I rischi della rete: il Safer Internet Day

Pagina creata da Andrea Salerno
 
CONTINUA A LEGGERE
I rischi della rete: il Safer Internet Day
I rischi della rete: il Safer Internet Day
Il web e il digitale offrono tante opportunità. E questo credo sia noto ai più. Ogni tanto, però, è
anche giusto ricordare i rischi che possono celarsi dietro l’utilizzo non corretto del mezzo. E il Safer
Internet Day è sicuramente l’occasione giusta.

I
r
i
s
c
h
i
d
e
l
l
a
r
e
t
e
:
i
l Safer Internet Day 2019

Ecco alcuni tra i maggiori rischi:
■   Cyberbullismo: in Italia nella fascia 14-18 anni, l’8,5% è stato vittima di cyberbullismo mentre il
    28% è stato vittima di bullismo tradizionale. Scendendo con l’età questi numeri aumentano. Nella
    fascia 11-13 il 10% è stato vittima del bullismo online ed il 30% di quello tradizionale.
■   Fake news: 1 italiano su 2 ha creduto ad almeno una fake news nell’arco dell’ultimo anno.
    Secondo questa ricerca condotta da Doxa, 1 italiano su 6 ha creduto a più di 5 notizie false. Quello
    che appare rilevante è che, a dispetto di quanto si possa pensare, sono proprio gli appartenenti alle
    fasce d’età più elevate a non preoccuparsi di verificare quanto letto.

     Per approfondire:

     ■   Fake news, disinformazione e politica

■   Internet Addiction Disorder: in sostanza è la dipendenza da internet. Qualche settimana fa c’è
    stato un caso eclatante di una famiglia nel leccese segregata a casa per 2 anni. Ma se controlliamo
    il cellulare senza motivo, che sia per le app, per le notifiche o per smanettare sui social, più di 15
I rischi della rete: il Safer Internet Day
volte al giorno, allora si potrebbe avere un problema.

C’è la necessità di portare avanti percorsi di educazione al digitale: se pensiamo che FB ha
compiuto ieri 15 anni e che lo smartphone è in circolazione da poco più di 10 anni, molto
probabilmente non tutte le persone hanno avuto il tempo, o la capacità, di capire come maneggiare
al meglio questi strumenti.

L'innovazione passa attraverso la cyber
sicurezza
Il problema della sicurezza, ora che sempre più dati sono messi in rete, diventa
fondamentale e, a tendere, contribuirà all’innovazione e alla digitalizzazione. Quando si
parla di aziende 4.0 non si può prescindere dall’utilizzo del PC e dell’informatica non solo per le
macchine, ma anche nei processi, nella gestione documentale e nelle opportunità di sviluppo
rendendo focale il profilo della sicurezza.

  Addio spionaggio industriale con incontri segreti per passarsi scartoffie. Oggi sono i bug e i
  maleware a fare paura alle società.

L’ascesa dell’IoT sta costruendo un mondo in cui siamo tutti collegati con numerosi
dispositivi e questo, anche a livello di impresa, porta ad ampliare l’impatto dei rischi ai quali ogni
apparecchio è interconnesso. Non si tratta solo di un problema di protezione dei software ma anche
di garanzia degli hardware che rispettino requisiti minimi.
C’è poi il “fattore umano” che amplifica il potenziale danno.
Infatti non tutti sono esperti di sicurezza informatica e divengono facilmente amplificatori di attacchi
verso altri oppure a loro insaputa dannosi verso se stessi e l’azienda per la quale lavorano.

Cosa possono fare le aziende per attivarsi?
Il punto di partenza è comprendere quali siano i rischi legati alla propria attività. Diverse sono
infatti le fonti e la natura dei possibili attacchi per un’impresa manifatturiera o un’ufficio di servizi.
Solo allora sarà possibile agire di conseguenza. Il passo successivo è l’analisi di self assessment
volta a comprendere quali misure di sicurezza siano state intraprese e quali potrebbero essere gli
asset aziendali vulnerabili. Questa autovalutazione permette di stimare le perdite annue per ogni
minaccia.

