Industrial design Definizione - Etimologia - Amazon S3

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Industrial design

Definizione – Etimologia
Il termine “design”, (lat. desĭgnare, ital. disegno) che nella
lingua inglese ha il significato generale di progetto, dagli
anni Venti del ‘900 cominciò a denotare, in associazione con
l’aggettivo    “industrial“,     l’attività     specifica    di
progettazione di oggetti industriali di qualità, laddove la
ricerca estetica del prodotto perseguiva una configurazione
originale della forma, autonoma dagli stilemi storicistici che
avevano accompagnato la prima industrializzazione, e in grado
di esprimere senza decorazioni superflue o rimandi simbolici
la funzionalità dell’oggetto e la “modernità” dei processi
produttivi.
La duplicità concettuale dell’industrial design, in cui si
sintetizzano le istanze di ottimizzazione produttiva e di
successo commerciale proprie dell’industria, insieme alle
aspirazioni creative proprie del designer, si riflettono nelle
traduzioni del termine in altre lingue europee: esthetique
industrielle nel francese, Produktgestaltung in tedesco ecc.
La stessa definizione del campo disciplinare dell’industrial
design ha conosciuto versioni diverse nel tempo fino alla
formulazione ormai ritenuta definitiva, adottata nel 1969
dall’ICSID (International Council of Societies of Industrial
Design) su proposta di Tomas Maldonado, che afferma:”Il
disegno industriale è un’attività creativa che ha lo scopo di
determinare le proprietà formali degli oggetti prodotti
industrialmente. Per proprietà formali non si devono intendere
solo le caratteristiche estetiche, ma soprattutto le relazioni
funzionali e strutturali che fanno di un oggetto un’unità
coerente sia dal punto di vista del produttore che
dell’utente. Il disegno industriale ha per oggetto tutti gli
aspetti dell’ambiente umano che sono condizionati dal processo
industriale”.
Nei   decenni    recenti    l’espressione     design,    senza
aggettivazioni, sta ad indicare non soltanto l’attività
progettuale che fornisce all’industria le idee e le forme dei
prodotti che vengono immessi sul mercato ma, anche, in senso
lato la cultura della modernità nella produzione di tutti gli
oggetti che qualificano l’ambiente costruito contemporaneo,
coinvolgendo in modi e misure non sempre definiti anche
settori dell’artigianato evoluto e della creazione artistica.

