IL PASTORE, L'OSPITALITÀ, TU SEI CON ME - Salvatore Galluzzo - SALMO 23: IMMAGINI IN PREGHIERA

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Salvatore Galluzzo

IL PASTORE, L’OSPITALITÀ,
      TU SEI CON ME

  SALMO 23: IMMAGINI IN PREGHIERA

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IMMAGINI IN POESIA: SALMO 231

                                               Somiglia alla tua vita
                                               la vita del pastore.
                                               Sorge in sul primo albore
                                               move la greggia oltre pel campo, e vede
                                               greggi, fontane ed erbe;
                                               poi stanco si riposa in su la sera:
                                               altro mai non ispera.
                                               Dimmi, o luna: a che vale
                                               al pastor la sua vita,
                                               la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
                                               questo vagar mio breve,
                                               il tuo corso immortale?[...]
                                               Forse s’avess’io l’ale
                                               da volar su le nubi,
                                               e noverar le stelle ad una ad una,
                                               o come il tuono errar di giogo in giogo,
                                               più felice sarei, dolce mia greggia,
                                               più felice sarei, candida luna2.

   Quando solitamente ci si trova a confrontarsi con un testo di questo tipo, il
movimento e il dialogo che si instaurano tra gli occhi del lettore e la parola dello
scritto vengono spesso caratterizzati da una sintesi interrogativa che cerca di portare
verso una soluzione lucida, chiara e trasparente, quelle immagini che affollano queste
intense righe. E il percorso che si intraprende, rimanendo incagliati nel turbinio di
intensi ragionamenti che tendono, riducendo nella forma della parola, di rendere
concetto questa catena di immagini, porta talvolta verso quel processo che
infrangendo l’armonia estetica e poetica del simbolo riduce anche la portata di quella
domanda che comunque struttura l’esistenza dell’uomo.
   Si! Una domanda, quell’unica che comunque venga posta, e a prescindere dal
cammino che orienta, popola con un silenzio assordante il cuore di qualunque uomo,
di quell’uomo con il quale l’esistenza si misura.

    1 Il lavoro di presentazione del testo fondamentalmente vedrà una articolazione bipartita,

attraverso cui si cercherà di proporre una analisi del testo colto nel suo specifico letterario,
simbolico e teologico, a cui farà seguito una analisi liturgica dello stesso.I testi di riferimento,
almeno nelle parti che a noi interessano sono: A. SCHOKEL, Trenta salmi: poesia e preghiera, EDB; R.
RENDTORFF, Teologia dell’Antico Testamento vol.1, Claudiana; E. ZENGER, Introduzione all’Antico
Testamento, Queriniana; G. RAVASI, Il Libro dei salmi, EDB.
    2 Dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, di Giacomo LEOPARDI.

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E ciò che interessa notare, all’interno dello sviluppo di tutto il testo, è la presenza
di un dato permanete, il cammino continuo di questo uomo. Un cammino che è
ancora sollecitato e trova il suo tratto determinante in una domanda che rimane
aperta e viva, capace di imporre il desiderio delle ali per non incorrere nel rischio di
essere bloccato da risposte statiche, capaci solo di ridurre l’uomo al tedio animalesco
di una umanità perduta.
    E al di là di qualunque tentazione di cogliere nel canto del pastore errante dell’Asia
la tragica riflessione di una esistenza che tristemente si scaglia contro l’uomo, è
importante come questo canto cammini, almeno su tanti tratti, verso lo stesso
orizzonte così come presentato da questo canto biblico che è il salmo 23; e questo, al
di là di qualunque forma di fideismo vuoto e disincarnato, che cerca di fissare la sua
esistenza in un orizzonte statico e svuotato proprio di quella radicale drammatica
relazionale con la vita, dichiara, nel susseguirsi dei simboli e nella fondazione di una
speranza, per lunghissimi giorni, la bellezza di quella esistenza che con estremo
dinamismo caratterizza la vita dell’uomo; una vita nella quale quella domanda assume
i toni della presenza di Dio.

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Per una scoperta del senso del salmo
   Per una lettura che sia attenta e rispettosa di quanto si propone in uno scritto di
questo genere, non si può fare a meno di relazionarsi ad esso per quello che è in tutta
la sua rilevanza scrittorea: una lirica, una composizione poetica, capace di comporre
plasticamente, al di là di formalismi concettuali, immagini che proprio per il loro
carattere simbolico, sono fortemente evocative. Uno scritto capace di rendere
evidente la sua universalità stilistica e concettuale attraverso una concatenazione di
simboli archetipi, «esperienze semplici e senza limiti di tempo»3. E questa
consapevolezza, questo trattare con rispetto la forma stilistica con la quale lo scritto si
presenta, diventa il punto di partenza, anzi il livello fondamentale per uno studio circa
le diverse dimensioni del testo. Sembra interessante qui quanto afferma A. Schokel
quando dice:
   «se vogliamo prima comprendere e poi usare i salmi come preghiera, dobbiamo
   rispettare la loro qualità poetica. Dobbiamo percepire le loro immagini e aprirci ai
   simboli. Se demoliamo il rilievo del loro realismo, non avremo accesso ai simboli»4.
   Proprio per questo, nella nostra situazione, non si può fare a meno di mettere in
evidenza, all’interno di uno studio che cerca di mettere in luce le diverse dimensioni
di questo testo, che comunque va colto all’interno di uno sviluppo complessivo del
libro dei Salmi5, il tratto stilistico primo di questo salmo: poesia.