I punti deboli, oltre alla gestione dei dati, possono essere bassi strumenti di controllo delle
mail e dei maleware o antivirus, la gestione dei cloud e dei dati condivisi in rete o con più
dispositivi. Anche la scelta dei provider che offrono servizi cloud garantiscono differenti
livelli di protezione, con relativi costi, che vanno inevitabilmente valutati. Una gestione
I rischi della rete: il Safer Internet Day
perimetrale della sicurezza non è più sufficiente in quanto gli attacchi si sono esponenzialmente
evoluti negli ultimi anni. L’apporccio dovrà coordinare la rete, il cloud e i nodi della
comunicazione (endpoint).

Cosa prevede l’Italia per favorire la protezione in rete?
Dal punto di vista normativo il primo passo è stato l’entrata in vigore del regolamento europeo sulla
privacy. Il GDPR ha ristretto le maglie per il trattamento dei dati personali affiancando alle
funzioni di titolare e responsabile del trattamento dei dati anche quella di DPO (Data
Protection Officer) per le aziende di maggiori dimensioni o con archivi più estesi. Ha normato i
cosiddetti “data breach”, cioè le fughe di dati spesso opera di pirati digitali, che comportano una
diffusione incontrollata di dati personali.

Sotto il profilo delle infrastrutture anche in Italia stiamo estendendo la fibra ottica in sempre
maggiori città. Non sono pochi i disagi nella viabilità e l’ammodernamento ma sicuramente i
vantaggi possono essere evidenti già nel breve periodo. Dal punto di vista delle ricerche e del
dialogo tra pubblico e privato un altro passo in avanti sono gli Open Data che permettono di
ottenere set di informazioni aggregate utili per attività di ricerca. Nell’ambito del piano
nazionale ICT 2017-2019 si stanno sviluppando delle linee guida per la valorizzazione del patrimonio
informativo pubblico da implementare entro il 2020 in ciascuna Regione.

Infine l’Osservatorio sulla Cyber Sicurity del CNR mette a disposizione periodiche analisi sui
tweet che parlano di sicurezza nella rete, servizi di rilevazione maleware, report sulla vulnerabilità
di software e hardware, mappatura degli attacchi 3D, e-mail di spam, rilevamento di ransmoware
per individuare comportamenti tipici di blocco PC a scopo di estorsione oltre all’aggiornamento di
Thesaurus, un dizionario specifico sui termini della sicurezza.
I rischi della rete: il Safer Internet Day
Diritto d’autore e copyright al tempo del
web e delle informazioni Social Sharing
Solitamente quando si sente parlare di diritto d’autore si tende a fare l’associazione immediata a
canzoni e cantanti; libri e scrittori e non ci si rende conto che, invece, in realtà si tratta di un diritto
che si estende a qualsiasi tipologia di opera di ingegno che sia caratterizzata dall’elemento
creatività.

  Dalla letteratura alla musica, dalle arti figurative all’architettura, alle creazioni di design, alle
  opere teatrali o cinematografiche fino al software, ai contenuti on line tutto ciò che è creativo è
  anche tutelato.

La sottovalutazione naturale avviene perché Il grande mondo del WEB, da sempre riconosciuto come
luogo virtuale di libertà dell’espressione ha infatti reso disponibile contenuti di facile accesso per i
consumatori, e l’evoluzione delle tecnologie digitali ha radicalmente modificato il modo in cui le
opere dell’ingegno vengono prodotte, ma anche quello con cui vengono distribuite e sfruttate,
determinando due lati di una stessa medaglia.

Da un lato una maggior facilità per gli autori di ottenere visibilità per le proprie opere, dall’altro una
maggior difficoltà per autori ed editori di vedere garantita una adeguata remunerazione per la
fruizione dei contenuti, ha fatto sì che la Commissione Europea si interrogasse sul diritto
d’autore e lo regolamentasse.

Ma cerchiamo di capire di più su cosa effettivamente sia il
diritto d’autore e come questo possa essere tutelato nell’era
dell’“appropriazione” dei contenuti per la condivisione nella
rete.
Si tratta di quel diritto, appunto, che consente all’autore di poter disporre in maniera esclusiva
delle sue opere e di rivendicarne la paternità decidendo se e quando pubblicarle. È il diritto che
gli dà la facoltà di opporsi ad ogni loro modifica, di autorizzarne l’utilizzo e di ricevere i relativi
compensi e sorge, in capo all’autore o agli autori dell’opera, nel momento in cui avviene la creazione
della medesima. A differenza di quanto previsto per i brevetti e i marchi non è necessario
adempiere a formalità amministrative. Per la paternità dell’opera non è richiesto alcun deposito
ma è sufficiente dimostrare di esserne l’autore e di averla creata prima di altri. Colui che si dichiara
autore di un’opera è considerato tale fino a prova contraria per cui è consigliabile, al fine di avere la
prova che ne testimoni la paternità, depositare l’opera presso un ente che ne certifichi la data*.

