Il punto di vista degli esperti - Challenge 1 Dall'emersione del sommerso al linkage to care Topic 1 - Educazione sanitaria / Health promotion ...

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Il punto di vista degli esperti
Challenge 1
Dall’emersione del sommerso al linkage to care

Topic 1 – Educazione sanitaria / Health promotion
Sandro Mattioli – Presidente Plus Aps; Direttore BLQ Checkpoint

Domanda
Quali sono le difficoltà e le barriere che esistono nella presa di coscienza dei comportamenti a rischio
per l’HIV non solo da parte delle c.d. key populations (MSM, prostituzione maschile, femminile e trans;
detenuti, tossicodipendenti, giovani) ma anche da parte della popolazione generale?

Risposta
Ci sono molti fattori sostanzialmente legati al sistema culturale e valoriale italiano e alla scarsa
informazione e educazione su temi legati alla sessualità. Stiamo parlando di sesso e siamo in un paese
cattolico: di sesso non si parla e delle pratiche sessuali men che meno. Si ha paura di confessare di fare
sesso per non essere giudicati come promiscui: una cosa che riguarda gli uomini (in particolare gli MSM)
ma soprattutto le donne. Cosa pensa la gente quando una donna nella borsetta ha un preservativo? In
genere che è una facile. La stessa cosa vale anche per gli uomini. A ciò va aggiunto che, anche per un fatto
ormonale, quando si è giovani si è portati a sentirsi invulnerabili poiché si ha tutta la vita davanti e si pensa
che nulla può succedere. Si è portati a voler sperimentare nuove esperienze ma il rischio è sempre dietro
l’angolo. Vi è poi una incredibile ignoranza sul tema della trasmissione sessuale dell’infezione. I ragazzi
non hanno idea dei sintomi, né dei rischi che si corrono. Molte persone vengono da noi al Checkpoint per
fare un test, agitatissimi, non perché hanno corso un rischio reale ma perchè pensano di essersi esposti
a una situazione rischiosa quando non è così. Negli anni ottanta, all’inizio della storia dell’infezione e
quando ancora si sapeva poco si aveva paura di tutto in modo ingiustificato, dal piatto alla forchetta di
plastica. Non c’è niente da fare abbiamo – ancora oggi - poca conoscenza delle modalità di contagio delle
varie Infezioni a Trasmissione Sessuale (IST), HIV in testa. Rispetto agli anni ottanta abbiamo fatto passi
molto grandi, abbiamo continuato negli anni 90 ma poi ci siamo fermati. Vediamo oggi bene la fatica
che facciamo a diffondere nella popolazione generale il tema del treatment as prevention e del U=U
(Undetactable = Untrasmittable).

Domanda
Come si spiega questa scarsa consapevolezza, soprattutto nei giovani, vista la grande mole di informazioni
che oggi circola anche grazie al web?

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Risposta
È una contraddizione solo apparente, in quanto online ci sono troppe informazioni spesso non chiare e
contraddittorie. Sarebbe davvero importante poter fare “pulizia” delle informazioni sbagliate che girano in
rete e dare evidenza alle fonti accreditate e autorevoli sempre online.

Domanda
Perché è importante fare una diagnosi precoce il prima possibile. Quali sono i benefici di una diagnosi
precoce e quali invece i problemi di una diagnosi tardiva?

Risposta
L’HIV può rimanere per molto tempo asintomatico. La persona può averla contratto ma stare bene e
non accorgersi di averla fintanto che non si manifestano i primi sintomi che portano verso la malattia
conclamata, l’AIDS.

