Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico
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Studi e Note di Economia Anno XIII, n. 3-2008, pagg. 497-524 Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico* SEBASTIANO NEROZZI** This paper analyzes the process of economic cooperation between the European Union and 12 Mediterranean Countries, associated with the Euro- Mediterranean Partnership (EMP) and provides a critical assessment of the debate around its outcomes and shortcomings. After a brief description of the institutional framework set up under the auspices of the Barcellona Declaration (1995), we provide an evaluation of the Mediterranean coun- tries’ economic performances and of their changing social conditions and standard of living. Then we discuss the impact of European trade and foreign investments upon the Southern EMP countries and examine current criticism concerning the failure of the EMP strategy in building an area of shared pro- sperity and in fostering a steady growth of employment and social welfare. Our main conclusion is that low European financial support, ill designed trade policies and too a restrictive immigration policy must be corrected in order to foster the achievement of EMP’s declared aims. (J.E.L.: F13, F15, F22, F55, R11) Introduzione La civiltà europea è indissolubilmente legata al Mediterraneo. Per almeno quattro millenni i popoli del Mediterraneo hanno intessuto fra di loro una fitta rete di relazioni e scambi, con un flusso ininterrotto di beni e persone, ed una feconda e reciproca contaminazione in termini di conoscenze, tecnologie, gusti alimentari e artistici, modelli politici e sociali, idee filosofiche e reli- giose. I grandi conflitti e i grandi commerci che hanno contribuito alla for- mazione della cultura e della prosperità europea hanno avuto, almeno fino al XVI secolo, il loro epicentro nel Mediterraneo. A partire dalla scoperta dell’America e poi con l’apertura di nuove strade, il mare nostrum ha assistito tuttavia ad un forte ridimensionamento del suo * Una versione modificata di questo scritto è stata pubblicata negli atti del Seminario di Studi, tenutosi a Pistoia il 5 Giugno 2007, dal titolo Europa e Mediterraneo. Politica, Economia, Religioni, a cura di A. Cortesi, Firenze: Nerbini, 2008. Desidero ringraziare Leonardo Menchini, Vito Pipitone, Giorgio Ricchiuti e Alberto Tulumello per i loro consigli e commenti. Naturalmente ogni errore ed omissione è da attribuir- si alla sola responsabilità di chi scrive. ** Università di Palermo, Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento di Studi Europei e dell’integrazione internazionale. E-mail: nerozzi@sciepol.unipa.it.
498 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 ruolo. Molti eventi e processi della storia europea più recente – dalle guerre di religione, alla costruzione degli stati moderni, alle rivoluzioni industriali e politiche del XIX e XX secolo – hanno avuto origine fuori del Mediterraneo e sono giunti a lambirne le sponde con decenni o secoli di ritardo. Mentre le forze tettoniche all’opera sui suoi fondali continuavano quasi impercettibil- mente a spingere l’una verso l’altra la sponda Nord e quella Sud, le forze eco- nomiche, politiche e culturali producevano una drammatica divaricazione fra le condizioni e gli stili di vita dei popoli che vivono su di esse. È certamente a partire dalla rivoluzione industriale che i Paesi europei (seppur con forti differenziali fra loro e fra singole regioni al loro interno) hanno cominciato a sperimentare un deciso aumento del tenore di vita delle popolazioni e un’accelerazione dei processi di mutamento sociale e politico, mentre i Paesi del Mediterraneo rimanevano ancorati ai tradizionali modi di produzione e di organizzazione sociale. Nuovi legami fra le due sponde sono stati avviati nella stagione del capitalismo coloniale, con le grandi nazioni europee impegnate a contendersi il dominio sulle varie zone della sponda Sud ed Est, formalmente sottoposte all’Impero Ottomano: la Francia nel Maghreb, l’Italia in Libia, l’Inghilterra in Egitto, mentre il Medio Oriente rimase a lungo terreno di scontro fra le maggiori potenze del tempo. Aveva così origine quel processo di dipendenza economica, finanziaria e commer- ciale fra singoli Paesi della sponda Sud e singole potenze coloniali che anco- ra oggi costituisce, nonostante l’avvenuta decolonizzazione, il tratto saliente delle economie che si affacciano sulla sponda Sud e che gli economisti descrivono come modello di sviluppo centro-periferia (Hub and Spoke). Anche a causa di questi processi, la caratteristica oggi più evidente dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo è data dalle loro marcate differenze politiche, economiche, culturali, religiose, che nel tempo si sono sovrapposte a quelle climatiche e geomorfologiche. Il Mediterraneo appare una sorta di confine allargato fra aree decisamente più omogenee al loro interno: l’Europa mediterranea, i Balcani, il Medio Oriente, l’Africa sahariana, il Maghreb. Questa grande varietà presente nel Mediterraneo costituisce una parte impor- tante del suo fascino e, al tempo stesso, della sua debolezza. Sullo scorcio del secolo XX alcuni elementi sono subentrati a dare nuova rilevanza al Mediterraneo come area economica e geopolitica a sé stante: il processo di unificazione europea ha posto il problema dei confini dell’Unione stessa e dell’opportunità di superare i tradizionali rapporti bila- terali a favore di nuove relazioni multilaterali con i Paesi e le aree vicine; i conflitti ancora aperti in Medio Oriente e l’insorgere dei fondamentalismi hanno indotto a considerare i problemi della sicurezza e della cooperazione politica in un ambito più ampio; la crescita del fenomeno migratorio e i feno- meni di globalizzazione commerciale e finanziaria hanno prodotto una mag- giore consapevolezza dei rischi connessi ad una crescente marginalizzazione economica di questa regione.
