altruismo, Grosso gua- io A China Town si rivela in tal senso una gu- stosa ecce- zio-
ASSEDIO Andrew Tudor in Monsters gine ne Gli uccelli (1962) di Hitchocook e La notte dei morti viventi (1968) di Romero. and mad scientist definisce diverse forme di minaccia ricor- Il cinema di John Carpenter mette in scena renti nel cinema dell’orrore di cui evidenzia in modo ossessivo queste due forme di as- le specificità e le emergenze storiche. Tudor sedio a cui l’essere umano è sottoposto. Da sviluppa le sue teorie in un periodo di gran- una parte un gruppo umano che combatte de vitalità del genere, ovvero nel corso degli contro creature che assediano la quotidia- anni Ottanta, e individua tre caratteristiche nità minacciando di distruggerne ogni cer- principali delle forme di minaccia rappresen- tezza, dall’altra un più insidioso e pericoloso tate in questo genere. La prima riguarda la assedio che proviene dall’interno dell’uomo loro origine, la seconda si riferisce alla loro stesso e che ha a che vedere con la sua fol- natura, mentre la terza caratteristica, che lia e la sua incapacità al vivere sociale. Di- certamente riconosce come molto diffusa stretto 13 – Le brigate della morte (1976), nel cinema a lui contemporaneo, riguarda la come egli stesso dichiara, è un film western relazione con il corpo umano. Tudor defini- in chiave horror. Il riferimento sono quei film sce così tre coppie di termine dentro ai quali western classici in cui una piccola comunità riconduce tutte le minacce messe in campo è assediata dai banditi. La comunità di Di- nel genere horror: autonomo/dipendente, stretto 13 è formata da poliziotti e delinquen- soprannaturale/secolare, interno/esterno. ti, necessari a contrastare l’assalto esterno. Nel cinema horror degli anni Settanta e Ot- Il film di Carpenter costruisce quindi uno tanta la relazione tra interno ed esterno è status quo che solo la situazione di pericolo certamente una delle più dibattute a causa di rende possibile ma che, al termine del peri- quel sotto-genere che si diffonde a macchia colo, riassegna i dovuti ruoli sociali ad ogni d’olio detto body horror e che vede il corpo personaggio. Si tratta di un cinema horror dell’uomo smembrato e distrutto da attacchi che va al contrario: l’assedio sembra rende- che provengono sia dall’interno che dall’e- re possibile ciò che le norme sociali non sterno. Nel primo gruppo rientrano tutti i film permettono. Anche in Fog (1980) di follia e possessioni demoniache che co- e ne Il signore del male noscono grande successo grazie a Psycho (1987) Carpenter (1960) di A. Hitchcook e L’esorcista (1974) di affronta W. Friedkin, mentre fanno parte del secon- do tutti quei film in cui l’essere umano si trova assediato da creature pronte ad ucciderlo, farlo a pezzi o divorarlo e che han- no la loro ori-
alcuni dei suoi temi più cari: l’esistenza del anni Cinquanta, gli invasori non vengono male, la polemica anti-religiosa, l’assedio, il mai sconfitti. La Cosa è un’entità capace di disvelamento di una verità terribile pronta a trasformarsi geneticamente per imitare e ri- manifestarsi in tutta la sua ferocia. Nel suo produrre ogni essere vivente, e si configura cinema, infatti, spesso accade che ci sia come una minaccia ad ogni genere di sta- qualcosa nascosto dietro all’apparenza del- bilità e di identità, capace di introdurre un le cose, qualcosa di terribile che aspetta di dubbio paranoico su chiunque ci circondi, ritornare da un antico passato o di trascinare derivante dallo spostamento del conflitto l’umanità dentro ad un mondo irreale e fan- bene/male all’interno del corpo umano. Ciò tastico. In Fog si tratta di una verità tenuta testimonia una forma di insicurezza causata nascosta dalla Chiesa ma che l’assedio di forse dagli strascichi delle terribili immagini veri e propri morti viventi finalmente rivelerà. della guerra del