ILVA, la situazione a quasi un anno dall'abolizione dello scudo penale - Amazon S3
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ILVA, la situazione a quasi un anno dall’abolizione dello scudo penale Se si fa una ricerca in rete sull’ILVA di Taranto, nella SERP di Google compaiono, nelle prime pagine, risultati relativi all’attualità più stringente, relativa alla nuova fase di cassa integrazione per i dipendenti dello stabilimento ILVA di Taranto. Una cassa integrazione ordinaria che con il Decreto Agosto è diventata nuovamente “causale Covid-19” a far data dal 3 agosto e per sei settimane. Nessun risultato recente in merito allo scudo penale (o immunità penale che dir si voglia), di cui tanto si è parlato a fine 2019, in epoca pre-Covid19: una vita fa. Eppure, i temi connessi allo scudo penale sono più che mai all’ordine del giorno, e anzi amplificati proprio dall’emergenza sanitaria, e dai suoi corollari: tutela dell’ambiente e della sua salubrità, sicurezza sul lavoro, tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini, problemi di ordine sociale ed economico. Sono quelle che mi piace chiamare le “quattro sostenibilità”. Non ha più senso – se mai lo ha avuto – parlare soltanto di sostenibilità ambientale, il cui perseguimento inevitabilmente influisce sulle altre tre. Sullo sfondo, naturalmente, le responsabilità per il disastro (non solo) ambientale e per l’effettuazione delle bonifiche del sito. A fronte di tale silenzio, vale la pena tirare le fila del discorso. E capire i perché di certe scelte, e soprattutto le loro conseguenze, al fine di contestualizzare le opzioni politiche e valutare se sono in grado di far raggiungere il fine perseguito.
Le responsabilità per la bonifica dei siti storici contaminati e la “contestualizzazione storica” Il tema della responsabilità per l’inquinamento storico, e del connesso tema relativo alla responsabilità in caso di successione di società su un sito contaminato, è stato ampiamente analizzato in un articolo pubblicato nelle pagine di questo portale. Stesso discorso vale per il sito dell’ex ILVA di Taranto, per il quale però si parla di “scudo penale” o “immunità penale”. Il lettore poco avvezzo alle dinamiche del “giuridiche se” potrebbe trovarsi spiazzato, e certe notizie di stampo prettamente giornalistico potrebbero confonderlo ulteriormente. Che cos’è, dunque, questo “scudo penale”, o immunità penale che dir si voglia? Cerchiamo di far chiarezza partendo da una sintetica quanto doverosa opera di “contestualizzazione storica”. L’anno della svolta (il 2012) e quello del commissariamento (2013) Lo stabilimento dell’Ex ILVA di Taranto è stato dichiarato di interesse strategico nazionale a fine 2012 con il DL 207/2012, con il quale il Governo ha avviato un percorso per regolarizzare la posizione dell’acciaieria anche dal punto di vista ambientale, salvaguardando i posti di lavoro coinvolti e cercando di imprimere una svolta alla gestione della sicurezza. La norma ha previsto una specifica disciplina sull’efficacia dell’autorizzazione integrata ambientale “in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”. E
nel dichiarare quello di Taranto uno di questi, ha dettato norme che prevedevano, in estrema sintesi: le modalità relative alla gestione del sito e della prosecuzione dell’attività produttiva la nomina (per un periodo non superiore ai tre anni) di un Garante, incaricato di “vigilare sull’attuazione delle disposizioni” del decreto le responsabilità nella conduzione degli impianti. Responsabilità nella conduzione degli impianti Nei limiti consentiti dal decreto, rimane in capo ai titolari dell’autorizzazione integrata ambientale la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti di interesse strategico nazionale anche ai fini dell’osservanza di ogni obbligo, di legge o disposto in via amministrativa, e ferma restando l’attività di controllo dell’autorità competente. L’anno successivo (D.L. n. 61/2013) è quello delle “Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”. Si tratta del Decreto con il quale è stato disposto, in via generale e con specifico riguardo allo stabilimento ILVA S.p.A. di Taranto, il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all’ambiente e alla salute a causa dell’inottemperanza alle disposizioni dell’autorizzazione integrata ambientale. Approfondimenti
