I rischi della rete: il Safer Internet Day
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I rischi della rete: il Safer Internet Day Il web e il digitale offrono tante opportunità. E questo credo sia noto ai più. Ogni tanto, però, è anche giusto ricordare i rischi che possono celarsi dietro l’utilizzo non corretto del mezzo. E il Safer Internet Day è sicuramente l’occasione giusta. I r i s c h i d e l l a r e t e : i l Safer Internet Day 2019 Ecco alcuni tra i maggiori rischi: ■ Cyberbullismo: in Italia nella fascia 14-18 anni, l’8,5% è stato vittima di cyberbullismo mentre il 28% è stato vittima di bullismo tradizionale. Scendendo con l’età questi numeri aumentano. Nella fascia 11-13 il 10% è stato vittima del bullismo online ed il 30% di quello tradizionale. ■ Fake news: 1 italiano su 2 ha creduto ad almeno una fake news nell’arco dell’ultimo anno. Secondo questa ricerca condotta da Doxa, 1 italiano su 6 ha creduto a più di 5 notizie false. Quello che appare rilevante è che, a dispetto di quanto si possa pensare, sono proprio gli appartenenti alle fasce d’età più elevate a non preoccuparsi di verificare quanto letto. Per approfondire: ■ Fake news, disinformazione e politica ■ Internet Addiction Disorder: in sostanza è la dipendenza da internet. Qualche settimana fa c’è stato un caso eclatante di una famiglia nel leccese segregata a casa per 2 anni. Ma se controlliamo il cellulare senza motivo, che sia per le app, per le notifiche o per smanettare sui social, più di 15
volte al giorno, allora si potrebbe avere un problema. C’è la necessità di portare avanti percorsi di educazione al digitale: se pensiamo che FB ha compiuto ieri 15 anni e che lo smartphone è in circolazione da poco più di 10 anni, molto probabilmente non tutte le persone hanno avuto il tempo, o la capacità, di capire come maneggiare al meglio questi strumenti. L'innovazione passa attraverso la cyber sicurezza Il problema della sicurezza, ora che sempre più dati sono messi in rete, diventa fondamentale e, a tendere, contribuirà all’innovazione e alla digitalizzazione. Quando si parla di aziende 4.0 non si può prescindere dall’utilizzo del PC e dell’informatica non solo per le macchine, ma anche nei processi, nella gestione documentale e nelle opportunità di sviluppo rendendo focale il profilo della sicurezza. Addio spionaggio industriale con incontri segreti per passarsi scartoffie. Oggi sono i bug e i maleware a fare paura alle società. L’ascesa dell’IoT sta costruendo un mondo in cui siamo tutti collegati con numerosi dispositivi e questo, anche a livello di impresa, porta ad ampliare l’impatto dei rischi ai quali ogni apparecchio è interconnesso. Non si tratta solo di un problema di protezione dei software ma anche di garanzia degli hardware che rispettino requisiti minimi. C’è poi il “fattore umano” che amplifica il potenziale danno. Infatti non tutti sono esperti di sicurezza informatica e divengono facilmente amplificatori di attacchi verso altri oppure a loro insaputa dannosi verso se stessi e l’azienda per la quale lavorano. Cosa possono fare le aziende per attivarsi? Il punto di partenza è comprendere quali siano i rischi legati alla propria attività. Diverse sono infatti le fonti e la natura dei possibili attacchi per un’impresa manifatturiera o un’ufficio di servizi. Solo allora sarà possibile agire di conseguenza. Il passo successivo è l’analisi di self assessment volta a comprendere quali misure di sicurezza siano state intraprese e quali potrebbero essere gli asset aziendali vulnerabili. Questa autovalutazione permette di stimare le perdite annue per ogni minaccia. I punti deboli, oltre alla gestione dei dati, possono essere bassi strumenti di controllo delle mail e dei maleware o antivirus, la gestione dei cloud e dei dati condivisi in rete o con più dispositivi. Anche la scelta dei provider che offrono servizi cloud garantiscono differenti livelli di protezione, con relativi costi, che vanno inevitabilmente valutati. Una gestione
