Il diritto all'alimentazione - Un bisogno fondamentale povero di tutele

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Il diritto all’alimentazione
Un bisogno fondamentale povero di tutele

                                                                                                         approfondimenti expo 2015
Filippo Pizzolato
Professore di Diritto pubblico, Università Milano-Bicocca,

Riconosciuto in modo espresso in numerose carte dei diritti
internazionali, oltre che da varie Costituzioni nazionali, il diritto
all’alimentazione non costituisce di certo una novità recente.
Malgrado ciò la sua effettiva tutela non è né acquisita né paci-
fica. In che cosa consiste questo diritto? Dove è riconosciuto?
Quali ostacoli si frappongono al suo esercizio? La legislazione
italiana cosa prevede al riguardo? Un contributo al dibattito
sui temi di Expo Milano 2015.

A
         partire dalla sua esperienza di relatore speciale dell’ONU
         per il diritto all’alimentazione, Jean Ziegler lo definisce
         come il diritto di ogni essere umano «ad avere un accesso
regolare, permanente, libero, sia direttamente sia tramite acquisti
monetari, a cibo quantitativamente e qualitativamente adeguato e
sufficiente, corrispondente alle tradizioni culturali della popolazio-
ne di cui fa parte il consumatore e in grado di assicurare una vita
psichica e fisica, individuale e collettiva, priva di angoscia, soddisfa-
cente e degna» (Ziegler 2004, 49).
   Questa definizione costituisce una sintesi completa dell’ampio
panorama di riferimenti normativi concernenti il diritto al cibo che
saranno esaminati nel prosieguo dell’articolo. Tuttavia, malgrado l’e-

L’articolo riproduce l’intervento dell’autore al convegno “Diritto al cibo: dall’Europa
all’Italia” del 26 novembre 2014, organizzato a Milano dalla Caritas Ambrosiana.

                                                         Aggiornamenti Sociali febbraio 2015 (131-141)            131
sistenza di un’articolata tutela giuridica, in tema di diritto al cibo vale,
                          forse più che per ogni altro ambito, il monito di Norberto Bobbio
                          (1992) circa la necessità di passare dal riconoscimento astratto di
                          un diritto alla garanzia della sua effettività nei confronti dello
                          Stato, cioè la garanzia della possibilità di esercitarlo in concreto. Nel
                          caso in cui lo Stato non assicuri questa effettività, dovrebbe ammet-
                          tersi un intervento della comunità internazionale in forza dei Trattati
                          internazionali come clausola di salvaguardia. Ma se la comunità in-
                          ternazionale, composta solo da Stati, è priva di un’autorità mondiale
                          credibile (Possenti 2014), anche l’intervento a difesa dei diritti violati,
                          in modo latente o patente, rischia di essere privo di efficacia o di assu-
                          mere il volto di un’ingerenza sospetta da parte di Stati egemoni. Già
                          questo breve cenno mette in luce uno dei nodi problematici connessi
                          al diritto al cibo e al suo reale esercizio.

                          Le fonti internazionali
                              Iniziamo l’esame delle fonti normative relative al diritto al cibo
                          proprio da quelle di carattere internazionale, che lo riconoscono in
                          modo esplicito o implicito. Partendo dalle carte universali, il diritto
                          in esame è già contemplato dalla Dichiarazione universale dei dirit-
                          ti umani dell’ONU del 1948, all’art. 25, c. 1 1. Sempre in ambito
                          ONU, è più esplicito il riconoscimento assicurato dall’art. 11 del
                          Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966:

                              1. Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni
                              individuo a un livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia,
                              che includa alimentazione, vestiario e alloggio adeguati, nonché al
                              miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita.
                              2. Gli Stati Parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fon-
                              damentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno,
                              individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte
                              le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano neces-
                              sarie: a) per migliorare i metodi di produzione, di conservazione
                              e di distribuzione delle derrate alimentari mediante la piena ap-
                              plicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione
                              di nozioni relative ai principi della nutrizione, e lo sviluppo o la
                              riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l’accrescimento
                              e l’utilizzazione più efficaci delle risorse naturali; b) per assicurare
                              un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione

                            1 «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il

                          benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al
                          vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari».