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 499 Con la conferenza di Barcellona del 1995, gli allora 15 membri dell’Unione Europea e 12 Paesi del Mediterraneo – dalla Turchia al Marocco (ad esclusione della Libia, allora sotto embargo) – hanno deciso di dar vita al cosiddetto Partenariato Euro Mediterraneo con l’obiettivo di sostenere un processo di accelerata convergenza in termini sociali, economici e politici, dando vita ad un’«area di sicurezza, stabilità, prosperità condivisa». Dopo oltre un decennio dalla firma degli accordi si cerca da più parti di valutare quali siano stati i risultati di questo processo di cooperazione e quali pro- spettive vi siano oggi per il futuro dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il Partenariato Euro-Mediterraneo (EMP) Nel novembre 1995 la Conferenza di Barcellona ha dato avvio ad una fase inedita nelle relazioni fra Europa e Mediterraneo. Si erano da poco conclusi gli accordi di Oslo fra israeliani e palestinesi ed una nuova era di pace sem- brava ormai aperta. Quell’importante risultato alimentava un clima di gene- rale ottimismo: la guerra fredda era terminata e il mondo stava assistendo ad una vivace crescita economica, trainata dall’accelerazione dei processi di globalizzazione e dai fasti della new economy. Le economie capitalistiche avevano vinto il loro lungo braccio di ferro con i sistemi socialisti e adesso si lanciavano in un’entusiastica campagna per portare al mondo la ‘buona novella’ del mercato: grazie ai processi di apertura commerciale e finanzia- ria, alla privatizzazione delle imprese statali, alla deregolamentazione di eco- nomie gravate da forti vincoli politici, commerciali, fiscali, sindacali, era possibile per tutti i Paesi, o almeno per quelli più ‘virtuosi’, accedere ad una nuova era di sviluppo e di benessere. La creazione di un mercato mondiale dei beni e dei capitali, la circolazione sempre più rapida delle informazioni e delle conoscenze tecnologiche, avrebbero permesso anche ai Paesi più pove- ri di valorizzare le loro specializzazioni produttive per conquistare una fetta del mercato globale, far crescere le loro economie e avvicinarsi ai livelli di benessere del mondo sviluppato. Anche per il Mediterraneo sembravano potersi aprire nuove prospettive di stabilizzazione politica e di sviluppo economico. L’Europa desiderava porsi come soggetto politico sullo scenario internazionale: la tragedia delle guerre balcaniche (1991-1995) aveva aperto una ferita lacerante nel sogno di un’Europa finalmente unita e pacificata; una coraggiosa politica di “allarga- mento ad Est” appariva necessaria per accompagnare la transizione econo- mica e politica dei Paesi un tempo inclusi nella “cortina di ferro” e favorire una loro maggiore integrazione con l’Europa occidentale. Allo stesso tempo questo disegno rischiava di spostare decisamente verso Oriente l’asse dell’Unione Europea, marginalizzando i Paesi Sud-occidentali che si affac- ciavano sul Mediterraneo. Ecco dunque la necessità di ampliare il raggio d’a-
500 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 zione della UE anche verso Sud, includendo tutto il Mediterraneo sotto l’om- brello delle relazione privilegiate della UE e favorendo l’integrazione econo- mica e politica fra le sue due sponde1. Il compito non appariva dei più facili. I regimi politici dell’area appariva- no disomogenei fra loro e distanti dagli standard di democrazia, trasparenza e rispetto dei diritti umani affermatisi sul continente europeo; i lunghi con- flitti e il passato coloniale li rendevano ben poco propensi a collaborare fra loro. I livelli di vita fra le due sponde erano nel 1995 decisamente lontani: il PIL pro-capite dei Paesi della sponda Sud-Est era mediamente il 23% di quel- lo prevalente nella UE2 e circa il 22% della popolazione viveva al di sotto della linea internazionale di povertà fissata in 2 dollari al giorno3. L’indice di povertà umana (HPI) restituiva un quadro ancora più drammatico, caratteriz- zato da aspettative di vita, livello di istruzione e di standard di vita molto bassi (UNDP, 1997)4. La situazione dei Paesi della sponda Sud-Est era il risultato di un processo di sviluppo marcatamente discontinuo, che aveva visto le loro economie crescere speditamente nel ventennio 1960-1980 e con- vergere, seppur da una notevole distanza, verso i livelli di vita dei Paesi più sviluppati. Tuttavia a partire dai primi anni Ottanta questa tendenza si era invertita ed era seguito un decennio di stagnazione e di gravi crisi economi- che e finanziarie. I programmi di aggiustamento strutturale imposti negli anni Ottanta e Novanta dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale a molti Paesi dell’area, avevano sì ottenuto importanti risultati in termini di stabilizzazione monetaria e finanziaria, al prezzo però di una forte riduzione della spesa sociale da parte dei governi, un drastico aumento della disoccupazione e un peggioramento di tutti gli indici di povertà5. Di fronte a questo quadro di stagnazione economica, esclusione sociale ed instabilità politica, la creazione del Partenariato Euro-Mediterraneo (EMP) nel 1995 ha aperto un fronte di cooperazione molto ampio che riguarda non solo l’economia, ma anche la promozione sociale e culturale, le istituzioni politiche e la sicurezza dell’area. L’asse portante di tutta l’EMP è la coopera- zione economica e finanziaria (EFP), alla quale è stato destinato circa il 90% delle risorse messe a disposizione dalla Commissione Europea. Essa è a sua volta Suddivisa in tre aree di intervento: gli accordi di associazione commer- ciale (EMAA) (Tab. 1), la cooperazione economica e l’assistenza finanziaria. 1 The Barcellona declaration, 28/11/1995, in http://ec.europa.eu/comm/external_relations/ euromed/bd.htm. 2 Nsouli 2006: 6. 3 Carli e Ferragina 2005: 175. 4 L’indice di povertà umana (HPI: Human Poverty Index) è un indice introdotto dall’Human Development Report del 1997 e composto di tre indicatori: percentuale di popolazione con speranza di vita inferiore ai 40 anni, percentuale di adulti analfabeti, standard di qualità della vita, a sua volta calcolato come media fra le percentuale di popolazione che non ha accesso ad acqua potabile e percentuale di bambini sottope- so (cfr. Ferragina 2006: 149). 5 Ibidem: 146.
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 501 Tab. 1 - Accordi di Associazione Euro-Mediterranei (EMAA). Firma Entrata in vigore Firma Entrata in Vigore Algeria 2001 2005 Libano 2002 2006 Autorità Palestinese 1997 Malta 2004 (Ingresso UE) Cipro 2004 (Ingresso UE) Marocco 1996 2000 Egitto 2001 2004 Siria 2004 Giordania 1997 2002 Tunisia 1995 1998 Israele 1995 2000 Turchia 1995 1995 Gli EMAA sono accordi bilaterali fra la UE e i singoli Paesi che prevedo- no l’abbattimento delle tariffe doganali e delle restrizioni quantitative al com- mercio per quanto riguarda soprattutto i prodotti industriali. I singoli EMAA sono pensati come tappe intermedie del cammino verso la realizzazione nel 2010 di un’Area di Libero Scambio comprendente i Paesi della sponda Sud e gli attuali membri della UE. Nel 2004 l’allargamento dell’Europa, ha por- tato la UE da 15 a 27 membri con l’inclusione di due Paesi già partecipi nell’EMP (Cipro e Malta) e la domanda di accesso della Turchia. L’Area di libero scambio, con 37 Paesi e una popolazione di 800 milioni di abitanti, costituirebbe dunque uno dei mercati più grandi del mondo. Al fine di aumentare la competitività e la produttività dei singoli Paesi ogni accordo commerciale è stato accompagnato da un piano di Cooperazione tecnica ed economica bilaterale volto a favorire lo scambio di informazioni, l’assistenza tecnica e industriale necessaria ad agevolare gli investimenti produttivi. A ciò si affiancano piani di cooperazione multilate- rale su scala regionale volti a favorire la cooperazione in vari campi di inter- vento: industria, ambiente, gestione delle acque, informazione, energia, com- merci, trasporti ed agricoltura6. Il sostegno finanziario predisposto nel quadro del programma MEDA e i prestiti della European Investment Bank (EIB) costituiscono il terzo pilastro di questa strategia. Il programma MEDA ha l’obiettivo non solo di favorire l’impiego da parte dei Paesi EMP di nuove tecnologie e l’ammodernamento produttivo, ma anche di aiutare i governi dei Paesi coinvolti ad affrontare gli inevitabili costi di aggiustamento dovuti all’abbattimento delle tariffe doga- nali, alle riforme della pubblica amministrazione, ai processi di privatizza- zione e ristrutturazione industriale. A tali scopi il programma MEDA I (1995- 2000) ha stanziato 3,435 miliardi di euro, e il programma MEDA II (2001- 2006) ha aumentato tale dotazione, aggiungendo 5,350 miliardi di euro, per un totale dunque di quasi 9 miliardi a fondo perduto. Nel frattempo la EIB ha concesso prestiti per un ammontare di circa 14 miliardi di euro7. 6 Brach 2006: 11. 7 Brach 2006: 12; European Commission (2002).