Con lo sviluppo di internet e delle tecnologie con contenuti sul web che facilmente vengono
condivisi, riprodotti, riutilizzati, il diritto d’autore ha subito profondi mutamenti e adattamenti,
I rischi della rete: il Safer Internet Day
soprattutto in materia di diffusione, aprendo una panoramica molto diversa da un’epoca precedente
dove tutto questo era impensabile (La legge sul diritto d’autore che disciplina la materia è la
n.633 del 22 Aprile 1941 “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio)
tanto da richiedere un aggiornamento ultimamente.

Se parliamo di diritto d’autore non possiamo non considerare i copyright che vengono
utilizzati in molti casi come sinonimi. Esistono alcune differenze tra i due termini sia in
riferimento al significato che alla tutela dei diritti in questione.

Storicamente il copyright – tradotto letteralmente come “diritto di copia” – nasce in Inghilterra nel
XVI secolo, con il diffondersi delle prime macchine automatiche per la stampa, per poi assumere
l’accezione di diritto patrimoniale ponendo al centro la persona, quindi l’autore (e il suo diritto
morale).

La principale differenza tra il copyright di stampo anglosassone e la sua evoluzione nel diritto
d’autore, infatti, riguarda l’origine del diritto stesso:
I rischi della rete: il Safer Internet Day
■   Il copyright nei sistemi anglosassoni nasce con il deposito dell’opera all’Ufficio Copyright;
■   Il diritto d’autore si acquista con la semplice creazione dell’opera, espressione del lavoro
    intellettuale, senza che sia necessario alcun deposito formale dell’opera.

Ecco perché in rete e sui social network ci si imbatte frequentemente in contenuti testuali o visivi in
documenti, immagini e video protetti da copyright, attraverso un apposito simbolo: ©, formato dalla
lettera “c” all’interno di un cerchio, oppure posta tra parentesi: (c) o (C). a segnalare la presenza del
diritto d’autore o copyright che si utilizza.

I cambiamenti intervenuti negli ultimi anni hanno reso
perciò necessaria una rivisitazione dell’istituto del diritto
d’autore, al fine di adeguarlo al nuovo scenario globale.
Una necessità che sta disseminando malcontenti, malumori, scuole di pensiero, schieramenti su chi
la ritiene giusta e chi punta il dito sul rischio di imbavagliare la rete che da sempre è fonte di libera
espressione. Agli antipodi i colossi I-tech e gli attivisti per la libertà nella rete.

I primi che non vogliono sobbarcarsi ruoli di controllo sui dati diffusi sulle proprie piattaforme, oltre
a conservare i pesanti flussi di investimenti pubblicitari monetizzati finora e i secondi che vogliono
evitare che la circolazione di contenuti sia schiacciata sotto al peso dei grandi editori (e delle stesse
aziende tech), a discapito della libertà di espressione e di aziende di dimensioni minore.

Ciascuno potrà farsi la propria opinione e schierarsi secondo il proprio pensiero, in un mondo dove a
farla da padrone è ancora una volta il grande divario fatto da tutto ciò che velocemente evolve e la
legge che a fatica cerca di stargli dietro.

*Fonte Unicusano: https://www.unicusano.it/blog/didattica/master/diritto-dautore/

Social Events- L'editoriale di Ivan Zorico

     Sentiamo sempre più parlare di eventi.

Partendo dai classici eventi riferiti al mondo aziendale e produttivo (convention, workshop,
ecc.), passando dagli eventi sportivi (Olimpiadi, Mondiali, competizioni varie, ecc.) sino ad arrivare
agli eventi televisivi (Sanremo, programmi cult come XFactor, ecc.).

