LA LEGGE FINANZIARIA PER IL 2008 E IL DIVIETO DI ARBITRATO

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BRUNO CAPPONI
                       ORDINARIO DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE
              NELLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA DELLA LUISS “GUIDO CARLI ”

                      LA LEGGE FINANZIARIA PER IL 2008
                         E IL DIVIETO DI ARBITRATO

1. Il divieto di arbitrato in tema di opere pubbliche e il decreto-legge
n. 180 del 1998.
La legge finanziaria per il 2008 ha introdotto il divieto per pubbliche ammi-
nistrazioni, enti pubblici economici e società pubbliche di compromettere in
arbitri le controversie, future o già insorte, relative a contratti aventi ad og-
getto lavori, forniture e servizi. La notizia è circolata, non soltanto nei ri-
stretti ambienti interessati, ben prima di comparire negli atti parlamentari:
essendo infatti la data di efficacia di fatto di alcune delle nuove norme quella
del 30 settembre 2007, occorreva darne tempestiva notizia affidandosi alla
stampa quotidiana 1, più che alla Gazzetta Ufficiale.
Non è la prima volta che il legislatore impone, in tema di controversie rela-
tive a lavori pubblici, divieti di arbitrato; ed è forse interessante, prima di
analizzare brevemente la nuova disciplina, far cenno ai precedenti, che –
almeno a giudicare dal numero delle rimessioni alla Corte Costituzionale 2 –

          1 V., ad es., l’articolo di V. UVA dal titolo Dal 30 settembre stop a tutti gli arbitrati. Il
divieto vale anche per le società miste, in Il Sole-24 Ore del 13 ottobre 2007, Edilizia e territorio, p.
5.

           2 La Consulta si è occupata del divieto di arbitrato introdotto dal decreto-legge n.

180, giudicandolo legittimo (infra, nota n. 9) nella sentenza n. 376 del 2001 (la “storica”
decisione che ha ammesso gli arbitri rituali a sollevare l’incidente di costituzionalità, e su
tale particolare aspetto si è polarizzata l’attenzione dei commentatori: cfr. in Giust. civ.,
2001, I, p. 2883 ss., con nota di VACCARELLA, Il coraggio della concretezza in una storica decisio-
ne della Corte costituzionale; in Foro It., 2002, I, c. 1648 ss., con brevi osservazioni di
ROMBOLI ; in Giur. it., 2002, p. 689 ss., con nota di C ANALE, Anche gli arbitri rituali possono
sollevare la questione di legittimità costituzionale di una norma; in Corr. giur., 2002, p. 1009 ss., con
nota di FORNACIARI, Arbitrato come giudizio a quo: prospettive di una possibile ulteriore evoluzione;
in Riv. amm., 2001, p. 965 ss., con nota della GIACOBBE , Brevi osservazioni sulla legittimazione
degli arbitri a sollevare la questione di costituzionalità in via incidentale: un contrasto tra la corte costitu-
zionale e la corte di cassazione; in Riv. dir. proc., 2002, p. 351 ss., con nota di E.F. RICCI , La
“funzione giudicante” degli arbitri e l’efficacia del lodo (un grand arrêt della Corte costituzionale); in
Riv. arb., 2001, p. 657 ss., con nota di BRIGUGLIO, Merito e metodo nella pronuncia della Con-
sulta che ammette gli arbitri rituali alla rimessione pregiudiziale costituzionale. V. anche RUFFINI,
Arbitro, diritto e Costituzione (riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale, 28 novem-
bre 2001, n. 376), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, p. 263 ss.; E.F. RICCI, La “funzione giudican-
te” degli arbitri e l’efficacia del lodo (Un grand arrêt della Corte Costituzionale), cit., spec. p. 358
ss.; LUISO, AULETTA e C APPONI, Sulla legittimazione del giudice privato a sollevare una questione
di costituzionalità, in Giust. civ., 2002, II, p. 59 ss.; BALDASSARRE, BIAVATI, BRIGUGLIO,
DEL PRATO, RESTA, F. SATTA , TAMPONI, in Temi romana, 2001, fasc. n. 1, p. 4 ss.;
PINARDI, ESPOSITO, S ARANDREA, in Giur. cost., 2001, p. 3735 ss.) e quindi con le ordi-

                                                       1
hanno presentato e presentano vari aspetti controversi.
Il primo riferimento va compiuto al decreto-legge n. 180 del 1998 (converti-
to dalla legge n. 267 del 1998) che, nel particolare settore delle controversie
relative all’esecuzione di opere pubbliche destinate alla ricostruzione di ter-
ritori colpiti da calamità naturali (c.d. “legge Sarno”), ha imposto il divieto
facendo salvi i lodi già emessi e le domande di arbitrato già notificate alla
data di sua entrata in vigore 3. La disciplina sul divieto ha poi conosciuto vi-
cende tutt’altro che lineari: la legge n. 166 del 2002, intervenendo sull’art. 32
della c.d. legge Merloni, ha abrogato ogni disposizione (in primis, quella del
decreto-legge n. 180) che prevedesse limitazioni ai mezzi di risoluzione delle
controversie in tema di lavori pubblici; successivamente, il decreto-legge n.
15 del 2003 (convertito dalla legge n. 62 del 2003) ha reintrodotto il divieto
nelle controversie (che per brevità potremmo definire) da calamità, presen-
tandosi ufficialmente come legge di interpretazione autentica (e così munita
di efficacia retroattiva). L’art. 253 del codice dei contratti pubblici, nel con-
fermare in sede di disciplina transitoria l’abrogazione di qualsiasi disposizio-
ne limitativa di mezzi di risoluzione delle controversie nell’intero settore, ha
espressamente fatto salvo il disposto tanto del decreto-legge n. 180, quanto
del decreto-legge n. 15.
Ai limitati fini del nostro discorso, peraltro, non interessa stabilire se il di-
vieto introdotto dal decreto-legge n. 180 sia stato vigente senza soluzioni di
continuità 4, ovvero – come sembra assai più credibile5 – sia stato reintro-
dotto nel 2003, dopo essere stato espunto nel 2002, per il tramite di una