Nel caso di particolari gruppi di popolazione, si associano allora tutta una serie di problemi e motivazioni,
non ultima quella di una doppia, tripla discriminazione tale per cui alcune persone pur di essere accettate
rischiano. Un esempio concreto sono gli omosessuali. Viviamo in una società carica di stigma e pregiudizio
nei confronti di questi ultimi. I ragazzi gay sono continuamente esposti al giudizio sociale anche all’interno
della comunità LGBT. Dagli anni ’80 il sesso è sempre stato percepito come un pericolo di vita soprattutto
in una società che già discriminava i gay, forse anche aiutato da campagne giudicanti (alone viola in testa).
Da sempre gli omosessuali sono difficilmente tollerati dalla società. L’HIV è un ulteriore ostacolo per la
loro accettazione sia sociale che personale. Molti, pur di essere accettati, evitano il tema: non fanno il
test, non dicono lo stato sierologico o non lo conoscono e così via. Va da sé che si tratta di una mentalità
che va a incidere sia nelle late presentation (diagnsoi tardiva dell’infezione) sia nella retention in care
(mantenimento continuativo del trattamento): io conosco moltissimi sieropositivi gay che non hanno
idea dello stato della loro salute, non sanno quali farmaci prendono, ecc. Ovviamente sto generalizzando
ma nei nostri gruppi di lavoro sulle persone MSM HIV+ è cosa che vediamo molto spesso. Si tratta di un
ragionamento applicabile anche ad altri gruppi esposti allo stigma sociale, penso alle persone trans, alle
persone migranti, tossicodipendenti, ecc.

Domanda
Quali sono le popolazioni in cui la diagnosi precoce è ancora più importante (c.d. key populations)?

Risposta
Sono quei gruppi che per ragioni diverse sono maggiormente esposte al rischio infezione. In Europa queste
popolazioni sono elencate chiaramente. In testa al primo posto ci sono gli MSM (Maschi che fanno Sesso
con i Maschi). Poi ci sono le c.d. popolazioni fragili ovvero gli immigrati, di cui peraltro abbiamo poche
informazioni sullo stato di sieropositività, se non quelli forniti dalla Caritas. Non sappiamo ad esempio se
arrivino già con l’infezione o se invece questa venga contratta in Italia. È un fenomeno che può riguardare
a 360° l’immigrazione: anche lo studente americano che viene a studiare in Italia che non va a farsi un test
nel suo paese perché spenderebbe troppo. Ci sono poi i trans che impropriamente vengono accoppiati con
i sex workers, altra key population.

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Topic 2 – Accesso al test
Daniele Calzavara – Coordinatore Milano Check Point

Domanda
Perché è importante l’accesso al test ai fini della diagnosi precoce?

Risposta
L’unica modalità di diagnosi dell’HIV è eseguire un test. L’HIV non da una sintomatologia significativa
che metta in allerta. Pertanto, ai fini della diagnosi precoce, è fondamentale creare consapevolezza
di quelli che sono i comportamenti a rischio, e quindi il rischio effettivo per quanto riguarda HIV, così
come per le altre IST, e in base ai comportamenti singoli, implementare l’accesso al test a 3, 6 o 12 mesi.
Ci sono molti impedimenti all’accesso al test: la poca facilità di reperire informazioni corrette, la poca
competenza specifica del personale medico e sanitario, i costi (non sempre l’accesso al test è gratuito),
la non possibilità di eseguire il test in anonimato, lo stigma e la discriminazione che sta dietro a un virus
che si trasmette per via sessuale, e storicamente si è fissato in modo erroneo nell’opinione comune come
appartenente alle sole “categorie a rischio”, ovvero gay e tossicodipendenti. L’obiettivo, a mio avviso,
sarebbe quello di rendere il test libero da tutti quei significanti pieni di stigma e pregiudizio, diventando
così un semplice esame di screening, alla portata e eseguito da tutti.

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Topic 3 – Data Integration
Antonio Di Biagio – Medico infettivologo (Ricercatore, Università degli Studi di Genova)

Domanda
Quali sono le fonti ufficiali e attendibili per conoscere lo stato dell’infezione in Italia?

Risposta
L’unica fonte è quella dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) attraverso un fascicolo che viene pubblicato a
cadenza annuale e raccoglie i dati dalle singole regioni e provincia. Tutti i centri di malattie infettive sono
le sentinelle. Questo è un metodo che risulta invariato dall’epidemia con i casi di AIDS ma ultimamente
è stato aggiornato anche con i casi di infezione da HIV. Il limite di questo sistema è che la morte o il
ricovero di un paziente con sieropositività senza aver prima fatto accertamenti sulla patologia in questione
potrebbe non essere riconosciuto come un dato. Esiste inoltre un limite al dato in quanto quest’ultimo
potrebbe, un anno dopo la pubblicazione, essere corretto o integrato rispetto alla data dell’evento: si parla
di “dati corretti” dove viene specificato il numero dei pazienti reali.