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approfondimenti

    ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei Paesi importatori
    quanto dei Paesi esportatori di derrate alimentari.

    Il Commento generale n. 12 del 1999 del Comitato sui diritti
economici, sociali e culturali (CESCR) precisa i contenuti di questo
diritto, evidenziando come il cibo possa dirsi «adeguato» quando
è esente da sostanze nocive, è assunto in una quantità sufficiente,
conforme ai bisogni fisiologici dell’essere umano secondo i vari stadi
del ciclo di vita, ed è accettabile in una determinata cultura e reli-
gione. L’adeguatezza del cibo implica anche la «disponibilità», cioè
la possibilità di nutrirsi con quanto coltivato o acquisito grazie a
un sistema di distribuzione, e l’«accessibilità» in senso economico e
fisico per tutti, anche i più vulnerabili come i bambini, gli anziani e
le persone con malattie o
                                  Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (Com-
handicap. L’adeguatezza Ilmittee       on Economic, Social and Cultural Rights, CESCR) è
è significativamente cor- stato istituito dal Consiglio economico e sociale dell’ONU
relata anche alla sosteni- (ECOSOC) nel 1985 con il compito di monitorare il rispetto
bilità, poiché l’accesso al- del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e cul-
le risorse alimentari deve turali. È composto da 18 esperti indipendenti eletti per un
preservare le possibilità periodo di quattro anni dagli Stati membri. Il Comitato esa-
                                mina i rapporti periodici sul rispetto del Patto internazionale
di nutrirsi per le genera- presentati dai singoli Stati e può formulare raccomandazioni
zioni future (Ricci 2012 e richiami nei loro riguardi.
e Fasciglione 2014).
    La formula “diritto all’alimentazione”, apparentemente sem-
plice, racchiude dunque una pluralità di dimensioni. Anzitutto,
implica una disponibilità di cibo e la possibilità di avervi accesso
quali condizioni previe. Indagini specifiche hanno evidenziato il dato
in sé confortante che non vi è tanto un problema di carenza di cibo,
quanto di una sua diseguale distribuzione a causa dei gravi squili-
bri tra situazioni di denutrizione e altre di eccesso e spreco (Tintori
2014). Su questo fronte, la FAO è impegnata da anni a guidare gli
sforzi internazionali per sconfiggere la fame. Inoltre, l’ONU ha isti-
tuito nel 2000 la figura del Relatore speciale sul diritto all’alimen-
tazione, i cui rapporti 2 hanno sottolineato la correlazione esistente
tra diritto al cibo, utilizzo della terra e regimi proprietari. Per alcuni
beni, tra cui l’acqua, guadagna consenso la proposta di ridefinirne lo
statuto secondo la categoria controversa dei “beni comuni”, sottratti
alla logica economica dell’appropriazione esclusiva ed escludente.

   2 Per i rapporti degli ultimi anni cfr . L’attuale relatore è Hilal

Elver. Dal 2008 al 2014 la carica di relatore speciale sul diritto all’alimentazione è
stata ricoperta da Olivier De Schutter, mentre in precedenza (2000-2008) era stata
tenuta da Jean Ziegler.

