Il diritto all'alimentazione - Un bisogno fondamentale povero di tutele
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Il diritto all’alimentazione Un bisogno fondamentale povero di tutele approfondimenti expo 2015 Filippo Pizzolato Professore di Diritto pubblico, Università Milano-Bicocca, Riconosciuto in modo espresso in numerose carte dei diritti internazionali, oltre che da varie Costituzioni nazionali, il diritto all’alimentazione non costituisce di certo una novità recente. Malgrado ciò la sua effettiva tutela non è né acquisita né paci- fica. In che cosa consiste questo diritto? Dove è riconosciuto? Quali ostacoli si frappongono al suo esercizio? La legislazione italiana cosa prevede al riguardo? Un contributo al dibattito sui temi di Expo Milano 2015. A partire dalla sua esperienza di relatore speciale dell’ONU per il diritto all’alimentazione, Jean Ziegler lo definisce come il diritto di ogni essere umano «ad avere un accesso regolare, permanente, libero, sia direttamente sia tramite acquisti monetari, a cibo quantitativamente e qualitativamente adeguato e sufficiente, corrispondente alle tradizioni culturali della popolazio- ne di cui fa parte il consumatore e in grado di assicurare una vita psichica e fisica, individuale e collettiva, priva di angoscia, soddisfa- cente e degna» (Ziegler 2004, 49). Questa definizione costituisce una sintesi completa dell’ampio panorama di riferimenti normativi concernenti il diritto al cibo che saranno esaminati nel prosieguo dell’articolo. Tuttavia, malgrado l’e- L’articolo riproduce l’intervento dell’autore al convegno “Diritto al cibo: dall’Europa all’Italia” del 26 novembre 2014, organizzato a Milano dalla Caritas Ambrosiana. Aggiornamenti Sociali febbraio 2015 (131-141) 131
sistenza di un’articolata tutela giuridica, in tema di diritto al cibo vale, forse più che per ogni altro ambito, il monito di Norberto Bobbio (1992) circa la necessità di passare dal riconoscimento astratto di un diritto alla garanzia della sua effettività nei confronti dello Stato, cioè la garanzia della possibilità di esercitarlo in concreto. Nel caso in cui lo Stato non assicuri questa effettività, dovrebbe ammet- tersi un intervento della comunità internazionale in forza dei Trattati internazionali come clausola di salvaguardia. Ma se la comunità in- ternazionale, composta solo da Stati, è priva di un’autorità mondiale credibile (Possenti 2014), anche l’intervento a difesa dei diritti violati, in modo latente o patente, rischia di essere privo di efficacia o di assu- mere il volto di un’ingerenza sospetta da parte di Stati egemoni. Già questo breve cenno mette in luce uno dei nodi problematici connessi al diritto al cibo e al suo reale esercizio. Le fonti internazionali Iniziamo l’esame delle fonti normative relative al diritto al cibo proprio da quelle di carattere internazionale, che lo riconoscono in modo esplicito o implicito. Partendo dalle carte universali, il diritto in esame è già contemplato dalla Dichiarazione universale dei dirit- ti umani dell’ONU del 1948, all’art. 25, c. 1 1. Sempre in ambito ONU, è più esplicito il riconoscimento assicurato dall’art. 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966: 1. Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo a un livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, che includa alimentazione, vestiario e alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. 2. Gli Stati Parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fon- damentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano neces- sarie: a) per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari mediante la piena ap- plicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione, e lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l’accrescimento e l’utilizzazione più efficaci delle risorse naturali; b) per assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione 1 «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari». 132 Filippo Pizzolato