502 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 Secondo la visione espressa dalla carta fondativa della EMP, l’accesso pri- vilegiato ad un mercato così ampio come quello della UE avrebbe dovuto recare ai Paesi della sponda Sud-Est molteplici benefici. L’opportunità di sfruttare le potenzialità commerciali del mercato europeo avrebbe attirato un flusso crescente di investimenti esteri diretti, incentivando il trasferimento di tecnologie avanzate verso i Paesi della sponda Sud ed aumentando la produt- tività e la competitività del lavoro; ciò avrebbe a sua volta comportato una maggiore crescita ed una maggiore occupazione, producendo non solo bene- fici effetti sugli indicatori sociali e la lotta alla povertà, ma anche un ulterio- re stimolo per gli investimenti e l’ammodernamento dell’apparato produtti- vo. L’apertura commerciale, attraverso gli EMAA e la costruzione dell’Area di Libero Scambio avrebbe dunque innescato un circolo virtuoso che, pas- sando attraverso un miglioramento delle condizioni di produzione, avrebbe immesso il Paese in un sentiero di crescita stabile e sostenuto. Il migliora- mento del benessere e la riduzione della povertà ne sarebbero derivate come conseguenza8. A dodici anni dalla conclusione degli Accordi di Barcellona è possibile valutare quali siano stati i risultati del processo da essi avviato. Un’analisi, per quanto generale e necessariamente incompleta, delle economie mediter- ranee per come si presentano oggi costituisce una base di partenza essenzia- le per comprendere quale sia stato l’impatto dell’EMP e quali prospettive si aprano per il futuro dell’area mediterranea. 2. Le economie del Mediterraneo negli anni del Partenariato Il primo obiettivo del Partenariato era, come si è visto, il sostegno della crescita economica e l’avvio di un processo di convergenza dei Paesi della sponda Sud con le economie europee. In effetti, il tasso di crescita registrato da molte economie mediterranee nel periodo 1995-2000 è stato notevole, con livelli compresi fra il 2 ed il 5%. Nel periodo successivo esso ha visto forti oscillazioni, con crescita negativa in alcuni anni per alcuni Paesi come la Turchia, ma con tassi mediamente superiori al 3%, ben al di sopra dei livelli Europei9. La stagnazione degli anni 1985-1995 appariva dunque superata: nonostante l’accentuata volatilità, la crescita media negli anni successivi agli Accordi di Barcellona ha avuto un deciso incremento (Tab. 2)10. Un parte fondamentale della crescita delle esportazioni e del PIL è dovu- 8 Brach 2006: 9. European Commission (1995). 9 A seconda dei casi il confronto dei dati economici dei Paesi MED viene effettuato con i dati medi dei Paesi EU, oppure con quello dei tre Paesi UE che si trovano sulla sponda Nord-Occidentale del Mediterraneo: Italia, Francia, Spagna. Questo limite dipende dall’eterogeneità di metodi utilizzati nel- l’ampia letteratura consultata ai fini di questo scritto. Si è ritenuto opportuno non fondere i due criteri, ma indicare con precisione a quali aree geografiche facciamo di volta in volta riferimento. 10 Daniele 2005: 67. Elaborazione su dati World Bank [2005].
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 503 ta al drammatico aumento del prezzo del petrolio, che ha stimolato la produ- zione e ha fatto aumentare di circa l’80% le esportazioni. L’aumento degli investimenti e dei consumi pubblici derivanti dai maggiori introiti legati al petrolio hanno trainato la crescita soprattutto in Algeria, Siria e Libia in paral- lelo con quanto accadeva in altri Paesi del Medio Oriente, quali ad esempio l’Iran, gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita11. Un ruolo minore nell’incremento delle esportazioni lo hanno avuto l’agri- coltura e il settore manifatturiero, soprattutto l’industria tessile e dell’abbi- gliamento: in quest’ultimo campo le ristrettezze del mercato europeo nel 2003-2004 e le prospettive legate alla fine nel 2005 della moderata protezio- ne permessa dall’accordo Multifibre hanno condizionato negativamente le esportazioni soprattutto per i Paesi che, come il Marocco e la Tunisia, hanno ridotto i loro investimenti nel settore12. L’aumento del turismo e delle rimes- se degli emigrati ha avuto invece un ruolo importante nella crescita di Egitto e Giordania nel 2003-200413. L’aumento del tasso di crescita del PIL è dunque in parte legato a un fat- tore esogeno, ma anche fortemente instabile, quale l’aumento del prezzo del petrolio. Ciò pone due problemi fondamentali: in che misura questa crescita si è trasformata in un aumento di benessere per le popolazioni e in che misu- ra si può prevedere che tali tassi di crescita possano perdurare nel futuro? Nel decennio 1995-2005 una serie di indicatori economici, sociali e demografici indicano un miglioramento nelle condizioni generali di vita della popolazione, seppur in un quadro costellato da luci ed ombre e molto diffe- renziato da Paese a Paese. Per quanto riguarda il PIL pro-capite, si può notare come vi sia stata da parte dei Paesi della sponda Sud un’accelerazione della crescita nel periodo successivo al 1995, con un tasso di aumento medio prossimo all’1,5%, che però nasconde importanti differenze fra i singoli Paesi: mentre Algeria, Egitto, Marocco e Turchia hanno visto nell’ultimo decennio una crescita annua compresa fra il 3 e l’1%, altri Paesi rimangono sostanzialmente sta- gnanti (Tab. 2). In ogni caso tale modesta accelerazione non ha dato signifi- cativi risultati in termini di convergenza con la sponda Nord, il cui PIL pro- capite ha continuato a crescere ad una velocità superiore al 2% (Tab. 2). Il livello relativo del PIL pro capite nei Paesi della sponda Sud continua dun- que ad essere circa il 20% di quello dei Paesi della Sponda Nord, senza signi- ficativi cambiamenti rispetto al 199514. Soltanto un’accelerazione del proces- so di crescita del PIL pro-capite nel lungo periodo può sostenere una conver- genza reale verso gli standard di vita della popolazione europea. 11 World Bank 2004. Elaborazioni su dati World Bank, World Development Indicators, 2003. 12 Radwan e Reiffers 2006: 39-40. 13 World Bank 2004: 10-11. 14 Nsouli 2006: 6.
504 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 Tab. 2 - Crescita, produttività, occupazione 1 2 3 4 5 PIL reale Popolazione PIL pro-capite PIL per Tasso di incremento (milioni) Incremento occupato disoccupazione medio annuo Dati UN medio annuo Incremento (ILO) (IMF, 2005) (IMF 2005) medio annuo % Elaborazioni su dati GDC 1995 2000 1990 2005 2020 1990 1996 1990 1996 1990 2003 2000 2004 1995 2003 1995 2003 Algeria 3,2 4,2 25,3 32,8 40,6 -2,0 1,9 -4,0 -0,2 19,8 27,3 Egitto 5,7 3,9 55,6 74,0 94,8 -0,4 2,8 -1,0 1,8 8,6 11 Israele 4,9 2,4 4,5 6,7 8,2 3,1 0,7 2,0 -0,6 9,6 10,7 Giordania 3,6 4,8 3,2 5,7 7,5 1,3 0,5 -2,7 -0,4 - - Libano 3,0 2,9 2,7 3,5 4,1 - - - - - - Libia 1,6 3 4,3 5,8 7,5 - - - - - - Marocco 2,0 3,8 24,6 31,5 38,3 -1,2 1,1 -1,5 0,5 15,8 11,9 Siria 4,3 2,9 12,8 19,0 26,6 5,1 0,1 3,5 -1,2 - 11,7 Tunisia 5,1 4,5 8,2 10,1 11,6 - - - - 15,3 14,3 Turchia 4,5 4,3 57,3 73,1 86,7 1,4 1,3 1,1 2,6 8,0 10,5 Media/Totale 3,7 3,6 198,5 262,2 325,9 0,36 1,54 -0,3 0,3 12,8 13,9 Francia 2,6 2 56,7 60,4 62,9 0,6 1,9 1,2 0,9 9,2 9,7 Italia 2,1 1,3 56,7 58,0 57,1 1,1 1,4 - 0,2 11 8,7 Spagna 3,7 2,9 39,3 43,0 44,4 1,3 3,4 - -0,2 16 11,3 Media/Totale 2,8 2 152,7 161,4 164,4 0,93 2,11 1,2 0,3 12 9,9 I dati riprodotti nelle colonne 1, 3, 4 sono tratti da Daniele 2006: 83-84; i dati della colonna 2 sono tratti da Bonerba, Di Comite e Girone 2006: 30; per la colonna 5 cfr. Ferragina 2006: 177. Per quan- to riguarda la colonna 3 le medie sono ponderate per la popolazione15. Il lieve miglioramento del PIL pro-capite, laddove si è verificato, è stato possibile grazie all’aumento dei PIL nazionali, ma anche al contemporaneo processo di stabilizzazione della crescita della popolazione (Tab. 2): negli ultimi anni i Paesi del Mediterraneo hanno visto infatti un certo declino dei tassi di natalità, accelerando dunque il processo di convergenza della struttu- ra demografica della popolazione verso quella europea. I benefici effetti di questo processo si vedranno soprattutto nel lungo periodo: per il momento la crescita demografica pone ancora problemi molto seri per i Paesi dell’area. 15 Ove non diversamente specificato, la media è da intendersi come media dei valori nazionali (es. una media X delle variazioni dei PIL nazionali indica che in media il PIL dei singoli Paesi varia di X e non che il PIL di tutta la regione varia di X).