nanze n. 11 e n. 122 del 2003 (la prima delle quali si legge in Giust. civ., 2004, p. 2909 ss.,
con interessanti annotazioni critiche della GROPPOLI, Brevi osservazioni in ordine al principio
della irretroattività della legge a garanzia del giudice naturale precostituito per legge). Una nuova que-
stione è stata poi sollevata dal collegio arbitrale con sede in Napoli, nella controversia che
oppone il Consorzio CPR2 alla Curia Arcivescovile di Napoli (ord. dell’11 novembre
2006, in Gazz. Uff. del 2 maggio 2007, I, 1° Serie Speciale, Corte Costituzionale, p. 90), ed è
stata discussa all’udienza pubblica dell’11 dicembre 2007.

         3  Il decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, recante Misure urgenti per la prevenzione del
rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania, ha previ-
sto, al comma 2 dell’art. 3 (peraltro rubricato Disposizioni in materia di termini e servizio di le-
va): «Le controversie relative all'esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di
ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali non possono essere devolute a collegi
arbitrali. Sono fatti salvi i lodi già emessi e le controversie per le quali sia stata già notifica-
ta la domanda di arbitrato alla data di entrata in vigore del presente decreto».

         4 Come ad esempio ritiene l’App. Napoli, 10 gennaio 2006, n. 41, in Corr. Giur.,
2007, p. 86 ss., con nostra nota critica Il divieto di arbitrato in tema di controversie relative ad ope-
re pubbliche comprese nei programmi di ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali tra pote-
stas judicandi degli arbitri e perpetuatio jurisdictions.

         5 Cfr. anche IZZO, Di sopravvenuta incompromettibilità, sopravvenuta compromettibilità e

ancora una volta sopravvenuta incompromettibilità, in Riv. arb., 2007, p. 45 ss.

                                                    2
norma innovativa travisata da interpretativo-retroattiva. Conta invece stabi-
lire se la disciplina del 1998 avesse in sé portata retroattiva, tale da incidere
su “diritti quesiti” delle parti contrattuali con conseguente violazione della
tutela dell’affidamento 6.
A tale riguardo, occorre distinguere la disciplina della clausola compromis-
soria da quella del processo arbitrale.
Riguardo alla clausola, è indubitabile che il divieto, riferendosi a patti già
sottoscritti, ha trovato applicazione – determinandone l’invalidità o ineffica-
cia sopravvenuta – anche con riferimento a convenzioni arbitrali in essere
alla data di entrata in vigore del decreto-legge. La conclusione è chiaramente
indotta dalla stessa disciplina transitoria che, facendo salvi soltanto i lodi già
emessi e le domande di arbitrato già notificate, lascia chiaramente intendere
che l’effetto prodotto – oltre ad impedire la sottoscrizione di nuove clausole
compromissorie – è stato quello di travolgere quelle validamente sottoscrit-
te in epoca precedente all’introduzione del divieto. Ci sembra dunque inevi-
tabile concludere che il decreto-legge del 1998 ha introdotto una disciplina
sostanziale (sulla clausola) di tipo retroattivo, risultato che sarebbe stato e-
scluso soltanto ove il divieto fosse stato posto de futuro, facendo salva tutta
l’attività contrattuale compiuta in epoca anteriore.
Riguardo al processo arbitrale, si è invece fatta applicazione del principio
secondo cui non può essere sottratta, al giudice privato che ne sia stato cor-
rettamente investito, la materia del giudizio devolutogli in ragione di una
clausola compromissoria validamente sottoscritta in epoca anteriore
all’introduzione del divieto. Si è trattato – come ha correttamente ricono-
sciuto la stessa Corte Costituzionale 7 – di un’applicazione del principio della
perpetuatio jurisdictionis (art. 5 c.p.c.), che peraltro secondo la Corte di cassa-

         6  Che, secondo quanto affermato ripetutamente dalla giurisprudenza costituzio-
nale, “costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto” (sentt. n. 349 del
1985; n. 822 del 1988; n. 39 del 1993). Come del resto precisato dalla Corte di cassazione,
“in difetto di esplicite previsioni contrarie, il principio dell’immediata applicazione della
legge processuale sopravvenuta ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi
all’entrata in vigore della legge stessa, alla quale non è dato incidere, pertanto, sugli atti an-
teriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio del
tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere; un generale
principio di “affidamento” legislativo (desumibile dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge
in generale) preclude, difatti, la possibilità di ritenere che gli effetti dell’atto processuale
già formato al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione siano da
quest’ultima regolati, quantomeno nei casi in cui la retroattività della disciplina verrebbe a
comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo”
(Cass., 12 maggio 2000, n. 6099).

