Il regionalismo differenziato tra principio unitario e principio autonomista: tre problemi - di Simone Pajno - Sipotra

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ISSN 1826-3534

              4 MARZO 2020

Il regionalismo differenziato tra
  principio unitario e principio
    autonomista: tre problemi

                    2 Pajno
             di Simone
    Professore ordinario di Diritto costituzionale
                Università di Sassari
Il regionalismo differenziato tra principio
    unitario e principio autonomista: tre problemi *
                                               di Simone Pajno
                               Professore ordinario di Diritto costituzionale
                                           Università di Sassari

Abstract [It]: Il saggio affronta tre diversi nodi problematici inerenti il regime del c.d. regionalismo differenziato
previsto dall’art. 116, terzo comma, Cost. In particolare, sono oggetto di studio: a) la possibilità che la legge di
differenziazione approvata dalle Camere si discosti in alcuni aspetti dal testo dell’intesa stipulata con la singola
Regione; b) i limiti “quantitativi” alla differenziazione, con riferimento al numero di materie, di funzioni e di regioni
coinvolte; c) alcuni profili finanziari, con particolare riferimento alle esigenze che possono essere fatte valere dallo
Stato e dalle Regioni non coinvolte dai processi di differenziazione. Con riferimento al primo punto nel saggio si
sostiene la possibilità che la legge apporti alcune modifiche sia in aggiunta, quando ciò sia funzionale a specificare
o ad attuare i contenuti normativi dell’intesa, che in sottrazione, ove sia possibile scorporare il contenuto di
quest’ultima in più scelte devolutive ciascuna autonoma rispetto all’altra. Con riferimento al secondo punto si
sostiene invece che – ferma restando l’impossibilità di addivenire ad una “dismissione totale” delle materie indicate
dall’art. 116, terzo comma, Cost., in favore delle Regioni – la praticabilità di soluzioni meno dirompenti deve essere
valutata caso per caso, alla luce dei valori costituzionali coinvolti. Infine, con riferimento al terzo punto, nel saggio
si sostiene che le modalità di finanziamento delle funzioni oggetto di differenziazione dovranno garantire la
possibilità, per le Regioni non interessate, di sostenere la spesa per le funzioni da loro esercitate, anche tramite il
ricorso al fondo perequativo, e che – a tal fine – è necessario fissare i livelli essenziali delle prestazioni ed i costi
standard inerenti tali funzioni.

Abstract [En]: Aim of this essay is to deal with three problematic issues concerning the so-called differentiated
regionalism enshrined in the art. 116, third paragraph, of the Italian Constitution. The first part of the essay focuses
on the possibility that Act providing for differentiated competences approved by the Parliament may differ in
some aspects from the text of the agreement between the Government and the Region. The essay holds that it is
possible for the Parliament to approve some amendments, both in addiction to the text of the agreement (in order
to implement its regulatory contents) and in subtraction (when it is possible to split the content of the agreement
in different decisions about transfer of competences, each one independent from the others). The second part of
the essay tries to deepen the issue of the quantitative limits of the regional differentiation as far as the number of
subjects, functions and regions involved are concerned. The essay holds that – apart from the case of a total
transfer of competences in the fields indicated in art. 116, third paragraph, of the Constitution, which would be
clearly unconstitutional – it is necessary to conduct a case-by-case and value-guided assessment of the feasibility
of less disruptive transfer of competences decisions. Finally, the third part of the essay concerns some financial
aspects, with particular reference to what the Regions not involved as well as the State can require from the
“differentiation” process. The essay holds that the methods of financing the functions of regions who benefit of
the differentiated scheme have to grant the Regions not involved the possibility to bear the costs for their
administrative duties, by making use of the equalization fund where appropriate; secondly, that - for this purpose
- it is necessary to set the basic levels of public services and the standard costs of these functions.

Sommario: 1. Premessa. 2. Primo problema: il ruolo del Parlamento nella approvazione dell’intesa e la questione
della emendabilità. 2.1. Il principio bilaterale nella definizione della differenziazione. 2.2. L’intesa come «base»:

* Articolo sottoposto a referaggio. Il presente contributo rappresenta una versione ampliata e revisionata del testo
destinato ad essere pubblicato nell’ambito degli Scritti in onore di Antonio Ruggeri, rispetto al quale sono stati approfonditi
alcuni aspetti dei temi affrontati nei parr. 1, 2 e 3 e aggiunti i parr. da 4.1 a 4.5.

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vincolo negativo e vincolo positivo. 2.3. A proposito del “principio di integralità” delle intese. Le “scelte
devolutive” come unità elementari. 2.4. Alcune considerazioni sulle bozze di Intesa. 3. Secondo problema: i limiti
giuridici della differenziazione. 3.1. Principio unitario e limiti alla differenziazione. Limiti espliciti e limiti impliciti.
3.2. Come misurare la “quantità” di differenziazione: tre parametri. 3.3. La differenziazione territoriale e il
paradosso del sorite. 4. Terzo problema: il limiti finanziari della differenziazione. 4.1. Premessa: il sistema delle bozze
di Intesa e i suoi limiti. 4.2. Il rischio di “sovracosti organizzativi” e il principio di corrispondenza tra funzioni e
risorse. 4.3. A proposito del fondo perequativo e dei livelli essenziali delle prestazioni. 4.4. La “bozza Boccia”
sull’attuazione dell’autonomia differenziata. 4.5. Alcuni suggerimenti per realizzare la differenziazione regionale
prima delle “grande attuazione” del Titolo V della Costituzione.

1. Premessa
Uno dei temi ad oggi di maggiore attualità nell’ambito del diritto costituzionale delle autonomie territoriali
è quello dei tentativi di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. Il tema del regionalismo differenziato,
dopo essere stato oggetto di studio nei primi anni successivi all’entrata in vigore della legge cost. n 3 del
2001, aveva ricevuto meno attenzioni, fino a quando i percorsi intrapresi prima da Veneto, Lombardia
ed Emilia-Romagna, e successivamente da quasi tutte le altre Regioni a statuto ordinarie (sia pure a diversi
stadi di avanzamento), hanno in qualche modo “costretto” la dottrina ad occuparsene, con la differenza
di non poco conto, rispetto a quanto accaduto in precedenza, di avere l’opportunità di trarre spunto dalle
concrete vicende istituzionali che si sono andate dipanando e dalle altrettanto concrete esigenze che le
medesime hanno messo in evidenza1. Proprio tale circostanza, peraltro, ha prodotto l’effetto di una
fortissima polarizzazione del dibattito, dividendosi molte delle opinioni che su tali vicende sono state
espresse tra il polo di chi le considera l’unica via ormai a disposizione, dopo il fallimento delle numerose
che sono state tentate invano in precedenza, per rivitalizzare il regionalismo italiano, in modo da
preservare l’autorevolezza e la credibilità dei poteri pubblici, ed in particolare di quello centrale2, e quello