Derivazione, evoluzione e diffusione
La pratica e la cultura del design s’innestano sul processo di
mutamento socioeconomico e culturale che va dalla metà del
‘700 (1765, macchina a vapore di Watt) alla metà dell’800
(1851, Grande Esposizione di Londra) comunemente definito come
“prima rivoluzione industriale”. Il design come metodo
progettuale e come consapevolezza culturale della modernità
conclude e in un certo senso risolve l’esperienza delle arti
applicate, che in forma diversa si sviluppa nei principali
paesi europei fino agli anni Trenta del ‘900. In particolare,
in Inghilterra, con l’attività di Henry Cole e con l’Arts and
Crafts di William Morris, in Francia con l’Art Nouveau, in
Austria con il Wienerstil che ruota intorno alla Wiener
Werkstätte di Joseph Hoffmann e in Germania soprattutto con il
Werkbund, si dà vita per tutto il XIX secolo e nei primi
decenni del XX al dibattito, non solo culturale, intorno al
rapporto fra arte e industria. Caratteristiche comuni sono:
l’esigenza di spostare l’attività degli artisti dall’opera
d’arte all’estetica degli oggetti d’uso comune e la
consapevolezza moderna della funzione come fondamento della
forma, ma anche la ricerca di una metodologia appropriata ai
nuovi compiti progettuali e di una didattica finalizzata alla
formazione delle nuove figure professionali che di fatto
anticipano quella del designer.
In realtà la nozione di industrial design e la stessa figura
professionale del designer si affermano in forma esplicita fin
dagli anni Venti negli Stati Uniti la cui situazione culturale
e produttiva risultaestremamente diversa da quella europea.
Scarsamente interessata al dibattito europeo sull’arte
applicata e molto meno condizionata dai modelli stilistici
storici, l’esperienza americana si sviluppa liberamente sulla
base di due criteri fondamentali: l’ottimizzazione dei
processi produttivi e la subordinazione della forma (estetica)
all’onestà della funzione (efficienza). L’estetica del
prodotto industriale USA basato sulla semplificazione formale
e sulla soddisfazione pratica dell’utente, esercita una
influenza decisiva sulla cultura industriale europea, specie
in ambito tedesco dove è più forte l’interesse per la ricerca
metodologica sia sui processi produttivi, sia soprattuto sulla
formazione dei nuovi progettisti.
In Germania nasce, nel difficile periodo della Repubblica di
Weimar, quella che può essere considerata la scuola per
eccellenza del design moderno: il Bauhaus fondato da Walter
Gropius nel 1919. La molteplicità dei campi disciplinari e
operativi in cui si articola la didattica del Bauhaus fin
dall’inizio è certo la conseguenza del fatto che si tratta di
una istituzione che riunisce l’Accademia d’arte e la Scuola di
arti e mestieri di Weimar, ma è non di meno il risultato di
una scelta programmatica che vede una unità metodologica e una
forte integrazione culturale fra tutti settori del fare
progettuale e artistico chiamati alla costruzione del nuovo
ambiente umano dell’età moderna.
Se la personalità chiave fino al 1928 è Gropius, il Bauhaus
nella tormentata storia che lo vede mutare sedi e direttori e
combattere contro ostacoli politici, economici e sociali di
ogni genere, riunisce nello staff dei docenti e fra gli
allievi molte fra le figure più rappresentative della cultura
tedesca e costituisce nella storia della cultura moderna il
punto di riferimento più importante e consapevole per la
creazione di una metodologia e di una effettiva prassi
professionale dell’industrial design. Non di meno risalgono
all’esperienza del Bauhaus alcuni dei proptotipi più
significativi del mobile moderno, progettati da Marcel Breuer
e Mies van der Rohe. Praticamente contemporanea al Bauhaus e
per certi aspetti altrettanto importante è l’attività del
Vchutemas russo (Laboratori artistico-tecnici superiori),
fondata nel 1920 a Mosca (1920-26) come scuola
multidisciplinare finalizzata alla formazione dei nuovi
progettisti in grado di coniugare la creazione artistica con
la produzione industriale e con gli obiettivi dello Stato
socialista. Come il Bauhaus tedesco, prevedeva un corso
propedeutico obbligatorio, per la formazione artistica di
base. Tra i professori figurano personalità eminenti del
costruttivismo russo come Aleksandr Rodčenko e Vladimir
Tatlin. Trasformato nel 1926 in Vchutein (Istituto superiore
artistico-tecnico), viene chiuso nel 1930 per i contrasti con
la cultura di regime.
L’emigrazione negli USA di molti fra i maggiori esponenti del
Bauhaus, dopo la sua chiusura a opera dei nazisti nel 1933,
coincide con uno dei momenti cruciali dell’evoluzione della
cultura moderna negli Stati Uniti. Da un lato si osserva la
rinnovata attenzione dell’industria dopo la crisi finanziaria
del 1929 per la qualità, anche esteriore, dei prodotti da
proporre ad un mercato esausto, che favorisce l’affermarsi
dello Styling (Streamline) nella progettazione di ogni tipo di
oggetto, dalla locomotiva al telefono; dall’altro lato lo
consacrazione dell’International Style in architettura nella
Mostra del 1932 al Museum of Modern Arts di New York dove
vennero mostrati anche i progetti di interni e arredi per la
residenza dei principali progettisti europei, da Le Corbusier
a Mies Van der Rohe. Si consolida su queste basi culturali e
sulla rinnovata dinamica economica del New Deal roosweltiano
la grande stagione del design statunitense la cui egemonia non
solo commerciale domina o influenza la produzione industriale
mondiale fino agli anni Settanta del secolo scorso. Altre
culture del design si sviluppano nello stesso periodo e
rappresentano esperienze di straordinario significato, sul
piano della qualità progettuale e su quello della didattica
che si afferma come uno dei fattori fondamentali dello
sviluppo del moderno progetto industriale. Anzitutto il design
tedesco della Repubblica Federale che trova il suo centro di
gravità ideologico e metodologico nella nuova Hochschule für
Gestaltung di Ulm (1955-1968), nata come prosecuzione del
Bauhaus, e che oppone allo styling di marca statunitense un
gusto della forma orientato verso l’astrazione geometrica e
una maggiore neutralità semantica.
Completamente diverso è il fenomeno del design finlandese,
danese e svedese che viene impropriamente unificato sotto il
nome di design scandinavo nonostante le grandi differenze che
esistono fra le diverse esperienze, al di là della
predilezione per il legno e, più in generale, per le
morfologie di derivazione naturale. A differenza di quanto
accade nei grandi Paesi industrializzati il design dei paesi
scandinavi non perde i contatti con l’artigianato che si
evolve tecnicamente e culturalmente entrando in misura
significativa nel processo produttivo, specialmente per quanto
riguarda il settore dell’arredo. Il successo commerciale a
livello internazionale di queste produzioni, che offrono al
consumatore oltre alla sofisticata modernità delle forme anche
la tradizionale familiarità del legno che rimanda alla qualità
artigianale delle lavorazioni, prosegue fino agli anni
Settanta. Molti sono tuttavia gli oggetti di questa stagione
del design scandinavo che restano tuttora in produzione con un
valore insuperato di classici della modernità.
In questo quadro il design italiano rappresenta un caso a
parte soprattutto per il ritardo con cui si compie
l’industrializzazione del Paese e per la mancanza, prima del
decennio degli anni Venti-Trenta, di forti iniziative
istituzionali finalizzate alla promozione di una nuova cultura
progettuale. Il dibattito sull’arte applicata all’industria
trova un concreto terreno di confronto a partire dalla
fondazione nel 1923 della Biennale delle Arti Decorative di
Monza, nel 1933 sostituta dalla Triennale milanese. Se nel
periodo antecedente la Seconda Guerra Mondiale non mancano
ricerche, progetti e realizzazioni di grande interesse da
parte di numerosi progettisti in diversi settori, dall’arredo
all’aeronautica, è nel periodo postbellico che si afferma una
cultura italiana del design che, a partire dagli anni
Cinquanta, arriverà ad imporsi a livello mondiale per la
ricchezza creativa delle sue realizzazioni, con il marchio del
Made in Italy. L’esperienza del design italiano del secondo
dopoguerra, che si concentra in particolare sull’innovazione
della forma dell’automobile e dell’arredo domestico, si basa
sul peculiare rapporto fra industrie, spesso detentrici di
tradizionali perizie artigianali, e architetti-designer
culturalmente e professionalmente esterni alle aziende.