        7 Nelle citate ordinanze n. 11 e n. 122 del 2003, ove un esplicito riferimento al ri-

spetto del principio di cui all’art. 5 c.p.c.

                                                 3
zione non dovrebbe trovare applicazione nel processo arbitrale 8. Quindi,
nonostante l’introduzione del divieto con efficacia retroattiva (in relazione
alle clausole compromissorie già sottoscritte), i collegi arbitrali già legitti-
mamente adìti hanno potuto decidere le controversie loro sottoposte, in ra-
gione di un dispositivo in tutto simile a quello che proroga la competenza
del giudice in caso di mutamenti, lite pendente, dello stato di fatto o delle
norme che rilevano ai fini dell’individuazione della competenza.
Non occorre per questo pensare che la disciplina del decreto-legge n. 180
sia stata di sfavore soltanto limitato per l’istituto arbitrale: infatti, l’efficacia
retroattiva sulle clausole compromissorie costituisce un serissimo attentato
alla libertà contrattuale ed alla tutela dell’affidamento; né le scarne motiva-
zioni rese al riguardo dalla Consulta nella richiamata sentenza n. 376 del
2001 9 hanno potuto fugare i dubbi di costituzionalità della complessiva di-
sciplina, efficacemente esposti nell’ultima ordinanza di rimessione alla Corte
(retro, nota n. 2), cui possiamo fare in questa sede, per brevità, integrale rin-
vio.

2. La modifica dell’art. 806 c.p.c.
Tra gli interventi del 1998-2003 e la legge finanziaria per il 2008 si colloca la

         8 Cfr. Cass. 21 luglio 2004, n. 13516, in Riv. dir. proc., 2005, p. 251 ss., con nostra

nota critica Arbitrato e perpetuatio jurisdictionis.

         9 In tale occasione la Corte ha motivato che «la discrezionalità di cui il legislatore
sicuramente gode nell'individuazione delle materie sottratte alla possibilità di compromes-
so incontra il solo limite della manifesta irragionevolezza. Siffatto limite non può certo
dirsi superato nella specie, considerato il rilevante interesse pubblico di cui risulta permea-
ta la materia relativa alle opere di ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali, an-
che in ragione dell'elevato valore delle relative controversie e della conseguente entità dei
costi che il ricorso ad arbitrato comporterebbe per le pubbliche amministrazioni interes-
sate. Nessuna lesione del principio di eguaglianza può d'altro canto ravvisarsi nel fatto che
controversie di uguale natura ed oggetto siano assoggettate o meno al divieto di arbitrato
a seconda della data di notifica del relativo atto introduttivo. Secondo la costante giuri-
sprudenza di questa Corte, infatti, il fluire del tempo costituisce idoneo elemento di diffe-
renziazione delle situazioni soggettive, cosicché non sussiste alcuna ingiustificata disparità
di trattamento per il solo fatto che situazioni pur identiche siano soggette a diversa disci-
plina ratione temporis (sentenze n. 409 del 1998 e n. 18 del 1994). La circostanza che il legi-
slatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, abbia nella specie ritenuto di porre al riparo
dagli effetti della nuova legge non soltanto le controversie per le quali fosse già stato e-
messo il lodo così come una rigorosa applicazione del suddetto principio avrebbe consen-
tito - ma anche quelle in relazione alle quali fosse stata solo notificata, alla data di entrata
in vigore del decreto-legge n. 180 del 1998, l'istanza di accesso ad arbitrato, non può d'al-
tro canto ascriversi a violazione dell'art. 3 della Costituzione in danno di coloro i quali,
alla stessa data, non avevano nemmeno introdotto il giudizio arbitrale».

                                                4
riforma dell’art. 806 c.p.c., portata dal decreto legislativo n. 40 del 2006. Si è
trattato di una novella piuttosto infelice10: nonostante l’assenza di qualsiasi
riferimento nella legge di delega [art. 1, comma 3, lett. b), legge n. 80 del
2005], il legislatore delegato, nell’affermare che la disponibilità del diritto è
unico e sufficiente presupposto per l’arbitrato11, ha voluto far salvo un e-
spresso divieto di legge.
Forse l’intenzione non era esattamente quella di sollecitare il legislatore or-
dinario a prevedere, in tema di diritti disponibili, estemporanei divieti di ar-
bitrato12, o addirittura era quella di escludere la possibilità di divieti intro-
dotti in via soltanto interpretativa 13; fatto sta, però, che il risultato è stato
quello di svincolare la disponibilità del diritto dalla sua libera arbitrabilità,
mentre, in assenza della previsione qui criticata, avrebbe potuto legittima-
mente sostenersi che soltanto intervenendo sul carattere disponibile del di-
ritto il legislatore avrebbe potuto introdurre limiti alla sua libera compro-
mettibilità 14.

         10 Ci permettiamo di rinviare al nostro Contro il divieto di arbitrato su diritti disponibili,

in Giur. it., 2006, p. 1785 ss.

         11  Cfr. G.F. RICCI, Dalla “transigibilità” alla “disponibilità” del diritto. I nuovi orizzonti
dell’arbitrato, in Riv. arb., 2006, p. 265 ss.