Vietnam, dall’inquietudine le- Più incisivo in questi termini è Il Signore Del gata alle trasformazioni portate dagli ingenti Male, vede un gruppo di ricercatori universi- sviluppi tecnologici e informatici, dall’emer- tari convocati in un’antica cripta da un pre- genza di nuove, invincibili, malattie come te alle prese con lo studio di una misteriosa l’Aids. Questa creatura rappresenta una mi- sostanza verde che si rivelerà essere nulla naccia, non solo dal punto di vista fisico, ma meno che l’Anticristo, occultato dall’isti- anche cognitivo, perché compromette con tuzione religiosa per migliaia di anni. Nello le sue sembianze metamorfiche la normale sgretolarsi progressivo delle loro certezze e conoscenza, il normale modo di pensare. La delle loro cognizioni i protagonisti si trove- cosa non dipinge infatti un mostro in forma ranno a fronteggiare l’assedio di una massa umana ma un mostro di forma mutante la di senzatetto posseduti dalla malefica enti- cui minaccia giace nell’imprevedibilità della tà. Essenziale e classico nella sua struttura sua apparenza. Esso delinea il crollo dell’au- narrativa il film si avvale di semplici effetti torità, dell’amicizia e della fiducia del team speciali e di un’unica location dentro cui si quando nell’ordine sociale si infiltra l’ambi- svolge tutta la vicenda. Come in Distretto gua “cosa”, la cui esistenza compromette il 13 i personaggi sono assediati dall’esterno significato stesso della comunità. La versio- e lottano strenuamente contro le forze irra- ne di Carpenter è anti-hawksiana, nel modo zionali, capaci di sovvertire le regole di com- in cui rappresenta i valori comunitari. Ancora prensione del reale. Non a caso è proprio un prima dell’arrivo del mostro l’unità di grup- gruppo di studiosi, animati da un pensiero po era zoppicante: mancando un termine di scientifico, a doversi confrontare con questa base di differenziazione – la donna –, l’ordine forza irrazionale che scompagina i modelli di sociale maschile è vulnerabile alla minaccia comprensione del mondo e ribalta le conce- in arrivo. La noia e l’isolamento hanno ero- zioni tradizionali di bene e male, di spazio e so il cameratismo hawksiano enfatizzando tempo, di lontano e vicino. la fragilità del mondo umano. Inoltre, una strategia formale del film è di spazializzare le Identità molteplici di alieni, mutanti e creatu- condizioni sociali interne: nel momento in re artificiali che minano l’unità indivisibile tra cui la configurazione spaziale inizia coscienza e corpo, segnano, come abbiamo a collassare, la disintegra- detto, la produzione horror a cavallo tra gli zione interna della anni Settanta e Ottanta. Il tema dell’invasio- comunità ne dallo spazio, propria del cinema ameri- della cano degli anni Cinquanta, viene ripresa da Carpenter nel film La cosa (1982), in cui l’invasione è di tipo interno e, a differenza della vi- sione ottimista degli
quale rappresenta la metafora è comunica- La prima inquadratura del film, attraverso ta in maniera vivida. Il film lavora continua- l’occhio cavo e scintillante del jack-o’-lan- mente sui concetti di dentro e fuori a partire tern, annuncia che la sua questione primaria dal campo base dove si svolge la vicenda. sarà il modo in cui vediamo noi stessi e gli Dentro c’è il caldo sistema sociale, fuori un altri. Quella zucca, in rilievo contro un cam- freddo letale; dentro ruoli sociali definiti, fuo- po di nero, si profila nel buio come una ma- ri l’assenza di tutte le distinzioni, e così via. schera scintillante dentro cui brucia un fuoco Il film si muove quindi verso una trasgres- distruttivo. Carpenter usa questa immagine sione dei confini e la violazione del sistema per suggerire un mondo inanimato ma mi- sociale spazializzato con tutto ciò che ne naccioso, che guarda verso di noi. Hallowe- consegue. Tale minaccia è sia epistemologi- en, seguendo