approfondimenti ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei Paesi importatori quanto dei Paesi esportatori di derrate alimentari. Il Commento generale n. 12 del 1999 del Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR) precisa i contenuti di questo diritto, evidenziando come il cibo possa dirsi «adeguato» quando è esente da sostanze nocive, è assunto in una quantità sufficiente, conforme ai bisogni fisiologici dell’essere umano secondo i vari stadi del ciclo di vita, ed è accettabile in una determinata cultura e reli- gione. L’adeguatezza del cibo implica anche la «disponibilità», cioè la possibilità di nutrirsi con quanto coltivato o acquisito grazie a un sistema di distribuzione, e l’«accessibilità» in senso economico e fisico per tutti, anche i più vulnerabili come i bambini, gli anziani e le persone con malattie o Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (Com- handicap. L’adeguatezza Ilmittee on Economic, Social and Cultural Rights, CESCR) è è significativamente cor- stato istituito dal Consiglio economico e sociale dell’ONU relata anche alla sosteni- (ECOSOC) nel 1985 con il compito di monitorare il rispetto bilità, poiché l’accesso al- del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e cul- le risorse alimentari deve turali. È composto da 18 esperti indipendenti eletti per un preservare le possibilità periodo di quattro anni dagli Stati membri. Il Comitato esa- mina i rapporti periodici sul rispetto del Patto internazionale di nutrirsi per le genera- presentati dai singoli Stati e può formulare raccomandazioni zioni future (Ricci 2012 e richiami nei loro riguardi. e Fasciglione 2014). La formula “diritto all’alimentazione”, apparentemente sem- plice, racchiude dunque una pluralità di dimensioni. Anzitutto, implica una disponibilità di cibo e la possibilità di avervi accesso quali condizioni previe. Indagini specifiche hanno evidenziato il dato in sé confortante che non vi è tanto un problema di carenza di cibo, quanto di una sua diseguale distribuzione a causa dei gravi squili- bri tra situazioni di denutrizione e altre di eccesso e spreco (Tintori 2014). Su questo fronte, la FAO è impegnata da anni a guidare gli sforzi internazionali per sconfiggere la fame. Inoltre, l’ONU ha isti- tuito nel 2000 la figura del Relatore speciale sul diritto all’alimen- tazione, i cui rapporti 2 hanno sottolineato la correlazione esistente tra diritto al cibo, utilizzo della terra e regimi proprietari. Per alcuni beni, tra cui l’acqua, guadagna consenso la proposta di ridefinirne lo statuto secondo la categoria controversa dei “beni comuni”, sottratti alla logica economica dell’appropriazione esclusiva ed escludente. 2 Per i rapporti degli ultimi anni cfr . L’attuale relatore è Hilal Elver. Dal 2008 al 2014 la carica di relatore speciale sul diritto all’alimentazione è stata ricoperta da Olivier De Schutter, mentre in precedenza (2000-2008) era stata tenuta da Jean Ziegler. Il diritto all’alimentazione 133
L’adeguatezza – la terza componente del trittico insieme alla disponibilità e all’accessibilità delle risorse – sembrerebbe a prima vista la condizione in cui si trova una società che ha risolto i pro- blemi essenziali. In realtà, se dal mancato accesso al cibo si origina la fame, da un difetto di adeguatezza del cibo assimilato consegue la malnutrizione. La mancanza dei necessari requisiti quantitativi e qualitativi non tocca solo il tema della sicurezza alimentare, ma ri- guarda anche la dignità umana e il rispetto della diversità culturale, compresa quella delle tradizioni locali, e religiosa. Il diritto al cibo è contenuto anche in carte di rilevanza re- gionale o settoriale, riferite cioè a beneficiari particolarmente vulnerabili, ad esempio i civili che si trovano in zone di guerra (Convenzione di Ginevra del 1949) oppure i minori (Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia del 1989). L’impegno a riconoscere ta- le diritto è ribadito solennemente nella Dichiarazione di Roma sulla sicurezza alimentare mondiale del 1996. Il diritto a vivere liberi dal- la fame è affermato dalla Dichiarazione del Millennio, adottata nel 2000 con Risoluzione n. 55/2 dall’Assemblea Generale dell’ONU e firmata da 189 leader mondiali che si sono impegnati a dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone che soffrono la fame e la sete. Con riguardo all’Europa, meritano di essere ricordati i riferi- menti, ancorché