         12  V., ad es., la lucida analisi di VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 2°ed., To-
rino, 2006, p. 59 ss., che tuttavia osserva: «i limiti all’arbitrabilità sempre più sono visti
non come conseguenze della indisponibilità dei diritti controversi, ma come frutto di una
scelta del legislatore il quale, sulla base di una valutazione specifica degli interessi in con-
flitto, può escludere talune materie dall’arbitrato». Cfr. anche B OVE, La nuova disciplina
dell’arbitrato, in BOVE e C ECCHELLA, Il nuovo processo civile, Milano, 2006, p. 62.

         13  LUISO e SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 2006, p. 255, ritengono
che scopo della norma sarebbe quello di evitare che divieti di arbitrato in tema di diritti
disponibili possano essere ritenuti in via interpretativa, al di fuori di un esplicito “divieto
di legge”. Anche dinanzi a simile interpretazione, tuttavia, va osservato che comunque la
norma è malamente formulata, perché non sarebbe stato difficile esprimere il concetto
che divieti di arbitrato su diritti disponibili possono derivare soltanto dalla legge: l’art. 806
c.p.c., nell’attuale versione, dice purtroppo una cosa ben diversa.

           14 V. ancora VERDE, op. loc. cit., e, per più ampio discorso, ID., La convenzione di ar-

bitrato, in AA.VV., Diritto dell’arbitrato, a cura dello stesso Verde, 3°ed., Torino, 2005, part.
p. 90 ss.
           Il discorso non viene recepito dalla IZZO, Di sopravvenuta incompromettibilità, soprav-
venuta compromettibilità e ancora una volta sopravvenuta incompromettibilità, cit., la quale, a propo-
sito del divieto introdotto dal decreto-legge n. 180, osserva che «l’intervento del legislato-
re non integra un “mutamento dello stato di fatto o diritto” rilevante ai sensi dell’art. 5
c.p.c., bensì incide sull’unico limite che la compromettibilità per arbitri incontra ai sensi
dell’art. 806 c.p.c., ossia sulla disponibilità della situazione giuridica controversa». (p. 54).
Ci sembra invece evidente – di là dal fatto che nel 1998 vigeva una diversa versione
dell’art. 806 c.p.c. – che la questione posta dal divieto di arbitrato (tanto quello del 1998-
2003, quanto quello della finanziaria per il 2008, passando per il nuovo testo dell’art. 806

                                                   5
Nonostante l’attuale (indubbiamente non felice) formulazione dell’art. 806
c.p.c., occorre peraltro credere che l’imposizione del divieto non sia del tut-
to discrezionale per il futuro (come per il passato) legislatore: il senso della
norma non può esser quello di sopprimere quelle valutazioni di opportuni-
tà, convenienza, ragionevolezza che debbono necessariamente orientarlo al-
lorché si tratti di imporre limiti alla libertà delle parti e all’autonomia nego-
ziale (soprattutto quando quei limiti operino retroattivamente su conven-
zioni già sottoscritte). Non va infatti dimenticato che, anche nel settore che
qui interessa, ogni negozio dispositivo resta in teoria possibile (transazione,
conciliazione, rinuncia etc.), salvo l’arbitrato. Di simile esclusione va indub-
biamente data ragione caso per caso 15, senza poter invocare la copertura
fornita dalla previsione “in bianco” del nuovo art. 806 c.p.c.
Va infatti riaffermato che l’istituto arbitrale trova una copertura costituzio-
nale, sebbene implicita o indiretta secondo la teoria della disponibilità
dell’azione in senso negativo, nel combinato disposto degli artt. 24, comma 1, e
41 Cost., e che quando la Consulta 16 si è trovata a dover decidere della fatti-
specie, in verità del tutto eccezionale, relativa al divieto di arbitrato introdot-
to dal decreto-legge n. 180 ha reso una motivazione (per quanto scarna, ol-
tre che opinabile: v. retro) che, ove fosse già stato vigente il nuovo testo
dell’art. 806 c.p.c., forse non avrebbe fornito, ovvero lo avrebbe fatto in
termini ancor più sintetici ed evasivi.

3. L’art. 3, commi 19, 20, 21 e 22 della legge 24 dicembre 2007, n. 244
(finanziaria per il 2008).
La legge finanziaria per il 200817 – inserendosi in una tendenza che, come si

c.p.c.) è proprio relativa al fatto che la situazione sostanziale resta pienamente disponibile
(sebbene risulti non, o non più compromettibile).

          Cfr. anche NELA, Commento all’art. 806 c.p.c., in Le recenti riforme del processo civile,
         15

Commentario diretto da Chiarloni, II, Bologna, 2007, p. 1585 ss.

         16   Parliamo appunto, ancora, della notissima sentenza n. 376 del 2001.

         17 Si riproduce di seguito, per comodità di lettura, il testo di riferimento:
          «19. È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2,
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di inserire clausole compromissorie in tutti i
loro contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi ovvero, relativamente ai mede-
simi contratti, di sottoscrivere compromessi. Le clausole compromissorie ovvero i com-
promessi comunque sottoscritti sono nulli e la loro sottoscrizione costituisce illecito di-
sciplinare e determina responsabilità erariale per i responsabili dei relativi procedimenti.
          20. Le disposizioni di cui al comma 19 si estendono alle società interamente pos-
sedute ovvero partecipate maggioritariamente dalle pubbliche amministrazioni di cui al
medesimo comma, nonché agli enti pubblici economici ed alle società interamente posse-
dute ovvero partecipate maggioritariamente da questi ultimi.
          21. Relativamente ai contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi già sot-
toscritti dalle amministrazioni alla data di entrata in vigore della presente legge e per le cui