il pattern di Psycho, piazza il ca che materiale; incapace di definire la sua suo pubblico in una posizione voyeuristica. comunità umana escludendo membri non Mentre Psycho si apre con la camera che umani, l’ordine sociale della Station 4 inizia attraversa una finestra per inserirsi su due a fratturarsi. MacReady e gli altri cercano di amanti in una camera d’hotel, Halloween fa resistere a ciò escludendo l’intruso; quando un passo ulteriore. La carrellata introduttiva però la minaccia aumenta, prendono misu- offre al pubblico uno sguardo voyeuristico re drastiche: il vero orrore del film risiede nel del piccolo Michael che guarda la sorella e riconoscimento di ciò che gli uomini fanno il suo ragazzo mentre si baciano. A questo per preservare la loro comunità. La strategia punto Carpenter sposta la prospettiva, e at- iniziale è di isolare i membri pericolosi. Blair traverso la soggettiva di Michael gli spetta- lo scienziato capisce che se il team e poi il tori sono forzati a partecipare all’azione che mondo vengono infettati, tutte le distinzioni seguirà. Lo sguardo è ora interamente attra- tra umano e non umano cesseranno di aver verso gli occhi di Michael che sbircia nella fi- significato. Dunque decide di agire da solo, nestra, con il vantaggio del suo punto di vista, ma fallisce: nel film di Carpenter la scienza ovvero che vediamo senza essere visti. Co- capitola per prima, incarnando la rabbia cie- munque, come accade spesso nel caso del ca di un uomo. Siamo di fronte quindi a un voyeur, sperimentiamo frustrazione, essen- doppio assedio interno. Il primo è quello del doci impedito di osservar, essendoci ostru- corpo fisico, il secondo del corpo sociale. ita la vista. Ma il nostro desiderio di vedere viene presto soddisfatto, e nella maniera più Da Psycho in avanti si conosce una grande terrificante, perché Michael entra in casa e, diffusione dei così detti psycho-movies, film dopo aver indossato una maschera, sale in che raccontano vicende di schizoidi e ma- camera per dare luogo a una carneficina. In lati di mente. Fra gli esempi più importanti ogni caso, Michael affronta due barriere più di film di questo genere occorre ricordare significanti e imponenti – quella psicologica Halloween – La notte delle streghe (1978) di e l’altra fenomenologica; ed è per loro opera Carpenter. In questo caso abbiamo un killer che Carpenter porta a casa le conseguen- mascherato che uccide persone giovani, in ze di questa identificazione. Il bambino particolare donne. Carpenter costruisce un con cui siamo stati forzati a iden- film che parla allo spettatore chiamandolo tificarci difficilmente può in causa, offrendogli la maschera di Micha- capire la complessi- el Myers, assediando così le sue certezze e tà della ses- scuotendolo. Il film richiede allo spettatore di sua- guardare il mondo attraverso l’occhio di una zucca – simbolo delle nostre paure e dell’urgenza profonda di na- sconderle sotto una forma mitica.
lità adulta, come di quella adolescenziale. dall’azione, come se lo spettatore avesse Una conseguenza, e forse una spiegazione appena realizzato cosa è stato: se non com- per la violenza che segue, è che attraverso plice, quantomeno testimone interessato di questa prospettiva voyeuristica Judy è già un evento terribile. stata ridotta da Michael (e da noi stessi) a qualcosa di lontano dall’umano, oggetto di interesse scopico sebbene incomprensibile. Dopo che Michael uccide sua sorella e vie- ne scoperto dai genitori, siamo infine strap- pati via da questa prospettiva. La comple- ta mancanza di comprensione nel suo viso suggerisce un modo di visione a noi alie- no. A questo shock segue una rapida accelerazione del- la camera che si allontana Halloween – La notte delle streghe (Halloween, 1978) Con Halloween Carpenter raggiunge per minato in questo modo proprio per evocare la prima volta un grande