       Salmo di fiducia6

    Attraverso una lettura attenta del salmo capace di cogliere non solo gli elementi e
le immagini caratterizzanti del suo sviluppo, ma anche capace di orientare il cammino
proposto attraverso una struttura implicita attraverso cui lo stesso materiale del testo
prende forma e consistenza, si nota subito come questo testo appartenga, almeno in

   3  A. SCHOKEL, 117.
   4  A. SCHOKEL, 123.
    5 In questo contesto risulta significativo sottolineare come nonostante la caratterizzazione

propria e specifica di ciascun salmo, che può presentarsi, anche per l’evidente collocazione
redazionale che pone i salmi come entità specifiche caratterizzate da titolo e sviluppo tematico e
letterario propri, come una unità con propria struttura poetica differenziata, questi poemi siano
inseriti in un piano letterario molto più ampio, che trova la sua figura sintetica proprio nel Libro
dei Salmi. E questo, nel nostro contesto diventa importante perché permette di cogliere,
attraverso la scoperta di una certa omogeneità e comunanza linguistico-tematica, e quindi di
generi letterari propri oltre che la propria e specifica contestualizzazione, la significanza di questi
testi, nel loro insieme e singolarmente, per la vita di fede del popolo di Israele. Cfr. R.
RENDTORFF, Teologia dell’Antico Testamento, 339-340.
    6 Per questa parte faremo riferimento soprattutto a G. RAVASI; inoltre anche si terranno in

conto le osservazioni di SCHOKEL, RENDTORFF, ZENGER.

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modo generico, ai salmi di supplica (o anche di lamentazione), trovando una specifica
configurazione tale da poter parlare di confessione di fiducia.
    Effettivamente, una tale caratterizzazione è resa possibile da quegli elementi,
propri del salmo, che ne dispiegano la forma: infatti sia la forma stilistica, che
presenta la forma poetica del metro spezzato della «qinah» (3+2), tipico dei salmi di
lamentazione, sia la dimensione letterario-strutturale che propone un percorso
dinamico nell’alternanza di due immagini e tratti simbolici capaci di ruotare e
riproporsi attorno al fulcro dello stico centrale del poema (Tu sei/vieni con me),
sembrano manifestare proprio l’evidenza di questo genere letterario: salmo/lirica di
fiducia. Inoltre c’è chi propone una appartenenza di questo salmo al genere delle
ascensioni o dei pellegrinaggi, per la somiglianza che questo testo presenta, dal punto
di vista simbolico-esegetico, con quel gruppo di salmi caratterizzati da questo genere
letterario7.
    Proprio questo tratto poetico, simbolico, di un salmo e di una opera poetica
costruita nella semplicità e nella essenzialità di pennellate sobrie e giustapposte,
un’opera che affonda le sue radici nella ricchezza di simboli elementari, che
custodiscono e trasmettono la forza di significati archetipi dell’esperienza8, si sono
sviluppati tanti tentativi di ricerca e tante ipotesi sia per quanto riguarda il Sitz im
Leben, quel contesto vitale che vede maturare questo testo, e sia per la scoperta e
caratterizzazione propria di questo come preghiera individuale o comunitaria.
    Se da un lato, infatti, non sono mancati tentati e ipotesi che hanno cercato di
cogliere il salmo come canto di gioia di un levita, o canto di addio a Sion dopo un
pellegrinaggio, o ringraziamento e inno di fiducia in relazione a situazioni di crisi, o
ancora come canto di fiducia con sfondo monarchico, tuttavia, proprio per la
semplicità che caratterizza il salmo, e che è da considerare come scelta propria del suo
stile compositivo, si scopre come questo poema non possa essere classificato e
circoscritto entro i limiti di categorie storiche fisse. Questo salmo
   «è espressione della tradizione religiosa del popolo dell’alleanza. È anche
   un’espressione della concezione del Dio in cui essi hanno confidato e delle esperienze
   personali di Dio nella loro vita e l’atteggiamento vitale da esso creato»9.
    E sulla base di questa considerazione, che aiuta e guida un possibile approccio con
la forma letteraria di questo salmo, è possibile interrogarsi circa l’uso e la provenienza
storica del testo. Nonostante le possibili letture che vedono in questo poema, o un
canto commemorativo degli eventi dell’Esodo, o un canto di speranza collettivo, non
si può fare a meno di leggere, prima di tutto, tra le righe di questa opera, le trame
della storia di un individuo, di un poeta che dichiara con il linguaggio del simbolo

    7 Dice G. RAVASI: «l’itinerario metaforico del salmo ha una meta ben precisa, il tempio, per cui

il poemetto si avvicina in modo appariscente ai salmi delle ascensioni o dei pellegrinaggi in Sion.
[…] Tra l’altro nel salmo 23 l’incubo della prova, la menzione dei nemici, il timore che di solito
occupano tanto spazio in altre composizioni sfiduciali, sono qui solo abbozzati e quasi esorcizzati
dalla prevalente forza della fede». 431.
    8 Cfr. SCHOKEL, 113.
    9 RAVASI 432.

