Infortunio in itinere: un rischio sottovalutato? - Filodiritto

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
                                               Direttore responsabile: Antonio Zama

          Infortunio in itinere: un rischio sottovalutato?
                                                   21 Gennaio 2022
                                                    Cecilia Caselli

Storia della normativa
L’infortunio in itinere, un rischio specifico improprio o rischio generico aggravato, così veniva definito da
Corte Costituzionale con sentenza n. 8 del 12/1/1971.

Questa peculiare ipotesi di infortunio ha avuto, sotto il profilo legislativo, una storia davvero controversa
ed è stato per molti anni oggetto di contenzioso con l’INAIL perché difficilmente riconosciuto.

A differenza di molte legislazioni in vigore all’estero, nelle quali l’infortunio sulle vie del lavoro, ha
sempre trovato una specifica regolamentazione, nel nostro ordinamento antinfortunistico ha trovato
espresso riconoscimento solo con il d.lgs. 23/2/2000 n° 38.
L’art. 12 del Decreto fornisce una più ampia visione della nozione di infortunio integrando gli artt. 2 e 210
del T.U. (l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di
lavoro da cui sia derivata una inabilità...) considerando tali quegli eventi occorsi alle persone assicurate
durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, ovvero nel
collegamento tra due luoghi di lavoro diversi e nel percorso tra il luogo di lavoro ed il luogo dove
abitualmente viene consumato il pasto qualora non esista una mensa aziendale salvo il caso di
interruzione o deviazione del tutto indipendente dal lavoro o comunque non necessitate. Non sono
riconosciuti gli infortuni provocati direttamente dall’abuso di alcolici e psicofarmaci oppure dall’uso non
terapeutico di allucinogeni e stupefacenti. Non è riconosciuto l’infortunio qualora il conducente sia
sprovvisto della prescritta abilitazione alla guida.

Infortuni stradali e in itinere. I dati
Storicamente la prima causa di infortunio sul lavoro è legata al rischio strada.
Dagli ultimi dati INAIL relativi al pre pandemia emerge infatti che su oltre 644mila denunce di infortunio
124mila siano legate al rischio da circolazione stradale (circa il 20% delle denunce di sinistro totali) e quasi
106 mila di queste a infortunio in itinere (che rappresentano quindi il 16% del totale delle denunce di
infortunio e l’85% delle denunce di infortunio su strada).
Ancora più significativo il dato relativo agli infortuni mortali denunciati nel 2019, 1156 in totale di cui
470 legati al rischio stradale: 254 in itinere e 216 in occasione di lavoro; con un peso rispettivo del 21,9% e
del 18,6% del totale delle denunce per infortunio mortale, percentuale che aumenta ulteriormente se si
prendono in considerazione soltanto i casi accertati positivamente.
È significativo che le percentuali appena viste risultino in linea con la media europea.
Per capire ancora meglio la portata del fenomeno dobbiamo poi tenere conto che il dato INAIL rappresenta
una misura solo parziale del fenomeno (si pensi ad esempio al lavoro autonomo e a quello irregolare),
l’European Transport Safety Concil stima infatti che le vittime di incidenti su strada per motivi di
lavoro rappresentino il 40% del totale delle morti su strada.
Applicando questa percentuale sui dati ACI-ISTAT si perviene a una stima di 1300-1400 morti su strada
per causa di lavoro, dato significativamente superiore a quello INAIL.
L’analisi sul totale dei casi rileva 571.198 infortuni sul lavoro denunciati all’Istituto nel 2020, circa 74mila
in meno rispetto alle 644.993 del 2019 (-11,4%). Questa riduzione è il risultato di due diminuzioni
marcatamente diverse per la modalità di accadimento degli infortuni: se quelli in occasione di lavoro
(505.736) sono diminuiti del 6,2%, nonostante la presenza delle denunce da Covid-19, quelli in itinere
(65.462) sono calati del 38,2%.
D’altro canto minor numero di incidenti stradali si conferma anche tra gli infortuni in occasione di lavoro. I
13mila casi che hanno visto coinvolti mezzi di trasporto, con il coinvolgimento di conducenti professionali
come camionisti e tassisti, sono infatti diminuiti del 31,8%.
I dati relativi al 2021, seppur ad oggi ancora parziali sono comunque ancora condizionati
dall’emergenza sanitaria: basti pensare all’ancora massiccio ricorso allo smart working in particolare nei
primi mesi dell’anno, che ha subito e continua a subire un graduale ridimensionamento.
La rappresentatività di questo anno nei confronti temporali dipenderà quindi anche dalla progressiva
riorganizzazione che si darà il mercato del lavoro e lo spazio che in futuro avrà lo smart working, a quel
punto non più come strumento necessario legato a un’emergenza sanitaria ma come strumento in grado di
garantire l’efficienza (stante anche lo spazio che hanno trovato i programmi di digitalizzazione nel PNRR)
e di engagement nei confronti dei lavoratori o di alcune categorie di questi.