successo di pub- le efferate uccisioni prodotte attraverso armi blico. Il film segna anche l’inizio del soda- da taglio. Le riverberazioni della lama vanno lizio artistico del regista con la produttrice a comporre la sinistra zucca simbolo della e sceneggiatrice Debrah Hill. Le strade dei festa che dà il nome alla pellicola saldando due rimarranno intrecciate per molti dei film così insieme i due elementi. a venire. Prende vita così il mito di Michael Myers, lo squilibrato omicida vera e propria icona titanica del cinema horror. Sulla lo- candina ammiriamo ritratto in primo piano il coltello brandito minacciosamente, l’arma preferita di Myers che tanta fortuna avrà nel successivo filone del cinema slasher, deno- JOHN CARPENTER
Dark Star (1974) Dark Star rappresenta il vero esordio cine- fantapolitiche sul futuro, nonché di un certo matografico di Carpenter, la prima sua pelli- tipo di cinema magico e dalle apoteosi tota- cola distribuita nelle sale cinematografiche. lizzanti di cui il cinema di Kubrick costituisce La lavorazione del film, nato come tesi finale certamente un esempio. Il richiamo alle due per la University of Southern California, ha pellicole in questione è talmente lampante conosciuto diverse peripezie durante la da essere utilizzato, sulla locandina del film, lunga fase produttiva prolungatasi per ben come potenziale attrattiva per gli spettatori, quattro anni. Il progetto si configura come richiamati attraverso titoli noti a gustare in un omaggio a due pellicole di Kubrick: Il sala l’opera prima di un giovane regista il cui dottor Stranamore (1964) e 2001: Odissea nome sconosciuto avrebbe da solo riscos- nello spazio (1968). Una rappresentazione so uno scarso appeal. parodistica e grottesca orientata a capo- volgere i luoghi comuni e le elucubrazioni Distretto 13 – Le brigate della morte (Assault on Precinct 13, 1976) Come per molte altre sue opere, in Distret- cana, mira a dare in un’unica raffigurazione to 13 Carpenter omaggia i grandi registi del una rappresentazione schietta e sincera di passato, metabolizzandone però lo stile e quello che è il cuore della pellicola. Un as- rielaborandone le tematiche fondamentali salto interminabile alla postazione difesa con gusto e estetica personali, portando dai protagonisti, sui pertugi della quale si archetipi narrativi noti a riflessioni inedite. Si affacciano con insistenza sempre maggiore può dire infatti che il film costituisca una ma- orde di assalitori determinati a tutto pur di nipolazione della trama del grande classico portare a termine i loro folli propositi di inva- di Howard Hawks Un dollaro d’onore (1959) sione, ritratto in un bianco e nero da carta di e al contempo vada a comporre la tavolozza giornale, evidente richiamo alla cronaca e ai di base per le sfumature con cui Carpenter disordini politico-civili che hanno caratteriz- connoterà le sue successive opere. Il ma- zato la decade degli anni Settanta. nifesto, esposto nella sua versione ameri- I MANIFESTI Elvis – Il re del rock (Elvis the movie, 1979) Elvis segna per Carpenter il debutto nel Il manifesto è esplicito nell’anticipare ciò mondo delle produzioni televisive. Lungi dal che vedrà lo spettatore. Il Re del rock’n roll, raggiungere gli importanti risultati artistici viene ritratto in molteplici versioni, varianti conseguiti dal regista con alcune delle sue d’abito e di stile che simboleggiano le sfac- più grandi opere cinematografiche, il film si cettature in cui si è declinata la sua sover- presenta come un importante esperimento chiante personalità. con il quale vede la luce la collaborazione che legherà per molti anni Carpenter e il suo attore feticcio, Kurt Russell. Russell si pre- senta come la maschera ideale per ritrarre i protagonisti del cinema carpenteriano diventando ben presto un tassello fonda- mentale nel quadro produttivo dell’autore.