                                                6
vede, non è di particolare favore per l’istituto arbitrale – ha anzitutto previ-
sto il divieto per pubbliche amministrazioni, enti pubblici economici e so-
cietà pubbliche di sottoscrivere clausole compromissorie o compromessi in
relazione a contratti aventi ad oggetto lavori, forniture o servizi. Tale divieto
non è ovviamente retroattivo, ed è presidiato da una duplice sanzione: la
nullità degli accordi di deroga, per contrasto con norma imperativa, e
l’illecito disciplinare con conseguente responsabilità erariale a carico dei
funzionari, responsabili del procedimento, che abbiano operato in contrasto
col divieto (sebbene sia difficile ravvisare, nello specifico caso, una respon-
sabilità erariale in relazione al compimento di un atto che, proprio in quanto
nullo, non potrà produrre effetti “pregiudizievoli” per l’amministrazione).
Il divieto, affermato de futuro, è di tipo generale e riguarda l’intera attività
contrattuale della p.a. avente ad oggetto lavori, forniture o servizi. Non si
pone un problema di tutela dell’affidamento (salva ogni valutazione di op-
portunità sulla scelta legislativa di vietare l’arbitrato in cui sia parte la p.a.
che agisca jure privatorum 18), stante che la disciplina non potrà che interessare
l’attività contrattuale futura.
Quanto ai rapporti in corso, si prevede anzitutto che, se alla data del 30 set-
tembre 2007 (non si comprende come individuata) i collegi arbitrali non sia-
no già costituiti, le p.a. hanno l’obbligo di declinare la competenza arbitrale,
ma ciò soltanto «ove tale facoltà sia prevista nelle clausole arbitrali». La pre-

controversie i relativi collegi arbitrali non si sono ancora costituiti alla data del 30 settem-
bre 2007, è fatto obbligo ai soggetti di cui ai commi 19 e 20 di declinare la competenza
arbitrale, ove tale facoltà sia prevista nelle clausole arbitrali inserite nei predetti contratti;
dalla data della relativa comunicazione opera esclusivamente la giurisdizione ordinaria. I
collegi arbitrali, eventualmente costituiti successivamente al 30 settembre 2007 e fino alla
data di entrata in vigore della presente legge, decadono automaticamente e le relative spe-
se restano integralmente compensate tra le parti.
          22. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni
nella pubblica amministrazione, il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro della giusti-
zia, provvede annualmente a determinare con decreto i risparmi conseguiti per effetto
dell’applicazione delle disposizioni dei commi da 19 a 23 affinché siano corrispondente-
mente ridotti gli stanziamenti, le assegnazioni ed i trasferimenti a carico del bilancio dello
Stato e le relative risorse siano riassegnate al Ministero della giustizia per il miglioramento
del relativo servizio. Il Presidente del Consiglio dei ministri trasmette annualmente al Par-
lamento ed alla Corte dei conti una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni
dei commi da 19 a 23».

         18 Secondo gli ultimi dati ufficiali pubblicati dall’Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture (Relazione annuale 2006, presentata al Senato il 16 lu-
glio 2007), negli arbitrati gestiti dalla Camera arbitrale la percentuale di soccombenza delle
stazioni appaltanti per il pagamento dei compensi agli arbitri è stata del 66,31%, e negli
arbitrati liberi del 65,78%. Ma occorrerebbe valutare se tale spesa per l’amministrazione
non si traduca in un risparmio, atteso che i rapidi tempi di definizione dei giudizi arbitrali
limitano la misura delle condanne nel merito, che interessano sempre debiti di valore.

                                                7
visione si presta a vari ordini di considerazioni, rivelandosi di applicazione
tutt’altro che piana.
In primo luogo, e a differenza di quanto previsto dal decreto-legge n. 180, si
è fatto riferimento non alla notifica della domanda di arbitrato, come sareb-
be stato corretto al fine di individuare i procedimenti arbitrali pendenti 19,
bensì al dato, piuttosto casuale e comunque riferito ad una fase del proce-
dimento successiva al suo inizio in senso tecnico, della costituzione dei col-
legi ad una certa data (peraltro anteriore a quella di entrata in vigore della
finanziaria: 1° gennaio 2008). Le domande di arbitrato, in sé, non sono con-
siderate quale oggetto di disciplina transitoria, sebbene siano il necessario
presupposto per la costituzione dei collegi arbitrali.
A differenza che per gli accordi di deroga successivi al 1° gennaio 2008, nel
caso della declinatoria non è prevista alcuna sanzione a carico dei responsa-
bili del procedimento; e la cosa si spiega, verosimilmente, sul riflesso che la
norma transitoria impone una regola di condotta che, almeno in parte, viene
a collocarsi in un periodo addirittura anteriore all’entrata in vigore della fi-
nanziaria (30 settembre 2007 – 1° gennaio 2008). E’ già cosa piuttosto cu-
riosa la previsione che, in relazione a domande di arbitrato notificate in e-
poca anteriore, le p.a. (apprendano che) avrebbero dovuto obbligatoriamen-
te declinare la competenza arbitrale quando ancora la finanziaria non era legge del-
lo Stato; ma certamente illegittimo sarebbe stato affermare una responsabilità
disciplinare ed erariale in relazione ad una mancata declinatoria che a termi-
ni di contratto era una mera facoltà, e non un obbligo.
In ordine alla declinatoria, si pone poi il problema dell’eventuale decadenza
già maturata; stante che la disciplina transitoria, in esame, non si preoccupa
del tempo in cui siano state notificate le domande di arbitrato, potrebbe ac-
cadere, in un congruo numero di casi, che l’amministrazione non abbia e-
sercitato la facoltà della declinatoria nel termine contrattualmente pattuito;
in tal caso, crediamo che la relativa decadenza non potrà essere “recupera-
ta” in ragione della disciplina transitoria (per quanto retroattiva) della so-
pravvenuta finanziaria per il 2008. Ragion per cui il meccanismo è da legge-
re nel senso che la declinatoria diviene obbligatoria soltanto nei casi in cui
l’amministrazione non sia già decaduta dalla relativa facoltà.
Sorprendente è poi che, nonostante la misura sia stata ufficialmente presen-
tata (sempre sulla stampa) come un provvedimento di irreversibile arresto
per ogni arbitrato nei confronti della p.a., al punto da essere assistita da
un’efficacia retroattiva nei giudizi pendenti sconosciuta ai pur invasivi pre-

