IL TESTO UNICO SULLA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO

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CAPITOLO 3
IL TESTO UNICO
SULLA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO
(d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, come modificato
dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106)

   SOMMARIO: 3.1. Note introduttive. – 3.2. Il campo di applicazione (oggettivo e sogget-
   tivo). – 3.3. I principi fondamentali: la valutazione dei rischi e la programmazione della
   prevenzione. – 3.4. I soggetti coinvolti e le loro interazioni: l’organizzazione aziendale
   della prevenzione (il datore di lavoro, la delega di funzioni e la ripartizione di respon-
   sabilità, i dirigenti e i preposti, lavori in appalto, contratti d’opera e qualificazione delle
   imprese, il servizio di prevenzione e protezione e la gestione delle emergenze, la sorve-
   glianza sanitaria ed il ruolo del medico competente). – 3.5. I soggetti coinvolti e le loro
   interazioni: la partecipazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze (diritti e obbli-
   ghi dei lavoratori, le disposizioni per i lavoratori autonomi e per i componenti dell’im-
   presa familiare, informazione e formazione, il rappresentante dei lavoratori per la sicu-
   rezza, gli organismi paritetici).

3.1. Note introduttive

   Con il d.lgs. n. 626/1994, e successive modifiche ed integrazioni, si era o-
perata una profonda revisione della materia della salute e della sicurezza sul
lavoro, in particolare per la necessità di dare attuazione alla normativa comu-
                                                                    1
nitaria che proprio in tale campo si era particolarmente sviluppata .
   Si era osservato tuttavia come la materia in esame si caratterizzasse per un
eccesso di normazione, spesso ispirata ad approcci diversi e, d’altro lato, su

   1
       Cfr., anche per riferimenti, M. LAI, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Torino, 2006, p. 39 ss.
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taluni aspetti oscura e lacunosa, finendo così per fornire una comoda giustifi-
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cazione per la sua elusione o disapplicazione .
   Proprio il campo della sicurezza del lavoro è infatti quello in cui al massi-
mo del rigore formale delle norme corrisponde il massimo di tolleranza socia-
le della loro trasgressione, considerando gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali un tributo comunque inevitabile da pagare allo sviluppo econo-
                    3
mico o alla fatalità .
   Da qui la prospettiva di un Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul
lavoro che permettesse di «disporre di un sistema dinamico, facilmente com-
prensibile e certo nell’indicazione dei principi e dei doveri, e di eliminare la
complessità e talora la farraginosità di un sistema cresciuto in modo alluvio-
      4
nale» .
   Le proposte a più riprese avanzate nel corso degli anni si sono alla fine tra-
                                                               5
dotte, sulla scia di una lunga serie di tragedie sul lavoro , nel d.lgs. 9 aprile
2008, n. 81, attuativo della delega contenuta nell’art. 1, della legge n. 123/2007,
c.d. Testo Unico sulla salute e sicurezza del lavoro, che sviluppa significativi
principi posti dal d.lgs. n. 626/1994, ora abrogato. Sono state così raccolte e
trasfuse in un unico testo gran parte delle norme in materia di tutela della sa-
lute e sicurezza sul lavoro, a partire dalle disposizioni contenute nel d.p.r. n.
547/1955, sulla prevenzione degli infortuni del lavoro nell’industria, nel d.p.r.
n. 303/1956, sull’igiene del lavoro, e soprattutto nel d.lgs. n. 626/1994, di re-
cepimento di direttive comunitarie.
   Con il d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106 sono state introdotte disposizioni inte-
grative e correttive al d.lgs. n. 81/2008 (misure di semplificazione, potenzia-
mento della bilateralità, rivisitazione dell’apparato sanzionatorio), che non
                                               6
paiono stravolgerne l’impianto complessivo . Si viene dunque a disporre di
un quadro legislativo definitivo in materia di tutela della salute e della sicu-
rezza sul lavoro.
   Tratto distintivo della disciplina è peraltro il necessario coordinamento tra
i diversi soggetti operanti in materia ed il consolidarsi di una cultura della
prevenzione attraverso un approccio di sistema basato sul «tripartitismo»,

     2
       Cfr. in particolare L. MONTUSCHI, I principi generali del d.lgs. n. 626/1994 (e le successive mo-
difiche), in L. MONTUSCHI (a cura di) Ambiente, Salute e Sicurezza. Per una gestione integrata dei
rischi da lavoro, Torino, 1997, pp. 42 e 43.
     3
       Cfr., tra gli altri, U. ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, 1995, pp.
184-185, secondo il quale «lo stesso monumentale apparato di norme che ha fatto compiere passi
da gigante al diritto alla sicurezza sul lavoro intimidisce quanto il ruggito di un topo».
     4
       Cfr. le conclusioni della Commissione Parlamentare (Smuraglia), del 22 luglio 1997.
     5
       Tra le quali quella della Tyssen Krupp di Torino, del dicembre 2007.
     6
       Cfr., tra i primi commenti, M. TIRABOSCHI-L. FANTINI (a cura di), Il Testo Unico della salute e
sicurezza del lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n. 106/2009), Milano, 2009.
Il Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro              45