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poetico la situazione della sua esperienza personale. Ciò non esclude il fatto che poi
questo salmo sia stato usato dalla comunità. Ancora più problematica risulta la
questione circa la datazione e l’autore. Qui le possibilità e le ipotesi si amplificano
proprio per la carenza di dati specifici, sia per quanto riguarda l’autore, nonostante la
titolazione, comunque da ritenere anacronistica, iniziale del salmo, sia per quanto
riguarda la datazione: infatti in questo caso si passa dal periodo monarchico-
salomonico, a quello post-esilico. Probabilmente questa ipotesi si trova rafforzata da
una continuità linguistica e terminologica con quanto si ritrova nel così detto
DeuteroIsaia.

Struttura simbolica

        Una costruzione su due pilastri simbolici: il pastore e l’ospitalità

    Di fronte ad un testo di questo tipo caratterizzato, in modo determinante, dalla sua
struttura poetica, non si può non considerare la rilevanza dei centri simbolici attorno
cui ruota tutto lo sviluppo del testo, e a cui fanno riferimento le immagini i simboli e
le strutture ad essi correlativi. Nonostante la struttura del testo si mostri secondo una
complessità letteraria propria, che avremmo modo di cogliere successivamente,
almeno nei tratti essenziali, il salmo, al di là di settorializzazioni di un suo sviluppo
armonico, sembra essere costruito attorno a questi due centri simbolici: il pastore e
l’ospitalità10.
    Chiaramente non è possibile cogliere tutta la rilevanza di questi dati simbolici,
soprattutto per l’uomo di oggi, caratterizzato da una esperienza di vita fortemente
cittadina, connotato da una esperienza ecologica di tipo turistico, e postmoderno,
senza prima fare lo sforzo di entrare in un universo simbolico, che seppur archetipo,
risulta lontano e poco aderente all’esperienza del vivere quotidiano dell’uomo
occidentale di oggi.

        L’immagine del pastore

   Per il mondo orientale, e soprattutto per il Medioriente antico, il pastore assume i
tratti di una figura sintetica, capace di dichiarare in forma simbolica, tutto il rilievo di
una riflessione culturale omogenea e condivisa. È facile, infatti, trovare dei testi di
questa area culturale in cui con forte evidenza viene riportata la figura del pastore per
descrivere situazioni e, in modo particolare, per proporre dei modelli. Nel mondo
semita, a questa figura vendono associati non solo i tratti della guida, ma è anche colui

   10 Cfr RAVASI, 434. Sembra anche interessante quanto propone Schokel, quando all’inizio della
sua trattazione elenca i diversi titoli con i quali, nelle diverse edizioni linguistiche, viene proposto
questo salmo, e come proprio a partire da questo dato, diremo, post-redazionale si possa già
intraprendere una interpretazione del testo e come anche questo dato orienti verso particolari
forme interpretative; cfr SCHOKEL 113-114.

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che cammina accanto al suo gregge per condurlo, con sicurezza e tranquillità,
nonostante i tanti pericoli che si possono incontrare durante il cammino, e
nonostante le situazioni di difficoltà che si possono ingenerare all’interno dello stesso
gregge, verso la meta sicura del riposo tranquillo. È lui infondo, il centro da cui
dipende il destino delle pecore11. Ecco allora che, proprio per questo tratto di guida e
di responsabilità a cui rimanda la figura del pastore, questo simbolo è assunto per
descrivere il re e la divinità, seppur questo non sia usato in termini statici ma
proponga uno sviluppo e un discernimento circa queste figure.
    Infatti, se da un lato il re à proposto come diretto responsabile e pastore del
popolo che gli è affidato, dall’altro i continui fallimenti e le deboli attuazioni della
monarchia spingono verso una comprensione della divinità come vero pastore del
suo popolo. Solo dio, e per Israele, solo YHWH è pastore in senso pieno, perché è il
solo, nella fedeltà alle sue promesse, di attuare la sua opera di salvezza. E questo dato
è ancor più evidente se si coglie la dimensione escatologica con cui si descrivono i
tratti non solo di questo Pastore, ma con cui si dipingono e si mostrano le immagini
di questi pascoli e di questi greggi nuovi.
    In questo salmo, poi, viene proposta con forza una dimensione nuova. Qui
l’accento non è posto rispetto ad una dimensione comunitaria, quanto ad una
prospettiva che, carica della consapevolezza del divenire personale di una fede o pietà
comunitaria12, permette all’uomo, nella solitudine della sua esistenza, di dire: il
Signore mio pastore.
    Ma ancora interessante è cercare di comprendere l’immagine del pastore secondo
quel piano della relazionalità propria che caratterizza l’uomo e l’animale 13, tale per cui
   «l’animale addomesticato è in un certo senso umanizzato. Usando l’immagine per
   rappresentare le sue relazioni con Dio, l’uomo umanizza le sue tendenze bestiali, si
   offre addomesticato alla guida di Dio»14.
   Inoltre accanto a questa figura simbolica si collega tutta una semantica che mira a
chiarire oltre che ad evocare in una concreta immagine del pensiero, al di là di
formalismi concettuali, non solo e non primariamente uno scenario bucolico 15,
quanto la situazione esperienziale ed esistensiva di quell’uomo che con immagini
confessa la sua fede. Ed ecco allora i verdi prati, le acque tranquille, il cammino
attraverso sentieri pericolosi, il bastone della difesa e il vincastro della sicurezza.