Domanda
Esiste una differenza di centralizzazione dei dati tra i livelli periferici, città o regione, e quelli più centrali
per esempio l’Istituto Superiore di Sanità?

Risposta
Non esiste una differenza perché in realtà le singole regioni tramite le loro agenzie sanitarie inviano
i dati raccolti dal centro periferico all’ISS che fa da collettore dei dati. Mentre la mission dell’ISS è
quella di lavorare su questi dati, la raccolta di questi ultimi da parte degli ospedali periferici si basa
esclusivamente sulla buona volontà dei medici che non percepiscono una retribuzione in merito a questo
lavoro e ogni anno e/o sei mesi inviano i risultati raccolti a Roma. Ciò aumenta il margine di rischio,
perciò bisognerebbe trovare un escamotage per invogliare i medici a raccogliere quotidianamente dati e
inviarli allo stato centrale, favorendo così una maggiore comunicazione tra Roma e le periferie. La fonte
consultabile dell’Istituto Superiore di Sanità è gratuita ed è pubblicata negli ultimi giorni di novembre così
che il Ministero possa essere in grado di fornire dati riguardo l’epidemia in Italia in riferimento all’anno
precedente. Per esempio la necessità di avere un collettore unico di dati è legato alla problematica che
in Italia esiste un registro associato a tutti i reparti di malattie infettive che sono obbligati a segnalare un
ricovero o una morte per AIDS e HIV. Molto spesso accade però che i morti per HIV non vengano segnalati
al Ministero poiché il paziente non è mai stato preso in cura da uno di questi reparti.

Domanda
Quali problemi provoca per il medico e il paziente non avere un sistema aggiornato di fonti sullo stato
dell’infezione in Italia?

Risposta
Per l’infettivologo sarebbe opportuno avere un link o una piattaforma con dati facilmente consultabili e
sicuri mentre nel caso del paziente non saprei se essere informato sulla raccolta dati possa rappresentare
un vantaggio. Per un medico conoscere l’andamento dell’infezione a cadenza semestrale o annuale
risulterebbe molto utile per non dover ogni volta attendere la pubblicazione dei dati da parte del Ministero.
Informare è un modo per sensibilizzare le persone e non far cadere una malattia nel dimenticatoio.

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Domanda
Quali potrebbero essere le soluzioni percorribili dal suo punto di vista e della sua esperienza in merito ai
gap a livello legislativo e amministrativo?

Risposta
Dovremmo innanzitutto avere un unico metodo di estrazione automatica per scaricare i dati, avere un
enorme database dove tutte le positività del paziente vengono raccolte. Tutto ciò che passa per il sistema
sanitario dovrebbe essere convogliato attraverso quest’ultimo e non basarsi solo sulla buona volontà dei
professionisti. Ciò è necessario per un’ottica di salute globale e da questo dipenderà la stima delle infezioni
future in quanto se non ho una panoramica di quelle attuali non posso controllare quelle future.

Domanda
In questo lei include una standardizzazione geografica?

Risposta
Le regioni risultano abbastanza autonome perciò si potrebbe lasciare alla singola regione l’organizzazione
ma nel caso della piattaforma digitale per una patologia come l’HIV sarebbe opportuno che il controllo sia
a livello nazionale.

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Topic 4 – Linkage to care
Franco Maggiolo – Responsabile US Patologie HIV Correlate e Terapie Sperimentali,
ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo

Domanda
Cosa si intende per linkage to care e perché è importante?