        19  V. infatti Arb. Roma, 29 luglio 2004, in Arch. giur. oo. pp., 2005, 70, secondo cui
in tema di arbitrato la nozione di «promuovimento della domanda», quale richiamata
dall’art. 5 c.p.c., non coincide con quella di «pendenza della lite» di cui all’art. 3 d.m. 2 di-
cembre 2000, n. 398, per aversi la quale il collegio arbitrale deve costituirsi in prima con-
vocazione.

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cedenti divieti, l’obbligo della declinatoria riguardi in realtà i soli casi in cui
la facoltà era stata inizialmente prevista negli accordi compromissori. Con la
conseguenza per cui, ove i singoli contratti non avessero previsto la facoltà
per l’amministrazione di declinare la competenza arbitrale, l’intera disciplina
della finanziaria non riuscirà applicabile. Senza contare che, per rendere la de-
clinatoria un obbligo, non serviva certo una legge ordinaria: bastava un
provvedimento di istruzioni ai responsabili del procedimento.
Dalla data della declinatoria – continua la disciplina in esame – «opera e-
sclusivamente la giurisdizione ordinaria». La previsione non va presa alla let-
tera, nel senso di aver stabilito una riserva di giurisdizione del giudice civile
ordinario, giacché in caso contrario essa finirebbe per incidere sul campo di
applicazione (per quanto ridotto) dell’art. 6, comma 2, della legge n. 205 del
2000; occorre quindi intendere per “giurisdizione ordinaria” quella, civile o
amministrativa, che si sarebbe adìta in assenza dell’accordo di deroga.
La disciplina della finanziaria si preoccupa anche dei collegi arbitrali even-
tualmente costituiti (nonostante le tempestive notizie di stampa…) tra la da-
ta del 30 settembre 2007 e quella della sua entrata in vigore (non anche,
stranamente, di quelli costituiti in epoca successiva al 1° gennaio 2008). Tali
collegi decadono “automaticamente”, con integrale compensazione delle
spese. Stante il rapporto di consecutio con la disciplina dettata in relazione ai
collegi non ancora costituiti alla data del 30 settembre 2007, ci sembra al-
trettanto automatica la conclusione secondo cui tale decadenza riguarderà
quei soli casi in cui la clausola compromissoria prevedeva la possibilità della
declinatoria. Può anzi fondatamente sostenersi che i collegi oggetto di deca-
denza ex lege siano soltanto quelli in cui la declinatoria sia stata in effetti esercita-
ta dalla p.a., ciò che varrebbe a limitare il carattere retroattivo della previsio-
ne in coerenza con la sua eccezionalità, secondo il canone interpretativo che
abbiamo prescelto anche in relazione al caso della mancata costituzione dei
collegi entro la data del 30 settembre 2007.
Infatti, altro è imporre per legge all’amministrazione di esercitare una decli-
natoria corrispondente ad una (mera) facoltà contrattuale, altro è “revocare”
per legge un atto di volontaria adesione all’arbitrato che l’amministrazione
ha liberamente esercitato, decidendo di non avvalersi della facoltà di decli-
nare.

4. Qualche rilievo critico.
La disciplina di cui si è dato sommariamente conto induce ad una serie di
considerazioni, anche alla luce della precedente esperienza in tema di divieto
di arbitrato, inaugurata dal decreto-legge n. 180.
Anzitutto, non vi è correlazione tra disciplina a regime (che riguarda, come
detto, l’intera attività contrattuale della p.a. relativa a lavori, forniture e ser-
vizi) e disciplina transitoria, stante che quest’ultima è riferita ai soli casi in
cui le clausole compromissorie già avessero previsto la facoltà, per