Il mobility manager
È del 27 marzo 1998 il decreto interministeriale “Mobilità sostenibile nelle aree urbane” (norma del
ministro dell’ambiente di concerto con i ministri dei lavori pubblici , della sanità e dei trasporti) che
introduce, per le grandi aziende, l’obbligo di nominare un mobility manager i cui compiti sono relativi
all’organizzazione degli spostamenti casa-lavoro, ottimizzazione della fruizione del servizio mensa (se
esterno all’azienda), incentivi alla riduzione dell’utilizzo dell’auto propria (incentivando l’utilizzo del
mezzo pubblico, della modalità ciclabile o del car-pooling).
L’obbligo di nomina di un mobility manager previsto dal legislatore del 1998 solo per le realtà private che
contavano oltre 300 dipendenti e pubbliche con oltre 800 addetti è stato esteso con Decreto Legge 19
maggio 2020 n. 34 (decreto rilancio) convertito in legge 17 luglio 2020 n. 77, anche a quelle imprese e
P.A., ubicate in capoluogo di Regione, Provincia o Comune oltre i 50.000 abitanti, che superino, per
singola unità locale, i 100 dipendenti.
Compito del mobility manager è di redigere entro il 31 dicembre di ciascun anno un piano degli
spostamenti casa-lavoro (PSCL) finalizzato a ridurre l’uso del mezzo di traporto proprio individuale. La
nomina del mobility manager, che nasce per ragioni di carattere ambientale, per le aziende interessate da
questo obbligo, estende il proprio impegno nei confronti del lavoratore non solo dentro al perimetro
aziendale ma anche lungo il tragitto che porta a questo.

Veicoli aziendali
In presenza di una flotta di mezzi aziendali, relativa a lavoratori che devono spostarsi per mere esigenze
lavorative (a titolo esemplificativo e non esaustivo: manutentori impianti, lavoratori edili, agenti di
commercio, ispettori) i datori di lavoro sono tenuti all’adempimento di una serie di obblighi.
L’attività di guida di un veicolo deve fare parte della valutazione dei rischi e il datore di lavoro risponde
per omessa valutazione e/o per omessa predisposizione di misure di prevenzione e protezione e/o per
omessa vigilanza su di essa (Cass. pen., 27 novembre 2012, n. 46217).
Nel caso in cui un lavoratore utilizzi un’auto aziendale il datore di lavoro deve controllare che essa
sia regolarmente manutenuta e che il lavoratore abbia i titoli per guidarla (Cass. lav., 23 dicembre
2014, n. 27364).
La manutenzione dei veicoli aziendali è infatti circostanza talora sottovalutata che può generare diverse
conseguenze e le vittime di questo tipo di infortuni sono spesso rappresentate anche dai terzi (oltre che dai
lavoratori stessi).
L’omessa o non corretta manutenzione – ove accertata – seppur manifestatasi in un luogo fisicamente
“lontano” dall’azienda, ovvero su una strada o un’autostrada, rappresentando una violazione aziendale
della normativa prevenzionistica e quindi una violazione di obblighi di salute e sicurezza sul lavoro ai
sensi del D.Lgs.81/08 e dell’art.2087 del codice civile, costituisce un’altra ipotesi di responsabilità civile
e penale del datore di lavoro (principio più volte riaffermato, vedasi Cass. Pen., 21 luglio 2016 n.31495,
Cass. Pen., 11 maggio 2021 n. 21561).
In ogni caso si consideri che l’infortunio del lavoratore alla guida, anche in caso di mezzo aziendale, non è
una ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro ma va provato il danno, il nesso causale e
l’esigibilità della condotta (Cass. lav., 23 dicembre 2014, n. 27364)