Fog (The Fog, 1980) Il sodalizio con Debrah Hill e con gli altri gredienti essenziali del cinema di Carpenter membri del gruppo fidato di tecnici di cui sono tutti presenti in questa storia di fanta- Carpenter si circonda al fine di avere totale smi. La locandina del film richiama la nebbia controllo e autonomia sulla realizzazione dei del titolo: luogo immaginifico che, piuttosto propri progetti diventa con Fog una costan- che mostrare dando forma alla paura, oc- te dell’universo produttivo del regista. Per culta e nasconde i fatti che vi vengono com- la realizzazione del film Carpenter recupe- messi. Laddove i contorni delle cose sono ra archetipi classici del terrore, veri e pro- sfumati la linea che distingue il reale dal pri modelli mescolati insieme con sapiente fantastico si fa sempre più tenue, rendendo maestria. L’assedio, la presenza costante tutto possibile. del male, il ritorno di un passato che allunga le proprie ombre su un presente ignaro ma che porta con se colpe incancellabili. Gli in- 1997: Fuga da New York (Escape from New York, 1981) La “Grande Mela”, ribaltata nella sua for- che non è altro che trasposizione figurata ma e nella propria concezione simbolica, del presente di Carpenter. Manhattan, isola ritratta obliquamente nella locandina di simbolo della ricchezza economica, mani- 1997: Fuga da New York è la vera protago- festazione opulenta del regno della finanza, nista della quinta fatica di John Carpenter. diventa un carcere a cielo aperto dove trova Simbolicamente dagli anfratti della testa reclusione, senza possibilità di redenzione, deturpata della celeberrima Libertà fuorie- la peggiore feccia criminale. Un indice pun- sce una fiumana di assalitori che ricorda le tato impietosamente dal regista contro una masse violente e convulse di Distretto 13 e certa élite sociopolitica: forse i veri furfanti che si appresta ad assalire i protagonisti in sono proprio coloro che, ben lontani dalle fuga. Le splendide scenografie che fanno prigioni, trovano il loro rifugio sicuro in un da sfondo alla vicenda raccontata nel film vero e proprio paradiso dorato. raccontano le macerie di un futuro distopico La Cosa (The Thing, 1982) Il primo film di Carpenter ad alto budget, ritardo la meritatissima rivalutazione de La quello che avrebbe dovuto consacrare il cosa, film che vanta oltre a uno script stre- regista agli occhi del pubblico e della criti- pitoso e a una messa in scena impeccabile, ca, si rivelerà insospettabilmente un clamo- degli effetti speciali analogici rimasti forse roso insuccesso al botteghino, a discapito ancora oggi ineguagliati. Sul manifesto, dell’ingente impiego di mezzi e risorse inve- divenuto col tempo tanto iconico quanto il stiti nella sua realizzazione. Complice anche film stesso, troviamo emblematicamente il grande successo del film di Spielberg E.T. rappresentata con le tinte glaciali che fanno che, uscito nelle sale in quello stesso anno, riferimento all’ambientazione antartica una portava sullo schermo una tematica equiva- minaccia senza nome e senza volto, capa- lente (l’impatto dell’incontro con un’entità ce di incarnarsi in qualsiasi essere vivente e aliena) con toni decisamente più accessi- dalla quale nessuno è al sicuro. bili per quanto superficiali. Arriva dunque in Christine – La macchina infernale (Christine, 1983) Sono innumerevoli le opere cinematogra- tinte assai più cupe di quelle con cui siamo fiche che hanno tratto il proprio materia- abituati a ricordare quella decade. Sul mani- le narrativo dai romanzi del noto scrittore festo la protagonista indiscussa del film: la americano Stephen King. Con fortune e Plymouth Fury del ’58 Christine, incarnazio- risultati alterni molti registi di genere (e non ne del male stesso e della sua voracità an- solo) si sono cimentati nel sostituire la loro nientatrice. La locandina ricalca l’immagine macchina da presa alla penna del roman- minacciosa per quanto stereotipa utilizzata ziere per raccontarne ossessioni e incubi. per pellicole come Duel (Steven Spielberg, Carpenter, come pochi anni prima aveva 1971) e La macchina nera (Elliot Silverstein, fatto Stanley Kubrick nell’indimenticabile 1977), in cui la narrazione ruota attorno a un Shining (1980), piega il materiale offerto alla veicolo misteriosamente animato da forze propria personalissima visione del mondo, oscure e impenetrabili. fornendo un ritratto degli anni Cinquanta a