                                                                              Il diritto all’alimentazione   133
L’adeguatezza – la terza componente del trittico insieme alla
                     disponibilità e all’accessibilità delle risorse – sembrerebbe a prima
                     vista la condizione in cui si trova una società che ha risolto i pro-
                     blemi essenziali. In realtà, se dal mancato accesso al cibo si origina
                     la fame, da un difetto di adeguatezza del cibo assimilato consegue
                     la malnutrizione. La mancanza dei necessari requisiti quantitativi e
                     qualitativi non tocca solo il tema della sicurezza alimentare, ma ri-
                     guarda anche la dignità umana e il rispetto della diversità culturale,
                     compresa quella delle tradizioni locali, e religiosa.
                         Il diritto al cibo è contenuto anche in carte di rilevanza re-
                     gionale o settoriale, riferite cioè a beneficiari particolarmente
                     vulnerabili, ad esempio i civili che si trovano in zone di guerra
                     (Convenzione di Ginevra del 1949) oppure i minori (Convenzione
                     ONU sui Diritti dell’Infanzia del 1989). L’impegno a riconoscere ta-
                     le diritto è ribadito solennemente nella Dichiarazione di Roma sulla
                     sicurezza alimentare mondiale del 1996. Il diritto a vivere liberi dal-
                     la fame è affermato dalla Dichiarazione del Millennio, adottata nel
                     2000 con Risoluzione n. 55/2 dall’Assemblea Generale dell’ONU e
                     firmata da 189 leader mondiali che si sono impegnati a dimezzare
                     entro il 2015 la percentuale di persone che soffrono la fame e la sete.
                         Con riguardo all’Europa, meritano di essere ricordati i riferi-
                     menti, ancorché indiretti, della Convenzione europea dei diritti
                     dell’uomo del 1953 e della Carta sociale europea del 1961 nel quadro
                     del Consiglio d’Europa. A livello di Unione Europea (UE), è più
                     esplicita la Carta dei diritti fondamentali del 2000, che ricono-
                     sce il diritto alla vita (art. 2) e prevede che «al fine di lottare con-
                     tro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il
                     diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire
                     un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse
                     sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le
                     legislazioni e prassi nazionali» (art. 34, c. 3). Su questa base, l’UE,
                     pur senza poteri vincolanti, ha raccomandato agli Stati membri di
                     dotarsi di istituti di basic income, che assicurino a tutti i cittadini
                     e residenti, attraverso l’erogazione di un reddito di base, una vita
                                                     minima dignitosa. L’art. 38 della Carta
      Il Consiglio d’Europa, costituito nel 1949
                                                     tutela  i consumatori e rimanda all’ulte-
      e con sede a Strasburgo, è un’organizza-       riore profilo della sicurezza alimentare,
      zione internazionale distinta dall’Unione      su cui l’UE ha adottato negli anni una
      Europea. Il suo obiettivo principale è il      copiosa legislazione e istituito un’ap-
      rafforzamento della democrazia, dei diritti    posita Autorità di vigilanza (European
      umani e dello Stato di diritto in tutti i suoi
      Stati membri. Attualmente ne fanno parte
                                                     Food Safety Authority – EFSA, ). È chiaro che in questo
      membri dell’UE.                                ambito normativo riferito ai diritti del

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approfondimenti

consumatore il cibo è preso in considerazione in quanto merce e la
sua disciplina non è connessa ai diritti fondamentali dell’uomo in
quanto tale (Bottiglieri 2014a). Il riferimento ai consumatori rinvia
alla Politica agricola comune (PAC), che ha tra i propri obiettivi
quello di garantire agli operatori del settore un equo tenore di vita e
di mantenere prezzi ragionevoli per i consumatori (art. 43 Trattato
sul Funzionamento dell’Unione Europea).
    Nelle sue diverse espressioni istituzionali, l’Europa non ri-
conosce dunque esplicitamente un diritto a un cibo adeguato.
Forse perché lo si è ritenuto assorbito dalle garanzie connesse al
diritto al lavoro e alla sicurezza sociale; oppure perché si è pensato
che questo bisogno fosse ormai soddisfatto. Ma il ritorno della po-
vertà radicale in Europa ha fatto emergere l’infondatezza di questo
sottinteso. Una presa di coscienza del problema è testimoniata dalla
risoluzione n. 1957 del 2013, La sicurezza alimentare: una sfida per-
manente che riguarda tutti, approvata dall’Assemblea parlamentare
del Consiglio d’Europa. Un documento che però non ha un valore
vincolante per gli Stati membri.