perimetrale della sicurezza non è più sufficiente in quanto gli attacchi si sono esponenzialmente evoluti negli ultimi anni. L’apporccio dovrà coordinare la rete, il cloud e i nodi della comunicazione (endpoint). Cosa prevede l’Italia per favorire la protezione in rete? Dal punto di vista normativo il primo passo è stato l’entrata in vigore del regolamento europeo sulla privacy. Il GDPR ha ristretto le maglie per il trattamento dei dati personali affiancando alle funzioni di titolare e responsabile del trattamento dei dati anche quella di DPO (Data Protection Officer) per le aziende di maggiori dimensioni o con archivi più estesi. Ha normato i cosiddetti “data breach”, cioè le fughe di dati spesso opera di pirati digitali, che comportano una diffusione incontrollata di dati personali. Sotto il profilo delle infrastrutture anche in Italia stiamo estendendo la fibra ottica in sempre maggiori città. Non sono pochi i disagi nella viabilità e l’ammodernamento ma sicuramente i vantaggi possono essere evidenti già nel breve periodo. Dal punto di vista delle ricerche e del dialogo tra pubblico e privato un altro passo in avanti sono gli Open Data che permettono di ottenere set di informazioni aggregate utili per attività di ricerca. Nell’ambito del piano nazionale ICT 2017-2019 si stanno sviluppando delle linee guida per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico da implementare entro il 2020 in ciascuna Regione. Infine l’Osservatorio sulla Cyber Sicurity del CNR mette a disposizione periodiche analisi sui tweet che parlano di sicurezza nella rete, servizi di rilevazione maleware, report sulla vulnerabilità di software e hardware, mappatura degli attacchi 3D, e-mail di spam, rilevamento di ransmoware per individuare comportamenti tipici di blocco PC a scopo di estorsione oltre all’aggiornamento di Thesaurus, un dizionario specifico sui termini della sicurezza.
Diritto d’autore e copyright al tempo del web e delle informazioni Social Sharing Solitamente quando si sente parlare di diritto d’autore si tende a fare l’associazione immediata a canzoni e cantanti; libri e scrittori e non ci si rende conto che, invece, in realtà si tratta di un diritto che si estende a qualsiasi tipologia di opera di ingegno che sia caratterizzata dall’elemento creatività. Dalla letteratura alla musica, dalle arti figurative all’architettura, alle creazioni di design, alle opere teatrali o cinematografiche fino al software, ai contenuti on line tutto ciò che è creativo è anche tutelato. La sottovalutazione naturale avviene perché Il grande mondo del WEB, da sempre riconosciuto come luogo virtuale di libertà dell’espressione ha infatti reso disponibile contenuti di facile accesso per i consumatori, e l’evoluzione delle tecnologie digitali ha radicalmente modificato il modo in cui le opere dell’ingegno vengono prodotte, ma anche quello con cui vengono distribuite e sfruttate, determinando due lati di una stessa medaglia. Da un lato una maggior facilità per gli autori di ottenere visibilità per le proprie opere, dall’altro una maggior difficoltà per autori ed editori di vedere garantita una adeguata remunerazione per la fruizione dei contenuti, ha fatto sì che la Commissione Europea si interrogasse sul diritto d’autore e lo regolamentasse. Ma cerchiamo di capire di più su cosa effettivamente sia il diritto d’autore e come questo possa essere tutelato nell’era dell’“appropriazione” dei contenuti per la condivisione nella rete. Si tratta di quel diritto, appunto, che consente all’autore di poter disporre in maniera esclusiva delle sue opere e di rivendicarne la paternità decidendo se e quando pubblicarle. È il diritto che gli dà la facoltà di opporsi ad ogni loro modifica, di autorizzarne l’utilizzo e di ricevere i relativi compensi e sorge, in capo all’autore o agli autori dell’opera, nel momento in cui avviene la creazione della medesima. A differenza di quanto previsto per i brevetti e i marchi non è necessario adempiere a formalità amministrative. Per la paternità dell’opera non è richiesto alcun deposito ma è sufficiente dimostrare di esserne l’autore e di averla creata prima di altri. Colui che si dichiara autore di un’opera è considerato tale fino a prova contraria per cui è consigliabile, al fine di avere la prova che ne testimoni la paternità, depositare l’opera presso un ente che ne certifichi la data*. Con lo sviluppo di internet e delle tecnologie con contenuti sul web che facilmente vengono condivisi, riprodotti, riutilizzati, il diritto d’autore ha subito profondi mutamenti e adattamenti,