indiretti, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1953 e della Carta sociale europea del 1961 nel quadro del Consiglio d’Europa. A livello di Unione Europea (UE), è più esplicita la Carta dei diritti fondamentali del 2000, che ricono- sce il diritto alla vita (art. 2) e prevede che «al fine di lottare con- tro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali» (art. 34, c. 3). Su questa base, l’UE, pur senza poteri vincolanti, ha raccomandato agli Stati membri di dotarsi di istituti di basic income, che assicurino a tutti i cittadini e residenti, attraverso l’erogazione di un reddito di base, una vita minima dignitosa. L’art. 38 della Carta Il Consiglio d’Europa, costituito nel 1949 tutela i consumatori e rimanda all’ulte- e con sede a Strasburgo, è un’organizza- riore profilo della sicurezza alimentare, zione internazionale distinta dall’Unione su cui l’UE ha adottato negli anni una Europea. Il suo obiettivo principale è il copiosa legislazione e istituito un’ap- rafforzamento della democrazia, dei diritti posita Autorità di vigilanza (European umani e dello Stato di diritto in tutti i suoi Stati membri. Attualmente ne fanno parte Food Safety Authority – EFSA, ). È chiaro che in questo membri dell’UE. ambito normativo riferito ai diritti del 134 Filippo Pizzolato
approfondimenti consumatore il cibo è preso in considerazione in quanto merce e la sua disciplina non è connessa ai diritti fondamentali dell’uomo in quanto tale (Bottiglieri 2014a). Il riferimento ai consumatori rinvia alla Politica agricola comune (PAC), che ha tra i propri obiettivi quello di garantire agli operatori del settore un equo tenore di vita e di mantenere prezzi ragionevoli per i consumatori (art. 43 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). Nelle sue diverse espressioni istituzionali, l’Europa non ri- conosce dunque esplicitamente un diritto a un cibo adeguato. Forse perché lo si è ritenuto assorbito dalle garanzie connesse al diritto al lavoro e alla sicurezza sociale; oppure perché si è pensato che questo bisogno fosse ormai soddisfatto. Ma il ritorno della po- vertà radicale in Europa ha fatto emergere l’infondatezza di questo sottinteso. Una presa di coscienza del problema è testimoniata dalla risoluzione n. 1957 del 2013, La sicurezza alimentare: una sfida per- manente che riguarda tutti, approvata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Un documento che però non ha un valore vincolante per gli Stati membri. Il diritto al cibo nelle Costituzioni nazionali Sul piano dell’ordinamento dei singoli Stati, il diritto al cibo è sancito a livello costituzionale per lo più – ed è emblematico – in Paesi poveri. La FAO ha condotto nel 2011 un’indagine (Knuth- Vidar 2011) da cui è emerso come il diritto al cibo sia presente in più di cento Costituzioni. Talora è riconosciuto in modo esplicito in quanto diritto umano (in 23 Carte), in alcuni casi in via impli- cita attraverso il diritto a un adeguato livello di vita, al benessere, allo sviluppo o come obiettivo delle politiche pubbliche. Alle volte è protetto in modo mediato in forza del valore riconosciuto ai Trattati internazionali che lo prevedono. Data questa varietà di forme, vien da pensare che la correlazione tra diritto al cibo e Costituzione sia così stretta che il primo sia una premessa della seconda, al pari del diritto alla vita, tanto che Ste- fano Rodotà ha sostenuto che «il diritto a un’alimentazione – sana, sicura, adeguata – va considerato come uno dei “più fondamentali tra i diritti fondamentali”» (Rodotà 2011). Anche nel testo finale della Risoluzione del Consiglio d’Europa del 2013 il diritto al cibo è qualificato come diritto fondamentale. Il cibo è al contempo un bisogno e oggetto di un diritto fondamentale. La dignità stessa dell’uomo è condizionata dall’esito della lotta per la liberazione dal bisogno e dalla fame. Appare quindi paradossale che questo diritto sia talora considerato recente, un diritto di nuova generazione. Vi è, in esso, un’ulteriore dimensione intrinsecamente costituzionale: Il diritto all’alimentazione 135