Il diritto al cibo nelle Costituzioni nazionali
    Sul piano dell’ordinamento dei singoli Stati, il diritto al cibo
è sancito a livello costituzionale per lo più – ed è emblematico –
in Paesi poveri. La FAO ha condotto nel 2011 un’indagine (Knuth-
Vidar 2011) da cui è emerso come il diritto al cibo sia presente in
più di cento Costituzioni. Talora è riconosciuto in modo esplicito
in quanto diritto umano (in 23 Carte), in alcuni casi in via impli-
cita attraverso il diritto a un adeguato livello di vita, al benessere,
allo sviluppo o come obiettivo delle politiche pubbliche. Alle volte è
protetto in modo mediato in forza del valore riconosciuto ai Trattati
internazionali che lo prevedono.
    Data questa varietà di forme, vien da pensare che la correlazione
tra diritto al cibo e Costituzione sia così stretta che il primo sia una
premessa della seconda, al pari del diritto alla vita, tanto che Ste-
fano Rodotà ha sostenuto che «il diritto a un’alimentazione – sana,
sicura, adeguata – va considerato come uno dei “più fondamentali
tra i diritti fondamentali”» (Rodotà 2011). Anche nel testo finale
della Risoluzione del Consiglio d’Europa del 2013 il diritto al cibo
è qualificato come diritto fondamentale. Il cibo è al contempo un
bisogno e oggetto di un diritto fondamentale. La dignità stessa
dell’uomo è condizionata dall’esito della lotta per la liberazione dal
bisogno e dalla fame. Appare quindi paradossale che questo diritto
sia talora considerato recente, un diritto di nuova generazione. Vi
è, in esso, un’ulteriore dimensione intrinsecamente costituzionale:

                                                                 Il diritto all’alimentazione   135
la necessità di assicurare alle generazioni future l’accessibilità del
                          cibo e dunque la sostenibilità dello sviluppo e la riproducibilità delle
                          risorse. In questa direzione si muovono le esperienze del nuevo con-
                          stitucionalismo andino come la Costituzione dell’Ecuador del 2008
                          e della Bolivia del 2009 (Carducci 2014).
                               Si può anche sostenere che la liberazione dalla fame, così come
                          la protezione dell’incolumità fisica, sia un presupposto non solo
                          delle Costituzioni, ma dell’ordine stesso della convivenza. La
                          fame suscita e giustifica rivolte, muove i popoli, può perfino giu-
                          stificare la non punibilità per stato di necessità come riconosciuto
                          dal nostro Codice penale (artt. 54 e 626 c.p.). Il diritto non ha
                          argomenti da opporre alle ragioni di chi ha fame. E se la fame non
                          provoca disordini insostenibili è solo perché gli affamati sono inca-
                          paci di azione coordinata o il problema tocca minoranze represse.
                          L’ordinata convivenza è incompatibile con la fame: lo sapevano già
                          gli ideologi dello Stato moderno liberale, che infatti motivavano
                          l’esclusione dalla partecipazione politica degli indigenti. Anche lo
                          Stato sociale e democratico si propone la liberazione dal bisogno
                          perché siano rese effettive e non ingannevoli la libertà, l’uguaglianza
                          e la partecipazione dei cittadini.
                               Nella citata indagine FAO, la Costituzione italiana è ricom-
                          presa tra quelle che tutelano il diritto al cibo in via mediata per
                          il riconoscimento del valore dei Trattati internazionali (art. 117, c. 1
                          Cost.). Tale inquadramento, pur veritiero, appare parziale. Nella no-
                          stra Costituzione il diritto al cibo è individuabile, in via interpretativa,
                          già a partire dal dettato di altri diritti esplicitati. La via da seguire
                          non è quella, troppo evanescente e discutibile, del riferimento isolato
                          all’art. 2, pur se interpretato come norma aperta. Per i Costituenti la
                          via privilegiata alla tutela di un tenore di vita dignitoso era data
                          dal diritto-dovere al lavoro, grazie alle previsioni sulla retribuzione
                          (art. 36 Cost.) e sulle tutele previdenziali (art. 38 Cost.). Il diritto
                          all’assistenza, con la correlata garanzia del mantenimento, si confi-
                          gurava come complemento al diritto-dovere al lavoro in capo agli
                          inabili. In Assemblea Costituente, Giuseppe Dossetti lo aveva detto
                          perfino con ruvidezza: «Il diritto ad avere i mezzi per una esistenza li-
                          bera e dignitosa non deriva infatti dal semplice fatto di essere uomini,
                          ma dall’adempimento di un lavoro, a meno che non si determinino
                          quelle altre condizioni da cui derivi l’impossibilità di lavorare per i
                          motivi che saranno indicati, negli articoli concernenti l’assistenza e
                          la previdenza» 3.
                             3 Atti della Commissione per la Costituzione, I Sottocommissione, seduta