principio già affermato nell’ambito dell’Organizzazione internazionale del la-
      7
voro , e che il decreto estende a tutti i livelli. Tale principio implica la defini-
zione di un quadro, possibilmente chiaro, delle diverse responsabilità istitu-
zionali in un’ottica di integrazione dei ruoli e di confronto con le organizza-
zioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. Si tratta di una significativa novità
perché nel nostro Paese, a differenza di altre esperienze europee, scarse sono
le pratiche di bilateralità e di relazioni (formalizzate) tra parti sociali ed istitu-
       8
zioni .
                                                                                9
    D’altro lato il fatto che si dia rilievo (specie nel d.lgs. n. 106/2009) alle
forme di controllo sociale non significa che queste vengano a sostituirsi alle
forme di controllo istituzionale, dovendosi considerare l’attività degli organi-
smi paritetici di natura promozionale ed integrativa rispetto a quella ispettiva
che, in quanto rivolta alla verifica dell’applicazione delle prescrizioni norma-
tive, con conseguenze sul piano sanzionatorio, non può che essere esercitata
da un soggetto terzo (pubblico).
    Nel periodo più recente va peraltro evidenziato lo stretto legame tra sicu-
rezza del lavoro, lavoro nero, sommerso, flessibile.
    È da condividere infatti l’affermazione secondo la quale «a circa un secolo
dalle prime esperienze (di analisi delle malattie da lavoro), la mortalità torna a
descrivere, con le sue crude cifre, il differenziale di speranza di vita che anco-
ra divide i ricchi dai poveri, i lavoratori manuali da quelli addetti a lavori non
manuali, i disoccupati dagli occupati, i nati in Italia dagli immigrati da paesi
del Terzo Mondo e, talvolta, le disuguaglianze riconoscibili tra mestiere e me-
         10
stiere» .
    La flessibilità ha interessato sia lo svolgimento del rapporto di lavoro (si
veda ad esempio la disciplina del tempo di lavoro posta dal d.lgs. n. 66/2003,
e successive modifiche ed integrazioni) sia il mercato del lavoro, mediante in
particolare le tipologie contrattuali (somministrazione di lavoro, lavoro inter-
mittente, ripartito, a progetto) introdotte dalla c.d. «legge Biagi» (legge n.

   7
        Cfr. la convenzione n. 187, raccomandazione n. 197, del 2006, sul quadro promozionale per la
salute e la sicurezza del lavoro che, in una prospettiva di miglioramento continuo, prevede l’im-
pegno per gli Stati ratificanti a promuovere, in consultazione con le parti sociali, una politica, un
sistema ed un programma nazionali in materia.
     8
        La prospettiva indicata non fa peraltro venire meno, come si evince dalla stessa normativa, il
ruolo della contrattazione collettiva, specie a livello decentrato, e delle buone prassi ai fini della
specificazione e del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente; cfr., tra i compiti
della Commissione consultiva permanente, quanto riportato nell’art. 6, 8° comma, lett. h).
     9
        Che recepisce parzialmente le modifiche concordate dalle parti sociali mediante l’Avviso co-
mune del gennaio 2009, non condiviso peraltro dalla Cgil, venendo a mancare, anche su tale rile-
vante materia, una più incisiva posizione sindacale unitaria.
     10
        Cfr. F. CARNEVALE-A. BALDASSERONI, Mal da lavoro. Storia della salute dei lavoratori, Roma-
Bari, 1999, p. 257.
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30/2003) e dai relativi provvedimenti di attuazione – in particolare d.lgs. n.
276/2003. È di tutta evidenza come le questioni della salute e della sicurezza
si pongano in termini di più accentuata gravità per quei lavoratori che non
fanno parte in modo stabile di una determinata collettività aziendale. In tale
contesto significativa è la maggior esposizione al rischio dei lavoratori extra-
comunitari.
    Gli interventi sulla sicurezza sul lavoro si sono inoltre fortemente intreccia-
ti con quelli per la lotta al lavoro nero e sommerso. La flessibilità è infatti
chiamata a coniugarsi con la sicurezza, termine che richiama il concetto di le-
galità, da intendere non solo come applicazione rigorosa di norme ma soprat-
tutto come rispetto della persona, operandosi una sorta di «presunzione» da
parte dell’ordinamento giuridico tra lavoro irregolare e scarsa sicurezza sul
        11
lavoro . In tale contesto il settore dell’edilizia, come noto ad elevato tasso in-
fortunistico, ha funzionato da apripista quale ambito sperimentale per l’intro-
duzione di misure poi da estendere ad altri settori. Disporre di un mercato del
lavoro trasparente e regolare è del resto interesse non solo dei lavoratori ma
anche del mondo imprenditoriale (e delle associazioni datoriali) al fine di con-
trastare forme di concorrenza sleale. Di tutto ciò si è tenuto conto nel riordi-
no normativo operato dal d.lgs. n. 81/2008, come integrato e corretto dal
d.lgs. n. 106/2009.
    Il più chiaro assetto legislativo non potrà tuttavia rappresentare da solo il
                             12
rimedio ad ogni problema .
    Più che al dato formale occorre infatti mirare ai comportamenti tenuti e al-
l’effettiva applicazione delle norme esistenti; molto spesso gli infortuni sul la-
voro sono frutto della violazione di regole elementari di prudenza o di proce-
dure di sicurezza mai seguite. Se l’errore umano è inevitabile è possibile tutta-
via monitorare il contesto organizzativo all’interno del quale le persone lavo-
rano, rimuovendo quelle situazioni di criticità che predispongono all’errore.
In tale prospettiva l’analisi dei mancati infortuni, un audit continuativo, molto
più dell’annuale riunione periodica, una vigilanza partecipata dei lavoratori e
delle loro rappresentanze risultano decisivi. Vivere la sicurezza non come ob-
bligo ma come scelta consapevole diventa fondamentale. La tecnica può pe-