1  Non sono molti, tuttavia, i contributi dedicati ad una analisi dei contenuti delle intese, ossia delle forme di maggiore
autonomia che, nei diversi settori considerati, verrebbero riconosciuti alle Regioni beneficiarie. Tra questi si segnala F.
PALLANTE, Nel merito del regionalismo differenziato: quali «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» per Veneto,
Lombardia ed Emilia-Romagna?, in Federalismi.it, n. 6/2019; Id., Ancora nel merito del regionalismo differenziato: le nuove bozze di
intesa tra Stato e Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, in Federalismi.it, n. 20/2019; C. TUBERTINI, La proposta di autonomia
differenziata delle Regioni del Nord: un tentativo di lettura alla luce dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Federalismi.it, n.
18/2018, part. par. 2.2; R. BIFULCO – M. CECCHETTI, Le attuali prospettive di attuazione dell’art. 116, comma 3, della
Costituzione: una ipotesi di intesa nella materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in Le Regioni, 2017, 757 ss.; R. BALDUZZI –
D. SERVETTI, Regionalismo differenziato e materia sanitaria, in RivistaAIC, n. 2/2019; R. CALVANO, Scuola e Regioni
differenziate, si vaga nel buio, in Lacostituzione.info, 20 maggio 2019; Id., Una crisi gattopardesca non allontana le prospettive
dell’autonomia differenziata: i rischi in materia di istruzione, in dirittiregionali.it, 2019.
Sarebbe in effetti opportuno che studi di tal genere fossero ben più presenti nel dibattito scientifico, poiché solo un
approccio concreto dedicato ad approfondire la legittimità e la opportunità delle singole scelte devolutive può metterci
al riparo dal rischio di cadere in una delle “opposte tifoserie” che, purtroppo, pare stiano sempre di più caratterizzando
il dibattito pubblico. Un vigoroso appello contro l’atteggiamento da «hooligan (…) dell’una o dell’altra testi politica» sul
tema è venuto di recente da B. CARAVITA, Un doppio binario per l’approvazione del regionalismo differenziato?, in Federalismi.it,
n. 13/2019, 1. Si veda anche E. BALBONI, In tema di regionalismo differenziato in attuazione dell’art. 116 della Costituzione, in
Astrid Rassegna, 11/2019, 2-3.
2 Questa la tesi di fondo di M. BERTOLISSI, Autonomie. Ragione e prospettive di una riforma necessaria, Marsilio, Venezia,

2019. In tale contesto deve essere anche richiamata l’opinione – per certi versi difficilmente contestabile – secondo la

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di coloro che, al contrario, ritengono le iniziative in discussione gravemente lesive dell’unità nazionale,
tali addirittura da poter condurre alla «secessione dei ricchi»3.
Dai punti di vista accennati, e da quelli che si collocano nelle varie posizioni a metà strada tra i due, sono
state affrontate numerosissime questioni di carattere più specifico, sia di natura procedurale che
sostanziale, nelle quali la tensione tra difesa dell’unità e valorizzazione dell’autonomia ha avuto modo di
riproporsi. Nel presente contributo si proverà a mettere a fuoco, in particolare, tre problemi che nell’ottica
appena accennata assumono notevole importanza. Il primo problema su cui ci si concentrerà è di tipo
procedurale, e riguarda il ruolo delle Camere nell’approvazione legislativa dell’intesa, e quindi gli spazi
decisionali a disposizione degli organi cui è istituzionalmente affidata la valutazione delle ragioni dell’unità
(par. 2). Il problema è evidentemente legato alla eventuale modificabilità in sede parlamentare del testo
su cui si è formata l’intesa (ed agli eventuali limiti di tale modificabilità). Ferma restando infatti la necessità
dell’approvazione parlamentare di quest’ultima, per di più a maggioranza assoluta, è evidente che la secca
alternativa di un “prendere o lasciare” rispetto al testo dell’intesa concordato tra Regione e Governo
restringe notevolmente i margini di manovra delle due assemblee elettive, almeno dal punto di vista
strettamente politico. Ciò che rende ragione delle preoccupazioni manifestate, con riferimento ad una
simile ipotesi, dagli Autori più sensibili al tema della tenuta del principio unitario. D’altra parte la strada
che conduce a ritenere le Camere (più o meno) libere di modulare le scelte devolutive suscitano
comprensibili preoccupazioni in chi ha più a cuore la piena valorizzazione del principio autonomistico,
in considerazione della possibile compressione della natura autenticamente bilaterale del procedimento
normativo in esame.

quale la recente ondata di richieste di differenziazione può essere letta come «una forma di reazione al corposo processo
di ricentralizzazione attuato con la c.d. “legislazione della crisi”, alla mancata approvazione della riforma costituzionale
Boschi-Renzi, che avrebbe costituzionalizzato i citati processi di ricentralizzazione, e soprattutto alla mancata attuazione
del c.d. federalismo fiscale, ovvero al mancato riconoscimento di autentica autonomia tributaria e finanziaria (M.
BELLETTI, La differenziazione in Emilia-Romagna tra rispetto dell’equilibrio di bilancio e tenuta dei livelli essenziali concernenti i diritti
civili e sociali su base nazionale, in AA.VV., Regionalismo differenziato. Un percorso difficile, Atti del convegno “Regionalismo
differenziato: opportunità e criticità”, Milano 8 ottobre 2019, in www.csfederalismo.it, 32). Uno sguardo scevro da pregiudizi
sulle vicende di questi anni in effetti non può non riconoscere nella forte recrudescenza centralista della legislazione
statale e della giurisprudenza costituzionale messa in campo a partire della fine del decennio scorso almeno una concausa
scatenante dei tentativi di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., con i quali ci stiamo confrontando in questo
periodo. Anche chi ne offrisse una visione particolarmente critica, dunque, dovrebbe almeno convenire – per riprendere
la metafora dell’Autore appena citato – nel leggerli come “falli di reazione”. Il legame tra il “riaccentramentro” degli
ultimi anni e le istanze di differenziazione è valorizzato da S. PIPERNO, Le prospettive del regionalismo asimmetrico in Italia,
in AA.VV., La finanza territoriale. Rapporto 2018, Rubettino, Soveria Mannelli, 2018, 105 ss., part. 107.
3 È questa l’ipotesi che paventa il volume, da subito ben noto, di G. VIESTI, Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali

e unità nazionale, Laterza, Roma-Bari, 2019. Un altro libro molto critico nei confronti del processo di differenziazione in
atto, almeno per come fino ad ora maturato, è quello di M. VILLONE, Italia, divisa e diseguale. Regionalismo differenziato o
secessione occulta?, Esi, Napoli, 2019, esplicitamente «di battaglia» (8).