   11 Cfr RAVASI, 435.
   12 Interessante un confronto con quanto riporta l’autore circa la comprensione dell’uomo, della
comunità e della fede per Israele; cfr RAVASI, 436-437.
   13 Per questo dato è molto interessante la trattazione che sviluppa A SCHOKEL, 114-118. E

anche suggestivo il testo de Il piccolo Principe, nelle pagine in cui si racconta dell’incontro con la
volpe, con una profonda esigenza dell’addomesticamento.
   14 SCHOKEL, 115.
   15 Cfr RAVASI, 437.

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L’immagine dell’ospite

   Una situazione nuova, apparentemente, o almeno nella novità del simbolo, sembra
presentarsi accanto al secondo centro simbolico: l’ospitalità. Effettivamente uno
sguardo poco sensibile alla dinamica esistenziale dei popoli nomadi e orientali
comprenderebbe a fatica il valore e il senso dell’ospitalità e dell’accoglienza del
forestiero16. Essere accolto, in un contesto nel quale vivere sotto la stessa tenda,
comunicare dei doni della stessa mensa e sedere accanto sono segni fortemente
eloquenti di una situazione di protezione e accoglienza, dice, per l’ospite la pienezza
della comunione e della condivisione della vita.
   L’immagine qui risulta essere delineata in un modo molto più essenziale, attraverso
la presentazione di tanti elementi verbali che comunque, nonostante la perdita di una
certa plasticità dei toni, ne dichiarano il dinamismo: profumare il capo, porgere la
coppa, preparare una mensa, abitare presso. E qui, anche alla luce di quanto viene
detto secondo quella chiave di lettura del primo versetto che rimanda tutte le
immagini del testo verso una adeguata lettura (non un racconto bucolico, ma
interpretazione di questa relazione che si instaura tra l’uomo e Dio), vero signore che
ospita l’uomo durante il suo faticoso cammino è YHWH.
   Inoltre qui, questo simbolo apre anche verso un orizzonte liturgico. Tutto, infatti,
il banchetto, la sicurezza dell’abitazione, la presenza amichevole di Dio nella
personificazione della bontà e della fedeltà, rimanda al tempio e alla sua liturgia.

        Una tensione

   Considerare il testo secondo questa articolazione, di due simboli sinteticamente
giustapposti, può spingere a chiedersi se non siamo di fronte ad un testo composito,
risultato di due blocchi indipendenti. Tuttavia, questa domanda, seppur lecita, trova
nel suo procedere anche il suo limite. Di fatto, non si può dimenticare di essere di
fronte ad un testo poetico dove le immagini si compongono secondo la possibilità
evocativa che le caratterizza. E inoltre, all’interno dello sviluppo del testo è possibile
trovare un elemento che, in un certo senso, funge da centro di unione rispetto a due
immagini che in un altro contesto potrebbero risultare semplicemente giustapposte.
   Al di là, infatti, di quel centro strutturale del versetto 4b che determina anche il
movimento dinamico della lirica, è possibile scoprire in quelle tradizioni proprie

   16  A tal proposito sembra interessante notare come tra i peccati che scatenano una violenza
inarrestabile e che richiedono un’opera e un intervento della giustizia di Dio del tutto speciale per
mettere ordine nei confronti di una situazione del tutto caotica ci sia proprio quello della
mancanza di ospitalità, ci siano tutte quelle azioni che si rivolgono contro agli ospiti. Qui si
vedano a tal proposito due esempi come quello raccontato in Gdc 19-21 (il delitto di Gàbaa), o
ancora il più noto racconto di Sodomia e Gomorra, in Gn 18-19, dove il peccato commesso dalla
città non sia tanto quello legato ad un disordine sessuale (altrimenti non si comprende come possa
essere tollerato l’offerta delle figlie, in entrambi i racconti, agli aggressori), quanto quello della
mancata accoglienza e ospitalità.

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dell’esodo, dove YHWH è presentato come la guida del suo popolo, e anche come
colui che ospita questo popolo liberato nella sua terra, «una chiave di unità»17.
   Tutto il salmo vive di una tensione interna che lo pone all’interno di una
progressiva circolarità. Troviamo, così, due cammini e due riposi, fino alla stabilità
dinamica nella casa di Dio. E i due avverbi finali inseriscono proprio il cammino
dell’uomo in questa espressa necessità del dover ricominciare, «come se il salmo si
dovesse ripetere, per tutta la vita»18.