     11
      In tal senso espressamente la circ. Min. lavoro n. 29/2006.
     12
       Cfr. C. SMURAGLIA, Quadro normativo ed esperienze attuative in tema di sicurezza e igiene del
lavoro: nuove prospettive di coordinamento e di interventi urgenti, in Riv. giur. lav., 2007, n. 2,
suppl., specialmente p. 18 ss. Mette in rilievo come il vero problema sia quello dell’effettiva appli-
cazione delle norme esistenti, da affrontare mediante una tecnica legislativa per obiettivi più che
per regole formali, in rapporto ai diversi contesti organizzativi, con il contributo delle parti sociali,
M. TIRABOSCHI, Le morti bianche, i limiti e le ipocrisie di una proposta normativa, in A. ANTONUCCI-
P. DE VITA (a cura di), Morti sul lavoro: nuove norme, formalismi vecchi, in Boll. Adapt, 2007, Dos-
sier n. 17, p. 2.
Il Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro                 47

raltro essere di aiuto ai fini della prevenzione e della protezione. Certo la sicu-
rezza ha un costo: non si possono infatti volere costi cinesi e sicurezza scandi-
nava; questione di stringente attualità in situazioni di prolungata crisi econo-
mica ed occupazionale, in cui è assai probabile che tra i primi ad essere taglia-
ti siano proprio gli investimenti in sicurezza.
    D’altro lato del tutto mistificatoria appare la pretesa contrapposizione tra
cultura della sicurezza e regole e sanzioni, che pur ha accompagnato l’elabora-
zione del d.lgs. n. 81/2008 e le successive modifiche. Le regole e le sanzioni,
da graduare in funzione della gravità degli inadempimenti, infatti non sono
altro che gli strumenti di garanzia della cultura della sicurezza, che ne costitui-
                    13
sce il fondamento , avendo ben presente la gerarchia di valori affermati dalla
Costituzione, che vedono (o dovrebbe vedere) il primato della protezione del-
l’integrità psico-fisica e morale delle persone che lavorano sull’interesse, pur
meritevole di rispetto, della produzione. Certo le regole e le sanzioni da sole
non bastano se non se ne coglie il significato o se si dubita della loro effettiva
applicazione. Dirompente sarebbe peraltro il messaggio per l’opinione pub-
blica di «un abbassamento della guardia» nel momento in cui la serie delle
                                                                     14
morti sul lavoro, pur in un quadro tendenzialmente decrescente , continua a
mantenersi a livelli inaccettabili.
    Dal momento che la tutela della salute e della sicurezza del lavoro non è
prerogativa di alcun schieramento politico o parte sociale (come dimostra la
diretta implicazione di lavoratori autonomi o piccoli imprenditori nei casi di
infortunio anche mortale) l’auspicio è che su tale materia si possa raggiungere
il massimo di convergenza possibile.

3.2. Il campo di applicazione (oggettivo e soggettivo)

   La disciplina posta dal d.lgs. n. 81/2008 ha una portata generale applican-
dosi a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di ri-
     15
schio . Non si distingue dunque a seconda della natura (imprenditoriale o

    13
       Cfr. sul punto P. PASCUCCI, Dopo la legge n. 123/2007. Prime osservazioni sul Titolo I del
d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Pesa-
ro, 2008, p. 160 ss.
    14
       Sono invece in aumento le malattie professionali, cfr. Inail, Rapporto annuale 2008, Roma,
giugno 2009.
    15
       Cfr. art. 3, 1° comma. Secondo autorevole dottrina il riferimento alle tipologie di rischio po-
trebbe essere interpretato come potenziale espressione del principio di precauzione di origine co-
munitaria (art. 174, 2° comma, del Trattato UE) anche nella materia della salute e sicurezza sul la-
voro; cfr. L. MONTUSCHI, Verso il testo unico sulla sicurezza del lavoro, in P. PASCUCCI (a cura di), Il
testo unico sulla sicurezza del lavoro, Atti del convegno di studi giuridici sul disegno di legge-delega
48                          Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro

non), del tipo di attività esercitata (industriale, commerciale, artigiana, ecc.) o
                                                     16
delle dimensioni dell’organizzazione produttiva . Anche la Pubblica Ammi-
nistrazione nel suo complesso, al pari dell’imprenditore privato, è tenuta e-
spressamente ad occuparsi delle questioni inerenti la salute e sicurezza del la-
     17
voro . L’estensione indifferenziata della tutela rappresenta uno degli aspetti
di maggiore criticità dal momento che si è riconosciuto come la disciplina di
prevenzione già prevista dal d.lgs. n. 626/1994 meglio si adatti alle aziende di
                             18
medie o grandi dimensioni .
   Peraltro nei confronti di una serie di settori, per lo più riconducibili alla
                                                                19
P.A., si rinvia all’emanazione di appositi decreti ministeriali per l’individua-
zione «delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle
peculiarità organizzative» da considerare ai fini dell’applicazione delle norme
             20
del decreto .
   Sul piano dei soggetti tutelati (campo di applicazione soggettivo) il d.lgs. n.
                                                            21
81/2008, sulla base di quanto previsto nei criteri di delega , estende la sua ap-

approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 aprile 2007 (Urbino, 4 maggio 2007), Ministero della sa-
lute-Ispesl, Roma, 2007, p. 29; cfr. sul punto P. PASCUCCI, Dopo la legge n. 123/2007, cit., p. 32 ss.
     16
        Cfr. già in riferimento al d.lgs. n. 626/1994, R. ROMEI, Il campo di applicazione del d.lgs. n.
626/1994 e i soggetti (artt. 1, 2, 3), in L. MONTUSCHI (a cura di), Ambiente, Salute e Sicurezza, cit.,
pp. 72-73.
     17
        Rileva l’arretratezza culturale ed organizzativa ancor oggi diffusa in vasti settori della P.A. in
tema di sicurezza del lavoro, P. SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Milano, 2001,
p. 38, nota 46.
     18
        Cfr. Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, Rapporto conclusivo
del progetto di monitoraggio e controllo dell’applicazione del d.lgs. n. 626/1994, Bologna, novembre
2003, p. 154.
     19
        Da emanarsi entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 106/2009 (20 agosto
2011). Fino alla scadenza di tale termine sono fatte salve le disposizioni attuative dell’art. 1, 2°
comma, del d.lgs. n. 626/1994; decorso inutilmente tale termine trovano applicazione le disposizio-
ni del d.lgs. n. 81/2008 (art. 3, 3° comma); il che dovrebbe essere sufficiente a scongiurare successi-
ve dilazioni nell’adeguamento normativo; cfr. P. PASCUCCI, Dopo la legge n. 123/2007, cit., p. 32.
     In riferimento a quanto previsto dal d.lgs. n. 626/1994 si è registrato un notevole ritardo nel-
l’emanazione dei decreti specifici. Per la sicurezza nelle università cfr. il d. interm. – Min. dell’uni-
versità e della ricerca scientifica e tecnologica – 5 agosto 1998, n. 363; per la sicurezza nella scuola
cfr. il d. interm. – Min. della pubblica istruzione – 29 settembre 1998, n. 382; per le strutture giudi-
ziarie e penitenziarie cfr. d. interm. (Min. di grazia e giustizia) 29 agosto 1997, n. 338; per le rappre-
sentanze diplomatiche e consolari all’estero cfr. d. interm. (Min. degli affari esteri) 21 novembre
1997, n. 497; per il corpo della guardia di finanza cfr. d. interm. (Min. delle finanze) 13 agosto
1998, n. 325; per le strutture della Polizia di Stato, del Corpo nazionale VV. F e degli uffici centrali
e periferici dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza cfr. d. interm. (Min. dell’interno) 14 giu-
gno 1999, n. 450; per le forze armate cfr. d. interm. (Min. della Difesa) 14 giugno 2000, n. 284; per
il Corpo forestale dello Stato cfr. d. interm. (Min. Politiche agricole) 6 febbraio 2001, n. 110.
     20
        Cfr. art. 3, 2° comma.
     21
        Cfr. art. 1, 2° comma, lett. c), legge n. 123/2007 («applicazione della normativa in materia di
tutela della salute e sicurezza sul lavoro a tutti i lavoratori e lavoratrici, autonomi e subordinati,
Il Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro                 49

plicazione «a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai
soggetti ad essi equiparati ...» (art. 3, 4° comma). L’ampiamento della tutela si
coglie peraltro alla luce della nuova definizione di «lavoratore», di cui all’art. 2,
1° comma, lett. a), qualificato come la «persona che, indipendentemente dalla
tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizza-
zione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche
al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli ad-
detti ai servizi domestici e familiari ...». Nozione dunque ben più ampia di quel-
la di cui all’art. 2, 1° comma, lett. a), d.lgs. n. 626/1994 («persona che presta il
proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro … con rapporto di lavoro
subordinato anche speciale»), ancorata all’elemento della subordinazione.
    Tra i soggetti equiparati ai lavoratori non contemplati nel d.lgs. n. 626/1994
merita segnalare: l’associato in partecipazione di cui all’art. 2549 ss. c.c.; il
soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento; i
volontari, come definiti dalla legge n. 266/1991, nonché i volontari del Corpo
                                                           22
nazionale dei Vigili del fuoco e della protezione civile .
    Si operano poi una serie di specificazioni per particolari tipologie di lavoro
flessibile, talora già desumibili dal quadro normativo previgente (la sommini-
strazione di lavoro, il lavoro a progetto) o da acquisizioni giurisprudenziali (il
distacco) o ancora da accordi quadro a livello europeo (il telelavoro).
    Nei confronti dei lavoratori in somministrazione tutti gli obblighi di pre-
venzione e protezione sono a carico dell’utilizzatore, fermo restando quanto
                                                                          23
specificatamente previsto dall’art. 23, 5° comma, d.lgs. n. 276/2003 (art. 3,
5° comma).