                          dell’8.10.1946, vol. VI, p. 201, .

136   Filippo Pizzolato
approfondimenti

Un diritto difficile da rendere effettivo
     Il punto dolente per il diritto all’alimentazione è la sua concreta
efficacia. La difficile esigibilità è la sorte condivisa da molti diritti
sociali, a maggior ragione in un contesto internazionale. Gli ele-
menti della concreta garanzia prevista dovrebbero corrispondere al
tipo di diritto preso in considerazione. Nel caso in esame, si possono
prevedere in capo agli Stati obblighi negativi (respect), consistenti
nell’astensione da condotte idonee a impedire l’accesso al cibo e nel
rispetto del relativo diritto; obblighi di protezione attiva (protect),
mediante la tutela del consumatore e dell’igiene alimentare; infine
obblighi di promozione o facilitazione (fulfil), attraverso azioni po-
sitive che rendano possibile un accesso universale al cibo.
     La questione problematica riguarda la possibilità di assicu-
rare la tutela giuridica dei singoli a partire dalle dichiarazioni
internazionali, dato che la loro struttura limita molto questa opzio-
ne in assenza di un intervento del legislatore nazionale. Infatti, esse
non definiscono, se non in casi limitati, disposizioni sufficientemen-
te puntuali da produrre effetti diretti. Permane perciò in capo agli
Stati un ampio margine di apprezzamento anche su come attuare il
diritto. Laddove invece, come nel caso dell’UE, il diritto abbia ef-
fetti diretti o diretta applicabilità, difettano le competenze per poter
armonizzare le normative dei Paesi membri sulla materia.
     In forza degli artt. 11 e 2, c. 1, del Patto internazionale sui diritti
economici, sociali e culturali sono state prospettate delle obbligazioni
minime, che circoscrivono l’ampia discrezionalità degli Stati ade-
renti. In particolare, si è sostenuta la configurabilità di un obbligo,
in capo agli Stati, di assicurare un livello minimo di godimento dei
diritti, coincidente con la sussistenza, per le categorie più vulnerabi-
li, anche in presenza di fasi recessive. Al riguardo, per l’art. 2, c. 1,
del Patto, gli Stati aderenti devono adottare tutte le misure necessa-
rie impiegando il massimo delle risorse disponibili e dimostrare di
aver compiuto ogni sforzo per assolvere a questi standard minimi.
Proprio nelle fasi di crisi economica, questi obblighi potrebbero as-
sumere rilievo, se capaci di orientare le scelte distributive, indican-
do priorità vincolanti (Fasciglione 2014). La loro giustiziabilità – la
possibilità di ottenere l’adempimento di questi obblighi – sarebbe
favorita dalla previsione di forme di tutela attivabili da ONG, in
rappresentanza di soggetti che spesso non hanno risorse sufficienti
per accedere alle garanzie giudiziali (Bottiglieri 2014b). Lo stesso
CESCR ha ricordato che concorrono a contribuire alla realizzazio-
ne del diritto a un’alimentazione adeguata, con diverso grado di
responsabilità, anche i membri della società civile (individui, fami-
glie, comunità locali, ONG, imprese). Interessante è a proposito