Stress lavoro correlato
L’esposizione a particolari condizioni di stress lavoro correlato (si pensi ad esempio al sistematico
ricorso a lavoro straordinario) può determinare l’estensione dell’obbligo di sicurezza per quanto
attiene l’infortunio su strada; si è espressa in questo senso la Corte di Cassazione con la sentenza 13309
del 7 giugno 2007, stabilendo che “un lavoratore debba essere risarcito del danno subito in un incidente
stradale, a patto e condizione che possa dimostrare il nesso causale tra lo stress (che ha portato
all’incidente) e la sua attività lavorativa”.
In questo senso «non si può escludere il nesso causale, per un lavoratore obbligato o autorizzato all’uso di
autoveicolo nell’espletamento delle proprie mansioni in situazione di trasferta, tra le condizioni di stress e
l’incidente stradale, senza consentire la prova di tutte le circostanze del caso».
D’altra parte la connessione tra sovraffaticamento e rischio infortuni è conclamata, una ricerca della Suva
(Uehli, 2015) giunge a conclusioni drammatiche in materia di sicurezza per chi si mette al volante
sovraffaticato: il rischio di infortunio è da sette a otto volte superiore al normale. Il soggetto
sovraffaticato avrà infatti una riduzione delle percezioni, un allungamento dei tempi di reazione, e tenderà
a sottovalutare i pericoli.

I costi economici
Vediamo ora il costo economico sostenuto sia dall’ente pubblico tramite INAIL che dai datori di lavoro in
relazione al fenomeno degli infortuni in itinere e in occasione di lavoro su strada.
L’infortunio in itinere non rileva ai fini dell’aggravamento del premio INAIL per il datore di lavoro
ma ci sono importanti costi diretti e indiretti legati tanto all’inabilità temporanea che all’invalidità
permanente
.
Ci rifacciamo agli Open Data INAIL, tabelle dati nazionali relativi al periodo 2015-2020.
Vediamo ad esempio come l’infortunio in itinere e in occasione di lavoro (in questa seconda ipotesi in
particolare con mezzo di trasporto) tendano ad essere contraddistinti da una maggiore gravità
riscontrabile anche nei giorni medi d’inabilità temporanea assoluta.
Arrotondando il dato medio del quinquennio infatti vediamo circa 39 giorni di astensione per l’infortunio
in itinere rispetto ai 34 per infortunio in occasione di lavoro che però tornano 39 in caso di infortunio in
occasione di lavoro con coinvolgimento di mezzo di trasporto.
Il costo relativo all’invalidità temporanea ricordiamo che ricade sia su INAIL che sul datore di lavoro ed è
così distribuito.
Il datore di lavoro corrisponde interamente la retribuzione del giorno dell’infortunio e il 60% della
retribuzione per i tre giorni successivi.
L’INAIL poi corrisponde al lavoratore:
un’indennità giornaliera, pari al 60% della retribuzione giornaliera media, calcolata sui 15 giorni precedenti
l’infortunio, per i primi 90 giorni, a partire dal 4° giorno successivo all’infortunio, e
del 75% a partire dal 91° giorno, e ciò anche nei giorni festivi e fino alla guarigione clinica definitiva.
Sappiamo poi che moltissimi CCNL prevedono, durante il periodo di inabilità temporanea assoluta
al lavoro, l’obbligo da parte del datore di lavoro di pagare il differenziale tra l’indennità INAIL e la
paga base.