Ma, ormai, oltre a questi più o meno grandi eventi, ci siamo abituati, con la complicità della
diffusione dei social network e delle nuove tecnologie, a considerare, chiamare e definire “evento”
qualsiasi cosa.

Ma cos’è un evento? Cosa si intende realmente per evento?
Per un attimo facciamo un tuffo nel passato, ai tempi della scuola, e andiamo a consultare il sempre
caro e utile vocabolario. In questo caso però, rispetto al mio passato da studente pre internet, lo
faremo online.

Dal Garzanti: “[…] ciò che è accaduto o potrà accadere; avvenimento, fatto di una certa importanza
[…]”.

Dalla Treccani: “[…] fatto degno di memoria; grandi e., avvenimenti di grande importanza (in origine
con riferimento a importanti competizioni sportive, sul modello dell’ingl. great event, e oggi esteso a
qualunque manifestazione o spettacolo che attiri il pubblico) […]”.

Da GlossarioMarketing: “[…] per evento si intende una leva di marketing, coerentemente inserita nel
piano di comunicazione, che è finalizzata a generare un orientamento positivo verso un marchio o
prodotto per mezzo di azioni costruite attraverso contenuti di comunicazione, intrattenimento e
interazione […]”.

  Riassumendo, per evento si intende qualcosa di grande, importante, rilevante che in
  qualche modo ha a che vedere con l’unicità.

Come abbiamo visto quindi, il significato della parola evento mal si sposa con il suo utilizzo, in
qualche modo inflazionato, che ci potrebbe portare a dire che “se tutto è un evento, nulla è un
evento”.

Ma è davvero così?
A mio parere no. Perché seppur è vero che siamo circondati da eventi di qualsiasi natura, l’accezione
che possiamo dare oggi ad un evento è la capacità di creare interesse, agganciare l’attenzione e
sviluppare senso di appartenenza, per portare le persone ora all’interno di un Palazzetto, ora
connessi per una diretta streaming, ora davanti al televisore. Cioè infondere la sensazione che si sta
per assistere ad un fatto imperdibile, unico.

     Online o Offline, non fa alcuna differenza. È la crossmedialità a fare la differenza.

Già, bene, ma come si fa a lavorare sull’unicità di un evento che magari per sua natura è
anche seriale?

La risposta è semplice. Occorre fare un lavoro di comunicazione.

■   Lavorare su quegli aspetti di unicità che ogni evento porta con sé.
■   Raccontare una storia credibile che emozioni la gente.
■   Creare una comunità di persone davvero affezionate e disposte a concederci il loro tempo ed
    attenzione.

In questo modo, un evento si svilupperà in maniera partecipata, in maniera “socializzata”.

Il successo dell’evento stesso sarà quindi dettato da quanto le persone interagiranno con la
manifestazione o con i temi/argomenti che al suo interno si sviluppano.

     Portare le persone al centro è la chiave della riuscita di ogni buona azione comunicativa.

Ecco quindi il nostro contributo per capire il mondo degli eventi.
Un numero – Social Events – tutto dedicato al mondo degli eventi ed alle strategie di
comunicazione ad esso collegata.

■   Il fenomeno del Live tweeting – perché tutti vogliono “cinguettare”
■   Gli eventi nell’era del digital e della crossmedialità
■   Niente è più veloce di Twitter: perché e come usare Twitter per il successo di un evento
■   Cinema, internet e social network
■   Vita social: 10 regole per non cadere nella rete
■   BoCS Art Cosenza: un’arte da abitare, vivere e condividere

                                                                                               Ivan Zorico

Vita social: 10 regole per non cadere nella
rete
Se sei sui social sei qualcuno. Ecco cosa permea tutta la modernità.

Gran parte di ciò che esiste è legittimato da una pagina Facebook, da un profilo Instagram, da un
account Twitter. Sono sempre più le aziende che preferiscono una buona gestione dei social
rispetto a un sito ingessato, strutturato e poco reattivo.

Ma se questo vale per le imprese ancora di più per il singolo che utilizza le diverse bacheche spesso
come fossero vecchie lavagne su cui si possa scrivere e cancellare.
Sfoghi, reclami, stati d’animo, arrabbiature? Tutto passa sotto gli occhi di tutti.
Il dilagare del fenomeno però ha incuriosito il legislatore e non solo per mettere dei paletti, se non
per legge, per netiquette.