                                                                     Il diritto all’alimentazione   137
l’adozione nel 2008 di un Protocollo facoltativo al Patto in forza del
                          quale il CESCR, dopo aver esaurito i ricorsi interni, potrà ricevere
                          ed esaminare reclami presentati da individui che si ritengano vit-
                          time di violazioni da parte di uno Stato membro. Il CESCR potrà
                          richiedere informazioni, formulare raccomandazioni e attivare una
                          procedura d’inchiesta laddove ritenga che siano configurabili gravi
                          e sistematiche violazioni dei diritti sanciti dal Patto. Resta però vero
                          che lo Stato non può essere costretto a rispettare gli obblighi assunti
                          (Ricci 2012).
                              Ad ogni modo, quanto esposto illustra i tentativi di costruire,
                          attorno a una dimensione essenziale del diritto, un embrione di
                          governance mondiale efficace. La definizione, a vari stadi, di livelli
                          essenziali mira a individuare una soglia irrinunciabile di tutela dei
                          diritti.

                     La situazione in Italia
                         Anche a livello italiano, analogamente al processo in corso a
                     livello internazionale, dovrebbe potersi giungere a una tutela più
                     efficace del diritto al cibo. Eppure anche nel nostro Paese, malgra-
                     do i riferimenti al riguardo presenti nella Costituzione, è sempre
                     necessario l’operato del Legislatore. In effetti, i suoi eventuali ritardi
                     o inadempimenti non possono essere corretti dalla Corte costituzio-
                     nale se non vi è un intervento legislativo, magari timido e del tutto
                     insufficiente, che possa costituire la base per allargarne la portata
                     della tutela giuridica riconosciuta a livello normativo o impedirne
                     la reversibilità.
                         Nel nostro ordinamento, la garanzia di un livello dignito-
                     so di sussistenza si lega alla irrisolta questione della tutela di
                     un minimo vitale che faccia da argine rispetto allo scivolamento
                     nella povertà assoluta (Pizzolato 2004 e Alleanza contro la povertà
                     2014). La sperimentazione, brevemente attuata, di un reddito mi-
                     nimo di inserimento è stata frettolosamente abbandonata. Una no-
                                                      vità significativa è ora giunta dalla sen-
                                                      tenza della Corte costituzionale sulla
      La carta acquisti, più nota come social
      card, è stata introdotta dal D.L. 25 giugno
                                                      social card. La Corte ha affermato che
      2008, n. 112, come misura a sostegno di         si debba «ricondurre tra i “diritti socia-
      persone che si trovano in condizioni di par-    li” di cui deve farsi carico il legislatore
      ticolare disagio economico. Si tratta di una    nazionale il diritto a conseguire le pre-
      carta di debito del valore di 40€ mensili       stazioni imprescindibili per alleviare
      che può essere utilizzata per acquisti di
                                                      situazioni di estremo bisogno – in par-
      beni alimentari, medicine o il pagamento
      delle utenze della luce e il gas. I beneficiari ticolare, alimentare – e [...] affermare
      sono gli anziani maggiori di 65 anni e i        il dovere dello Stato di stabilirne le ca-
      bambini di età inferiore ai tre anni.           ratteristiche qualitative e quantitative»