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La seconda questione che qui si considera riguarda invece alcuni aspetti dei limiti giuridici alla
differenziazione, con specifico riferimento all’aspetto quantitativo di quest’ultima (par. 3). Il tema è di
particolare importanza perché, come è noto, le proposte di differenziazione che sono pervenute da parte
delle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, e le trattative che sulle stesse di sono sviluppate
nel corso della presente legislatura, riguardano un numero altissimo (se non tutte) le materie
potenzialmente oggetto di differenziazione, tendendo così a costruire – per la via tracciata dall’art. 116,
terzo comma, Cost. – nuovi ordinamenti regionali speciali, simili a quelli tradizionali definiti mediante
legge costituzionale4. A quella delle tre “Regioni capofila” potrebbero in futuro essere affiancate altre
“bozze di Intesa” aventi le medesime caratteristiche. L’interrogativo se tale esito sia costituzionalmente
possibile, ed entro quale misura il principio unitario sia in grado di sopportarlo, è dunque di stringente
attualità.
Non ci si può nascondere, tuttavia, che il problema della “tensione” impressa al principio unitario dai
processi di differenziazione non riguarda solo l’aspetto per così dire “giuridico-formale” legato alla rottura
dell’uniformità di disciplina normativa e di indirizzo politico-amministrativo sul piano nazionale in
relazione alle materie ed alle funzioni che, in base al testo costituzionale, sono attribuite dalla competenza
statale. Tale problema riguarda anche (e forse soprattutto) la tenuta del sistema solidaristico prefigurato
dalla Costituzione con riferimento ai profili economico-finanziari5, ed è amplificato dalla sempre più
diffusa sensazione di inadeguatezza degli investimenti – e più in generale degli sforzi finanziari – realizzati
dallo Stato nel Mezzogiorno negli ultimi tempi6. Da questo punto di vista ci si può chiedere cosa lo Stato,
quale garante del principio unitario, e le Regioni non interessate dai processi di differenziazioni, possono
e devono esigere da questi ultimi, a garanzia del menzionato sistema solidaristico: quali siano, in altre
parole, le “esternalità negative” dalle quali le “altre Regioni” e lo Stato devono guardarsi7. In questa chiave,
da ultimo, si prenderanno in considerazione alcuni problemi inerenti l’aspetto finanziario della vicenda,

4 L’accostamento appare tutt’altro che casuale, ove si consideri che – come nota M. BERTOLISSI, Autonomia, cit., 41
ss. – la richiesta della Regione Veneto è originata anche dalla necessità di “inseguire” le tradizionali autonomie particolari
in ragione delle numerosissime richieste di distacco dalla prima per aggregazione ad una delle seconde che negli ultimi
anni sono state presentate. Secondo i dati forniti dall’Autore appena menzionato – a parte di caso di Sappada, già
aggregatasi alla Regione Friuli-Venezia Giulia – sono state infatti presentate ben 32 richieste, per le quali si è svolto con
esito positivo il referendum in 17 casi. Per una ricostruzione che punta invece a enfatizzare la diversità sistematica tra
regionalismo speciale e asimmetrie derivanti dall’applicazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., cfr. S. MANGIAMELI,
Appunti a margine dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Le Regioni, 2017, 661 ss., part. 664 ss.
5 Secondo P. BILANCIA, Il regionalismo differenziato: opportunità e criticità, in AA.VV., Regionalismo differenziato, cit., 11, il

«vero nodo» è quello finanziario, ossia «come finanziare queste rafforzate autonomie senza inficiare le risorse per il
Mezzogiorno».
6 Con specifico riferimento al tema del regionalismo differenziato la questione è evocata da A. PATRONI GRIFFI, Il

regionalismo differenziato e la coesione territoriale, in AA.VV., Regionalismo differenziato. Un percorso difficile, cit., 20 ss.
7 Ragionano in termini di “esternalità negative” L. GRAZZINI – P. LATTARULO – M. MACCHI – A. PETRETTO,

Il regionalismo differenziato tra servizio universale e specificità territoriali, in AA.VV., La finanza territoriale, cit., 127 ss., part. 132.

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cercando di esplorare alcune implicazioni della necessità che il principio costituzionale di corrispondenza
tra funzioni e risorse venga rispettato non solo con riferimento alle funzioni oggetto di trasferimento – a
dunque a beneficio delle Regioni destinatarie delle scelte devolutive – ma anche per quelle che restano
attribuite in capo all’amministrazione statale e per quelle destinate ad essere esercitate dalle altre Regioni
(par. 4).
Infine, può essere opportuno segnalare sin da subito come nel prosieguo del presente contributo le
questioni sopra accennate saranno affrontate giovandosi anche dell’esperienza sin qui maturata, con
particolare riguardo agli «Accordi preliminari» stipulati tra le tre Regioni “capofila” in chiusura della XVII
legislatura con il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega agli affari regionali, e le “bozze”
circolate informalmente nella attuale legislatura8. In tale quadro – non potendosi in questa sede, come è
evidente, dedicarsi a tutti gli ambiti materiali coinvolti – si è scelto di utilizzare quale “caso studio”
soprattutto le previsioni di tali bozze inerenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema9.