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l’amministrazione, di declinare la competenza arbitrale. Il dato
dell’esperienza dice che, nella maggioranza dei casi, tale facoltà non è rico-
nosciuta all’amministrazione; quindi, la disciplina transitoria finisce per inte-
ressare un numero piuttosto limitato di casi, e per di più deve essere ulte-
riormente ristretta, dall’interprete, a quelle sole situazioni in cui la facoltà di
declinatoria (divenuta obbligo) sia ancora esercitabile in relazione ai collegi
da costituire alla data del 30 settembre 2007, ovvero sia stata in concreto e-
sercitata in relazione ai collegi costituiti tra il 30 settembre 2007 ed il 1° gen-
naio 2008.
L’aver assunto, inoltre, quale riferimento per il regime transitorio non la no-
tifica della domanda di arbitrato – che è quanto dire la pendenza del giudi-
zio arbitrale – ma la costituzione dei collegi finisce indubbiamente per crea-
re problemi maggiori di quelli risolti.
Sulla base dell’esperienza del decreto-legge n. 180, il legislatore della finan-
ziaria deve aver ragionato nel senso che la notifica della domanda di arbitra-
to non potesse non richiamare l’applicazione dell’art. 5 c.p.c., secondo una
soluzione già giudicata legittima dalla Corte costituzionale (ordd. n. 11 e n.
122 del 2003). Si è così optato per l’escamotage della costituzione dei collegi,
dettando tuttavia, per il caso della loro avvenuta costituzione, una discipli-
na valida per il solo periodo ricompreso tra il 30 settembre 2007 e la data di
entrata in vigore della legge finanziaria.
Per quanto possa apparire curioso, la costituzione di un collegio arbitrale in
epoca successiva al 1° gennaio 2008 è evento non regolato dalla disciplina
transitoria: come invece sarebbe stato se il legislatore avesse compiuto un
indistinto riferimento ai collegi costituiti dopo la data del 30 settembre, sen-
za prevedere il termine ad quem della «entrata in vigore della presente legge».
Letteralmente interpretata, la disciplina transitoria della finanziaria si occu-
pa, quindi, soltanto di quanto avvenuto prima della sua entrata in vigore,
non anche di quanto accadrà dopo il 1° gennaio 2008. Siamo, cioè, dinanzi
ad un inedito caso di disciplina transitoria soltanto retroattiva, che non si pre-
occupa di regolare quanto avviene dopo l’entrata in vigore della legge del
cui regime transitorio, appunto, si tratta.
Ciò che potrà avvenire anche dopo la data di entrata in vigore della fina n-
ziaria è la declinatoria, da parte dell’amministrazione, della competenza arbi-
trale, nel caso di collegi non ancora costituiti alla data del 30 settembre
2007; ma, anche in tal caso, occorrerà verificare se, al momento dell’entrata
in vigore della disciplina in esame, l’amministrazione non fosse già decaduta
dalla relativa facoltà contrattuale.
Se ne deduce che, in rapporto al precedente costituito dal decreto-legge n.
180, la prospettiva di sfavore per l’istituto si è di molto implementata: quel
decreto ha leso la tutela dell’affidamento sotto il profilo sostanziale, cadu-
cando clausole compromissorie valide ed efficaci, ma ha salvaguardato il
profilo processuale dell’arbitrato con salvezza tanto dei lodi emessi quanto

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delle domande di arbitrato già notificate. La legge finanziaria per il 2008
non ha salvaguardato neppure i collegi costituiti, sia pure con una previsio-
ne problematica di tipo retroattivo, che oltre alla tutela dell’affidamento vio-
la apertamente il principio dell’art. 5 c.p.c. (che è quanto dire: il profilo so-
stanziale e quello processuale), e senza disciplina dei casi che si porranno
dopo il 1° gennaio 2008.
L’irragionevolezza del complessivo intervento è del tutto evidente, né, cre-
diamo, esso potrà essere giustificato – come nel caso della sentenza n. 376
del 2001 – sul riflesso dello scorrere del tempo come idoneo elemento di differenzia-
zione delle situazioni soggettive: non può infatti giustificarsi una disciplina che
diversifichi il trattamento del collegio costituito nel dicembre 2007 in rap-
porto a quella del collegio costituito nel gennaio 2008, allorché si prescinda
dalla data di notifica della domanda di arbitrato (e così dalla pendenza “tec-
nica” del singolo procedimento), giacché la costituzione del collegio è dato
del tutto indipendente dalla quella notifica, e del tutto incontrollabile da chi
assunto l’iniziativa del procedimento. Il principio della perpetuatio jurisdictionis
non garantisce il giudice, prorogando la sua competenza, ma la parte attrice:
questa deve avere la certezza che il giudice correttamente individuato
dall’atto introduttivo non perda la sua legittimazione in ragione di successivi
mutamenti dello stato di fatto o di diritto. Così correttamente inteso, il
principio non può che operare anche per il giudice privato, del tutto pre-
scindendo dalla circostanza che esso sia titolare di una competenza “in sen-
so tecnico”.
Un discorso a parte interessa, poi, la previsione del risparmio di spesa deri-
vante dal divieto e così dal mancato pagamento dei compensi ai collegi arbi-
trali (art. 3, comma 22) e l’assegnazione delle corrispondenti risorse econo-
miche all’amministrazione della giustizia «per il miglioramento del relativo
servizio»20. Da molti anni, infatti, si predica che il miglioramento di tale ser-
vizio, la cui crisi di efficienza non deve essere dimostrata, deve realizzarsi
anche con misure di deflazione che vanno dalla previsione di strumenti al-
ternativi di risoluzione del contenzioso all’introduzione di “filtri” condizio-
nanti l’accesso al giudice; desta quindi stupore che, nel caso dell’arbitrato in
cui sia parte la p.a., la tendenza sia invece quella di “riflazionare” la giustizia
civile ordinaria per contenziosi delicati e complessi, tradizionalmente ed e-
lettivamente assegnati alla giustizia privata. Senza contare che il risparmio di
spesa può – anche seguendo le più ottimistiche previsioni – scaricarsi su e-
sercizi successivi, a fronte di un accesso alle sezioni specializzate (lo vedre-
mo nel paragrafo che segue) che non potrà non essere immediato.