Starman (1984) Un film forse poco carpenteriano Star- tutti gli effetti come uno dei prodotti meno man, il quale si avvale di attori famosi e interessanti sotto il profilo qualitativo fra una sceneggiatura patinata per ricercare il quelli offerti dalla presente esposizione, è successo commerciale che sembrava aver sintomatico di una linea di tendenza che abbandonato il regista dall’uscita in sala de proprio a partire dagli anni Ottanta vedrà La cosa. Contrariamente alla maggior parte progressivamente sostituirsi la grafica foto- del corpus di opere di Carpenter, in questo grafica all’estro pittorico dei cartellonisti di film dalle smaccate atmosfere sentimentali professione. è all’apparenza difficile ritrovare un’anima genuinamente riconducibile alla poetica dell’artista, nonostante non sia privo di spunti stimolanti sul tema della diversità. Il manifesto americano, che si presenta a Grosso guaio a China Town (Big Trouble in Little China, 1986) Azione, colori, avventura, divertimento rit- versità delle situazioni che verranno offerte mato e incalzante: questo è quanto sembra agli occhi dello spettatore. All’interno della promettere il manifesto di Grosso guaio a composizione vengono accostati e sovrap- China Town. Chi ha visto il film sa che queste posti elementi dalla differente connotazione promesse vengono puntualmente mante- tematica e perfino cromatica per rendere ra- nute da una pellicola che riesce a insinuarsi gione della sregolata varietà che caratteriz- trasversalmente tra i generi cinematografici za una delle pellicole più peculiari dell’intero e in cui la messa in scena di Carpenter tra- cinema di Carpenter. sforma una classica storia di salvataggio in un’esplosione sensazionale e indefinibile di scatenata follia. La locandina del film rical- ca tutti i codici dei manifesti del cinema di avventura, in cui si punta sull’incredibile di- Il signore del male (Prince of Darkness, 1987) Il rapporto che lega il Male e la sua origine è lo spazio in lontananza. È interessante nota- trattato diffusamente e in vari modi nei film di re come l’effetto reso dalla rappresentazione Carpenter. I manifesti di molte tra queste pel- non ci permetta di dire se il volto scaturisca licole presentano curiose assonanze tra loro, o venga attratto da quella particolare loca- prescindendo dal fatto di essere stati realizzati zione, rendendola di fatto al tempo stesso da persone diverse e in differenti epoche e origine e destinazione, inizio e fine. Il colore è, contesti. Il signore del male racconta in ultima ovviamente, il verde, il medesimo dell’antico analisi, attraverso una narrazione frammen- e misterioso liquido la cui scoperta innesca la tata, dell’avvento su questo mondo dell’An- trama, mentre l’edificio in lontananza è la chie- ticristo. Nella locandina del film vediamo ri- sa in cui la narrazione ha luogo, sulla quale le tratto un volto trasfigurato e urlante il quale nuvole sembrano addensarsi nell’incombere sembra fondersi con una nuvola miasmatica imminente di quella che sarà la notte portata che lo congiunge ad un edificio che domina dall’irresistibile ascesa del male. Essi vivono (They Live, 1988) Piccolo film a basso costo, Essi vivono si fa devastazione e dalla povertà. Sul manifesto invece carico di veicolare una grande alle- è ritratto lo sguardo sconcertato del prota- goria, densa di temi pregnanti e di stimolanti gonista, il wrestler Roddy Piper. Lo sguardo riflessioni. Cosa succederebbe se entrassi- dell’attore è puntato sul mondo all’esterno mo in possesso di occhiali speciali che ci del manifesto, sul nostro universo, e l’imma- rivelassero che il mondo come lo abbiamo gine riflessa nelle lenti dell’occhiale scuro ci sempre conosciuto non è quello reale? È dice che l’immagine che osserviamo all’uni- esattamente quello che succede ai protago- sono sembra in qualche modo essere pro- nisti di questa pellicola, i quali si muovono prio la nostra… su un filo tra la realtà e l’allucinazione, alla scoperta progressiva di una verità tanto mo- struosa quanto inimmaginabile, sullo sfon- do di una periferia americana segnata dalla