2. Primo problema: il ruolo del Parlamento nella approvazione dell’intesa e la questione della
sua emendabilità.
2.1. Il principio bilaterale nella definizione della differenziazione
Sul primo dei temi evocati più sopra punto è possibile prendere le mosse dalle condivisibili considerazioni
di chi, in dottrina, ha evidenziato come il testo dell’art. 116, terzo comma, Cost., sia inequivoco nel
configurare la realizzazione di forme di autonomia differenziata alla stregua di mere possibilità, le cui
caratteristiche – fermi alcuni limiti complessivi di sistema – sono destinate ad essere plasmate da una pura
scelta politica delle Camere, sia pure espressa a maggioranza assoluta delle stesse 10. Correttamente si è
dunque rilevato, in questo quadro, che l’opzione in favore della definizione di ipotesi di differenziazione
regionale è costituzionalmente libera, ed in quanto tale estranea all’ambito della “attuazione” della Carta
costituzionale, considerata come “necessario sviluppo” di quest’ultima11. La dottrina citata muove da tali

8 Come è noto, le bozze di Intesa sulle quali si sono confrontate amministrazioni centrali e Regioni nel corso dell’ultimo
anno non hanno avuto una diffusione formale, ma sono circolate soprattutto tramite canali privi di qualunque forma di
pubblicità. L’unica “pubblicazione” integrale di tali bozze, sia pure al livello di indiscrezione giornalistica, è stata quella
effettuata dal sito www.roars.it in data 11 febbraio 2019. A queste ultime si farà dunque riferimento nel prosieguo del
presente contributo ameno per le parti concernenti le singole funzioni: al di là di quanto effettivamente rappresentino
un affidabile punto di riferimento per comprendere le trattative che si sono svolte, sono comunque di grande utilità, a
fini esemplificativi, per studiare alcuni dei temi oggetto di queste pagine. La parte generale delle bozze (qualificata come
“concordata”) ha invece avuto una pubblicazione sul sito del Dipartimento degli affari regionali, e a quella si farà
riferimento.
9 Con particolare riguardo a questo settore cfr. R. BIFULCO – M. CECCHETTI, Le attuali prospettive di attuazione dell’art.

116, comma 3, della Costituzione: una ipotesi di intesa nella materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, cit.
10 M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, in federalismi.it, n. 6/2019, 8 ss.
11 M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., 9.

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considerazioni per evidenziare la necessità di individuare percorsi e modalità tramite i quali valorizzare il
più possibile la partecipazione del Parlamento alla definizione della scelta di differenziazione: tra queste,
si fa leva soprattutto sull’opportunità di realizzare forme di coinvolgimento delle Camere su testi in
qualche modo “preventivi” rispetto all’intesa vera e propria12, quali ad esempio gli «Accordi preliminari»
stipulati tra Regioni e Governo nella passata legislatura, o le “bozze di Intesa” circolate più di recente.
Ciò anche in considerazione della affermata inemendabilità del testo su cui si è formata l’intesa, secondo
quella che del resto è l’opinione maggioritaria in dottrina13, in ragione della necessità di «rispettare il
principio bilaterale nella determinazione del contenuto della differenziazione»14. Così, si è autorevolmente
sostenuto che «non si darebbe per le Camere la possibilità di emendare l’intesa e la legge di approvazione
sembrerebbe da considerare una legge meramente formale, nel senso che le Camere possono approvare
a maggioranza assoluta, o non approvare (o non raggiungere la maggioranza assoluta sul) l’accordo». Da

12 M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., 28 ss.
13 M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., 27. Nel senso della impossibilità, per le
Camere, di approvare emendamenti, la dottrina maggioritaria. Tra gli altri, N. ZANON, Per un regionalismo differenziato:
linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del Titolo V, in AA.VV., Problemi del federalismo, Milano,
Giuffré, 2001, 57; M. CECCHETTI, Le fonti della “differenziazione regionale” ed i loro limiti a presidio dell’unità ed indivisibilità
della Repubblica, in S. PAJNO – G. VERDE (a cura di), Studi sulle fonti del diritto. II. Le fonti delle autonomie territoriali, Milano,
Giuffré, 2010, 69 ss., part. 85; S. MANGIAMELI, Appunti a margine dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, cit., 668; M.
Carli, Diritto regionale. Le autonomie regionali, speciali e ordinarie, Giappichelli, Torino, 2018, 122; C. TUBERTINI, La proposta
di autonomia differenziata delle Regioni del Nord, cit., 16 ss.; D. CASANOVA, Osservazioni sulla procedura parlamentare di
approvazione del c.d. regionalismo differenziato ex art. 116, terzo comma, Cost., in Diritti regionali, 3/2019, 17; E. CATELANI,
Nuove richieste di autonomia differenziata ex art. 116, comma 3, Cost.: profili procedimentali di dubbia legittimità e possibile violazione
dei diritti, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2018; Nel senso della emendabilità, invece, A. MORRONE, Il regionalismo
differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Federalismo fiscale, 2007, 139 ss., part. 175 ss.; L. VANDELLI,
Il regionalismo differenziato, in RivistaAIC, n. 3/2019, 576; A. LUCARELLI, Regionalismo differenziato e incostituzionalità diffuse,
in Diritto pubblico europeo-Rassegna online, numero speciale 2/2019, 2 ss., part. 10-11; D. MONE, Autonomia differenziata come
mezzo di unità statale: la lettura dell’art. 116, comma 3, Cost., conforme a Costituzione, in RivistaAIC, n. 1/2019, 275 ss.: anche se
in quest’ultimo, come in altri casi, parrebbe che la emendabilità del testo della intesa comporterebbe soltanto la possibilità
di «riaprire i negoziati» con la Regione richiedente (277), e non quella di approvare un testo legislativo parzialmente
difforme dall’intesa: se la soluzione interpretativa è questa, il risultato cui alla fine si giunge non è dissimile da quello che
impedisce la modifica, poiché sarà comunque necessaria una nuova intesa, o un aggiornamento della precedente, per
poter approvare definitivamente un testo legislativo non corrispondente alla (prima) intesa. Simile anche la posizione di
M. VILLONE, Italia, divisa e diseguale, cit., 95, il quale, peraltro in modo efficacemente pragmatico, evidenzia come «nel
momento precedente l’ultimo voto finale sull’intero testo» possa verificare la perdurante sussistenza dell’intesa:
dovendosi riaprire le trattative nel caso di esito negativo di tale verifica (95).
14 Cfr. M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., 27, secondo il quale «la natura bilaterale

dell’iter di differenziazione, culminante nell’intesa fra Governo e Regione interessata, rende difficile sfuggire» alla
conseguenza «della inemendabilità del disegno di legge di approvazione dell’intesa, a sua volta caratterizzato dalla
riproduzione dei contenuti dell’intesa stessa». Da qui la considerazione secondo la quale è soprattutto l‘esigenza di
rispettare il principio bilaterale nella determinazione del contenuto della differenziazione che spinge ad escludere una
modificazione unilaterale di quanto disposto nell’intesa» (27). Analogamente, meno recentemente, cfr. M CECCHETTI,
Le fonti della “differenziazione regionale” ed i loro limiti a presidio dell’unità ed indivisibilità della Repubblica, cit., 88, che discorre di
«“consensualità” necessaria».