Struttura letteraria
   L’aver in precedenza identificato i due poli simbolici attorno ai quali si sviluppa
tutta la fisionomia del testo, indica, almeno in modo intuitivo, le trame di un possibile
progetto attraverso cui ha preso forma questo salmo. È questo permette, almeno in
modo sintetico di provare a tracciare quella/e ipotesi di struttura che possono
permettere di entrare meglio nel testo, per permettergli di parlare meglio alla nostra
vita, e di gettare in essa quella luce che ha illuminato sia il salmista/poeta che ha dato
respiro a queste parole, sia coloro che hanno percorso nel tempo i suoi (del salmo),
sentieri.

        Struttura letterario-simbolica

   Per questo dato non ci dilungheremo, avendo già trattato ampiamente delle due
figure simboliche che compaiono nello sviluppo del testo, ma ci limiteremo a
tracciare quel profilo che in modo semplice si rende, di per se stesso, evidente a
partire dalla lettura del testo stesso.
   Troviamo quindi una struttura composta da due scene.
            Pastore: 1-4
            Ospitalità: 5-6

        Struttura letteraria

  Attraverso una lettura attenta del testo e una riflessione circa, non solo la
correlazione delle immagini, ma anche rispetto ad una costruzione delle stesse, si
notano degli elementi letterari che danno la possibilità di pensare ad una struttura e ad
una ipotesi di lavoro che noi chiamiamo struttura letteraria.

   17   SCHOKEL,120. Qui interessante notare anche lo sviluppo dell’autore. Non si possono
ritenere queste fonti argomentative delle vere e proprie fonti materiali per il salmo, essendo il
salmo, presumibilmente, anteriore rispetto a questi testi; tuttavia è possibile e verosimile ritenere
che queste fonti e questo salmo provengano da un medesimo tessuto e modello di pensiero.
    18 SCHOKEL, 121.

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Il salmo, infatti, si presenta nella forma di due scene, caratterizzate ciascuna da un
centro simbolico, articolate attorno ad un nucleo letterario: tu sei con me.
   E questo dato risulta ancora più evidente quando non solo si considera la coerenza
con il genere letterario di cui è caratterizzato il salmo, tale per cui questo versetto e
questa centralità letteraria risulterebbe aderente con l’appartenenza di questo salmo ai
salmi di fiducia, ma la composizione e la simmetria letteraria.
   Infatti, il salmo si trova costituito da nove stichi (come si diceva in precedenza una
qinah nella forma 3+2), il cui centro letterario in 4b trova proprio il versetto: tu
sei/vieni con me. Inoltre si nota come questo versetto (quinto del poema) «appartiene
a quelli che precedono per l’immagine, a quelli che lo seguono per la comparsa della
seconda persona»19.
   Ecco allora che si può proporre la seguente struttura:
            primo nucleo simbolico (pastore): 1-4a
            secondo nucleo simbolico(ospitalità): 4c-6
            nucleo sintetico: 4b

        Struttura dinamica

   Per questo livello facciamo riferimento soprattutto a quanto detto rispetto alla
tensione letteraria che si sviluppa tra le due immagini; quindi rimandiamo a quella
parte. Qui si intende sottolineare come di fatto questa si presenti come una possibilità
di guida alla lettura e alla comprensione del testo, onde evitare il rischio di
comprendere il salmo come una entità con fratture interne e non secondo la
prospettiva propria di una dinamica poetica che orienta verso un proprio sviluppo
tematico.
   Ecco allora che, anche in relazione alla duplicità di forma del verbo «shabti»20,
tutto il salmo si può considerare secondo uno schema e una struttura dinamica fino al
verso finale; un dinamismo che presenta una tensione non risolta come se questo
debba essere sempre ripetuto. E questo influisce a stringere in uno stretto legame i
due simboli, i due campi semantici, in una convivenza mai conclusa: cammino e
permanenza, pastore e ospite.

        Struttura letterario-esistenziale

   Quando si legge questo salmo, nello sviluppo delle immagini e attraverso il
percorso che queste propongono, si nota subito una certa evoluzione che colpisce
direttamente non tanto le strutture esterne e immaginative, quanto l’identità del
salmista. Ciò che sembra caratterizzare secondo questa prospettiva l’iter del poema è

   19 SCHOKEL, 114.
   20 Questo può essere inteso come infinito di yashab, a partire dal greco e dal salmo 27, e quindi
essere tradotto come sarà prolungato, oppure secondo il testo masoretico, da shub, ritornare. Cfr
SCHOKEL, 112.