Ambiente & Sviluppo La rivista su approfondimenti in tema di normativa, orientamenti e giurisprudenza in materia ambientale, fiscale e finanziaria, strumenti di gestione ambientale e procedure di certificazione, audit ambientale, bilancio e comunicazione ambientale, tecnologie, brevetti, efficienza energetica e sostenibilità, fonti rinnovabili, recupero e riciclo, esperienze e case study di imprese, enti locali, università. Wolters Kluwer Italia Scarica un numero omaggio Il Piano ambientale (2014) Il 2014 si apre all’insegna dell’approvazione del “Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria”. A valle di alcune disposizioni volte a regolare la conclusione dei procedimenti di riesame e alle raccomandazioni per la predisposizione del piano industriale, il decreto legge disciplina il piano ambientale ponendo l’accento: sull’attuazione di due decreti di AIA (quello del 4/08/2011 e quello del 26/10/2012); sulle ulteriori azioni per garantire la conformità alle prescrizioni di legge e all’AIA; sulle scadenze che ILVA avrebbe di lì in poi dovuto rispettare per adempiere a quanto contenuto nel piano ambientale. Le disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale: lo scudo penale (2015) L’anno successivo debutta con la fine del commissariamento straordinario. Il DL 1/2015, infatti, ammette l’ILVA
all’amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge n. 347/03 (“Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza”). E detta una minuziosa disciplina: sui “rapporti di valutazione del danno sanitario”; sulle modalità e sulle tempistiche di attuazione del piano ambientale e, soprattutto sulle responsabilità, ovvero sullo scudo penale. Nella seguente tabella una sintesi delle disposizioni vigenti. Volutamente si è tralasciata in questa sede l’analisi delle molte modifiche medio tempore intervenute, per evitare di ingolfare il lettore… Il comma 6 dell’art. 2 del DL 1/2015 L’osservanza delle disposizioni contenute nel Piano Ambientale equivale all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione, previsti dall’articolo 6 del D.Lgs n. 231/2001, ai fini della valutazione delle condotte strettamente connesse all’attuazione dell’A.I.A. e delle altre norme a tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità pubblica. Le condotte poste in essere in attuazione del Piano Ambientale, nel rispetto dei termini e delle modalità ivi stabiliti, non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro. Il depotenziamento avvenuto con il decreto crescita (2019) Gli anni passano, le scadenze anche, i Governi si susseguono e promettono di risolvere la situazione. Nel frattempo l’ex ILVA è stata acquistata da ArcelorMittal, colosso siderurgico mondiale, ma i problemi dell’ILVA quelli erano e quelli rimangono. Dopo mesi di discussioni politiche, a metà 2019 con il “Decreto Crescita” viene modificata la norma che ha introdotto lo scudo penale, sopra sintetizzato, nei seguenti termini: è stato abrogato il riferimento alle “altre norme a tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità
pubblica”; è stato stabilito esplicitamente che tale disciplina “si applica con riferimento alle condotte poste in essere fino al 6 settembre 2019”. Morale: per tutto ciò che succede dopo tale data, addio allo “scudo penale”, anche per le condotte tenute nell’osservanza delle disposizioni contenute nel Piano Ambientale, che non equivalgono più all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione di cui alla “231”. Abolizione dello scudo penale che ha portato alla decisione di ArcelorMittal di recedere dal contratto di affitto con obbligo di acquisto dei rami di azienda, siglato soltanto un anno prima. Contratto che si fondava, fra l’altro, proprio dell’esimente prevista dal decreto del 2015. Il “Salva Imprese” e il tentativo di razionalizzare la questione, poi il silenzio A fine ottobre 2019 c’è stato un tentativo di riportare la questione su binari anche di sostenibilità giuridica. Con il decreto “Salva Imprese” – nella sua versione originaria – era stata prevista una norma con l’obiettivo di escludere “la responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente (e dei soggetti da questi delegati) dell’Ilva di Taranto in relazione alle condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale”. Ma in sede di votazione è passato un emendamento che ha soppresso del tutto tale possibilità. Poi il silenzio sulla vicenda, fino alle notizie con le quali si è aperto questo contributo.