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questi presupposti, le conseguenze: «nel primo caso si avrebbe il trasferimento delle competenze e delle
risorse, nel secondo, invece, il sistema delle competenze non verrebbe innovato»15.
La necessità di garantire il menzionato principio bilaterale, in effetti, non pare possa essere contestata:
anche se, come si proverà a mostrare subito di seguito da due diversi punti di vista, non è detto che dal
medesimo discenda la secca conclusione della piena e integrale corrispondenza tra il testo dell’intesa e
quello oggetto della approvazione legislativa.

2.2. L’intesa come «base»: vincolo negativo e vincolo positivo
Dall’opzione che, in occasione dei già menzionati «Accordi preliminari», è stata compiuta in ordine al
procedimento da seguire per l’approvazione della legge di differenziazione è possibile muovere per
proporre alcune prime conclusioni sul tema. In particolare, in tali Accordi si è affermato che l’approvazione
delle leggi ex art. 116, terzo comma, Cost., sarebbe dovuta avvenire «in conformità al procedimento, ormai
consolidato per via di prassi, per l’approvazione delle intese tra lo Stato e le confessioni religiose»16. L’opzione può in
effetti vantare a suo favore un certo fondamento testuale, perché sia nella disposizione costituzionale da
ultimo citata sia nell’art. 8 Cost. la legge è destinata ad essere approvata «sulla base» dell’intesa
precedentemente intervenuta.
In relazione allo specifico tema della emendabilità, la prassi che si è sviluppata con riferimento alle leggi
di approvazione delle intese con le confessioni diverse dalla cattolica, appare decisamente restrittiva 17:
come è stato efficacemente affermato, nonostante alcune oscillazioni verificatesi nel corso del tempo 18,
«sostanzialmente il Parlamento si comporta come se si trattasse di una legge di semplice approvazione»,
considerando l’intesa «inemendabile»19. Sul punto in dottrina – pur non mancando chi ha maturato

15 Così S. MANGIAMELI, L’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle recenti
iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (novembre 2017), in www.issirfa.cnr.it, par. 4.3.
16 Tra i primi a suggerire un parallelo tra il procedimento ex art. 8 Cost. e quello qui in discussione è stato M.

CECCHETTI, La differenziazione delle forme e delle condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, in Osservatorio sulle fonti
2002, Giappichelli, Torino, 2013, 135 ss., spec. 153, il quale però si riferisce essenzialmente al problema dell’organo
statale destinato a stipulare l’intesa. Di recente il punto è stato approfondito soprattutto da G. PICCIRILLI, Gli “Accordi
preliminari” per la differenziazione regionale. Primi spunti sulla procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., in
Diritti regionali, n. 2/2018. Decisamente critico nei confronti dell’accostamento in parola è invece M. VILLONE, Italia,
divisa e diseguale, cit., 92 ss.
17 Al riguardo si rinvia ancora allo studio di G. PICCIRILLI, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale, cit.

Sulla limitazione del potere di emendamento per determinati e peculiari procedimenti legislativi cfr. l’articolata analisi di
G. PICCIRILLI, L’emendamento nel processo di decisione parlamentare, Cedam, Padova, 2008, 167 ss. Cfr. in tema anche N.
LUPO, Emendamenti, maxi-emendamenti e questione di fiducia nelle legislature del maggioritario, in E. GIANFRANCESCO – N.
LUPO (a cura di), Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, Luiss University Press, Roma,
2007, 41 ss., part. 69 ss.
18 Sulle quali cfr. G. PICCIRILLI, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale, cit., 13 ss.
19 B. RANDAZZO, Art. 8, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione,

Utet Giuridica-Wolters Kluwer Italia Giuridica, Assago, 2006, 193 ss., part. 208.

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convinzioni sostanzialmente coincidenti con gli approdi della prassi – si è cercato di valorizzare
maggiormente il dato testuale offerto dall’art. 8 Cost., evidenziandosi come l’espressione utilizzata da tale
disposizione non rinvii ad una «relazione di necessaria identità» tra intesa e legge, quanto piuttosto ad una
«corrispondenza sostanziale» tra l’una e l’altra che non per forza deve tradursi in una «completa
conformità tra i due testi»20.
Questo ordine di riflessioni pare promettente anche in relazione allo specifico tema qui considerato, e del
resto non è mancato chi, in dottrina, ha autorevolmente sostenuto che le Camere ben potrebbero
modificare i testi delle intese «per valutazioni di opportunità», dovendo però sempre e comunque
muoversi «nel quadro dell’intesa intervenuta tra Stato e Regione»21. In effetti l’espressione contenuta
nell’art. 116, terzo comma, Cost. – legge approvata «sulla base» di una intesa – rinvia senza dubbio ad un
vincolo negativo di non disformità della prima rispetto alla seconda, al quale si deve aggiungere un vincolo
positivo secondo il quale le norme legislative devono trovare un fondamento nelle previsioni dell’intesa e, ove
vadano oltre la mera riproduzione di queste ultime, devono in qualche modo svilupparle e darvi
attuazione. Come è stato efficacemente osservato, dire “sulla base” di una intesa non corrisponde a dire
“in conformità” ad una intesa22.
Questa prima e provvisoria conclusione consente di mettere a fuoco un nodo che le caratteristiche dei
testi degli «Accordi preliminari», così come delle bozze di intesa che sono circolate nel corso della presente
legislatura, può forse aver indotto a trascurare. I testi citati, infatti, sono stati redatti in una forma piuttosto
vicina a quello che potrebbe essere il testo legislativo “finale”, destinato a disciplinare direttamente le
funzioni trasferite alle Regioni beneficiarie dell’autonomia particolare23. Dinanzi ad un testo dell’intesa
costruito in tal modo, in effetti, gli spazi a disposizione delle Camere per svilupparne le previsioni non
possono che essere particolarmente ridotti. Deve però essere evidenziato come nulla nelle disposizioni
costituzionali rende necessaria una simile tecnica di redazione delle intese. Anche se politicamente è molto
comprensibile che le Regioni cerchino di ottenere questo risultato, poiché evidentemente è quello che,
nella sede legislativa, le garantisce maggiormente, le intese in effetti ben potrebbero essere caratterizzate
da testi meno dettagliati e stringenti, al limite non dissimili da quelli delle norme di delega legislativa. In
tali situazione è evidente che la disformità della legge ex art. 116, terzo comma, Cost., rispetto al testo

20 B. RANDAZZO, Art. 8, cit., 208.
21 R. BIN – G. FALCON – R. TOSI, Diritto regionale. Dopo le riforme, il Mulino, Bologna, 2003, 42.
22 Cfr. A. MORRONE, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione, cit., 164, secondo il quale

«la norma costituzionale prescrive che la legge sia “sulla base” dell’intesa: espressione questa che non equivale alla
formula “in conformità”, perché indica solamente la volontà che la legge sia approvata solo se c’è un’intesa, tenendo
conto delle risultanze dell’intesa, apprezzate però complessivamente».
23 Cfr., in tema, C. TUBERTINI, La proposta di autonomia differenziata delle Regioni del Nord, cit., 16, che tuttavia considera

i testi degli Accordi preliminari bisognosi di ulteriori specificazioni nelle “Intese” vere e proprie o nella legge parlamentare
successiva.