nonché ai soggetti ad essi equiparati prevedendo: 1) misure di particolare tutela per determinate
categorie di lavoratori e lavoratrici e per specifiche tipologie di lavoro o settori di attività; 2) ade-
guate e specifiche misure di tutela per i lavoratori autonomi, in relazione ai rischi propri delle attivi-
tà svolte e secondo i principi della raccomandazione 2003/134/CE del Consiglio, del 18 febbraio
2003»). Il richiamo ai principi direttivi contenuti nella delega si trova in numerose disposizioni del
decreto n. 81 (art. 21, sulla protezione dei lavoratori autonomi e dei componenti dell’impresa fami-
liare; art. 28, dovendo la valutazione dei rischi comprendere anche quelli connessi alle differenze di
genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi nonché alla specifica tipologia contrattuale utilizzata,
oltre che l’esposizione al rischio stress lavoro-correlato; art. 36, 4° comma e art. 37, 13° comma, i
quali per quanto riguarda l’informazione e la formazione dei lavoratori immigrati, evidenziano la
necessità della previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua utilizzata); cfr. P. PA-
SCUCCI, Dopo la legge n. 123/2007, cit., p. 35.
     22
        Nei confronti dei volontari di cui alla legge n. 266/1991 e dei volontari che effettuano servizio
civile si applicano le disposizioni relative ai lavoratori autonomi di cui all’art. 21. Si rinvia ad accor-
di tra il volontario e l’associazione o l’ente di servizio civile per l’individuazione delle modalità di
attuazione della tutela. Il datore di lavoro dovrà tra l’altro eliminare o ridurre i rischi da interferen-
ze tra la prestazione del volontario e altre attività che si svolgano nell’ambito della medesima orga-
nizzazione (art. 3, comma 12° bis).
     23
        Che pone a carico del somministratore l’obbligo di informazione sui rischi per la sicurezza e la
salute connessi alle attività produttive in generale, nonché quello di formazione e addestramento al-
50                          Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro

    Nell’ipotesi di distacco del lavoratore tutti gli obblighi di prevenzione e
protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del di-
staccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente
connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato (art.
                24
3, 6° comma) .
    Nei confronti dei lavoratori a progetto e dei collaboratori coordinati e con-
          25
tinuativi le disposizioni in materia di salute e sicurezza si applicano qualora
la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente (art. 3,
7° comma).
    Nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo
accessorio, ex art. 70 e seguenti d.lgs. n. 276/2003, le disposizioni del decreto
n. 81 si applicano con esclusione dei piccoli lavori domestici a carattere stra-
ordinario, compreso l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza do-
miciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili (art. 3, 8° comma).
    Ai lavoratori a domicilio, fermo restando quanto previsto dalla legge n.
            26
877/1973 , le disposizioni si applicano limitatamente agli obblighi di infor-
mazione e formazione. Ad essi devono inoltre essere forniti i necessari dispo-
sitivi di protezione individuale in relazione alle effettive mansioni assegnate;
nel caso vengano fornite attrezzature , queste devono essere conformi alle di-
sposizioni del Titolo III (art. 3, 9° comma).
    Ai lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di la-
voro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico (telelavoro)
si applicano le disposizioni del Titolo VII (art. 3, 10° comma).
    Significativa novità del decreto n. 81 è la previsione di taluni obblighi per i
lavoratori autonomi, ben oltre dunque le varie forme di parasubordinazione
                                                      27
(art. 3, 11° comma, che richiama gli artt. 21 e 26) . Le previsioni dell’art. 21
si applicano infatti anche ai componenti dell’impresa familiare di cui all’art.
230 bis c.c., dei coltivatori diretti del fondo, degli artigiani e dei piccoli com-

l’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’ attività lavorativa per la quale essi
vengono assunti, obbligo che peraltro può essere adempiuto dall’utilizzatore ove lo preveda il con-
tratto.
     24
        Per il personale delle pubbliche amministrazioni che presta servizio con rapporto di dipen-
denza funzionale presso altre amministrazioni pubbliche, organi o autorità nazionali, gli obblighi in
materia di salute e sicurezza sono a carico del datore di lavoro designato dall’amministrazione, or-
gano o autorità ospitante.
     25
        Si estende dunque alle collaborazioni coordinate e continuative la tutela già disposta per i col-
laboratori a progetto dall’art. 66, 4° comma, d.lgs. n. 276/2003.
     26
        Non possono dunque ritenersi superati i vincoli posti dalla legge n. 877/1973, che vietano, tra
l’altro, che i lavoratori a domicilio facciano uso di agenti chimici; cfr. Relazione di accompagnamento
alle «disposizioni integrative e correttive», di cui al d.lgs. n. 106/2009, p. 8.
     27
        Cfr. infra, p. 118.
Il Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro                51