    Per quanto attiene l’invalidità permanente salvo accertate
    responsabilità del datore di lavoro risponde unicamente INAIL
    in relazione ai costi diretti.
Possono però esserci costi indiretti per le aziende, sappiamo infatti che ai sensi della legge 68/1999 i datori
di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti “a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei soggetti
che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o
malattia professionale eventuali disabilità”.
Questa tutela per il lavoratore implica d’altro canto un contrasto, quantomeno potenziale, tra il diritto alla
salute e al lavoro (riconosciuti e tutelati a livello costituzionale negli articoli 32 e 4) e il diritto alla libertà
di impresa dell’art. 41 della Costituzione.
Su questi temi infatti si è sviluppato un grande contenzioso che ha riguardato ad esempio chi poteva
accertare la sopravvenuta inidoneità alla mansione (se fosse ad esempio sufficiente il giudizio del
medico competente o se il licenziamento del lavoratore fosse possibile solo a seguito di un successivo
riesame da parte della commissione sanitaria competente) oppure e soprattutto rispetto alla possibilità di
adibire il dipendente ad altre mansioni, compatibili con il suo “nuovo” stato di menomazione.
Sul datore di lavoro grava infatti sia l’onere di dimostrare l’impossibilità di utilizzare il dipendente in
mansioni equivalenti e in un ambiente compatibile col suo stato di salute, sia quello di confutare le
allegazioni espresse in sede processuale dal dipendente circa il suo possibile repèchage in altre mansioni in
azienda.
Conclusioni
Stante tutto quanto analizzato fin qua in relazione ai costi sociali ed economici degli infortuni su strada e in
itinere ritengo si possa affermare che investire in prevenzione rispetto a questa fenomenologia sia
eticamente ed economicamente intelligente eventualmente campo di azioni virtuose in questo senso.
Si tenga poi conto anche si impegna attivamente per la prevenzione di questo tipo di infortuni: è possibile
infatti, per le aziende che prevedono sia tramite accordi sindacali sia attraverso codici di condotta ed
etici, adottati su base volontaria, miglioramenti dei livelli di tutela definiti legislativamente, accedere
ad uno sconto sul premio di tariffa assicurativo (tramite il modello OT24).
Si citano brevemente alcune misure utilizzabili quali misure di formazione e informazione (corsi di guida
sicura per i lavoratori), un wellfare orientato alla sicurezza nei trasporti prevedendo ad esempio il tagliando
anche sul mezzo proprio in particolare qualora utilizzato anche per spostamenti legati al lavoro,
l’incentivazione del car pooling che oltre a ridurre le immissioni ambientali può ridurre il rischio stress
lavoro correlato legato alla guida, strumenti conciliazione e work life balance ovvero misure di
“conciliazione” la cui adozione può avere ripercussioni positive nella prevenzione di infortuni anche
stradali.
Il citato elenco è meramente esemplificativo ma individuato un potenziale rischio e le sue conseguenze può
cominciare la ricerca di soluzioni, la cui alternativa più efficace dipende la una valutazione complessiva del
caso concreto.

Sitografia
https://www.altalex.com/documents/news/2004/01/15/infortunio-in-itinere-cenni-sulla-evoluzione-
legislativa
https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-dati-inail-infortuni-stradali-
2020.html
https://www.marcodemitri.it/dati-inail-infortuni-lavoro/
https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-dati-inail-infortuni-malattie-
professionali-2020.html
https://www.puntosicuro.it/sicurezza-C-80/sicurezza-stradale-C-104/rischio-di-incidenti-in-itinere-obblighi-
prevenzione-formazione-AR-16505/
https://www.certifico.com/ambiente/documenti-ambiente/257-documenti-riservati-ambiente/12692-
mobility-manager-obbligo-nomina-e-certificazione
https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-dati-inail-infortuni-mp-2020-
2021.html
https://www.prevenzione-in-ufficio.ch/rivista-online/articolo/stanchezza-un-rischio-sottovalutato-per-la-
sicurezza-la-salute-e-leconomia/
https://www.insic.it/sicurezza-sul-lavoro/prevenzione-infortuni-articoli/dossier-donne-2021-infortuni-e-
decessi-al-femminile-inail/
https://www.altalex.com/documents/news/2020/11/22/inidoneita-sopravvenuta-dipendente-mansione

TAG: infortunio in itinere, Infortunio sul lavoro, sicurezza sul lavoro, stress lavorativo
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