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dell’intesa è non solo possibile, ma anzi necessaria, dovendo la prima tradurre nel dettaglio
nell’ordinamento statale ipotesi prefigurate nella seconda ad un minore livello di definizione24.
Come accennato, però, non è questa l’ipotesi che sta seguendo la prassi sviluppata in questo periodo con
riferimento alle richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Gli «Accordi preliminari» e le bozze di
intese contengono, oltre ad una disciplina generale dello specifico regime di autonomia differenziata (e
talvolta, come accade ad esempio con riferimento alla tutela dell’ambiente, ad una disciplina generale
dello specifico settore considerato), la individuazione dettagliata delle funzioni trasferite, talvolta
accompagnate anche da una specifica regolazione sostanziale delle medesime. È dunque evidente che, in
tale contesto, i margini per uno “sviluppo” delle previsioni dell’intesa, e sulla base della medesima, sono
davvero ristretti. Non è possibile tuttavia escludere che in taluni casi la legge di approvazione possa
“aggiungere” una disciplina specificativa di quella contenuta nell’intesa naturalmente nel rispetto di
quest’ultima25. Ed è proprio al rigoroso presidio del vincolo che lo “sviluppo” legislativo trova nella
“base” pattizia – vincolo che, come si è detto, ha un risvolto negativo a fianco di uno positivo – che è
affidata la garanzia dell’ossequio al quel «principio bilaterale» efficacemente messo a fuoco dalla dottrina26.

24 Cfr., in tema, C. TUBERTINI, La proposta di autonomia differenziata delle Regioni del Nord, cit., 16-17, la quale evidenzia il
legame tra l’idea secondo la quale l’intesa debba formarsi su un vero e proprio disegno di legge di differenziazione –
senz’altro maggioritaria in dottrina – e quella della assoluta inemendabilità dell’intesa. Come si diceva nel testo, tuttavia,
la strada appena illustrata, pur essendo senza dubbio praticabile, non è l’unica percorribile, ben potendo le intese
mantenersi ad un livello di generalità più alto, lasciando dunque spazio alla legge ex art. 116, terzo comma, Cost., per la
sua specificazione.
25 Si veda ad es. quanto prevede l’art. 15, comma 1, lett. b), della bozza di Intesa con la Regione Veneto, che affida a

quest’ultima «la determinazione di ordini di preferenza nell’ingresso negli impianti di smaltimento presenti nel territorio regionale dei rifiuti
aventi codice EER 191212, sulla base di criteri tecnici che premino la maggior qualità del rifiuto in relazione alla loro caratterizzazione
sotto il profilo chimico-fisico, senza impedire l’ingresso nel territorio regionale di rifiuti che possono circolare in base alle norme vigenti».
Ebbene, le Camere, sulla base di questo testo, potrebbero individuare gli specifici «criteri tecnici» da utilizzare, purché
ovviamente tali criteri siano pertinenti al fine di discriminare i rifiuti a seconda della loro qualità e adeguati dal punto di
vista tecnico-scientifico. Potrebbero dunque prevedere che la maggior qualità del rifiuto deve essere individuata in
relazione all’indice di putrescibilità del medesimo, scegliendo inoltre il parametro tecnico-scientifico da utilizzare, tra i
vari possibili (DOC, IRDP), per misurare tale indice. Ancora, le Camere potrebbero prevedere che la determinazione di
ordini di preferenza debba essere effettuata su base temporale, tramite la individuazione di slot, per ogni impianto di
smaltimento, destinati ai rifiuti di miglior qualità a fianco di slot (evidentemente in misura inferiore) destinati a rifiuti di
qualità inferiore. Ciò al fine di evitare che tramite la concreta attuazione della disposizione si giunga alla totale esclusione
di tali rifiuti dagli impianti regionali, in coerenza del resto con il testo della disposizione sopra vitata che discorre solo di
«ordini di preferenza», non consegnando alla Regione la possibilità di escludere del tutto rifiuti di un determinato tipo. Ove
il Parlamento si determinasse nel senso accennato, o in direzione analoga, opererebbe senza dubbio «sulla base» dell’intesa.
La legge ex art. 116, terzo comma, Cost., che ospitasse tali contenuti dovrebbe dunque essere ritenuta rispettosa del
parametro costituzionale de quo.
26 M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., 27.

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2.3. A proposito del “principio di integralità” delle intese. Le “scelte devolutive” come unità
elementari.
Anche per illustrare il secondo caveat che deve assistere la conclusione della inemendabilità è possibile far
leva sull’esperienza delle leggi di approvazione delle intese con le confessioni diverse dalla cattolica. Di
recente, in dottrina, è stato evidenziato come nella relativa prassi parlamentare, si sia affermato quello che
è stato definito il “principio di integralità” delle intese27, che precluderebbe la approvazione di leggi ex
art. 116, terzo comma, Cost. le quali non recepissero nella loro totalità le intese poste alla loro base28.
Ebbene, ci si deve chiedere se il “principio di integralità” possa valere anche per il procedimento
normativo in questa sede preso in considerazione29, e – in caso di risposta affermativa – entro quali limiti.
Ancora una volta, uno spunto per riflettere su tale questione può venire dalla lettura delle già citate bozze
di Intesa. Come è noto, tali testi riguardano un numero molto alto di materie, al limite – nel caso della
Regione Veneto – coinvolgendo tutte le 23 in relazione alle quali la differenziazione può essere realizzata.
Come è stato evidenziato, si è optato per «intese multi-materia», che paiono avere l’aspirazione ad
assomigliare quanto più possibile ad uno Statuto speciale30.
Per di più non è raro che, anche all’interno delle singole materie, il riconoscimento di maggiore autonomia
sia ipotizzato per diversi settori, anche caratterizzati l’uno rispetto all’altro di una autonomia molto
marcata. Un esempio può valere a chiarire il punto. In tema di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» la bozza
di intesa riconosce alla Regione Veneto competenza in materia di gestione dei rifiuti (art. 15) e di bonifica
di siti contaminati (art. 16), mentre risultano ancora oggetto di trattativa le funzioni in tema di valutazione
di impatto ambientale (art. 17) e localizzazione di impianti di incenerimento (art. 18). A loro volta le
funzioni riconosciute almeno in alcuni di questi settori sono molteplici e anch’esse sovente indipendenti
le une rispetto alle altre. Per proseguire nell’esempio è possibile evidenziare come nell’ambito della
gestione dei rifiuti la bozza di intesa prefiguri la concessione di forme particolari di autonomia, tra l’altro,
in tema di criteri di localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti; di determinazione di ordini di