mercianti e dei soci delle società semplici operanti nel settore agricolo (art. 3,
12° comma, come modificato dal d.lgs. n. 106/2009).
    Per completare l’analisi del campo di applicazione soggettivo merita ri-
chiamare l’art. 4 del decreto, sul computo dei lavoratori, che individua le fat-
tispecie da non considerare ai fini della determinazione del numero dei lavo-
ratori dal quale far discendere particolari obblighi (ad esempio la possibilità
di effettuare l’autocertificazione in luogo del più completo documento di va-
lutazione dei rischi – art. 29, 5° comma – o circa il numero dei rappresentanti
dei lavoratori per la sicurezza – art. 47, 7°comma –).
    Il notevole ampliamento delle fattispecie non computabili, rispetto a quan-
                                     28
to previsto dal d.lgs. n. 626/1994 , è compensato dall’estensione della norma-
tiva ben oltre il lavoro subordinato, prendendosi ora a riferimento, per l’ap-
plicazione di molte disposizioni, il più ampio concetto di «lavoratore» e non
                      29
più di «dipendente» .
    Tra i lavoratori non computabili sono da segnalare i collaboratori coordi-
nati e continuativi, nonché i lavoratori a progetto, «ove la loro attività non sia
svolta in forma esclusiva a favore del committente» (art. 4, 1° comma, lett.
   30
l ) ; dal che se ne deduce che se tali collaboratori operano in regime di esclu-
siva devono essere computati nell’organico del committente.
    Ci si è infine interrogati sul fondamento dell’esplicita esclusione prevista
per il lavoro domestico, anche in connessione con il crescente fenomeno delle
c.d. badanti. È da osservare peraltro che l’analoga esclusione disposta dal
d.lgs. n. 626/1994 era compensata dalla sussistenza delle norme protettive
                                                    31
contenute in particolare nel d.p.r. n. 547/1955 . Ora anche tale disciplina è
venuta meno in quanto espressamente abrogata dall’art. 304, 1° comma, lett.
a), d.lgs. n. 81/2008. Ciò potrebbe risultare in contrasto con i criteri di delega
circa la necessaria considerazione delle differenze di genere e della tutela dei
                      32
lavoratori immigrati .
    I maggiori rilievi critici si sono peraltro incentrati sul fatto che ai fini del-
l’applicazione della normativa di sicurezza non si operassero distinzioni in
ordine alle dimensioni dell’impresa; unico elemento di differenziazione era
infatti, nel testo originario del d.lgs. n. 626/1994, la prevista emanazione di
un decreto interministeriale concernente tra l’altro la semplificazione di al-

    28
       Cfr. art. 2, 1° comma, lett. a), ultimo periodo, d.lgs. n. 626/1994.
    29
       Cfr. P. PASCUCCI, Dopo la legge n. 123/2007, cit., p. 64.
    30
       Analogamente per i lavoratori a domicilio (cfr. art. 4, 1° comma, lett. f ).
    31
       Cfr. al riguardo Cass. pen., 14 agosto 2003, in c. Ballarin ed altri, in ISL, 2004, p. 346, con no-
ta di P. SOPRANI.
    32
       Cfr. P. PASCUCCI, Dopo la legge n. 123/2007, cit., p. 63.
52                            Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro

cuni adempimenti documentali per non meglio definite «piccole e medie im-
        33
prese» .
    Già il decreto integrativo (n. 242/1996) era venuto parzialmente incontro a
tali esigenze, stabilendo per le aziende familiari e per quelle che occupano fi-
no a dieci addetti, la sostituzione degli obblighi inerenti la documentazione
della valutazione dei rischi con una più semplice autocertificazione.
    La legislazione successiva ha dedicato particolare attenzione alle norme
premiali e alle misure di sostegno specie alle piccole e medie imprese che si
adeguino alle norme di sicurezza. Tale linea è ripresa e sviluppata nel d.lgs. n.
           34
81/2008 . Si pone peraltro la necessità di una verifica dell’efficacia di tali in-
terventi essendo il settore delle piccole imprese quello statisticamente più e-
sposto ai rischi di infortuni e di malattie professionali e nello stesso tempo
quello in cui l’affermarsi di un sistema di rappresentanza dei lavoratori (a-
ziendale o territoriale) e di controllo, da parte degli organi di vigilanza, è ve-
                                        35
nuto ad incontrare maggiori difficoltà .

3.3. I principi fondamentali: la valutazione dei rischi e la program-
   mazione della prevenzione

    Rilievo centrale assume nel modello prevenzionale delineato dal d.lgs. n.
81/2008, al pari che nel d.lgs. n. 626/1994, il principio della valutazione dei
       36
rischi . Il fatto che «la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza»

     33
        Cfr. art. 4, 9° comma, d.lgs. n. 626/1994. Si veda al riguardo il d.m. 5 dicembre 1996.
     34
        Nel d.lgs. n. 81/2008 si prevedono tre linee specifiche di finanziamento pubblico: per progetti
di investimento a favore delle piccole, medie e micro imprese; per progetti formativi sempre dedicati
alle piccole, medie e micro imprese; per l’inserimento nell’ambito delle attività scolastiche, universi-
tarie e di formazione professionale, di specifici percorsi su salute e sicurezza (cfr. art. 11, 1° comma;
il riparto annuale delle risorse tra le diverse attività è demandato ad apposito decreto; in sede di pri-
ma applicazione è prevista una campagna straordinaria di formazione; cfr. art. 11, rispettivamente 2°
e 7° comma). Alla realizzazione ed allo sviluppo delle iniziative formative sono altresì chiamate a
concorrere, insieme alle Amministrazioni centrali ed alle Regioni e Province autonome, le parti socia-
li, anche mediante i fondi interprofessionali. La linea degli incentivi e delle norme premiali è svilup-
pata nel d.lgs. n. 106/2009, prevedendosi, tra l’altro, la possibilità di finanziare progetti diretti a favo-
rire la diffusione di soluzioni tecniche o organizzative avanzate in materia di salute e sicurezza sul
lavoro, sulla base di specifici protocolli di intesa tra le parti sociali, o gli enti bilaterali, e l’Inail, della
cui adozione si terrà conto ai fini della riduzione dei premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali (cfr. art. 11, comma 3° bis).
     35
        Cfr. C. SMURAGLIA, Sicurezza e igiene del lavoro. Quadro normativo. Esperienze attuative e pro-
spettive. in Riv. giur. lav., 2001, p. 481; Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province
autonome, Rapporto conclusivo del progetto di monitoraggio e controllo dell’applicazione del d.lgs. n.
626/1994, cit., p. 154.
     36
        Cfr. sulla disciplina definitiva posta dal d.lgs. n. 106/2009, I. DESTITO-S. FERRUA, Il documen-
Il Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro                53