5. Il decreto “milleproroghe” di fine dicembre 2007.
La situazione – già irragionevole e confusa – si è ulteriormente complicata a
seguito dell’entrata in vigore, il 31 dicembre 2007 (e quindi un giorno prima

       20   V. peraltro retro, nota n. 18.

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della legge finanziaria!) del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante
Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia fi-
nanziaria (il tradizionale “decreto milleproroghe” di fine anno), il cui art. 15,
rubricato Disposizioni in materia di arbitrati, prevede che «al fine di consentire
la devoluzione delle competenze alle sezioni specializzate di cui all’articolo
1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, le disposizioni di cui
all’articolo 3, commi 19, 20, 21 e 22, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si
applicano dal 1° luglio 2008». E’ il solito fenomeno della legge che entra in
vigore, ma non è efficace (e forse mai lo sarà nella versione già entrata ine f-
ficacemente in vigore).
La ratio della norma è quella di devolvere (evidentemente, con successivo
provvedimento legislativo: nella catena si preannunzia l’innesto di un ulte-
riore anello) alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed
intellettuale istituite presso i tribunali e le corti d’appello di Bari, Bologna,
Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste
e Venezia, le competenze in tema di arbitrato in cui sia parte la p.a., che
vengono così riassorbite dalla giurisdizione ordinaria (salvo, evidentemente,
il caso dell’art. 6, comma 2, della legge n. 205 del 2000). La scelta di tali se-
zioni specializzate – che dovrebbe, in realtà, formare oggetto di assegnazio-
ne tabellare interna al singolo ufficio giudiziario – si giustifica forse per la
loro giovane età, e per l’attuale scarso carico dei ruoli: ma il legislatore (an-
che quello frettoloso dei provvedimenti dell’ultim’ora …) dovrebbe sapere
che, di norma, i giudici addetti alle sezioni sono tabellarmente assegnati an-
che a sezioni ordinarie. Ed è questo il dato che davvero conta ai fini della
valutazione dei carichi di ruolo.
La devoluzione alle sezioni è disciplina che dovrebbe in primo luogo inte-
ressare l’attività contrattuale futura, quella cioè cui si riferisce il divieto di
convenire clausole compromissorie o sottoscrivere compromessi nei con-
tratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi successivamente all’entrata
in vigore della finanziaria per il 2008 (e, ora, del decreto milleproroghe).
Sennonché il rinvio al 1° luglio 2008 riguarda anche le disposizioni transito-
rie, di cui sopra s’è fatto rapido cenno. Un approccio razionale avrebbe in-
vece suggerito di sganciare la disciplina a regime da quella transitoria (riferi-
te ad oggetti almeno in parte diversi), che risulterà di ancor più problemati-
ca lettura ed applicazione vuoi per il riferimento, immutato, ai collegi non
ancora costituiti alla data del 30 settembre 2007, vuoi per quello ai collegi
costituiti tra il 30 settembre 2007 ed il 1° gennaio 2008 (senza alcuna previ-
sione per il futuro: sia della finanziaria, sia del milleproroghe).
L’impressione, nonostante le dichiarazioni ancora una volta affidate alla
stampa 21, è che il “pasticcio” – perché non di altro si tratta – dovrà condur-
re il legislatore a rivedere funditus l’intera materia, stante che la situazione at-

          21 Cfr. l’articolo a firma di V. U VA dal titolo Rinviata di sei mesi la fine degli arbitrati,

in Il Sole-24 Ore del 29 dicembre 2007, p. 2.

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tuale (qualsiasi responsabile del procedimento non potrà che essere assai
preoccupato…) rischia di indurre un generalizzato blocco di fatto del conten-
zioso arbitrale, che dovrebbe invece caratterizzarsi – in alternativa alla giu-
stizia ordinaria – proprio per tempestività ed efficienza. Blocco in ogni caso
ingiustificato perché, a tutto concedere, la disciplina transitoria della fina n-
ziaria continua a riguardare i soli casi in cui le clausole compromissorie pre-
vedevano la facoltà di declinatoria per l’amministrazione.
Del resto, un legislatore che detta discipline transitorie soltanto retroattive –
in reiterata violazione della tutela dell’affidamento – rischia quantomeno di
creare un clima di grave incertezza, nel quale gli operatori, non avendo ga-
ranzie circa la legittimità del loro operato, preferiranno restare immobili, o
muoversi il meno possibile.
L’operato del legislatore, tra finanziaria e milleproroghe, ricorda molto da
vicino il fenomeno della “sentenza suicida”: quello che Calamandrei22 defi-
niva «più che una slealtà, un atto di sedizione», perché il giudice estensore,
nel mettere in luce i motivi atti a screditare la decisione collegiale, agisce
«col proposito di far capire agli accorti lettori che la sentenza è ingiusta, e di
mettere in bocca ai giudici di appello gli argomenti per riformarla».

        22 Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 4°ed. (1959), ristampa anastatica con intro-

duzione di Barile, Milano, 2006, p. 184 ss.

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