10 punti su quello che sta succedendo.

1. La privacy.
Chi può leggere le mie informazioni? Chi vede le mie foto? Chi commentare ciò che scrivo? Il social
di Zuckerberg è tra i primi ad aver promosso una autoregolamentazione e avere ben chiarito
i casi di cessione di immagini, condivisione e gestione dei contenuti.

2. Dimentichiamoci il diritto all’oblio.
Se un utente si pente di contenuti postati, se alcune informazioni sono pregiudizievoli, se qualcosa
vuole essere scordato, nel web si può. Ma mentre Google mette a disposizione un modulo on
line, l’Unione Europea e il Garante della Privacy hanno posto una serie di vincoli, se e ma che
rendono la pratica più lunga e difficoltosa.

3. L’azienda risponde con i chatbot.
Da AirFrance a Ikea lo strumento dell’interazione via chat per info sui prodotti sta
prendendo piede e sostituendo il call center. Meglio l’intelligenza artificiale, almeno nelle
domande di primo livello.

4. Sfogarsi oppure offendere la reputazione altrui?
Se un tempo la giurisprudenza reputava le frasi scritte in bacheca sui social network come qualcosa
di riservato ad un gruppo ristretto di persone, la diffusione moderna di questi strumenti ha
fatto cambiare parere valutando passibile di multa o reclusione chi contravviene alla reputazione
pubblica.

5. Cyberbullismo.
La leggerezza con cui si postano e si commentano certe situazioni, o contenuti o foto, rischiano di
diventare moleste telematiche all’ordine del giorno per gli adolescenti e, talvolta giovani
ancora più piccoli. L’utilizzo degli hashtag rende un contenuto ancora più virale, facilmente
condivisibile con danni maggiormente impattanti.

6. Tutto per un minuto di celebrità.
Nulla come un social network può far passare dalle stelle alle stalle. Se un tempo erano solo i vip ad
essere paparazzati ora tutti possono selfarsi per manipolare un po’ la propria reputazione
oppure farsi riprendere, come il ragazzo di Padova che di fronte all’auto di Google Street View ha
mostrato in primo piano il lato B, per immortalarsi negli annali del web.
R
a
g
a
z
z
o
d
i
P
a
d
o
v
a
che di fronte all’auto di Google Street View ha mostrato in primo piano il lato B. Fonte:
Tgcom24

7. A ogni mezzo la sua storia.
Non confondere le finalità dei social network è alla base della netiquette ma non per tutti è così.
Molti influencer di LinkedIn invitano gli utenti con un “keep professional” e le utenze
Premium permettono di fare cernita tra chi vuole usarlo come piattaforma per lavoratori e chi lo
impiega come una nuova chat per il gossip da macchinette del caffè.

8. Dal televoto al teletwitt.
I mezzi di comunicazione cercano di legarsi a doppio filo con i social e, spesso, ci riescono. I
commenti in tempo reale, la creazione di hashtag ad hoc, la possibilità di interagire con il
programma a costo zero, spingono sempre più utenti a diventare attivi anche con la tv.

9. Quando per diventare famosi si passa da grandi flop.
Un numero crescente di personaggi, trasmissioni, post sono diventati famosi grazie alle prese in
giro, bonarie, che li hanno fatti diventare virali. Così prima ciò che premiava era il talento, ora
il successo passa dalle figuracce.

10. Disinformazione.
La facilità di diffusione della rete aiuta anche il proliferare delle fake news che, se talvolta sono
solo assurde, altre volte generano ingiustificato allarmismo o muovono gruppi di opinione.
L’Unione Europea sta già pensando a mettere in piedi una legge per arginare il fenomeno e l’Italia è
tra i casi studio.

  Le sfaccettature della rete sono molte e trabocchetti, nascondini, potenzialità si scoprono solo col
  tempo. Lo stesso tempo che il web non concede.
Net Art: L’arte di fare network - un’anima
immortale
      Quando arte e comunicazione si incontrano in un nuovo paradigma, in continuo movimento.