27 G. Piccirilli, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale, cit., 14.
28 Cfr. A.C. IX leg., res. sten. 9 luglio 1984, 15422, citato da G. Piccirilli, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione
regionale, cit., 14.
29 …ammesso che possa valere per quello disciplinato dall’art. 8 Cost., posto che, come accennato, nei termini sopra

esposti si è affermato essenzialmente in via di prassi.
30 M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., 31. Accosta criticamente le bozze in

discussione alla specialità anche A. MORELLI, Dinamiche del regionalismo differenziato e declinazioni congiunturali dell’autonomia,
in Diritto pubblico europeo, numero speciale 2/2019, Regionalismo differenziato o trasformazione della forma di Stato?, a cura di A.
LUCARELLI e A. PATRONI GRIFFI, 25-26, il quale opportunamente ricorda anche come il quesito referendario
predisposto dalla Regione Veneto e bocciato dalla Corte costituzionale interrogava il corpo elettorale in merito all’ipotesi
di attribuire carattere di specialità in senso proprio alla Regione. In senso critico nei confronti del regionalismo
differenziato come «surrogato di specialità» anche G. TARLI BARBIERI, Verso un regionalismo differenziato o verso un
regionalismo confuso? Appunti sulla (presunta) attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019, 12
ss.

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preferenza, in relazione a particolari categorie di rifiuti, nell’ingresso negli impianti di smaltimento
presenti nel territorio regionale sulla base della qualità del rifiuto stesso; di determinazione dei criteri per
l’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani ai fini dell’organizzazione dei servizi di raccolta e
smaltimento; di utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura; ancora, di sottoprodotti nonché di
criteri perché determinati tipi di rifiuti cessino di esser tali.
Ora, in dottrina si è affermato che significative «ragioni di sistema» dovrebbero spingere nel senso
opposto a quello della macro-intesa concernente numerosi settori materiali (e, come si è visto,
numerosissimi sub-settori), dovendosi viceversa preferire tendenzialmente la stipula di una intesa per
ciascuna materia, «salve specifiche e ben documentate connessioni tra più materie, che suggeriscano una
disciplina in un’unica intesa»31: ciò anche in ragione della necessità di consentire alle Camere di valutare
per ciascuno dei medesimi le condizioni di opportunità politica per addivenire alla differenziazione.
Tuttavia – come la stessa dottrina citata del resto riconosce – nulla nella disposizione costituzionale de
qua impedisce procedimenti di differenziazione basati su intese multisettoriali, o addirittura su macro-
intese del tipo di quelle in discussione nella presente legislatura. Si può senza dubbio convenire sulla
necessità costituzionale di «permettere una valutazione parlamentare su ciascuna scelta devolutiva»32, al
fine di impedire alle Camere di trovarsi di fronte ad un “prendere o lasciare” che investa un insieme
eterogeneo di materie e funzioni. Tale esigenza può però essere soddisfatta anche tramite una via
differente rispetto a quella della stipula di intese circoscritte a singole materie o plessi funzionali.
Torniamo così al principio di integralità. Nell’ambito qui considerato, tale principio, per avere un senso,
deve riguardare “scelte devolutive” realizzate anche tramite una pluralità di norme ma caratterizzate da
una sostanziale omogeneità funzionale. Da un lato infatti in relazione a tali scelte deve potersi realizzare
una valutazione complessiva, consapevole e autonoma (rispetto a quelle su altre scelte) da parte delle
Camere; dall’altro merita invece di esser garantita la loro coerenza sistematica così come definita
nell’intesa, evitando che queste ultime le privino di parti funzionalmente collegate alle rimanenti. Non vi
è dubbio che è possibile raggiungere tali obiettivi tramite la predisposizione di intese ciascuna delle quali
risulti limitata a scelte devolutive caratterizzate da omogeneità funzionali, rispetto alle quali far valere il
menzionato principio di integralità: facendo così coincidere della mancata approvazione anche di una sola
delle previsioni dell’intesa con la reiezione complessiva della medesima. Ma lo stesso risultato è
raggiungibile riferendo il “principio di integralità” alla singola scelta devolutiva di volta in volta
considerata, e non all’intesa in quanto tale, magari comprensiva di più scelte devolutive autonome l’una
rispetto all’altra. In tale ottica, la eventuale reiezione di una parte dell’intesa corrisponderà ad una reiezione

31   M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., 30.
32   M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., 30.

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dell’intera intesa solo nel caso in cui la medesima sia limitata ad una sola “scelta devolutiva” dotata di
omogeneità funzionale. Diversamente risulterà rifiutata solo quella parte di intesa nella quale si
inseriscono le previsioni di quest’ultima non approvate dalla legge parlamentare.
Questa conclusione, del resto, pare pianamente discendente dalla considerazione secondo la quale le
intese possono avere carattere modulare: e come si è visto è proprio in tale direzione che si sta muovendo
la prassi. Ciascun atto incorpora un accordo circa numerose scelte devolutive, ognuna funzionalmente
autonoma rispetto alle altre, veri e propri cluster normativi ciascuno in grado di essere caratterizzato da un
proprio percorso, e che solo per una valutazione di opportunità vengono riuniti in un unico documento.
È in relazione a queste vere e proprie unità elementari del processo di differenziazione che deve essere
rispettato il principio di integralità. Considerando la questione dalla prospettiva appena illustrata, appare
chiaro che il principio bilaterale a fondamento dell’autonomia differenziata non richiede affatto la
inemendabilità dell’intesa, né tantomeno l’estensione del “principio di integralità” all’intero testo di
quest’ultima a prescindere dalle sue caratteristiche, consentendo viceversa che le Camere approvino solo
alcune e non altre delle scelte devolutive incorporate nell’intesa. Non può infatti dubitarsi che anche la
legge in cui prenda corpo tale scelta sia stata approvata «sulla base» di quest’ultima, non potendosi negare
che la differenziazione deliberata dal Parlamento tramite la propria legge per X-1 scelte devolutive
sviluppi e trovi il proprio fondamento sull’ipotetico accordo intervenuto tra il Governo e la Regione
interessata su X scelte. Né d’altra parte pare realistico affermare che la mancanza dell’accordo su anche
una sola scelta devolutiva pregiudichi l’esistenza del medesimo su tutte le altre, facendosi così salvo quel
“principio bilaterale” di cui si discorreva più sopra33.