soprattutto in materia di diffusione, aprendo una panoramica molto diversa da un’epoca precedente dove tutto questo era impensabile (La legge sul diritto d’autore che disciplina la materia è la n.633 del 22 Aprile 1941 “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) tanto da richiedere un aggiornamento ultimamente. Se parliamo di diritto d’autore non possiamo non considerare i copyright che vengono utilizzati in molti casi come sinonimi. Esistono alcune differenze tra i due termini sia in riferimento al significato che alla tutela dei diritti in questione. Storicamente il copyright – tradotto letteralmente come “diritto di copia” – nasce in Inghilterra nel XVI secolo, con il diffondersi delle prime macchine automatiche per la stampa, per poi assumere l’accezione di diritto patrimoniale ponendo al centro la persona, quindi l’autore (e il suo diritto morale). La principale differenza tra il copyright di stampo anglosassone e la sua evoluzione nel diritto d’autore, infatti, riguarda l’origine del diritto stesso:
■ Il copyright nei sistemi anglosassoni nasce con il deposito dell’opera all’Ufficio Copyright; ■ Il diritto d’autore si acquista con la semplice creazione dell’opera, espressione del lavoro intellettuale, senza che sia necessario alcun deposito formale dell’opera. Ecco perché in rete e sui social network ci si imbatte frequentemente in contenuti testuali o visivi in documenti, immagini e video protetti da copyright, attraverso un apposito simbolo: ©, formato dalla lettera “c” all’interno di un cerchio, oppure posta tra parentesi: (c) o (C). a segnalare la presenza del diritto d’autore o copyright che si utilizza. I cambiamenti intervenuti negli ultimi anni hanno reso perciò necessaria una rivisitazione dell’istituto del diritto d’autore, al fine di adeguarlo al nuovo scenario globale. Una necessità che sta disseminando malcontenti, malumori, scuole di pensiero, schieramenti su chi la ritiene giusta e chi punta il dito sul rischio di imbavagliare la rete che da sempre è fonte di libera espressione. Agli antipodi i colossi I-tech e gli attivisti per la libertà nella rete. I primi che non vogliono sobbarcarsi ruoli di controllo sui dati diffusi sulle proprie piattaforme, oltre a conservare i pesanti flussi di investimenti pubblicitari monetizzati finora e i secondi che vogliono evitare che la circolazione di contenuti sia schiacciata sotto al peso dei grandi editori (e delle stesse aziende tech), a discapito della libertà di espressione e di aziende di dimensioni minore. Ciascuno potrà farsi la propria opinione e schierarsi secondo il proprio pensiero, in un mondo dove a farla da padrone è ancora una volta il grande divario fatto da tutto ciò che velocemente evolve e la legge che a fatica cerca di stargli dietro. *Fonte Unicusano: https://www.unicusano.it/blog/didattica/master/diritto-dautore/ Social Events- L'editoriale di Ivan Zorico Sentiamo sempre più parlare di eventi. Partendo dai classici eventi riferiti al mondo aziendale e produttivo (convention, workshop, ecc.), passando dagli eventi sportivi (Olimpiadi, Mondiali, competizioni varie, ecc.) sino ad arrivare agli eventi televisivi (Sanremo, programmi cult come XFactor, ecc.). Ma, ormai, oltre a questi più o meno grandi eventi, ci siamo abituati, con la complicità della diffusione dei social network e delle nuove tecnologie, a considerare, chiamare e definire “evento” qualsiasi cosa. Ma cos’è un evento? Cosa si intende realmente per evento?