la necessità di assicurare alle generazioni future l’accessibilità del cibo e dunque la sostenibilità dello sviluppo e la riproducibilità delle risorse. In questa direzione si muovono le esperienze del nuevo con- stitucionalismo andino come la Costituzione dell’Ecuador del 2008 e della Bolivia del 2009 (Carducci 2014). Si può anche sostenere che la liberazione dalla fame, così come la protezione dell’incolumità fisica, sia un presupposto non solo delle Costituzioni, ma dell’ordine stesso della convivenza. La fame suscita e giustifica rivolte, muove i popoli, può perfino giu- stificare la non punibilità per stato di necessità come riconosciuto dal nostro Codice penale (artt. 54 e 626 c.p.). Il diritto non ha argomenti da opporre alle ragioni di chi ha fame. E se la fame non provoca disordini insostenibili è solo perché gli affamati sono inca- paci di azione coordinata o il problema tocca minoranze represse. L’ordinata convivenza è incompatibile con la fame: lo sapevano già gli ideologi dello Stato moderno liberale, che infatti motivavano l’esclusione dalla partecipazione politica degli indigenti. Anche lo Stato sociale e democratico si propone la liberazione dal bisogno perché siano rese effettive e non ingannevoli la libertà, l’uguaglianza e la partecipazione dei cittadini. Nella citata indagine FAO, la Costituzione italiana è ricom- presa tra quelle che tutelano il diritto al cibo in via mediata per il riconoscimento del valore dei Trattati internazionali (art. 117, c. 1 Cost.). Tale inquadramento, pur veritiero, appare parziale. Nella no- stra Costituzione il diritto al cibo è individuabile, in via interpretativa, già a partire dal dettato di altri diritti esplicitati. La via da seguire non è quella, troppo evanescente e discutibile, del riferimento isolato all’art. 2, pur se interpretato come norma aperta. Per i Costituenti la via privilegiata alla tutela di un tenore di vita dignitoso era data dal diritto-dovere al lavoro, grazie alle previsioni sulla retribuzione (art. 36 Cost.) e sulle tutele previdenziali (art. 38 Cost.). Il diritto all’assistenza, con la correlata garanzia del mantenimento, si confi- gurava come complemento al diritto-dovere al lavoro in capo agli inabili. In Assemblea Costituente, Giuseppe Dossetti lo aveva detto perfino con ruvidezza: «Il diritto ad avere i mezzi per una esistenza li- bera e dignitosa non deriva infatti dal semplice fatto di essere uomini, ma dall’adempimento di un lavoro, a meno che non si determinino quelle altre condizioni da cui derivi l’impossibilità di lavorare per i motivi che saranno indicati, negli articoli concernenti l’assistenza e la previdenza» 3. 3 Atti della Commissione per la Costituzione, I Sottocommissione, seduta dell’8.10.1946, vol. VI, p. 201, . 136 Filippo Pizzolato
approfondimenti Un diritto difficile da rendere effettivo Il punto dolente per il diritto all’alimentazione è la sua concreta efficacia. La difficile esigibilità è la sorte condivisa da molti diritti sociali, a maggior ragione in un contesto internazionale. Gli ele- menti della concreta garanzia prevista dovrebbero corrispondere al tipo di diritto preso in considerazione. Nel caso in esame, si possono prevedere in capo agli Stati obblighi negativi (respect), consistenti nell’astensione da condotte idonee a impedire l’accesso al cibo e nel rispetto del relativo diritto; obblighi di protezione attiva (protect), mediante la tutela del consumatore e dell’igiene alimentare; infine obblighi di promozione o facilitazione (fulfil), attraverso azioni po- sitive che rendano possibile un accesso universale al cibo. La questione problematica riguarda la possibilità di assicu- rare la tutela giuridica dei singoli a partire dalle dichiarazioni internazionali, dato che la loro struttura limita molto questa opzio- ne in assenza di un intervento del legislatore nazionale. Infatti, esse non definiscono, se non in casi limitati, disposizioni sufficientemen- te puntuali da produrre effetti diretti. Permane perciò in capo agli Stati un ampio margine di apprezzamento anche su come attuare il diritto. Laddove invece, come nel caso dell’UE, il diritto abbia ef- fetti diretti o diretta applicabilità, difettano le competenze per poter armonizzare le normative dei Paesi membri sulla materia. In forza degli artt. 11 e 2, c. 1, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali sono state prospettate