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 505 Mentre infatti la popolazione si sta lentamente stabilizzando16, la forza lavo- ro sta aumentando a ritmi superiori al 3% annuo, sia per effetto delle nascite ancora alte negli ultimi due decenni (più di un terzo della popolazione, circa 100 milioni di persone, ha meno di 15 anni), sia per effetto della maggiore partecipazione delle donne alla forza lavoro (che è oggi circa 1/4 del totale della forza lavoro rispetto ad un 1/3 nella UE): di conseguenza, la disoccu- pazione è molto alta soprattutto nelle aree urbane e fra i giovani. I tassi di disoccupazione variano dal 30% dell’Algeria al 15-18% di Tunisia, Marocco, Libano, Giordania, al 9-12% di Egitto, Israele, Turchia, Siria (Tab. 2). Tuttavia, la situazione è ancora più grave nelle fasce giovani- li: al di sotto dei 25 anni il tasso di disoccupazione sale al 50% in Algeria, mentre in Tunisia e Marocco al 25-30%17. I tassi di disoccupazione femmini- Tab. 3 - Condizioni monetarie e finanziarie. 1 2 3 4 Tasso di Deficit Pagamento Interessi inflazione pubblico interessi su sul debito % PIL % PIL Debito estero pubblico in % delle in % della esportazioni spesa pubblica (Wordl Bank, 2005) 1995 1998 2004 2005 1995 2002 2003 2004 1995 2003 1995 2003 1998 2002 1998 Algeria 16,1 2,7 3,6 3,5 -1,4 0,2 5,1 2,4 33 17,7 13 12 Egitto 7,9 2,7 8,1 8,8 0,9 -5,8 -6,1 -5,9 11 13,3 26 - Israele 8,9 3,7 -0,4 1,2 -5,0 -3,0 -3,1 -4,0 19,7 21,1 - 10 Giordania 4,1 1,6 3,4 3,7 0,3 4,1 -2,3 -3,9 16,0 23,5 11 8 Libano 7,7 -0,8 3,0 2,0 -18,3 -11,8 -14,5 -8,2 - 21,7 - 53 Libia Marocco 3,2 1,7 1,5 2,0 -5,6 -4,3 -3,6 -4,4 28,8 14,2 21 - Siria 4,3 -0,9 4,6 10 -4,2 -3,4 -2,7 - 6,0 3,2 - - Tunisia 4,2 2,7 3,6 2,9 -3,2 -3,5 -3,5 -2,8 16 15,1 13 10 Turchia 84,7 60,8 10 8,4 -4,1 -15,2 -11,3 -8,1 23 34,9 13 - Media 7,7 1,6 3,4 4,2 -4,2 -6,6 - 5,2 -5,1 18.4 16,8 16,1 10 Tab. 3 - Dati da Radwan e Reiffers 2006, Appendice Statistica (colonne 1-3) e Marra 2006: 112 (colonna 4). I valori medi per l’area sono stati calcolati senza considerare alcuni Paesi che presen- tano scostamenti particolarmente evidenti: per l’inflazione si è esclusa la Turchia; per il deficit e gli interessi sul debito il Libano. 16 La popolazione Europea sta invecchiando rapidamente e il suo ammontare si sta riducendo al punto tale che il saldo fra morti (8,1 milioni annui) e nascite (7,3 milioni) provoca una perdita netta di quasi 1 milio- ne di persone ogni anno. Le proiezioni della World Bank 2005 prevedono per il periodo 2003-2015 un tasso di crescita prossimo allo zero per l’Europa e del 1,7% per quanto riguarda i Paesi MED (cfr. Radwan e Reiffers 2006: p. 80). 17 Tassi di disoccupazione così alti scontano tuttavia l’esistenza di un settore informale molto ampio. In questi ultimi anni i tagli alle spese delle pubbliche amministrazioni hanno provocato il licenziamento di molti lavoratori dal settore regolare che hanno trovato, almeno in parte, uno sbocco nel settore informale, spesso in condizione di sotto-occupazione (cfr. Menchini 2004).
506 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 le sono di circa il 4,5% più alti di quelli maschili. Se si esclude l’Africa sub- sahariana, si tratta dei tassi di disoccupazione più alti del mondo. Inoltre, negli ultimi anni il tasso di disoccupazione è aumentato in molti Paesi (Tab. 2). Il settore manifatturiero non si è mostrato in grado di assorbire in modo adeguato la nuova manodopera, che si è riversata per la maggior parte nel set- tore dei servizi, in occupazioni poco stabili e con bassi livelli di produttività. Dal 1990 al 2003 solo Tunisia e Marocco hanno visto un lieve miglioramen- to. In Algeria la disoccupazione è aumentata di ben il 7%, nonostante l’im- pegno del governo per creare posti di lavoro nel settore pubblico18. Secondo le stime più ottimistiche, dato il tasso di aumento della forza lavoro, si prevede che nei prossimi 15 anni solo per mantenere invariati gli attuali tassi di disoccupazione sarebbe necessaria la creazione di 34 milioni nuovi posti di lavoro19. Un obiettivo estremamente arduo e, comunque, non soddisfacente dal punto di vista sociale, poiché comporterebbe comunque l’esclusione dal mercato del lavoro di masse crescenti di giovani. Occorre poi valutare l’impatto di queste dinamiche legate al mercato del lavoro nel favorire o meno un miglioramento della produttività e della com- petitività dell’area. Negli ultimi anni, infatti, il forte aumento della forza lavoro ha fatto sì che l’incremento del PIL si sia tradotto, con maggiore o minore successo, in un aumento dei posti di lavoro; ciò però è andato a disca- pito della produttività, che è stata generalmente stagnante o addirittura in calo (Tab. 2). Occorre tener presente che la produttività è molto al di sotto degli standard europei, ponendosi ad un livello compreso, nei diversi Paesi della sponda sud, fra il 20% e il 50% di quella italiana20. Anche i salari reali sono molto inferiori a quelli prevalenti sulla sponda Nord ed hanno visto in questi anni un marcato declino, sia nel settore privato che in quello pubblico, per effetto delle riforme strutturali e delle politiche di bilancio21. La bassa pro- duttività costituisce una seria ipoteca sulla possibilità futura di aumentare l’occupazione dei settori più esposti alla concorrenza estera. 3. Ricchezza, sviluppo, qualità della vita. L’area mediterranea, pur comprendendo numerosi Paesi in via di svilup- po, non rientra fra quelle più afflitte dal fenomeno della povertà. Prendendo 18 Ferragina 2006: 162. 19 Guerrieri 2007: 29. Andrea Gallina presenta dati ancora più allarmanti: «entro il 2025 saranno neces- sari 60 milioni di nuovi posti di lavoro. Altre stime indicano a 90 milioni i nuovi posti di lavoro entro il 2020 ai tassi di occupazione attuale». Il rapporto sullo sviluppo umano nei Paesi arabi del 2002 indica in un tasso di crescita del 5% come requisito minimo per assorbire l’aumento della forza lavoro (cfr. Gallina 2005: 50). 20 Daniele (2006): 66. I dati di Daniele sono relativi al prodotto per occupato. 21 Nel periodo 1990-2003 la produttività è stata stagnante in tutti i Paesi MED mentre in Marocco e in Palestina è andata calando (cfr. Ferragina 2006: 163).