Il ruolo del             design       nella       società
contemporanea
Superate, anche se non risolte del tutto, le questioni
relative       ai      rapporti       arte/industria         e
arigianato/meccanizzazione, il design si afferma a partire
dagli anni Cinquanta come ambito disciplinare centrale nella
cultura del progetto dell’ambiente costruito moderno e si
inserisce profondamente nei processi di trasformazione del
gusto, dei comportamenti e dei consumi delle società
contemporanee, alle quali fornisce forme, simboli, e icone,
più o meno durature nel tempo, ricevendone in cambio i segni e
i significati dei mutamenti culturali ed economici in atto.
Dal punto di vista professionale, se si eccettuano le figure
di   progettisti     indipendenti     che   possono   vantare
l’autorevolezza di una griffe, i designer sono andati
assumendo sempre più negli ultimi decenni il ruolo di tecnici
dell’innovazione creativa, interni alle aziende. Come tale il
designer fondamentalmente è addetto a migliorare la
competitività del prodotto industriale e quindi a fornire la
componente estetica e comunicazionale all’interno delle
strategie di marketing fissate dal management industriale.
Permane pertanto nella fenomenologia del design contemporaneo,
la separazione di due categorie di prodotti: la prima
costituita da produzioni riservate di fatto a un’élite
economica e/o intellettuale che sancisce il valore permanente
di alcune icone esemplari della modernità, si pensi ai mobili
moderni detti “dei maestri” o a certi modelli di automobile
“storici”; la seconda formata dall’universo effimero dei
prodotti, anche di eccellente qualità costruttiva e formale
che rispondono alle domande in veloce mutamento del consumo di
massa.