Risposta
Con linkage to care si intende quell’insieme di attività che comprendono la presa in carico del paziente
da parte della struttura preposta quando questo scopre lo stato di sieropositività, l’avvio tempestivo della
terapia e il suo mantenimento nel tempo. Essendo l’infezione da HIV una patologia cronica, il linkage to
care è fondamentale perché consente, da un lato, di mantenere un buon stato clinico della persona con HIV
con positive conseguenze in termini di aspettativa e qualità di vita, dall’altro di monitorare la trasmissione
dell’infezione riducendo la diffusione del virus. Le evidenze scientifiche internazionali hanno ampiamente
dimostrato che il legame alle cure (Linkage to care – LtC) delle persone che ricevono una diagnosi di
infezione da HIV riveste un ruolo determinante nel contrasto alla diffusione dell’infezione.

Domanda
Nella presa in carico della persona con HIV e nel mantenimento del trattamento terapeutico, secondo lei
qual è il peso delle difficoltà burocratiche/amministrative, dovuto allo scarso collegamento con le strutture
coinvolte? E quale invece il peso delle problematiche personali, affettive, familiari, sociali o legate a particolari
condizioni come nel caso, ad esempio, dei tossicodipendenti?

Risposta
Il peso dei fattori legati alla gestione burocratica dell’infezione è minore rispetto a quello degli altri fattori che
potremmo ricollegare allo stigma che ancora grava sull’HIV.

Ad oggi in Lombardia – come nel resto del Paese - i pazienti che scoprono di aver contratto l’infezione hanno
diritto all’esenzione totale da ogni tipo di spesa sanitaria. Devono quindi recarsi presso l’ATS territoriale
(Agenzia di Tutela della Salute) o la ASL di riferimento (Azienda Sanitaria Locale) per formalizzare la propria
condizione di sieropositività e ottenere tale esenzione. A seguito di ciò è il Sistema Sanitario locale ad
occuparsi e a gestire la presa in carico del paziente (prelievi, controlli, appuntamenti, visite ecc…).

Esistono comunque delle difficoltà di ordine amministrativo-burocratico. Ad esempio un limite spesso
imposto a livello della regione Lombardia è l’impossibilità di fornire il farmaco al paziente per periodi
superiori a 3 mesi presso i punti di dispensazione accreditati (ad esempio la farmacia ospedaliera). Ciò
significa per il paziente dover tornare più volte a ritirare la terapia il che può incidere negativamente sul fatto
che continui in modo regolare ad assumerla (c.d. aderenza alla terapia). Sempre a livello amministrativo-
burocratico, a causa della regionalizzazione del nostro sistema sanitario, è a carico del paziente – in caso di
cambio di regione di residenza – dover riformalizzare il proprio stato di sieropositività al sistema sanitario
locale della nuova città/regione. In questo caso un efficace collegamento tra i diversi sistemi sanitari – anche
a livello informatico – potrebbero sollevare il paziente da questa incombenza facilitandone presa in carico e
avvio al trattamento.

Diversamente, il limite maggiore al linkage to care è dovuto alla somma dei problemi psicologici, sociali,
organizzativi della persona con HIV che deve sottoporsi alla terapia. Questo aspetto si aggrava in modo
esponenziale nel caso di situazioni svantaggiate e gravi come nel caso degli homeless o delle persone con

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problemi di tossicodipendenza attiva, circostanze che rendono il trattamento terapeutico estremamente
difficile da mantenere costante. Il forte stigma sociale che tutt’oggi persiste nell’HIV differenzia questa
infezione da tutte le altre patologie croniche.

Nessuno infatti discrimina una persona perché iperteso o malato di un tumore, ad esempio. In generale
stigma vuol dire che una persona sieropositiva si sente negativamente giudicata, emarginata, discriminata.
È perciò naturale che tenti di nascondere la sua situazione con conseguenze inevitabili per quanto riguarda il
trattamento dell’infezione. Non farlo sapere al datore di lavoro vuol dire non richiedere permessi per le visite.
Non farlo sapere ai propri cari o amici implica l’impossibilità di assumere la terapia in loro presenza o di avere
un appoggio in caso di difficoltà. Gli esempi potrebbero essere molti. Stigma vuol dire nascondere il proprio
status e spesso vivere con difficoltà i rapporti interpersonali (pensate ad un adolescente) ma anche per gli
adulti l’interazione interpersonale può essere molto difficile

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