Nuovi modelli di comunicazione sono all’ordine del giorno, diverse sono le opportunità di interagire
e di vivere un’esperienza di una comunicazione innovativa, fatta di linguaggi e contenuti nuovi
con un’unica parola d’ordine: condivisione e libero accesso ai contenuti. Contenuti freschi,
diversi, linguaggi di programmazione, contenuti multimediali, interattività spinta, sempre in
connessione.

                                          E’ questa la Net Art.

Questo bisogno incontrollabile di una forma d’arte che sposi il cambiamento e sia al passo con i
tempi, in continua trasformazione e velocità che cambia volto e cambia essenza dove i contenuti, i
messaggi e significato si mescolano all’esperienza della fruizione sul web. Un’associazione di “rete”
ed estetica che aggira la tradizionale modalità di fruizione in Gallerie e Musei, demandando il ruolo
principale ad internet o ad altre reti telematiche. Un’arte di carattere con principi ben definiti che
ne identificano la tipologia in un genere artistico che si differenzia attraverso la sua capacità di
fare network ed attraverso il suo “essere connesso”, una forma d’arte digitale, capace di evolvere e
adattarsi.

Quando si parla di net art, bisogna immaginare caratteri alfanumerici e caratteri speciali
(punteggiatura, accenti etc…) che vanno a “disegnare” soggetti reali e riconoscibili, spesso utilizzata
per realizzare ritratti, panorami e nature morte, ma anche pubblicità e volti “viventi” seppur
innaturali. Sfruttando proiettori sempre più avanzati e precisi, si riescono a realizzare espressioni
facciali simili a “statue viventi”, un fenomeno che sta prendendo sempre più piede, comunemente
identificato in Face Hacking che potrebbe essere associato ad un personaggio virtuale sempre più
personalizzato al tempo dei social.

D’altronde l’arte di fare network è una pratica da sempre stimata e riconosciuta anche se oggi è per
lo più telematica e demandata alle community e ai social. E se “l’arte è immortale”,
nell’immaginario comune lo è ancor di più quella in rete dove, ciascun contenuto diventa
“ripescabile” ed ancor più naturale viene l’associazione della net art con i social network avendo in
comune la creazione di contenuti innovativi, con comunicazione interattiva che ne stimolano la
condivisione e che non potranno essere “cancellati” dalla rete che intrappola e porta
all’immortalità.

Keats, nella sua ode su un’urna greca, affermava che l’arte è perfetta, poiché immortale, ma
statica e immobile un paradigma che a distanza di tempo è cambiato proprio per la sua dinamicità
ed opportunità di essere viva e in continuo movimento.
Più Internet per tutti
Il 50° rapporto del Censis (di cui vi abbiamo informato) lo aveva evidenziato: gli italiani è sempre
più un popolo di poveri, ma connessi.
A conferma della pervasività della rete e degli strumenti con cui vi accediamo (smartphone, tablet e
pc), riportiamo uno studio – Digital in 2017 - pubblicato di recente da due importanti player – We
are social e Hootsuite -.

Questa è
la
fotografia
sul
mercato
italiano
che viene
fuori per il
2016.
Gli italiani
che
accedono
ad internet
sono quasi
40 mln (+
4% rispetto
al 2015), 31 mln utilizzano i social e, di questi, 28 mln lo fanno attraverso dispositivi mobili
(smartphone e tablet).
Lo smartphone è senza dubbio il dispositivo che registra la maggiore crescita come strumento di
connessione alla rete (+44%). E molto del tempo che passiamo connessi, lo impieghiamo sui social
network: in media vi trascorriamo 2 ore e 19.

Quali sono i social più utilizzati?
Youtube > 57% // Facebook > 55% // Whatsapp > 48% // FB Messenger > 33% // Instagram > 28% //
Twitter > 25% // Google+ > 25% // Linkedin > 19% // Skype > 19% // Pinterest > 15% // Tumblr >
11% // Snapchat > 10%.

E i video?
Interessante, poi, è anche il dato generale relativo alla fruizione dei video, a conferma anche della
notevole impennata che la componente di video-advertising ha registrato nel 2016.
il 31% degli italiani guarda video online almeno una volta al giorno. Questo dato, forse, è
figlio anche della facilità con cui alcune piattaforme social consentono agli utenti comuni di
registrare video live: le dirette su Facebook ne sono un esempio.

Digital in 2017: Southern Europe from We Are Social Singapore
Puoi anche leggere