La ratio dello scudo penale Si tratta, con tutta evidenza, di una vicenda – complessa di suo – resa complicata dal susseguirsi e dall’aggrovigliarsi di decisioni politiche discutibili. E anche di opinioni personali giuridicamente non verificabili e, in ogni caso, dettate dal contingente e del tutto avulse da un quadro prospettico di risoluzione definitiva di una situazione, come s’è detto, complessa di suo e resa ancora più complicata dal teatrino politico. Del resto, come spiega un dossier della Camera, il decreto del 2015 aveva introdotto “una presunzione di liceità delle condotte del commissario straordinario e dei funzionari da lui delegati, purché le condotte siano finalizzate a dare attuazione all’Aia e alle altre norme a tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità pubblica o amministrativa e siano osservate le disposizioni contenute nel Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria relativo allo stabilimento Ilva di Taranto”. Detto in altri termini, con quella norma: si volevano tutelare gli amministratori dell’ex-Ilva dal rischio di essere coinvolti in cause legali per i problemi di sicurezza e ambientali creati dalle gestioni precedenti dell’acciaieria ed ereditati dalla gestione attuale. Non, quindi, una vera e propria immunità penale (che protegge da qualsiasi tipo di reato), ma una sorta di “scriminanti speciali” (ossia di cause di esclusione del reato); è stata riconosciuta una sorta di “immunità penale ed amministrativa” per le condotte poste in essere in attuazione del cosiddetto “Piano ambientale”. Probabilmente, quindi, è più corretto parlare di scudo penale. Senza il quale nessuno si prenderebbe (o si sarebbe preso) l’onere di gestire un sito con quelle complessità ambientali,
economiche, sociali e relative alla sicurezza dei lavoratori e alla salute dei cittadini. Il rapporto fra le quattro sostenibilità in una società sviluppata ed industrializzata Ma oltre alle motivazioni, cui si è fatto riferimento, ci sono altri nodi che la decisione di abolire lo scudo penale lascia irrisolti. Al di là delle opinioni che fanno leva: anche su presunte (o meno) volontà giudiziarie di “condurre una guerra spietata allo stabilimento siderurgico di Taranto”, che fanno riferimento però, e correttamente, a “processi di risanamento imposti con modalità e tempi incompatibili con le caratteristiche dei processi produttivi della siderurgia e con un minimo di economicità dell’acciaieria”. E agli inevitabili e connessi risvolti psicologici ed economici, e quindi a cascata sociali, ambientali e “di salute-sicurezza”, o sulla validità di un’opzione giudiziaria che entra, proprio per questi motivi, nel merito di una scelta imprenditoriale per obbligare un’azienda a rispettare un contratto ormai ritenuto inficiato in uno dei suoi aspetti fondamentali, a causa di quella politica, cui si è fatto riferimento. Ciò che vale la pena sottolineare è che questo tipo di decisioni aprioristiche e semplicistiche non risolvono i problemi alla radice (al limite, ne rinviano l’aggravarsi). E non risolvono: né la questione relativa all’opportunità di sanzionare comportamenti adottati in conformità alla legge, né il dilemma dei dilemmi.
La conclusione è che non siamo una società sviluppata e industrializzata? Ovvero: qual è il rapporto fra le “quattro sostenibilità” nella società sviluppata ed industrializzata di oggi, nella quale anche la legislazione ambientale si evolve rapidamente – in conseguenza di tanti fattori, tra cui è prevalente l’apporto innovativo della tecnologia – ma che non può trascurare gli aspetti economici e i risvolti sociali? A meno che la risposta – non è così balzano ipotizzarlo – sia che, in realtà, non siamo una società sviluppata ed industrializzata. O per dirla con le parole di un noto giuslavorista, Giuliano Cazzola:“Ecco, allora, che il caso dell’Ilva di Taranto diventa un paradigma del possibile declino dell’Italia. Esiste in molte circostanze, da noi, l’atteggiamento incoerente di chi vorrebbe sviluppo, lavoro (l’età media dei dipendenti dell’Ilva di Taranto ha poco più di 30 anni) e benessere, ma ne rifiuta i corollari inevitabilmente negativi”. È questo il nuovo modello di sviluppo?
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