delle obbligazioni minime, che circoscrivono l’ampia discrezionalità degli Stati ade- renti. In particolare, si è sostenuta la configurabilità di un obbligo, in capo agli Stati, di assicurare un livello minimo di godimento dei diritti, coincidente con la sussistenza, per le categorie più vulnerabi- li, anche in presenza di fasi recessive. Al riguardo, per l’art. 2, c. 1, del Patto, gli Stati aderenti devono adottare tutte le misure necessa- rie impiegando il massimo delle risorse disponibili e dimostrare di aver compiuto ogni sforzo per assolvere a questi standard minimi. Proprio nelle fasi di crisi economica, questi obblighi potrebbero as- sumere rilievo, se capaci di orientare le scelte distributive, indican- do priorità vincolanti (Fasciglione 2014). La loro giustiziabilità – la possibilità di ottenere l’adempimento di questi obblighi – sarebbe favorita dalla previsione di forme di tutela attivabili da ONG, in rappresentanza di soggetti che spesso non hanno risorse sufficienti per accedere alle garanzie giudiziali (Bottiglieri 2014b). Lo stesso CESCR ha ricordato che concorrono a contribuire alla realizzazio- ne del diritto a un’alimentazione adeguata, con diverso grado di responsabilità, anche i membri della società civile (individui, fami- glie, comunità locali, ONG, imprese). Interessante è a proposito Il diritto all’alimentazione 137
l’adozione nel 2008 di un Protocollo facoltativo al Patto in forza del quale il CESCR, dopo aver esaurito i ricorsi interni, potrà ricevere ed esaminare reclami presentati da individui che si ritengano vit- time di violazioni da parte di uno Stato membro. Il CESCR potrà richiedere informazioni, formulare raccomandazioni e attivare una procedura d’inchiesta laddove ritenga che siano configurabili gravi e sistematiche violazioni dei diritti sanciti dal Patto. Resta però vero che lo Stato non può essere costretto a rispettare gli obblighi assunti (Ricci 2012). Ad ogni modo, quanto esposto illustra i tentativi di costruire, attorno a una dimensione essenziale del diritto, un embrione di governance mondiale efficace. La definizione, a vari stadi, di livelli essenziali mira a individuare una soglia irrinunciabile di tutela dei diritti. La situazione in Italia Anche a livello italiano, analogamente al processo in corso a livello internazionale, dovrebbe potersi giungere a una tutela più efficace del diritto al cibo. Eppure anche nel nostro Paese, malgra- do i riferimenti al riguardo presenti nella Costituzione, è sempre necessario l’operato del Legislatore. In effetti, i suoi eventuali ritardi o inadempimenti non possono essere corretti dalla Corte costituzio- nale se non vi è un intervento legislativo, magari timido e del tutto insufficiente, che possa costituire la base per allargarne la portata della tutela giuridica riconosciuta a livello normativo o impedirne la reversibilità. Nel nostro ordinamento, la garanzia di un livello dignito- so di sussistenza si lega alla irrisolta questione della tutela di un minimo vitale che faccia da argine rispetto allo scivolamento nella povertà assoluta (Pizzolato 2004 e Alleanza contro la povertà 2014). La sperimentazione, brevemente attuata, di un reddito mi- nimo di inserimento è stata frettolosamente abbandonata. Una no- vità significativa è ora giunta dalla sen- tenza della Corte costituzionale sulla La carta acquisti, più nota come social card, è stata introdotta dal D.L. 25 giugno social card. La Corte ha affermato che 2008, n. 112, come misura a sostegno di si debba «ricondurre tra i “diritti socia- persone che si trovano in condizioni di par- li” di cui deve farsi carico il legislatore ticolare disagio economico. Si tratta di una nazionale il diritto a conseguire le pre- carta di debito del valore di 40€ mensili stazioni imprescindibili per alleviare che può essere utilizzata per acquisti di situazioni di estremo bisogno – in par- beni alimentari, medicine o il pagamento delle utenze della luce e il gas. I beneficiari ticolare, alimentare – e [...] affermare sono gli anziani maggiori di 65 anni e i il dovere dello Stato di stabilirne le ca- bambini di età inferiore ai tre anni. ratteristiche qualitative e quantitative» 138 Filippo Pizzolato
