I NUOVI INTANGIBILI: MODELLI DI BUSINESS E CO-CREAZIONE DI VALORE - Portale docenti

Pagina creata da Tommaso Leoni
 
CONTINUA A LEGGERE
I NUOVI INTANGIBILI: MODELLI DI BUSINESS E CO-CREAZIONE DI VALORE - Portale docenti
SEMINARIO
             Nell’ambito del ciclo di seminari
     IDEE E STRUMENTI PER IL MANAGEMENT 2018
    MASTER IN MARKETING E DIREZIONE AZIENDALE

  I NUOVI INTANGIBILI:
 MODELLI DI BUSINESS E
CO-CREAZIONE DI VALORE

                    INTERVIENE

  ROBERTO MORO VISCONTI
   UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE - MILANO

                    INTRODUCE

           ELENA CEDROLA
     DIRETTORE MMDA – UNIVERSITA’ DI MACERATA
I NUOVI INTANGIBILI: MODELLI DI BUSINESS E CO-CREAZIONE DI VALORE - Portale docenti
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

1. LA VALUTAZIONE DEI BENI IMMATERIALI

In tema di risorse immateriali, si pongono specifiche problematiche di valutazione, che derivano anche
dalla natura di tali beni. Rileva, in tale ambito, la riproducibilità di tali beni, l’assenza di rivalità nel
consumo (l’utilizzo di un prodotto marchiato da parte di un consumatore non pregiudica una
contemporanea fruizione da parte di altri) e la scalabilità. I metodi empirici si fondano sull’osservazione
pratica dei prezzi di mercato dei beni immateriali, identici per caratteristiche, dai quali discendono
formule e parametri di valutazione. L’utilizzo di criteri pratici è dettato dalla velocità di aggiornare il
valore delle immobilizzazioni in aziende similari ed omogenee. I metodi analitici, al contrario, sono di
maggiore affidabilità professionale, in quanto accettati dalla teoria e consolidati dalla prassi, pur essendo
spesso meno intuitivi.
I principali metodi (approcci) utilizzati - singolarmente o in via complementare - dalla prassi
professionale per la stima economica del valore dei beni immateriali sono i seguenti:
    1. metodo di mercato;
    2. metodo del costo (di ricostruzione o rimpiazzo);
    3. metodo del reddito atteso (incrementale).
Secondo la prassi valutativa, la valutazione di un bene immateriale può essere compiuta facendo
riferimento a ciascuna delle suddette tre metodiche di valutazione conosciute. Ai fini della selezione del
metodo più appropriato, l’esperto dovrebbe considerare le caratteristiche del bene immateriale e in
particolare la sua riproducibilità, la natura dei benefici che esso è in grado di generare in capo al
proprietario (attuale o potenziale) e all’utilizzatore e l’esistenza o meno di un mercato di riferimento.

Figura 1. – Metodi di valutazione dei beni immateriali
                              Metodi di valutazione dei beni immateriali

   Metodo di mercato                                                           Metodo del reddito
                                            Metodo del costo
                            Prezzo /
                           Patrimonio                                                    Royalty relief
                             Netto                                                        (royalties
    EV / EBITDA                                                                           presunte)

                                     Conto Economico
                                 (ricomprendente il MOL)             Reddito differenziale with or without
      WACC /
      pesi di
                                                                                Price (volume) premium
      mercato

                                            Leva                                             Profit split
                                          operativa

                                                                         (multi-period) Excess earnings

          Rendiconto
          Finanziario
                                                                                     Fattori tecnologici /
      (ricomprendente il                   Leva
                                                                                         opzioni reali
            MOL)                        finanziaria

                                                                               Flusso di cassa incrementale
                                                                                 / flussi di cassa scontati

                                roberto.moro@unicatt.it        www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

Riprendendo la sopracitata classificazione dei diversi approcci valutativi (del costo, reddituale e di
mercato), nel dettaglio si ha quanto segue.

Approccio del costo
Il metodo principale di questo approccio è quello della determinazione dei costi sostenuti per la
realizzazione del bene immateriale (utilizzabile per gli intangibili in via di formazione) o da sostenere per
la sua riproduzione: secondo tale metodo, il valore di un bene immateriale è determinato dalla
sommatoria dei costi capitalizzati, sostenuti per la realizzazione dell’intangibile o da sostenere per
riprodurlo (ripristino dei diritti e accreditamento del marchio rappresentato, in genere, da investimenti
pubblicitari, promozionali e di rete distributiva …).
Il limite di tale approccio risiede nel fatto che esso non considera i costi di manutenzione e il costo
opportunità del tempo e che esso non risulta applicabile a beni in grado di generare redditi.
Le principali difficoltà applicative di tale approccio riguardano la difficoltà nella ricerca dei costi
sostenuti in passato, specialmente se le spese si sono protratte per diversi esercizi e non sono state
capitalizzate.