figuri al primo posto tra le misure generali di tutela, stabilite dall’art. 15, non
può essere infatti meramente casuale.
    Peraltro la valutazione dei rischi più che essere essa stessa una misura di
tutela costituisce il presupposto dell’intero sistema di prevenzione. La valuta-
zione dei rischi è infatti lo strumento fondamentale che permette al datore di
lavoro di individuare le misure di prevenzione e di pianificarne l’attuazione, il
miglioramento ed il controllo al fine di verificarne l’efficacia e l’efficienza.
    Ai sensi dell’art. 28, 1° comma, la valutazione dei rischi deve riguardare,
                                                                37
secondo uno schema che potremo definire «a matrice» , «tutti i rischi» esi-
stenti in azienda, sia quelli collegati alla scelta delle attrezzature di lavoro, del-
le sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché alla sistemazione dei
luoghi di lavoro (profilo oggettivo), sia quelli relativi alla condizione dei lavo-
ratori interessati (profilo soggettivo). In tale prospettiva sono da considerare i
gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo
stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 otto-
bre 2004, quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo
quanto previsto dal d.lgs. n. 151/2001, nonché quelli connessi alle differenze
di genere, all’età ed alla provenienza da altri Paesi; a cui si è da ultima aggiun-
ta la variabile «precarietà», dovendosi comprendere nella valutazione anche i
                                                                     38
rischi «connessi alla specifica tipologia contrattuale» utilizzata .
    La valutazione dei rischi viene dunque ad interessare l’intero ambiente di
        39
lavoro , nonché tutte le persone presenti nell’organizzazione aziendale, com-
presi i lavoratori impiegati tramite il ricorso a tipologie contrattuali diverse da
quelle del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
                                                                                40
    È da evidenziare, stante il raccordo con l’ampia nozione di «salute» , che
anche i rischi di c.d. «natura psico-sociale», definibili in termini di interazioni tra
contenuto del lavoro, condizioni ambientali ed organizzative ed esigenze e com-

to sulla valutazione dei rischi, in M. TIRABOSCHI-L. FANTINI (a cura di), Il Testo Unico della salute e
sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n. 106/2009), cit., p. 549 ss.
    37
       Cfr. L. BARBATO-C. FRASCHERI (a cura di), Salute e sicurezza sul lavoro. Guida al d.lgs. n.
81/2008 integrato con il d.lgs. n. 106/2009, Roma, 2009, p. 33.
    38
       Cfr. art. 28, 1° comma, come modificato dal d.lgs. n. 106/2009. È pacifico il carattere esempli-
ficativo di tale elencazione; cfr. F. BACCHINI, La valutazione dei rischi, in ISL, 2008, p. 263. Si è evi-
denziato come il T.U. tenga finalmente nella dovuta considerazione le differenze di genere; cfr. più
ampiamente A. NINCI, Le differenze di genere e l’impatto su salute e sicurezza in ambito lavorativo,
in Dir. rel. ind., 2009, p. 800 ss.
    39
       Per la distinzione tra la definizione di ambiente e quella di luogo di lavoro, cfr. P. SOPRANI,
Rischio ambientale e obbligo informativo del committente, nota a Cass. pen., 17 ottobre 2003, in c.
Luciano e altro, in ISL, 2004, specie p. 600 ss. Sul rilievo dei fattori climatici ed ambientali nella
valutazione dei rischi, cfr. Cass. pen., 23 settembre 2008, in c. Raimondi, in ISL, 2008, p. 665.
    40
       Cfr. art. 2, 1° comma, lett. o), supra.
54                          Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro

                               41
petenze dei lavoratori , di cui lo stress lavoro-correlato costituisce un’esem-
plificazione, dovranno essere considerati nell’attività di valutazione dei rischi. Si
è d’altro lato messo in rilievo il difficile accertamento in concreto, in mancanza
di univoche indicazioni al riguardo, delle specifiche violazioni in tema di valuta-
                              42
zione dei rischi psico-sociali . La portata generale dell’obbligo in questione, af-
                                                               43
fermata a più riprese dalla giurisprudenza comunitaria , è peraltro ricavabile
                                                                                    44
dalla definizione di «valutazione dei rischi», di cui all’art. 2, 1° comma, lett. q) .
    La valutazione dei rischi, nei termini sopra descritti, costituisce dunque
                                      45
un’azione preventiva e ricorrente che deve avvenire ogniqualvolta si operi
una «scelta» di natura organizzativa o produttiva.
    La valutazione dei rischi non può peraltro essere effettuata in astratto, ma
deve tradursi in un atto scritto, in un documento (dvr), i cui elementi sono
indicati nell’art. 28, 2° comma.