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 507 ad esempio il livello di povertà internazionale, stabilito in un reddito inferio- re ai 2 dollari al giorno, i Paesi del Mediterraneo appaiono in una situazione migliore rispetto a molti Paesi in via di sviluppo. La povertà si è ridotta in molti Paesi, anche se in alcuni rimane molto grave, come in Egitto dove il 44% della popolazione vive al di sotto della linea di povertà internazionale e in Marocco dove quasi il 20% della popolazione ha un reddito inferiore al 50% del reddito medio22. Complessivamente è stato osservato che la povertà mostra una forte persistenza e gravità nei Paesi del Sud, mentre non rappre- senta un problema endemico nei Paesi posti a Nord (tranne l’Italia) [...] Non solo persiste un forte divario di condizioni di benessere fra i Paesi della spon- da Nord e quelli della sponda Sud, ma se ne è formato uno altrettanto forte all’interno degli stessi Paesi mediterranei. Mentre alcuni di questi (Giordania, Tunisia, e in misura minore Libano e Turchia), hanno realizzato un deciso abbattimento della povertà nel lungo periodo, altri registrano progressi molto lenti (Egitto e Marocco in primo luogo, ma anche Algeria)”23. La bassa produttività, il forte tasso di disoccupazione e l’alto tasso di dipendenza della popolazione, ovvero il rapporto fra la popolazione inattiva (bambini, anziani, uomini e donne che non partecipano alla forza lavoro) rispetto al totale, spiegano in buona parte la lentezza con cui la crescita del PIL si è tramutata in un aumento del PIL pro-capite e in una riduzione della povertà nell’area. Il PIL pro-capite non può essere tuttavia considerato l’unico indicatore del livello di benessere di una determinata popolazione o di suoi sottogruppi. Gli indici di povertà umana (HPI) e di sviluppo umano (HDI)24 permettono di avere una misura composita e sintetica della qualità delle condizioni di vita della popolazione, quali l’accesso all’istruzione, la speranza di vita, la dispo- nibilità di beni essenziali come l’acqua potabile, l’alimentazione, ecc. In questi anni si è assistito ad un miglioramento delle aspettative di vita della popolazione: si tratta di un trend all’opera da vari decenni, che ha visto un aumento della speranza di vita alla nascita ed una riduzione della morta- 22 Per quanto riguarda l’indice di povertà nazionale (percentuale di popolazione con reddito inferiore al 50% del reddito pro-capite), negli ultimi anni la situazione è migliorata in molti Paesi: la Tunisia è passa- ta dal 14,1% (1990) al 7,6% (1995); la Giordania dal 15% (1991) al 11,7% (1995); l’Algeria ha visto un calo del 10% dal 1995 al 1998. Per quanto riguarda l’indice internazionale di povertà i seguenti Paesi hanno registrato significative riduzioni: Tunisia (dal 23% nel 1990 al 7% nel 2000); Giordania (dal 23,5 nel 1992 al 7,5% nel 2000); Turchia (dal 20% al 10%); Marocco (dal 19,6 al 14,3); Algeria (dal 17,5 nel 1992 al 15 nel 2000); cfr. Ferragina 2006: 146. A partire tuttavia dalla metà degli anni Novanta, vi sareb- be stato un peggioramento relativo: dal 1995 al 2003 la percentuale di popolazione al di sotto dei 2 dolla- ri di reddito giornaliero è salita nei Paesi MED dal 22% al 30% (dopo essere scesa dal 30% nel 1987 al 22% nel 1995); cfr. Carli e Ferragina 2005: 178. 23 Ferragina 2006: 152. 24 L’indice di sviluppo umano (Human Development Index, HDI) è composto dalla media di tre indici: aspettative di vita, indice di istruzione (a sua volta calcolato come media di alfabetizzazione adulta e tasso di iscrizione della scuola primaria e secondaria), indice del reddito indicato dal PIL pro-capite PPA (a parità dei poteri di acquisto).
508 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 Tab. 4 - Povertà e sviluppo umano. 1 2 3 4 PIL pro- Indice di Indice di Indice di sviluppo umano capite povertà povertà umana (HPI-1) (HDI) In dollari internazionale % di popolazione Valore % Posizione Valore % Posizione sotto i 2 $ Mondiale Mondiale al giorno 2000 2003 1990 1999 1997 2004 1997 2004 1995 2003 1990 2003 1991 2002 Algeria 5.525 6.379 17,5 15,1 28,8 21,3 52 48 0,67 0,72 74 103 Egitto 3.561 3.913 51,9 43,9 33 30,9 57 55 0,61 0,66 86 120 Israele 21.440 21.270 - - - - - - 0,88 0,92 20 23 Giordania 3.794 4.174 23,5 7,4 9,8 8,1 9 11 0,71 0,75 58 90 Libano 5.258 5.628 - - 11,3 9,6 14 18 0,73 0,76 62 81 Libia 8.953 10.182 16,4 15,3 22 33 - - - - 64 58 Marocco 3.483 4.073 19,6 14,3 39,2 34,5 67 61 0,58 0,63 87 124 Siria 3.317 3.606 - - 20,1 13,8 32 29 0,67 0,72 69 106 Tunisia 6.273 7.246 22,7 6,6 23,1 18.3 38 43 0,70 0,75 71 89 Turchia 6.747 6.961 20 10,3 16,7 9,7 24 19 0,71 0,75 59 94 Media 4.787 5.216 26 19 25 19 - - 0,70 0,74 - - Francia 24.635 26.678 - - - - - - 0,92 0,94 8 16 Italia 25.003 27.190 - - - - - - 0,91 0,93 14 18 Spagna 20.194 20194 - - - - - - 0,90 0,93 16 21 Media 23.366 24.909 - - - - - - 0,91 0,93 - - I dati sono tratti da A.M. Ferragina 2006: 171-179. Per quanto riguarda PIL pro-capite e valore di HPI, la media è ponderata con la popolazione di ciascun Paese. Israele, il cui reddito è circa 4 volte più alto della media regionale, è stato escluso dal computo generale delle medie. lità infantile su tassi che, pur avvicinandosi a quelli europei, mantengono tut- tavia uno scarto assai significativo (Tab. 5). Per quanto riguarda l’accesso all’istruzione e la disponibilità di servizi sanitari, il quadro appare più composito: nel primo caso si è raggiunto in molti Paesi un livello di scolarizzazione per le nuove generazioni prossimo a quello europeo, anche se l’analfabetismo, molto alto nelle generazioni più anziane, riguarda ancora il 49% della popolazione in Marocco ed il 25-30% in Tunisia e Algeria (Tab. 5). Se si esaminano tuttavia i livelli di istruzione secondaria e terziaria, la situazione appare decisamente più negativa, nono- stante un impegno finanziario non trascurabile da parte dei governi (Tab. 5)25. Anche la situazione sanitaria non presenta significativi miglioramenti. 25 I divari nell’istruzione post-secondaria sono ancora molto forti. Per quanto riguarda il tasso di iscrizio- ne all’università, il divario fra UE e sponda Est è del 23%, del 40% con la sponda Sud. Turchia e Tunisia hanno aumentato decisamente la loro spesa destinata all’istruzione. Gli altri Paesi MED hanno ridotto la spesa per l’istruzione dal 1990 al 2002, mentre i Paesi della sponda Nord l’hanno aumentata. Nel com- plesso il livello di spesa appare insufficiente a colmare i divari (cfr. Ferragina 2006: 157).