approfondimenti (C. Cost. 10/2010). L’intervento legislativo oggetto della sentenza è ritenuto «necessario allo scopo di assicurare effettivamente la tu- tela di soggetti i quali, versando in condizioni di estremo bisogno, vantino un diritto fondamentale che, in quanto strettamente ine- rente alla tutela del nucleo irrinunciabile della dignità della per- sona umana [...] deve potere essere garantito su tutto il territorio nazionale in modo uniforme, appropriato e tempestivo, mediante una regolamentazione coerente e congrua rispetto a tale scopo» (ivi). I toni paiono sproporzionati rispetto alla modestia dell’inter- vento, ma va apprezzato il riconoscimento dell’esistenza di un «diritto fondamentale» e di un «nucleo irrinunciabile» della dignità della persona, cui corrisponda una sfera di prestazioni riconducibili ai livelli essenziali e destinate a condizioni di bi- sogno estremo (per un confronto con un analogo pronunciamento della Corte costituzionale federale tedesca, cfr Delledonne 2010). La Corte si esprime in termini di «valori costituzionali insoppri- mibili» e aggiunge che, proprio per questo, si devono «evitare, per quanto possibile, interruzioni in grado di vulnerarlo [il diritto fon- damentale]». Se ne ricava l’apposizione di un vincolo logico di non revocabilità del beneficio, in assenza di una misura che abbia un ef- fetto almeno equivalente sul bisogno alimentare. In una successiva sentenza, la Corte ribadisce integralmente queste argomentazioni e scansa le obiezioni di incostituzionalità sulla proroga del program- ma “carta acquisti” (prevista dall’art. 60, c. 1, del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), alla luce degli effetti della crisi economica che ha colpito l’Italia (C. Cost. 62/2013). La via maestra resta – al di là di interventi tampone – la previ- sione e la stabilizzazione di una forma di reddito di “minimo vitale”, di cui può essere dedotta la necessità costituzionale e sociale. Esso costituisce un livello essenziale, anche in base alla definizione data- ne dall’art. 22 della L. 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. In attesa, ai poveri in età da lavoro non resta che rivolgersi ai servizi sociali dei Comuni, che hanno però bilanci impoveriti; oppure, più frequentemente, ai gruppi caritativi, “laici” o religiosamente ispirati. A questo riguardo, sarebbe almeno utile definire in modo omoge- neo, sul piano nazionale, lo statuto di servizi, come le mense dei poveri, che attestano con la loro presenza e il loro “successo”, il fal- limento delle politiche sociali e occupazionali, ma ciò nondimeno svolgono un servizio essenziale che sarebbe ipocrita negare da parte delle istituzioni (Caritas Italiana-Fond. Zancan 2011, 182-195). Una parziale istituzionalizzazione, attraverso la previsione di un circuito Il diritto all’alimentazione 139
di accreditamento, per quanto a richiesta, consentirebbe di sostenere questa essenziale funzione pubblica, ancorché di tipo caritativo 4. Conclusioni Permane una grande sproporzione tra le talora enfatiche proclamazioni giuridiche, anche di rango costituzionale, e il grado di effettività del diritto al cibo. Questa sproporzione ri- guarda tutta l’arena internazionale, compresi i Paesi sviluppati, lad- dove il divario tra ricchezza e povertà non solo non si attenua, ma tende ad accentuarsi. La redistribuzione, necessaria per assicurare a tutti almeno il sostentamento, pare consegnata a norme costituzio- nali a limitata precettività immediata, che non sono in grado, o lo sono solo in parte, di indirizzare la funzione attuativa che compe- te al legislatore. In questo modo, però, il costituzionalismo finisce con l’affidare paradossalmente al potere politico l’attesa di riforma dei rapporti sociali ed economici. La questione, dunque, è quanto, perfino nelle democrazie contemporanee, il potere politico riesca a liberarsi dal condizionamento del potere privato e del privilegio eco- nomico e, al contempo, riconoscere pienamente alla Costituzione la funzione sua propria di indirizzamento della libertà della politica. 4 Un esempio in questa direzione è quello messo in atto dal Comune di Torino con il progetto “Mense benefiche”. 140 Filippo Pizzolato
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