Per un attimo facciamo un tuffo nel passato, ai tempi della scuola, e andiamo a consultare il sempre caro e utile vocabolario. In questo caso però, rispetto al mio passato da studente pre internet, lo faremo online. Dal Garzanti: “[…] ciò che è accaduto o potrà accadere; avvenimento, fatto di una certa importanza […]”. Dalla Treccani: “[…] fatto degno di memoria; grandi e., avvenimenti di grande importanza (in origine con riferimento a importanti competizioni sportive, sul modello dell’ingl. great event, e oggi esteso a qualunque manifestazione o spettacolo che attiri il pubblico) […]”. Da GlossarioMarketing: “[…] per evento si intende una leva di marketing, coerentemente inserita nel piano di comunicazione, che è finalizzata a generare un orientamento positivo verso un marchio o prodotto per mezzo di azioni costruite attraverso contenuti di comunicazione, intrattenimento e interazione […]”. Riassumendo, per evento si intende qualcosa di grande, importante, rilevante che in qualche modo ha a che vedere con l’unicità. Come abbiamo visto quindi, il significato della parola evento mal si sposa con il suo utilizzo, in qualche modo inflazionato, che ci potrebbe portare a dire che “se tutto è un evento, nulla è un evento”. Ma è davvero così? A mio parere no. Perché seppur è vero che siamo circondati da eventi di qualsiasi natura, l’accezione
che possiamo dare oggi ad un evento è la capacità di creare interesse, agganciare l’attenzione e sviluppare senso di appartenenza, per portare le persone ora all’interno di un Palazzetto, ora connessi per una diretta streaming, ora davanti al televisore. Cioè infondere la sensazione che si sta per assistere ad un fatto imperdibile, unico. Online o Offline, non fa alcuna differenza. È la crossmedialità a fare la differenza. Già, bene, ma come si fa a lavorare sull’unicità di un evento che magari per sua natura è anche seriale? La risposta è semplice. Occorre fare un lavoro di comunicazione. ■ Lavorare su quegli aspetti di unicità che ogni evento porta con sé. ■ Raccontare una storia credibile che emozioni la gente. ■ Creare una comunità di persone davvero affezionate e disposte a concederci il loro tempo ed attenzione. In questo modo, un evento si svilupperà in maniera partecipata, in maniera “socializzata”. Il successo dell’evento stesso sarà quindi dettato da quanto le persone interagiranno con la manifestazione o con i temi/argomenti che al suo interno si sviluppano. Portare le persone al centro è la chiave della riuscita di ogni buona azione comunicativa. Ecco quindi il nostro contributo per capire il mondo degli eventi. Un numero – Social Events – tutto dedicato al mondo degli eventi ed alle strategie di comunicazione ad esso collegata. ■ Il fenomeno del Live tweeting – perché tutti vogliono “cinguettare” ■ Gli eventi nell’era del digital e della crossmedialità ■ Niente è più veloce di Twitter: perché e come usare Twitter per il successo di un evento ■ Cinema, internet e social network ■ Vita social: 10 regole per non cadere nella rete ■ BoCS Art Cosenza: un’arte da abitare, vivere e condividere Ivan Zorico Vita social: 10 regole per non cadere nella rete
Se sei sui social sei qualcuno. Ecco cosa permea tutta la modernità. Gran parte di ciò che esiste è legittimato da una pagina Facebook, da un profilo Instagram, da un account Twitter. Sono sempre più le aziende che preferiscono una buona gestione dei social rispetto a un sito ingessato, strutturato e poco reattivo. Ma se questo vale per le imprese ancora di più per il singolo che utilizza le diverse bacheche spesso come fossero vecchie lavagne su cui si possa scrivere e cancellare. Sfoghi, reclami, stati d’animo, arrabbiature? Tutto passa sotto gli occhi di tutti. Il dilagare del fenomeno però ha incuriosito il legislatore e non solo per mettere dei paletti, se non per legge, per netiquette. 