Protagonisti del design – le icone del
moderno
L’evoluzione del design nelle diverse culture nazionali
inevitabilmente è influenzata, a volte dominata,
dall’esperienza di un numero limitato di protagonisti, non
solo ma soprattutto progettisti, che ne esprimono i vertici
d’eccellenza. Quasi sempre dal lavoro di questi sono nati i
prodotti che hanno caratterizzato in diversa misura la cultura
del design nel mondo e la stessa idea di modernità.
Nell’ambito del dibattito sul rapporto fra arte e industria
emergono le opere di Charles Rennie Mackintosh in Scozia,
quelle di Victor Horta e Henry van de Velde all’interno
dell’Art Nouveau, quelle di Josef Hoffmann e Kolo Moser in
ambito viennese e di Peter Behrens, specie nella sua famosa
collaborazione con la AEG tedesca. Su tutti l’esperienza di
Michael Thonet che inventa e produce, dalla metà
dell’Ottocento, la grande famiglia dei mobili in legno
curvato, soprattutto sedie, e che rappresenta un fenomeno
unico per rilevanza economica e sociale nella storia del
mobile moderno.
In ambito Bauhaus nascono le sedute e i mobili in tubo
metallico di Breuer, fra questi la poltrona Wassily, i mobili
e la poltrona Barcellona di Mies van der Rohe, le lampade di
Carl Jacob Jucker e Wilhelm Wagenfeld. Questi e altri progetti
rivoluzionari dei maestri del Movimento Moderno sono tuttora
in produzione a testimonianza della loro longevità culturale
ed espressiva. Fra i più noti, le poltrone di Le Corbusier e
Charlotte Perriand, le sedute di Charles e Ray Eames, le
sedute e i complementi in legno curvato di Alvar Aalto, le
lampade di Poul Henningsen, le sedie di Arne Jacobsen, i
mobili di Eileen Grey, le sedie e i tavoli Tulip di Eero
Saarinen le cui morfologie organiche anticipano la scultorea
sedia di Verner Panton del 1960 che resta tuttora un best
seller del design contemporaneo.
Molte delle icone del design moderno segnano le tappe
fondamentali del design italiano del dopoguerra: la libreria
Nuvola Rossa e la sedia Selene di Vico Magistretti, le lampade
di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, i mobili di Mario
Bellini, i televisori di Marco Zanuso, la Lettera 22 di
Marcello Nizzoli, la lampada Tizio di Richard Sapper e la
Tolomeo di Michele De Lucchi.

Settori     operativi                   del         design
contemporaneo
Le declinazioni settoriali del design sono numerosissime:

     product design (settore degli oggetti d’uso);
     exibit design (settore degli allestimenti espositivi);
     interior design (settore degli interni);
     food design (settore dei prodotti alimentari);
     graphic design (settore della grafica);
     fashion design (settore della moda);
     car design (settore automobilistico) ecc.

Bibliografia
Argan G.C., Walter Gropius e la Bauhaus, Torino, 1951; Banham
R., Architettura della prima età della macchina, Milano 2005;
Benjamin W., L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica, Torino, 1966; Bologna F., Dalle arti
minori all’industrial design. Storia di una ideologia, Bari,
1972; De Fusco, R., Storia del design, Bari, 1985; Dorfles
G., Introduzione al disegno industriale. Storia e
linguaggiodella produzione di serie, Torino, 1973; Giedion,
S., L’era della meccanizzazione, Milano, 1967; Giedion,
S., Spazio tempo e architettura, Milano, 1954; Gregotti V., Il
disegno del prodotto industriale. Italia 1860-1980, Milano,
1986; Klingender, F.D., Arte e Rivoluzione industriale,
Torino, 1972; Maldonado T., Disegno industriale: un riesame,
Milano, 1989; Maldonado T., Il futuro della modernità, Milano,
1987.

Photogallery

Macchina per scrivere portatile Lettera 22, progettata da
Marcello Nizzoli nel 1950 e prodotta da Olivetti.

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Panton Chair Standard, progettata dal designer danese Verner
Panton nel 1960.

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Poltrona comunemente denominata Wassily, di Marcel Breuer
(1925).

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