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 509 Tab. 5 - Sanità, istruzione, qualità della vita. 1 2 3 4 5 6 7 Aspettative Mortalità Spesa Spesa Spesa Tassi di Disponibi- di vita alla infantile sanitaria sanitaria Istruzione analfabe- lità idrica nascita (WDI, su mille nati su % PIL pro-capite % PIL tismo pro-capite database HDR, $ HDR, UNESCO nella popo- (m3 annui) 2005) 2005 2005 lazione World adulta Resources (WTD, Institute 2005) 1990 2003 1990 2003 1990 2002 2002 1990 2002 1980 2003 2005 Algeria 67 71 42 35 3,0 3,4 182 5,3 - 63 31 443 Egitto 63 69 76 33 1,8 1,8 192 3,9 - 61 43 794 Israele 76 79 10 5 3,8 6,0 1890 5,3 6,5 14 4 255 Giordania 68 72 35 23 3,6 4,3 418 8,1 5 31 9 157 Libano 68 71 32 27 - 3,5 697 - 2,7 28 13 1189 Libia 68 73 34 13 - 1,6 222 3,4 2,7 47 18 106 Marocco 63 69 66 36 0,9 1,5 186 5,3 6,5 71 49 934 Siria 66 70 37 16 0,4 2,3 109 4 4,1 47 23 1441 Tunisia 70 73 41 19 3,0 2,9 415 6 6,4 55 26 459 Turchia 66 69 64 33 2,2 4,3 420 2,2 3,7 32 14 3171 Media 66,5 70,6 47,4 26,1 2,1 2,8 315,4 4,7 4,4 48,3 25,1 966 Francia 76 79 10 4 6,7 7,4 2736 0 0 3371 Italia 77 80 8 4 6,3 6,4 2166 4 1 3336 Spagna 77 79 9 4 5,2 5,4 1640 6 2 2711 Media 77 79 9 4 6 6,4 2180 3,3 1 3139 I dati delle colonne 1-6 sono tratti da Ferragina 2006: 172-177. I dati della colonna 7 sono tratti da Ferragina e Quagliarotti 2006: 205. I valori medi per la sponda Sud sono stati calcolati escludendo Israele. Nonostante molti Paesi spendano una parte non irrilevante del PIL in servizi sanitari (in media il 2,8%), la loro disponibilità pro-capite appare decisamen- te lontana dai livelli europei. Allo stesso tempo una parte cospicua del PIL viene assorbita dalla difesa e dalla sicurezza (dal 3% all’8%, contro il 2% della UE), tendenze che derivano e allo stesso tempo alimentano la generale instabilità dell’area. Anche il servizio del debito pubblico continua ad assor- bire una quota molto ampia delle risorse nazionali: tocca in Libano addirittu- ra il 50% della spesa pubblica, attestandosi intorno al 10% negli altri Paesi (Tab. 3)26. Per quanto riguarda il servizio del debito estero, esso equivale in media circa al 17% delle esportazioni (Tab. 3). L’accesso all’acqua è un grave problema per tutta l’area (Tab. 5): il 20% di coloro che abitano in aree rurali non ha alcun accesso ad acqua potabile, 26 Marra 2006: 99-100.
510 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 mentre una quota oscillante fra il 60% e il 90% delle risorse idriche viene assorbita dal settore agricolo. Se dunque consideriamo non solo la povertà economica ma la povertà umana, la situazione dei Paesi del Mediterraneo appare più critica. Dal 1997 al 2004 c’è stata una significativa diminuzione della popolazione considera- ta povera secondo l’HPI, anche se per molti Paesi è peggiorata la situazione nella classifica mondiale (Tab. 4). Anche in Paesi come la Tunisia o la Turchia, dove la povertà economica ha visto significative riduzioni, la povertà umana è decisamente più alta. In Marocco ed Egitto, dove la percen- tuale di individui al di sotto della linea di povertà nazionale è del 15-20%, quella della popolazione povera secondo l’HPI è superiore al 30%27. Un altro fattore che incide fortemente sulla qualità della vita nel Mediterraneo, ma che non rientra direttamente nel calcolo degli indici di povertà, è quello ambientale. Sul fronte ambientale il problema più impor- tante, collegato a quello della scarsità di acqua, è dato dal processo di deser- tificazione. Le previsioni attuali quanto al riscaldamento globale dovuto ai gas serra hanno implicazioni particolarmente preoccupanti per quel che riguarda i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e soprattutto quelli della sponda Sud. In questi Paesi il processo di desertificazione di molte aree è già ad uno stadio avanzato, a causa della forte pressione della popolazione sulla terra, delle pratiche agricole basate sull’uso massiccio di sostanza chimiche, dell’erosione eolica e della salinizzazione di molte terre dovuta alle infiltra- zioni di acque marine nelle falde. Un innalzamento della temperatura globa- le, stimato nei prossimi 50 anni fra 1,5° e 6°, avrebbe un impatto particolar- mente grave sul clima della regione, producendo sulla sponda Sud un aumen- to dell’evaporazione e una riduzione della disponibilità di acqua, e nei Paesi della sponda Nord un aumento delle temperature in estate e delle precipita- zioni in inverno, con forti rischi per l’assetto idro-geologico dei territori28. La perdita di sovranità alimentare da parte di molti Paesi della sponda Sud è un fenomeno relativamente recente, che li vede costretti ad importare quan- tità crescenti di derrate alimentari dall’Unione Europea e da altri Paesi. Per quei prodotti alimentari che potrebbero esportare, soprattutto prodotti orto- frutticoli, essi sono invece penalizzati dalla Politica Agricola Comunitaria e dalle barriere tariffarie e regolamentari che continuano a limitare lo sviluppo di un settore di trasformazione agro-alimentare nei Paesi della sponda Sud29. Tutti questi fattori pongono una forte ipoteca sulla possibilità di uno svi- luppo sostenibile nella sponda Sud del Mediterraneo e inducono a considera- re criticamente i risultati ottenuti dalle politiche commerciali, monetarie e 27 Ferragina 2006: 150. 28 Ferragina e Quagliarotti 2006: 181-209. 29 Gallina 2005: 73-77. Nonostante un deciso aumento delle importazioni ortofrutticole dai Paesi medi- terranei in termini assoluti nel periodo 1995-2005, il peso relativo sulle importazioni ortofrutticole dei Paesi UE è diminuito negli anni del anni del partenariato, cfr. Cioffi 2007.