2.4. Alcune considerazioni sulle bozze di Intesa
Proprio le bozze di Intesa circolate nei mesi scorsi mostrano come le stesse contenevano numerosissime
scelte devolutive dotate di autonomia funzionale l’una rispetto all’altra: come, in sintesi, potevano ritenersi
il frutto della sommatoria di diverse bozze di Intesa racchiuse in un unico atto. Il rispetto del principio
bilaterale in tale quadro comporta certamente l’impossibilità di rompere l’unità della singola scelta
devolutiva. E tuttavia all’inverso non può sussistere alcuna ragione – ad esempio – per ritenere non
rispettato il tale principio con riferimento alla scelte devolutive in materia di «tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema» nel caso in cui le Camere ritenessero di non dovere approvare quella parte dell’intesa
contenente le scelte devolutive in tema di istruzione. Le prime, infatti, sono del tutto autonome dalle

33Sembrano aprire alla possibilità di emendamenti meramente “ablativi” della legge rispetto al testo delle intese anche
E. GROSSO – A. POGGI, Il regionalismo differenziato: potenzialità e aspetti problematici, in Il Piemonte delle autonomie,
8/11/2018, 5, anche se nell’ambito di un controllo su «parametri» il più possibile oggettivi.

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seconde, e non esiste alcun motivo giuridico per le quali il consenso raggiunto sulle une dovrebbe risultare
pregiudicato dalla reiezione parlamentare delle seconde.
Le considerazioni appena proposte possono peraltro essere approfondite con specifico riferimento alle
previsioni delle intese inerenti i singoli settori materiali interessati, poiché anche all’interno di ciascuno di
essi risulta possibile predisporre più scelte devolutive del tutto autonome le une dalle altre. Ancora una volta
è utile fare riferimento ai testi circolati negli ultimi mesi per illustrare il punto. Sempre utilizzando come
punto di riferimento la bozza di Intesa con la Regione Veneto, come si accennava ciascuno degli articoli
riguardanti la tutela dell’ambiente concerne un sub-settore specifico, le cui dinamiche sono pressoché
indipendenti da quelle che caratterizzano gli altri: si considerino, ad esempio, l’art. 14 inerente la gestione
dei rifiuti, e l’art. 15, che riguarda il settore delle bonifiche. Non si vede la ragione giuridica per la quale
una eventuale reiezione parlamentare delle scelte devolutive inerenti le seconde dovrebbe pregiudicare
quelle concernenti la prima.
Ancora, osservando più da vicino le disposizioni inerenti i rifiuti ci si rende conto che molte di esse sono
volte a far fronte a specifiche vicende, ognuna delle quali ha forti caratteri di indipendenza rispetto alle
altre. Così, a mero titolo di esempio, è possibile evidenziare come la previsione concernente i criteri di
localizzazione degli impianti di smaltimento prova ad intervenire sul tema, molto sentito da parte di
alcune Regioni (tra cui in prima linea si colloca la Regione Lombardia) inerente la possibilità di evitare la
eccessiva concentrazione di tali impianti, tramite la individuazione di un valore massimo del c.d. “fattore
di pressione” dei rifiuti sul territorio34; la norma inerente la individuazione di ordini di preferenza

34 Si vedano gli artt. 15, comma 1, lett. b) per la Regione Veneto e 16, comma 1, lett. a), per la Regione Lombardia. La
vicenda si inserisce nel contesto segnato dall’art. 195, comma 1, lett. p), del d.lgs. n. 152 del 2006, che assegna allo Stato
– con un procedimento per la verità alquanto defatigante – la definizione dei «criteri generali relativi alle caratteristiche delle
aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti», e dall’art. 196, comma 1, lett. o), del medesimo decreto
legislativo, che affianca a questi ultimi i «criteri» – evidentemente “non generali” – «per l’individuazione, da parte delle province,
delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali indicati
nell’articolo 195, comma 1, lettera p)». Il regolamento statale destinato ad individuare i criteri generali non è mai stato adottato,
e – in assenza di tale presupposto – si è dubitato che le Regioni potessero provvedere ad individuare, in autonomia,
propri criteri. A causa del ritardo dello Stato la Regione Lombardia – ritenendo pericolosa la proliferazione senza limite
degli impianti di smaltimento nel proprio territorio – si è risolta ad adottare la deliberazione X/1990 del giugno 2014
(approvativa del Piano regionale di gestione dei rifiuti) con cui individuava il limite massimo di 160.000 m3/km2 per gli
impianti di discarica. La legittimità di tale intervento è stata prima negata dalla sentenza del T.A.R. Lombardia-Milano,
n. 108/2016, che si è pronunciata su un ricorso proposto da una società privata la quale si era vista negare
l’autorizzazione all’ampliamento della discarica in ragione del superamento del fattore di pressione, e poi invece
confermata dalla sent. n. 5340 del 2016 del Consiglio di Stato (sez. IV), in ragione della affermata possibilità per le
Regioni di fissare standard ambientali più rigorosi di quelli statali, in questo caso non sussistenti. Tale esito, tuttavia,
dovrebbe non sopravvivere nel caso in cui lo Stato (finalmente) si decidesse ad esercitare il proprio potere normativo
sul tema, in ragione del vincolo espresso ai criteri statali fissato dal citato art. 196, comma 1, lett. o), del d.lgs. n. 152 del
2006. Così lo Stato potrebbe fissare valori più rigorosi, o anche meno rigorosi, in considerazione della necessità di
“chiudere il ciclo” dei rifiuti a livello regionale evitando così il ricorso ad impianti di altre Regioni.
La disposizione contenuta nelle bozze di Intesa rappresenta il raggiungimento di un punto mediano tra le pretese delle
Regioni e l’attuale assetto normativo, poiché vincola la prima al fattore di pressione eventualmente stabilito dallo Stato,

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