138   Filippo Pizzolato
approfondimenti

(C. Cost. 10/2010). L’intervento legislativo oggetto della sentenza
è ritenuto «necessario allo scopo di assicurare effettivamente la tu-
tela di soggetti i quali, versando in condizioni di estremo bisogno,
vantino un diritto fondamentale che, in quanto strettamente ine-
rente alla tutela del nucleo irrinunciabile della dignità della per-
sona umana [...] deve potere essere garantito su tutto il territorio
nazionale in modo uniforme, appropriato e tempestivo, mediante
una regolamentazione coerente e congrua rispetto a tale scopo»
(ivi). I toni paiono sproporzionati rispetto alla modestia dell’inter-
vento, ma va apprezzato il riconoscimento dell’esistenza di un
«diritto fondamentale» e di un «nucleo irrinunciabile» della
dignità della persona, cui corrisponda una sfera di prestazioni
riconducibili ai livelli essenziali e destinate a condizioni di bi-
sogno estremo (per un confronto con un analogo pronunciamento
della Corte costituzionale federale tedesca, cfr Delledonne 2010).
La Corte si esprime in termini di «valori costituzionali insoppri-
mibili» e aggiunge che, proprio per questo, si devono «evitare, per
quanto possibile, interruzioni in grado di vulnerarlo [il diritto fon-
damentale]». Se ne ricava l’apposizione di un vincolo logico di non
revocabilità del beneficio, in assenza di una misura che abbia un ef-
fetto almeno equivalente sul bisogno alimentare. In una successiva
sentenza, la Corte ribadisce integralmente queste argomentazioni e
scansa le obiezioni di incostituzionalità sulla proroga del program-
ma “carta acquisti” (prevista dall’art. 60, c. 1, del D.L. 9 febbraio
2012, n. 5, Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di
sviluppo), alla luce degli effetti della crisi economica che ha colpito
l’Italia (C. Cost. 62/2013).
    La via maestra resta – al di là di interventi tampone – la previ-
sione e la stabilizzazione di una forma di reddito di “minimo vitale”,
di cui può essere dedotta la necessità costituzionale e sociale. Esso
costituisce un livello essenziale, anche in base alla definizione data-
ne dall’art. 22 della L. 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per
la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. In
attesa, ai poveri in età da lavoro non resta che rivolgersi ai servizi
sociali dei Comuni, che hanno però bilanci impoveriti; oppure, più
frequentemente, ai gruppi caritativi, “laici” o religiosamente ispirati.
A questo riguardo, sarebbe almeno utile definire in modo omoge-
neo, sul piano nazionale, lo statuto di servizi, come le mense dei
poveri, che attestano con la loro presenza e il loro “successo”, il fal-
limento delle politiche sociali e occupazionali, ma ciò nondimeno
svolgono un servizio essenziale che sarebbe ipocrita negare da parte
delle istituzioni (Caritas Italiana-Fond. Zancan 2011, 182-195). Una
parziale istituzionalizzazione, attraverso la previsione di un circuito

                                                                   Il diritto all’alimentazione   139
di accreditamento, per quanto a richiesta, consentirebbe di sostenere
                          questa essenziale funzione pubblica, ancorché di tipo caritativo 4.

                          Conclusioni
                              Permane una grande sproporzione tra le talora enfatiche
                          proclamazioni giuridiche, anche di rango costituzionale, e il
                          grado di effettività del diritto al cibo. Questa sproporzione ri-
                          guarda tutta l’arena internazionale, compresi i Paesi sviluppati, lad-
                          dove il divario tra ricchezza e povertà non solo non si attenua, ma
                          tende ad accentuarsi. La redistribuzione, necessaria per assicurare a
                          tutti almeno il sostentamento, pare consegnata a norme costituzio-
                          nali a limitata precettività immediata, che non sono in grado, o lo
                          sono solo in parte, di indirizzare la funzione attuativa che compe-
                          te al legislatore. In questo modo, però, il costituzionalismo finisce
                          con l’affidare paradossalmente al potere politico l’attesa di riforma
                          dei rapporti sociali ed economici. La questione, dunque, è quanto,
                          perfino nelle democrazie contemporanee, il potere politico riesca a
                          liberarsi dal condizionamento del potere privato e del privilegio eco-
                          nomico e, al contempo, riconoscere pienamente alla Costituzione la
                          funzione sua propria di indirizzamento della libertà della politica.

                             4 Un esempio in questa direzione è quello messo in atto dal Comune di Torino con

                          il progetto “Mense benefiche”.

140   Filippo Pizzolato
approfondimenti

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