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 511 finanziarie perseguite in questi anni per favorire una maggiore integrazione, una riduzione della povertà ed una convergenza fra le due sponde del Mediterraneo. Ad oggi la realizzazione di un’area di “prosperità condivisa” appare un obiettivo non solo ancora lontano, ma la cui realizzazione sta dive- nendo sempre più difficile. 4. Gli effetti economici del Partenariato Euro-Mediterraneo Il quadro emerso fin qui non appare univoco, ma anzi piuttosto comples- so da decifrare. Da una parte, si sono registrati in questi ultimi dieci anni, e in modo particolare a partire dal 2003-2004, notevoli miglioramenti delle condizioni economiche dei Paesi che si affacciano sulla sponda Sud del Mediterraneo: tassi di crescita del PIL reale e, in misura minore, del PIL pro- capite; riduzione della povertà economica ed umana almeno in alcuni Paesi, aumento delle esportazioni, stabilità finanziaria e monetaria, ingente creazio- ne di posti di lavoro soprattutto nel settore dei servizi. Dall’altra parte, i dati economici rilevano alcuni aspetti critici che non fanno ben sperare per il futuro dell’area: la competitività di questi Paesi, la loro capacità di conquistare una quota maggiore del commercio mondiale e di attirare investimenti dall’estero, appaiono penalizzate da una serie di fat- tori quali la bassa produttività del lavoro, le piccole dimensioni delle azien- de, la carenza delle infrastrutture, il basso livello di aggiornamento tecnolo- gico delle produzioni, la debolezza di network produttivi, la lentezza delle burocrazie, la corruzione diffusa ed il clima di instabilità sociale e politica. Anche a livello demografico, sociale ed ambientale i processi in atto non per- mettono facili ottimismi. Il problema più urgente appare quello di una massa crescente di giovani che in questi anni e almeno nei prossimi due decenni ten- teranno di entrare nel mercato del lavoro: è evidente che questi giovani, se non riusciranno a trovare un lavoro regolare, cercheranno uno sbocco nell’e- migrazione, in attività illegali o nel settore informale. Come valutare dunque gli sforzi messi in atto in questi anni dall’Unione Europea per favorire la convergenza dell’area verso i livelli di vita europei e favorire la nascita di una “area di prosperità condivisa”? Secondo le dichiarazioni della Commissione Europea, l’EMP è stato con- cepito ed impostato secondo criteri essenzialmente corretti, solidamente fon- dati sulla teoria economica più accreditata, nonché sull’esperienza dei Paesi più virtuosi e competitivi nel panorama mondiale. Gli effetti positivi regi- strati nel periodo 1995-2005 in termini di maggiore crescita, stabilità macroe- conomica e sviluppo del commercio estero sembrerebbero confermare le pro- spettive di sviluppo delineate dalla carta fondativa dell’EMP; la riduzione della povertà e l’aumento del PIL sarebbero segni inequivocabili della con- vergenza in atto fra le due sponde. Tuttavia, un’analisi approfondita dei dati economici fondamentali mette
512 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 in rilievo sia gli importanti limiti del processo di crescita economica e com- merciale realizzato dai Paesi del Mediterraneo, sia lo scarso impatto dell’EMP nel favorire ed indirizzare questi processi di crescita. Come abbiamo visto, il commercio estero avrebbe dovuto essere, nel qua- dro del programma EMP, il fattore trainante della crescita e delle convergen- za: tuttavia, se si esclude il settore degli idrocarburi, non sembra che esso abbia avuto un ruolo fondamentale nel segnare la crescita dei Paesi del Mediterraneo30. Esso ha avuto una forte dinamica in tutta l’area mediterra- nea, con tassi di crescita delle esportazioni intorno al 27%, che sono stati però accompagnati da tassi di crescita delle importazioni del 19,5%, leggermente inferiori al tasso medio mondiale (21%) ma sufficienti a compensare in buona parte i benefici della maggiore domanda estera31. La quota del Mediterraneo sul commercio estero mondiale è andata calando, mentre tutti i Paesi del Mediterraneo, ad esclusione dei Paesi esportatori di prodotti petro- liferi (Algeria, Libia, Siria), continuano a presentare consistenti deficit della bilancia commerciale32 (Tab. 6). Soprattutto, gli Accordi non sembrano aver impresso ai flussi commercia- li mediterranei una traiettoria diversa da quella prima prevalente: i Paesi della sponda Sud rappresentano l’8% delle esportazioni UE e il 7% delle loro importazioni33. Mentre il commercio interregionale fra i Paesi della sponda Sud rimane confinato al 5% del totale, quello con l’Unione Europea rappre- senta circa il 45% del commercio estero dei Paesi del Mediterraneo, con per- centuali molto alte per Paesi come l’Algeria, la Tunisia, il Marocco o la Libia, che hanno legami privilegiati con singoli mercati quali l’Italia e la Francia34. Le tradizionali asimmetrie del rapporto centro-periferia, eredità di un passa- to coloniale, sembrano dunque rimanere immutate. L’Outword Processing Trade (OTP), ovvero quel commercio che si origi- na dalla divisione fra vari Paesi delle fasi di lavorazione di uno stesso pro- dotto, ha assistito ad una prima fase crescita nel corso degli anni Novanta, 30 Radwan e Reiffers 2006: 28. 31 Carli 2006: 121. La quota dei Paesi MED sulle esportazioni mondiali è bassa (2,3%) e stagnante (era il 2% nel 1990). Essa deriva in gran parte da Turchia, Israele e Algeria. I nuovi membri della UE hanno avuto una performance molto migliore, passando dall’1,7% nel 1995 al 2,8% del commercio mondiale nel 2003 (cfr. Ferragina, Giovanetti e Iapadre 2006: 16-17). 32 Il deficit commerciale dei Paesi MED con i Paesi diversi dalla UE è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni e gravitante intorno ai 21 miliardi di $. Con i Paesi UE la situazione è andata miglioran- do (da 24 miliardi nel 1995 a 13 nel 2002), ma solo grazie all’aumento del prezzo del petrolio e dei suoi derivati. Il deficit è ampiamente dovuto all’aumento delle importazioni, ed in particolare di manufatti dall’UE. Dopo il 1990, il tasso di crescita delle esportazione dei Paesi MED in UE era favorito da accor- di preferenziali. Dopo il 1995, la tendenza si è invertita e sono state invece le importazioni ad aumentare ad un tasso molto maggiore (cfr. Ferragina, Giovanetti e Iapadre 2006: 30). 33 Ferragina, Giovanetti e Iapadre 2006: 17. La quota di importazioni UE dai Paesi MED è rimasta sostan- zialmente stabile dall’inizio degli anni Novanta, mentre nello stesso periodo i Paesi Est Europei sono pas- sati dal 7,5% al 12%. 34 J. Brach 2006: 22; Carli 2006: 120-121.
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 513 Tab. 6 - Commercio estero, Investimenti, Consumi. 1 2 3 Export Import Saldo Consumi Consumi Investim. IDE % PIL % PIL commerc. famiglie pubblici lordi % PIL (Exp-Imp) % PIL % PIL fissi % PIL % PIL Media Media Media Media Media Media Media 2000-2003 2000-2003 2000-2003 2000-2003 2000-2003 2000-2003 2000-2004 Algeria 38 23 +15 43 15 24 0,9 Egitto 18 23 -5 76 11 17 3.2 Israele 37 45 -7 58 30 19 6.4 Giordania 44 68 -24 79 23 21 3 Libano 13 40 -27 94 16 17 1.5 Libia 38 23 +15 52 21 13 0,5 Marocco 33 37 -4 61 20 23 2,7 Siria 40 31 +9 58 11 22 5,5 Tunisia 45 49 -4 62 16 25 2,9 Turchia 29 31 -2 67 14 18 0,7 Media 1 33,5 37 -3,5 65 17,7 19,9 0,6 Media 2 31,5 41,9 -10,4 71 18,6 20 1,3 Francia 27.5 25 +2.5 55 23 20 2.3 Italia 27 26 +1 60 19 20 1.1 Spagna 29 31 -2 58 18 25 4.1 Media 28 28,5 - 0,5 57,6 20 21.6 2.5 Per le colonne 1-2 dati World Bank 2005, in Daniele 2006: 86-91. Per la colonna 3 dati WTO, in Carli 2006: 140. Abbiamo calcolato le medie 1 e 2, rispettivamente includendo ed escludendo i prin- cipali Paesi esportatori di prodotti petroliferi, gas naturale e loro derivati: Libia, Siria, Algeria. seguita da un suo deciso ridimensionamento a partire dalla metà del decen- nio, dovuto soprattutto alla concorrenza dei Paesi dell’Est Europeo35. Allo stesso tempo, neanche gli investimenti diretti esteri (IDE) hanno manifestato la dinamica attesa in seguito agli accordi del 199536: la quota di IDE sul totale mondiale diretto verso Paesi del Mediterraneo è oggi inferiore alla quota del loro PIL sul PIL mondiale, mentre il flusso annuo di IDE in per- centuale del loro PIL non supera il 2%, notevolmente inferiore a quello di aree 35 A partire dalla metà degli anni Novanta, i Paesi MED hanno subito una forte concorrenza da parte dei Paesi balcanici e dell’Europa centro-orientale come luogo di destinazione dell’OPT. Per esempio nel 1993 l’Italia aveva il 23% del suo OPT con Paesi MED, mentre nel 2002 solo il 2%; nello stesso periodo i Paesi balcanici sono passati dal 12 al 40% del suo OPT. Più stabile la Francia, che ha continuato ad avere un OPT con i Paesi MED compreso fra il 12% e 15%, mentre la Spagna è passata dal 35% al e 23%, orien- tando una parte dei suoi OPT verso i Balcani (cfr. Ferragina, Giovanetti e Iapadre 2006: 26-28). 36 Il flusso di IDE verso i Paesi MED è quintuplicato dal 1990 al 2003, ma è basso rispetto al PIL (1,5%) e fortemente concentrato in Egitto e Israele. Lo stock di IDE attualmente presenti nei Paesi MED è inve- ce una quota bassa e decrescente del totale mondiale (dal 1,8% nel 1990 al 1,3% nel 2003); cfr. Ferragina, Giovanetti e Iapadre 2006: 17.