Avventure di un uomo invisibile (Memoirs of an Invisible Man, 1992) L’uomo invisibile fa parte di quel vero e pro- e graffiante dalle forti tinte comiche che non prio pantheon orrorifico offerto da tutti i per- riesce a resistere dall’omaggiare i vecchi sonaggi archetipici che hanno contribuito a film targati Universal con numerose cita- rendere grande la storia di questo genere. zioni. Lo vediamo stagliarsi sul manifesto, Dal romanzo di H. F. Saint alla celebre saga il suo uomo invisibile, nei panni di Chavey che lo ha visto protagonista nei film degli Chase. Locandina dalla scarsa sostanza anni Trenta, fino al relativamente recente che si limita a suggerire un blando isomor- Uomo senza ombra (2000) di Paul Verhoe- fismo tra l’immaterialità del protagonista e ven, l’attributo dell’invisibilità insieme a tutte l’etereo riflesso delle superfici specchiate le dinamiche di esenzione dal crimine e dal- dei grattacieli che gli fanno da sfondo. le conseguenze morali che ne conseguono è stata affrontata in innumerevoli varianti. Carpenter ci offre la sua, con un film ironico Body Bags – Corpi estranei (Body Bags, 1993) Una seconda parentesi televisiva nella car- ne come in un gioco di specchi e rimandi, e riera di Carpenter ci regala, oltre a un gu- suggerendo l’affiorare della mostruosità nel stosissimo film horror antologico, uno dei mondo reale ritratta nel suo protrarsi verso il manifesti più interessanti dell’esposizione. pubblico che la osserva. Prescindendo dal contenuto dei tre episodi di cui si compone il film l’illustratore si basa sul concetto offerto dal titolo mostrando l’emergere dirompente di un essere (dai tratti insolitamente somiglianti a quelli del- lo stesso John Carpenter) dal ventre di una persona. La lacerazione del giubbino ritratto va di pari passo con quella del manifesto stesso, confondendo i livelli di raffigurazio- Il seme della follia (In the mouth of Madness, 1994) I legami tra Il seme della follia e Il signore del volta, guardando il manifesto, siamo portati male non si esauriscono nei contenuti che a interrogarci, a chiederci se il libro (simbolo le due pellicole trattano in modo difforme che identifica il prodotto, la tangibile con- ma parallelo, e sono resi evidenti anche dai cretizzazione dell’umana fantasia) costitui- manifesti che pubblicizzano questi due film. sca il punto di origine di qualcosa che viene Il seme della follia costituisce un’attenta e proiettato al di fuori, o il vertice più basso pervasiva disamina dei poteri della creazio- verso il quale tutto viene trascinato, nell’im- ne artistica, portata avanti attraverso una possibilità dolorosa di liberarsi dalle catene narrazione che si fa sempre meno lineare che esso impone. Questo contrasto tra due con l’avanzare della pellicola. Il racconto si poli di verso contrario e intrinsecamente frantuma, si disgrega, insieme alla psiche opposti costituisce uno dei più fecondi nodi del protagonista che vive le avventure che semantici dell’intera poetica di Carpenter. siamo chiamati a osservare. Ancora una Il Villaggio dei dannati (John Carpenter’s Village of the Damned, 1995) Rifacimento non particolarmente fortunato un elemento estraneo all’interno di una piccola dell’omonimo film di culto del 1960 il Villaggio comunità che si regge su regole e principi au- dei dannati è riconosciuto come uno dei film tonomi e consolidati, l’informe e indefinibile mi- meno ispirati del regista. In realtà si possono naccia aliena, la rapacità delle istituzioni sotto- ritrovare al suo interno quasi tutte le temati- messe alle logiche del potere; rimangono temi che care a John Carpenter, anche se vengono abbozzati malgrado la loro indiscutibile presen- presentate in nuce, ed aleggiano pervadendo za. Il film trova il suo punto di forza piuttosto l’atmosfera del film senza che siano manifesta- nella reinterpretazione del concept ideato per i te platealmente. La nascita sospettosamente bambini, terrificanti con i loro capelli bianchi e il innaturale di una folta schiera di bambini albini gelido sguardo vitreo e insensibile, ritratti nella fa da preambolo alle catastrofiche vicissitudini locandina al di sopra della cittadina sulla quale che sconvolgeranno la vita di una piccola citta- esercitano una minaccia incombente. dina costiera della California. L’introduzione di
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