10 punti su quello che sta succedendo. 1. La privacy. Chi può leggere le mie informazioni? Chi vede le mie foto? Chi commentare ciò che scrivo? Il social di Zuckerberg è tra i primi ad aver promosso una autoregolamentazione e avere ben chiarito i casi di cessione di immagini, condivisione e gestione dei contenuti. 2. Dimentichiamoci il diritto all’oblio. Se un utente si pente di contenuti postati, se alcune informazioni sono pregiudizievoli, se qualcosa vuole essere scordato, nel web si può. Ma mentre Google mette a disposizione un modulo on line, l’Unione Europea e il Garante della Privacy hanno posto una serie di vincoli, se e ma che rendono la pratica più lunga e difficoltosa. 3. L’azienda risponde con i chatbot. Da AirFrance a Ikea lo strumento dell’interazione via chat per info sui prodotti sta prendendo piede e sostituendo il call center. Meglio l’intelligenza artificiale, almeno nelle domande di primo livello. 4. Sfogarsi oppure offendere la reputazione altrui? Se un tempo la giurisprudenza reputava le frasi scritte in bacheca sui social network come qualcosa di riservato ad un gruppo ristretto di persone, la diffusione moderna di questi strumenti ha fatto cambiare parere valutando passibile di multa o reclusione chi contravviene alla reputazione pubblica. 5. Cyberbullismo. La leggerezza con cui si postano e si commentano certe situazioni, o contenuti o foto, rischiano di diventare moleste telematiche all’ordine del giorno per gli adolescenti e, talvolta giovani ancora più piccoli. L’utilizzo degli hashtag rende un contenuto ancora più virale, facilmente condivisibile con danni maggiormente impattanti. 6. Tutto per un minuto di celebrità. Nulla come un social network può far passare dalle stelle alle stalle. Se un tempo erano solo i vip ad essere paparazzati ora tutti possono selfarsi per manipolare un po’ la propria reputazione oppure farsi riprendere, come il ragazzo di Padova che di fronte all’auto di Google Street View ha mostrato in primo piano il lato B, per immortalarsi negli annali del web.
R a g a z z o d i P a d o v a che di fronte all’auto di Google Street View ha mostrato in primo piano il lato B. Fonte: Tgcom24 7. A ogni mezzo la sua storia. Non confondere le finalità dei social network è alla base della netiquette ma non per tutti è così. Molti influencer di LinkedIn invitano gli utenti con un “keep professional” e le utenze Premium permettono di fare cernita tra chi vuole usarlo come piattaforma per lavoratori e chi lo impiega come una nuova chat per il gossip da macchinette del caffè. 8. Dal televoto al teletwitt. I mezzi di comunicazione cercano di legarsi a doppio filo con i social e, spesso, ci riescono. I commenti in tempo reale, la creazione di hashtag ad hoc, la possibilità di interagire con il programma a costo zero, spingono sempre più utenti a diventare attivi anche con la tv. 9. Quando per diventare famosi si passa da grandi flop. Un numero crescente di personaggi, trasmissioni, post sono diventati famosi grazie alle prese in giro, bonarie, che li hanno fatti diventare virali. Così prima ciò che premiava era il talento, ora il successo passa dalle figuracce. 10. Disinformazione. La facilità di diffusione della rete aiuta anche il proliferare delle fake news che, se talvolta sono solo assurde, altre volte generano ingiustificato allarmismo o muovono gruppi di opinione. L’Unione Europea sta già pensando a mettere in piedi una legge per arginare il fenomeno e l’Italia è tra i casi studio. Le sfaccettature della rete sono molte e trabocchetti, nascondini, potenzialità si scoprono solo col tempo. Lo stesso tempo che il web non concede.