514 Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 3-2008 più dinamiche del globo, come, ad esempio, l’America Latina dove gli IDE ammontano in media al 13% del PIL37. Gli IDE provenienti dall’Area UE hanno avuto un deciso incremento dopo il 1995 (sono quasi quintuplicati e costituiscono il 60% degli IDE in ingresso nei Paesi MED). Tuttavia, in rap- porto agli IDE diretti dalla UE15 in altre aree del globo, i flussi verso i Paesi MED rappresentano appena l’1,2%, mentre al Mercosur va il 5% e ai nuovi Paesi membri il 17,5%38. Sembra dunque che gli accordi di partenariato non abbiano indotto una crescita adeguata degli IDE nei Paesi del Mediterraneo, né un loro incremento significativo da parte delle imprese europee. 5. Le critiche al Partenariato In linea generale, la Commissione Europea e molti analisti hanno imputa- to i deludenti risultati in termini di commercio ed investimenti alla lentezza con cui gli accordi commerciali e gli aiuti finanziari sono stati attivati dai Paesi contraenti, nonché alla mancanza di coraggio da parte delle classi poli- tiche locali nell’attuare quelle radicali riforme della pubblica amministrazio- ne, della legislazione sul lavoro e sugli investimenti che avrebbero permesso maggiori flussi di IDE39. Secondo questo punto di vista, la migliore strategia da perseguire in futuro è quella di continuare con più decisione sulla via della liberalizzazione commerciale e delle riforme strutturali: solo dosi massicce di mercato, unite ad una adeguata assistenza finanziaria da parte della UE, pos- sono infatti imprimere il necessario dinamismo ad economie ancora gravate da forti vincoli politici e burocratici. Al di là dei costi immediati che si possono avere o prevedere a seguito della liberalizzazione commerciale, con la perdita di quote di mercato e la chiusura che ne deriva per le aziende meno competitive, la selezione che in questo modo viene operata comporta nel più lungo periodo dei vantaggi importanti: mentre i consumatori possono migliorare fin da subito il loro benessere grazie alle importazioni di merci a costo più basso o di qualità superiore, le aziende nazionali che sopravvivono hanno grandi possibilità di ampliare i loro mercati e di integrarsi anche dal punto di vista produttivo con aziende estere, sviluppando la loro produzione ad un livello più elevato di efficienza. Nel frattempo i governi devono intervenire per favorire gli inve- stimenti in infrastrutture, sostenere i redditi di coloro che perdono il lavoro, aumentare la dotazione di capitale umano attraverso un maggiore investi- mento in formazione. Questa visione ottimistica ed assolutoria nei confronti dell’Europa ha 37 Brach 2006: 20. 38 Ferragina, Giovanetti e Iapadre 2006: 25. 39 Guerrieri 2006: 30-31; Brach 2006: 19; S.N. Nsouli 2006: 11.
S. Nerozzi - Il Mediterraneo delle distanze: il processo di Barcellona nel dibattito economico 515 incontrato tuttavia un crescente e variegato fronte critico, teso a mettere in rilievo i limiti, le contraddizioni e le ipocrisie della politica Europea nei con- fronti del Mediterraneo. Politici, economisti, esponenti della società civile hanno aspramente criticato l’impostazione dell’EMP, la sua forte asimmetria, la sua visione euro-centrica e neo-liberista, l’importanza quasi esclusiva data alla cooperazione economica e commerciale; altri hanno criticato lo scarso impegno seguito agli Accordi di Barcellona, la mancanza di una visione stra- tegica complessiva da parte della Commissione e dei Paesi della UE, il con- trasto fra lo scarso supporto finanziario da parte della UE e gli ingenti costi economici e sociali delle riforme richieste ai Paesi MED. Rimanendo sul piano dell’analisi dei fattori economici, ci limitiamo qui ad indicare i mag- giori rilievi critici che vengono rivolti all’EMP40. Un primo fronte di critiche riguarda il carattere limitato e asimmetrico dell’integrazione economica perseguita nell’ambito dell’EMP. Gli accordi commerciali conclusi fra la UE e i singoli Paesi riguardano soltanto i prodot- ti industriali per i quali la competitività dei Paesi della sponda Sud è note- volmente minore. Migliori risultati potevano essere raggiunti con accordi tesi a facilitare l’accesso dei Paesi MED nei Paesi UE nel settore dei servizi, in quello agricolo41 ed alcuni comparti manifatturieri dove i Paesi del Sud detengono significativi vantaggi comparati, quali il tessile e l’abbigliamen- to42. Ma il settore agricolo e quello dei servizi sono stati esclusi dagli Accordi, mentre nel settore manifatturiero l’Europa ha mantenuto sostanzia- li barriere legate agli standard di prodotto e al cumulo delle regole di origi- ne43. La perversa struttura degli Accordi spiegherebbe dunque in buona parte il persistente deficit commerciale dei Paesi MED nei confronti dell’Europa e la loro incapacità di conquistare maggiori quote del commercio europeo e mondiale. Comune è la denuncia di un scarsa attenzione rivolta a favorire il com- mercio Sud-Sud. La realizzazione degli EMAA e la prospettiva dell’area di libero scambio appare funzionale a perpetuare il tradizionale modello di scambio centro-periferia44. Secondo questo filone critico una liberalizzazio- ne in due stadi avrebbe permesso di sviluppare importanti sinergie in campo 40 Posizioni molto critiche dell’EMP sono espresse da Bessis (2005) e Gallina 2005. 41 Brach 2006: 20-21; Nsouli 2006: 7; Radwan e Reiffers 2006: 45. 42 Carli 2006: 128; Ferragina, Giovanetti e Iapadre 2006: 31. 43 La crescita delle esportazioni di manufatti industriali dalla sponda Sud verso l’Europa è stata frenata da una serie di fattori tecnico normativi: l’imposizione di regole d’origine molto più restrittive di quelle vigenti nella UE e di standard di prodotto troppo elevati costituisce di fatto una potente barriera non tarif- faria che impedisce l’accesso di questi Paesi al mercato della UE. Le regole relative al cumulo di origine permettono ai Paesi della sponda Sud di esportare liberamente i loro manufatti solo se il 60% del valore aggiunto è di origine interna, penalizzando dunque fortemente la realizzazione di catene produttive su scala regionale, con l’imposizione di dazi ed altre barriere all’entrata (cfr. Brach 2006: 21). 44 Gallina 2005: 87-90; Brach 2006: 21-23; Nsouli 2006: 12.
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