                                                  10
il passaggio della figura di Dio da una terza persona singolare, ad una di seconda
persona singolare, proprio quando si sperimenta quella vicinanza e proprio quando si
trova la forza di confessare questa vicinanza. E non stupisce il ritorno alla terza
persona nei versi finali, il versetto 6, dato che si riferisce non direttamente alla
presenza di Dio, ma a delle personificazioni che accompagnano l’esistenza, una
esistenza ormai abitata da questa consapevolezza. E questo diventa chiaro proprio se
si colgono il tu e l’egli come interlocutori del salmista nelle diverse parti del poema:
all’inizio, infatti, è verosimile che il tu si rifletta nell’esistenza che lo interroga a cui
viene presentato un terzo attore, appunto quell’egli di Dio, che ancora deve essere
scoperto in tutta la sua significatività, mentre a partire dal versetto 4b diventa
evidente che il tu del dialogo è occupato pienamente da Dio, mentre nella situazione
dell’egli è posta una esistenza che, comunque abitata da quella domanda di senso che
la anima, ormai si trova illuminata dalla presenza di quel Tu.
    Si nota inoltre, secondo questa prospettiva, una inversione dinamica delle scene,
tale per cui alla prima, che plasticamente si pone nell’ottica di un movimento
continuo, corrisponde lo spazio di una ricerca statica, mentre a partire dalla seconda
scena, quella dell’abitazione presso il luogo di Dio, viene rilanciato un cammino dove
unico motore è la fiducia dell’uomo e l’azione di Dio. Qui diventa ponte la scoperta e
la confessione di questa fiducia da parte dell’uomo all’interno di uno spazio
caratterizzato da una attesa silenziosa di Dio.
    Ecco allora una possibile struttura:
              ricerca esistenziale – YHWH in terza persona: 1-4a
              confessione esistenziale – YHWH in seconda persona (come soggetto
              passivo): 4b
              cammino esistenziale – YHWH in seconda persona (come soggetto attivo):
              4c-6

         Note di esegesi21

    Quello che faremo qui di seguito, si presenta come la proposta sintetica di alcune
indicazioni, circa la complessità letteraria e formale del testo, capaci di aiutare una
lettura ed una comprensione più adeguata del testo.
    Il primo versetto si apre con una dichiarazione tematica che guida tutto lo sviluppo
e la comprensione del testo e delle immagini poetiche. Troviamo qui, infatti, una frase
nominale, composta di solo due parole, dimensione questa che si presenta come una
vera e propria proclamazione Kerigmatica, anche con un accento marcatamente
polemico: YHWH mio-pastore.
    Subito dopo il simbolo dell’acqua, per delle prossimità di vocabolo, menuhot, con
il termine pace, richiama e ripresenta la dimensione della terra promessa offerta come
luogo di riposo da Dio.

   21   Per questa parte faremo riferimento soprattutto al testo di RAVASI, 438-445.

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Il termine «nefes» del versetto 3, proprio anche per il tratto plastico dell’immagine,
oltre che per la prossimità e l’aderenza con il verbo sub, che significa ri-creare, si
trova più prossimo al significato di forse energie, quindi ad una dimensione concreta,
piuttosto che al termine anima22.
   Particolarmente importante risulta la citazione o menzione del nome di Dio, che
dice non solo la provenienza e il fondamento di ogni azione ma anche la gratuità
dell’opera di salvezza di YHWH.
   Il sostantivo composto in 4, abbastanza insolito per la lingua ebraica, ha funzione
superlativa: infatti l’aver accostato i sostantivi «ombra» e «morte» mette in evidenza
una situazione di estremo pericolo.
   L’apparente nota stonata che si presenta all’interno della presentazione della
seconda immagine, la «presenza dei nemici», in realtà serve a rafforzare la situazione
di fiducia, di pace e serenità che si riceve quando si è accolti nella dimora di Dio,
limite questo che rende inoffensivo e schiaccia ogni pericolo.
   Proprio alla conclusione del poema troviamo un tratto caratteristico rappresentato
dalla personificazione dei due tratti caratteristici del Dio dell’alleanza, bontà (tob), e
fedeltà (hesed), legati all’uomo in un orizzonte di continuo movimento, così come è
descritto proprio dalla presenza del verso abitare (shabti), secondo la duplice forma
interpretativa23.

Risonanze Neotestamentarie
   L’universo simbolico di questo testo e di questa opera poetica è tale non solo da
caratterizzare i tanti luoghi dell’esperienza umana, ma anche di imporsi all’interno di
quegli strumenti, come la scrittura, oltre che l’arte, con i quali questa esperienza è
stata resa una manifestazione riflessa. Così anche nel Nuovo Testamento troviamo
tutta una serie di risonanze tali da porsi, sia nei termini di una dipendenza che in
quelli di una continuità con il modello interpretativo del simbolo, come dimensioni
significative di tanti testi.
   Troviamo, infatti, testi che attraverso l’immagine del pastore o dell’accoglienza
dicono tratti caratteristici sia della figura di Gesù Cristo sia del regno di Dio che si
rende presente nella storia degli uomini, così come troviamo altri testi che
manifestano quei lineamenti, quelle prospettive, e talvolta anche le esigenze della
comunità ecclesiale.
   Questi testi si possono soprattutto ritrovare in Gv 10, Mt 25, Lc 15, 1Pt 5
(soprattutto per quanto riguarda il simbolo del pastore), e ancora in Mt 25, Lc 14, Gv
6, Mt 22, Ap 3 (soprattutto per quanto riguarda l’ospitalità e il banchetto).