     41
        Cfr., tra gli altri, F. BACCHINI, Il rischio psicosociale, in ISL-I Corsi, 2007, 7, pp. 26-34.
     42
        Cfr. G.M. MONDA, La valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, in L.
ZOPPOLI-P. PASCUCCI-G. NATULLO (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavo-
ratori, Milano, 2008, p. 336. Per la decorrenza dell’obbligo di valutazione dello stress lavoro-
correlato si rinvia alle indicazioni da elaborare da parte della Commissione permanente consultiva
istituita presso il Ministero del lavoro, e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data
dal 1°agosto 2010 (art. 28, comma 1° bis).
     43
        La Corte di Giustizia Europea, su ricorso della Commissione, con sentenza 15 novembre
2001, in causa C-49/00 (in Riv. it. dir. lav., 2002, II, p. 221 ss.; cfr., tra gli altri, P. SOPRANI, La Cor-
te di Giustizia Ce boccia il d.lgs. n. 626/1994, in ISL, 2002, p. 5 ss.; C. SMURAGLIA, Sicurezza del la-
voro e obblighi comunitari. I ritardi dell’Italia nell’adempimento e le vie per uscirne, in Riv. it. dir.
lav., 2002, p. 183 ss.) aveva condannato il nostro Paese, tra l’altro, per la non corretta trasposizione
nell’ordinamento italiano dell’art. 6, n. 3, lett. a), della direttiva quadro n. 89/391/Ce, che impone
al datore di lavoro l’obbligo di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori sul
luogo di lavoro. La formulazione letterale della originaria norma italiana di riferimento (art. 4, 1°
comma, d.lgs. n. 626/1994) pareva infatti limitare, secondo la Corte, la portata dell’obbligo di valu-
tazione dei rischi del datore di lavoro alle sole tre ipotesi indicate (attrezzature di lavoro, sostanze o
preparati chimici impiegati, sistemazione dei luoghi di lavoro) che nella direttiva sono al contrario
riportate a mero titolo esemplificativo, come si può desumere dall’uso del termine «anche». La Cor-
te ha ribadito dunque il principio secondo il quale «i datori di lavoro sono tenuti a valutare l’insie-
me dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori», i quali, tra l’altro, «… non sono stabiliti una
volta per tutte, ma si evolvono costantemente in funzione, in particolare, del progressivo sviluppo
delle condizioni di lavoro e delle ricerche scientifiche in materia di rischi professionali».
     44
        L’art. 2, 1° comma, lett. q), definisce per «valutazione dei rischi» la «valutazione globale e do-
cumentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’orga-
nizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di
prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il migliora-
mento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza».
     45
        Cfr. in argomento, anche per indicazioni operative, R. DUBINI, Documento di valutazione dei
rischi. Come aggiornarlo adeguandolo ai cambiamenti dell’azienda, in ISL, 2000, n. 6, inserto; ID.,
Strumenti per la sicurezza in azienda: la check list, in ISL, 2002, n. 2, inserto; S. SPIRIDIGLIOZZI-M.
FERRANTE-F. GRENGA, La revisione del documento di valutazione del rischio. Quando e perché effet-
tuare una nuova valutazione, in ISL, 2001, n. 11, inserto.
Il Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro              55

    Si distinguono dunque due momenti: la vera e propria valutazione dei ri-
schi e l’elaborazione del documento ad essa inerente, documento da custodir-
si (al pari del documento di valutazione dei rischi da interferenze in caso di
                    46                                               47
appalto – duvri –) presso l’unità produttiva alla quale si riferisce .
    Rispetto alla corrispondente disciplina posta dal d.lgs. n. 626/1994 (art. 4,
2° comma) è da notare la maggiore specificazione degli elementi da riportare
nel dvr, tra i quali assume particolare rilievo «l’individuazione delle procedu-
re (il “come”) per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli (il
“chi”) dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere ...» (art. 28,
2° comma, lett. d). Ne dovrebbe risultare chiaramente l’organigramma azien-
dale della sicurezza, in raccordo del resto con la maggiore formalizzazione
della figura del dirigente e del proposto, che di norma dovrebbero operare
                                   48
sulla base di specifico incarico . Anche la previsione relativa alla «individua-
zione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi speci-
fici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica espe-
rienza, adeguata formazione e addestramento» (art. 28, 2° comma, lett. f ), ve-
nendo a combinare il profilo oggettivo di valutazione dei rischi con quello
soggettivo, della professionalità, esperienza e formazione del lavoratore, è di
particolare significato sul piano operativo (si pensi agli apprendisti, alle tipo-
logie di lavoro flessibile e, più in generale, ai neoassunti).
    Il contenuto del dvr dovrà altresì rispettare le indicazioni previste dalle
specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei titoli particolari del
decreto (art. 28, 3° comma).
    Significativa innovazione è quella secondo la quale il dvr deve avere «data
        49
certa» . Quale alternativa alle usuali procedure al riguardo (ad esempio la ra-
tifica da parte di un notaio o l’utilizzo di un sistema di posta certificata) può
peraltro valere la «sottoscrizione del documento medesimo da parte del dato-
re di lavoro, nonché, ai soli fini della prova della data, … del responsabile del
servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e del
medico competente, ove nominato ...» (art. 28, 2° comma, alinea). La previ-
sione è volta ad evitare inutili appesantimenti burocratici, non venendo d’al-
tro lato meno le responsabilità del datore di lavoro in ordine alla valutazione
dei rischi.

     46
       Cfr. infra, p. 84.
     47
       Cfr. art. 29, 4° comma.
    48
       Cfr. infra, p. 75 ss.
    49
       Cfr. al riguardo A. GIULIANI, La «data certa» del documento di valutazione dei rischi, in M. TI-
RABOSCHI-L. FANTINI (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo
(d.lgs. n. 106/2009), cit., p. 561 ss.

3.
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