Net Art: L’arte di fare network - un’anima immortale Quando arte e comunicazione si incontrano in un nuovo paradigma, in continuo movimento. Nuovi modelli di comunicazione sono all’ordine del giorno, diverse sono le opportunità di interagire e di vivere un’esperienza di una comunicazione innovativa, fatta di linguaggi e contenuti nuovi con un’unica parola d’ordine: condivisione e libero accesso ai contenuti. Contenuti freschi, diversi, linguaggi di programmazione, contenuti multimediali, interattività spinta, sempre in connessione. E’ questa la Net Art. Questo bisogno incontrollabile di una forma d’arte che sposi il cambiamento e sia al passo con i tempi, in continua trasformazione e velocità che cambia volto e cambia essenza dove i contenuti, i messaggi e significato si mescolano all’esperienza della fruizione sul web. Un’associazione di “rete” ed estetica che aggira la tradizionale modalità di fruizione in Gallerie e Musei, demandando il ruolo principale ad internet o ad altre reti telematiche. Un’arte di carattere con principi ben definiti che ne identificano la tipologia in un genere artistico che si differenzia attraverso la sua capacità di fare network ed attraverso il suo “essere connesso”, una forma d’arte digitale, capace di evolvere e adattarsi. Quando si parla di net art, bisogna immaginare caratteri alfanumerici e caratteri speciali (punteggiatura, accenti etc…) che vanno a “disegnare” soggetti reali e riconoscibili, spesso utilizzata per realizzare ritratti, panorami e nature morte, ma anche pubblicità e volti “viventi” seppur innaturali. Sfruttando proiettori sempre più avanzati e precisi, si riescono a realizzare espressioni facciali simili a “statue viventi”, un fenomeno che sta prendendo sempre più piede, comunemente identificato in Face Hacking che potrebbe essere associato ad un personaggio virtuale sempre più
personalizzato al tempo dei social. D’altronde l’arte di fare network è una pratica da sempre stimata e riconosciuta anche se oggi è per lo più telematica e demandata alle community e ai social. E se “l’arte è immortale”, nell’immaginario comune lo è ancor di più quella in rete dove, ciascun contenuto diventa “ripescabile” ed ancor più naturale viene l’associazione della net art con i social network avendo in comune la creazione di contenuti innovativi, con comunicazione interattiva che ne stimolano la condivisione e che non potranno essere “cancellati” dalla rete che intrappola e porta all’immortalità. Keats, nella sua ode su un’urna greca, affermava che l’arte è perfetta, poiché immortale, ma statica e immobile un paradigma che a distanza di tempo è cambiato proprio per la sua dinamicità ed opportunità di essere viva e in continuo movimento.
Più Internet per tutti Il 50° rapporto del Censis (di cui vi abbiamo informato) lo aveva evidenziato: gli italiani è sempre più un popolo di poveri, ma connessi. A conferma della pervasività della rete e degli strumenti con cui vi accediamo (smartphone, tablet e pc), riportiamo uno studio – Digital in 2017 - pubblicato di recente da due importanti player – We are social e Hootsuite -. Questa è la fotografia sul mercato italiano che viene fuori per il 2016. Gli italiani che accedono ad internet sono quasi 40 mln (+ 4% rispetto al 2015), 31 mln utilizzano i social e, di questi, 28 mln lo fanno attraverso dispositivi mobili (smartphone e tablet). Lo smartphone è senza dubbio il dispositivo che registra la maggiore crescita come strumento di connessione alla rete (+44%). E molto del tempo che passiamo connessi, lo impieghiamo sui social network: in media vi trascorriamo 2 ore e 19. Quali sono i social più utilizzati? Youtube > 57% // Facebook > 55% // Whatsapp > 48% // FB Messenger > 33% // Instagram > 28% // Twitter > 25% // Google+ > 25% // Linkedin > 19% // Skype > 19% // Pinterest > 15% // Tumblr > 11% // Snapchat > 10%. E i video? Interessante, poi, è anche il dato generale relativo alla fruizione dei video, a conferma anche della notevole impennata che la componente di video-advertising ha registrato nel 2016. il 31% degli italiani guarda video online almeno una volta al giorno. Questo dato, forse, è figlio anche della facilità con cui alcune piattaforme social consentono agli utenti comuni di registrare video live: le dirette su Facebook ne sono un esempio. Digital in 2017: Southern Europe from We Are Social Singapore
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