  22   Cfr SCHOKEL, 112.
  23   Cfr SCHOKEL, 112.

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Per una lettura liturgica24
   La Parola di Dio non è mai qualcosa di statico e permanente, come qualcosa che si
risolve in uno scritto, effetto dell’articolazione meccanica di parole che seppur guidate
da un logos e una ratio ben strutturata rimangono morte parole fintanto che non
incontrano l’occhio o meglio ancora l’orecchio di un uomo o di un popolo. Ed ecco
allora che quella parola scritta diventa Parola di Dio proprio quando quell’Ascolta
Israele prende forma reale e concreta.
   I luoghi dell’incontro con questa Parola che inverano quest’evento sono vari e
diversi, tanto da esprimersi secondo una molteplicità di situazioni. Ma un luogo
particolare, tale da considerarsi anche un unicum nella vita del popolo di Dio (e qui ci
riferiamo con questo termine a quella porzione di popolo raccolto nel nome di Gesù
Cristo), è la celebrazione liturgica della Santa Cena. In essa i testi assumono una
valenza specifica, e sono tali da confluire in modo armonico nella celebrazione
memoriale di quell’evento, nella gloria di Dio Padre, per/con/in Cristo, nello Spirito.
   Proprio per questo i testi, e di conseguenza anche la preghiera circa l’evento
celebrato che è il salmo, assumono una valenza proprio in relazione all’evento, al di là
della loro significanza esegetica, seppur non a prescindere da essa.
   Un caso particolare in cui troviamo la presenza del testo fino ad ora esaminato è la
celebrazione liturgica di Cristo Re dell’universo, nella formulazione del lezionario
delle domeniche Anno A.
   Anche per questo rilievo che non è secondario, tale per cui le pericopi che
caratterizzano la mensa della parola della celebrazione si susseguono anche secondo
criteri di continuità tematica e teologica, non si può non considerare il salmo in
relazione alle altre due pericopi di questa liturgia: Ez 34,11-12.15-17 (voi siete mio
gregge), e Mt 25,31-46 (il giudizio).

       Per una lettura del testo: Ez 34

   Se si considera globalmente il libro del profeta Ezechiele ordinato secondo una
struttura quadripartita, tale da porre nelle prime due parti gli oracoli di accusa contro
Israele e contro le nazioni, e nelle due parti successive gli annunci di salvezza, con la
successiva caratterizzazione dell’ultima parte come annuncio del tempio nuovo, con
questa pericope siamo all’interno della terza parte, nel cuore dell’annuncio di salvezza.
   Dopo un periodo di silenzio, in seguito alla disfatta e all’esilio, inizia con Ezechiele
l’opera di un nuovo annuncio, caratterizzato dalla manifestazione della salvezza di

    24 Per questa parte si segue l’indicazione propria della liturgia, così come si rende evidente,

secondo la disposizione dei testi all’interno del lezionario, secondo i criteri propri della teologia
dell’Anno Liturgico. Ecco allora che tra i tanti casi e le tante possibilità si è scelta la celebrazione
liturgica di Cristo Re dell’universo, nella formulazione del lezionario delle domeniche Anno A,
che propone una liturgia della Parola tale da dispiegare i simboli del Salmo 23 secondo una
coerenza interiore particolare con le altre letture/pericopi di AT e NT.

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Dio, vero pastore del suo gregge, e questo tratto risulta ancor più significativo se si
coglie la continuità tra il cammino e la meta verso il nuovo tempio.
   In questa pericope si coglie anche il nucleo del passaggio tra l’annuncio del
giudizio, con particolare rilievo per le invettive contro i cattivi pastori, e l’annuncio
della salvezza operata e comunicata da buon pastore che ormai assume i tratti di
YHWH; e questo risulta in modo ancor più evidente se si considera, con il ritorno
dall’esilio, il definitivo epilogo della monarchia e della relativa immagine del re
pastore: unico sovrano e pastore del popolo è YHWH.

      Per una lettura del testo: Mt 25

   Con questa pericope ci troviamo alla fine del discorso escatologico del vangelo di
Matteo, discorso che apre anche agli eventi della passione morte e risurrezione di
Gesù. Riprendendo una vecchia proposta di analisi strutturale del testo di questa
vangelo, e consapevoli comunque dei limiti di tale proposta, ci interessa far notare
come quasi attraverso una inclusione, il sedersi di Gesù, tutto lo sviluppo del Vangelo
corra lungo la voce che annuncia il suo Regno e la sua signoria.
   Così come nel brano di Ez 34 qui diventa significativo il simbolo del gregge, nella
forma delle pecore e dei capri, tratto che rimanda all’ancora più significativo simbolo
del re pastore che opera un giudizio capace di manifestare la rilevanza teologica
dell’accoglienza di coloro che in questo gregge, che in questo popolo, si mostrano
come i poveri.
   E questo giudizio, che il Cristo costituito Signore e Guida del suo popolo nella
storia opera, si rivela secondo quella possibilità di costituire, all’interno delle tortuose
e difficili trame della storia, all’interno della quale talvolta è complesso leggere i segni
della presenza operante di questo buon pastore, un popolo nuovo che attraverso un
giusto cammino viene introdotto in un Regno nel quale uniche compagne dell’uomo
saranno la Bontà (bellezza) e la fedeltà.
   Ed è un giudizio che si rivela non nelle aule dei tribunali, come quello di Pilato, e
che non è esercitato dai troni del potere, ma che si rivela dall’alto della croce, luogo
nel quale i poveri, afflitti dalle varie prove della vita, fame, sete, nudità, non
accoglienza, hanno la forza di lanciare al mondo il loro grido, un grido accolto dalle
braccia aperte della croce di Cristo.

      Il salmo 23: quale relazione

    Proprio per la ricchezza e l’interpolazione tematica che si presenta all’interno della
liturgia della parola di questa festività è possibile cogliere la pertinenza di questo
salmo con le altre letture. Se ad un livello più immediato è facile cogliere una certa
corrispondenza, anche solo per la presenza di immagini simmetriche come quella del
pastore, e per certi versi, anche se non direttamente, dell’ospitalità, tra queste letture,
risulta ancora più interessante scoprire anche una certa profondità di discorso,
manifestata direttamente dalla prospettiva generale del salmo, una confessione di
fiducia, situazione questa che caratterizza anche la dinamica liturgica di questa
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festività. Infatti: quale risulta essere l’orizzonte che spinge l’annunciare YHWH come
pastore e guida di salvezza, e Gesù Cristo come pastore e signore della storia, se non
quello di condurre l’uomo verso una comprensione del proprio essere? E per quale
motivo aiutare l’uomo ad una nuova e più profonda comprensione di sé se non per
radicare e far scaturire quelle domande che popolano la sua esistenza e che guidano il
suo cammino? E non è forse questa la strada che spinge a porsi come domanda anche
nei confronti dell’esistenza? Ecco allora che si comprende come questo percorso che
matura e si sviluppa all’interno di una confessione di fede presenti come meta e come
orizzonte da seguire una confessione di fede, un cammino che seppur mai concluso
porta il frutto di scoperte e maturate relazioni tra quell’io sempre un po’ nascosto da
primitive animalità, com’è quello dell’uomo, e quel Tu di Dio, pastore e giudice di
salvezza.

Proposta di riflessione
    Alla luce del cammino svolto fin qui, alla scoperta di questo prezioso poema che
rende luminoso non solo il salterio ma anche la vita e l’interiorità della comunità del
popolo che prega, sembra interessante proporre un possibile orizzonte di riflessione,
proprio a partire dagli stimoli e dalle provocazioni e dalle immagini che lo stesso
salmo presenta, ponendolo anche come luce e chiave di lettura non solo delle altre
letture che in questo contesto liturgico sono presentate, ma anche dell’esperienza di
coloro, di quel popolo che si trova raccolto in questa celebrazione.
    Proposta schematica:
           Ripercorrendo lo specifico percorso proposto da Ricoer, per cui «il simbolo
           fa pensare», ricerco la possibilità comunicativa e la forza dei simboli di
           questo Salmo.
           Prossimità di immagine:
               o Il pastore che conduce e raduna le pecore (Ez 34): leggo la storia e
                   da una memoria attuale e strutturale mi faccio educare e attraverso
                   essa mi comprendo come evento.
               o L’ospitalità e l’accoglienza nella sua rilevanza teologica (Mt 25): sono
                   sollecitato dalle domande che l’esistenza stessa mi pone, domande a
                   cui non posso sfuggire, perché sono proprio esse a dare forma alla
                   mia esistenza, configurandomi come pecora o come capro; e
                   sapendo che queste domande non riguardano mai semplicemente la
                   mia individualità, ma il valore della mia persona che è tale solo
                   quando coglie le relazioni con l’altro e con l’Altro.
           Tu vieni/sei con me: una duplicità di manifestazioni simboliche secondo
           l’orizzonte di Dio pastore che guida la storia e che opera una salvezza nella
           storia, e di un Cristo Signore capace di rivelare l’opera della storia e di
           manifestare il senso di una comunione reale; queste dimensioni dicono il
           riferimento primo a quell’essere, l’uomo, che in questa storia si trova
           implicato, e la cui possibilità di sopravvivenza è offerta non tanto dalla

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scoperta e dall’occupazione di una dimora stabile e fissa, quanto da un
            continuo cammino, da un continuo ritornare abitato da una speranza: tu
            sei/vieni con me.

  Ecco allora che sembra significativo concludere con quanto la liturgia della Chiesa
propone all’inizio di questa azione rituale e celebrativa:

    «O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini,
per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d’amore, alimenta in
noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli
ti consegnerà l’opera della redenzione, perché tu si tutto in tutti»25.

  25   Colletta XXXIV Domenica A, Cristo Re.

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