Approccio reddituale/finanziario
Si basa sui benefici economici passati e futuri collegabili a un intangibile, sia in termini di ricavi da
licenze (royalties) che di redditi incrementali.
Nell’ambito dei metodi reddituali, i beni immateriali hanno valore nella misura in cui sono in grado di
incorporare un vantaggio competitivo sotto forma di multi-period excess earnings. Trattasi di una stima
prettamente reddituale, in cui i beni intangibili agiscono da Primary Income Generating Asset. I metodi
reddituali sono basati sulle stime dei benefici economici futuri, ad esempio attraverso i flussi di cassa
scontati.
Nell’ambito dei metodi reddituali, rientrano infatti anche quelli finanziari: così la stima dei flussi di cassa
incrementali o il criterio dei flussi di cassa scontati, collegabile funzionalmente con i metodi di mercato
dai quali ricava alcuni parametri (per l’appunto, di mercato) per la stima del valore di patrimonio netto e
debiti finanziari, all’interno del costo del capitale medio ponderato (WACC).
I principali metodi relativi a questo approccio sono i seguenti:

   1. attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa derivanti dallo sfruttamento del bene
      immateriale: secondo tale metodo, il valore di un bene immateriale è dato dalla sommatoria dei
      redditi attualizzati derivanti dallo sfruttamento dello stesso (in termini di royalties, fatturato …);
   2. criterio dell’Excess Earning (reddito differenziale), da utilizzarsi per la stima del valore di
      un’attività che svolge un ruolo rilevante o comunque primario, in base al quale il reddito
      figurativo è ottenuto calcolando il reddito che l’impresa registrerebbe nel caso in cui si liberasse
      della proprietà di tutti gli altri beni per riacquisirne il diritto d’uso tramite contratti di licenza o
      affitto o noleggio;
   3. criterio del reddito implicito (return on) nel valore di mercato, che si basa sulla relazione tra
      valore e flussi di cassa che il bene può generare, sulla base della sua vita utile residua e di un
      congruo tasso di remunerazione.
   4. attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa differenziali (incrementali): si basa sulla
      quantificazione e attualizzazione dei benefici e dei vantaggi specifici del bene immateriale rispetto
      a situazioni “normali”, cioè di prodotti ad esempio non marchiati o non coperti da brevettazione. Il
      reddito incrementale è ottenuto per differenza tra i ricavi e costi relativi al bene immateriale, con
      attualizzazione dei flussi differenziali e con esclusione di componenti reddituali estranei o poco
      rilevanti;
   5. attualizzazione delle perdite derivanti dalla cessione del bene immateriale: si basa sul
      presupposto che il venir meno della disponibilità di un bene immateriale è suscettibile di
      determinare una riduzione del fatturato (giuridicamente assimilabile al “lucro cessante”);

                               roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

   6. opzioni reali, utilizzate per valutare progetti di investimento flessibili e dagli esiti incerti
      (tipicamente, brevetti).

Approccio di mercato
Si fonda sul confronto con beni similari, in termini di reddito o patrimonio incrementale ovvero
sull’analisi di transazioni comparabili e moltiplicatori di mercato.
Il principale limite di tale approccio riguarda le asimmetrie informative strutturalmente connesse con la
segretezza dei beni immateriali, che rendono le informazioni necessarie per le comparazioni difficilmente
reperibili.
Le transazioni di pacchetti comprendenti più assets o più intangibles rendono più complicata la
valutazione di intangibili stand alone sulla base di un metodo emprico. Tali difficoltà risultano ancora più
evidenti tenendo conto che, da un punto di vista contabile, secondo lo IAS 38 non esiste un mercato attivo
per gli intangibili, tendenzialmente non contabilizzati, e il loro fair value appare difficilmente stimabile.
I principali metodi relativi a questo approccio sono i seguenti:

   1. metodo del Relief from Royalties (metodo delle royalties presunte), che permette di stimare il
      reddito del bene immateriale detraendo dalle royalties figurative che sarebbero riconosciute ad un
      terzo per l’utilizzo in licenza dell’intangibile gli eventuali costi diretti e indiretti di
      mantenimento/sviluppo del bene stesso non già dedotti dalla royalty figurativa;
   2. criterio del With or Without, metodo indiretto di determinazione del vantaggio economico
      (premium price), che consiste nel confrontare la performance dell’impresa che dispone del bene
      immateriale in esame con quella di un’impresa simile sprovvista di tale bene;
   3. metodo empirico: i redditi imputabili allo sfruttamento di un determinato bene immateriale sono
      moltiplicati per un coefficiente espressivo della forza strategica del bene, che dipende da fattori
      come leadership, fidelizzazione, posizionamento di mercato, trend, investimenti di marketing,
      internazionalità, protezione legale …;
   4. valutazione del patrimonio differenziale (incrementale), attraverso indicatori del plusvalore di
      mercato come il Q di Tobin, che rapporta il valore di mercato delle attività di una società al loro
      valore di sostituzione / rimpiazzo; se l’indice è superiore all’unità, ciò è dovuto alla presenza di un
      avviamento implicito che può dipendere, tra le altre cose, dal valore (non contabilizzato) del
      marchio o del brevetto.
   5. indice Price / Book Value, che rapporta il prezzo di borsa (di una società quotata branded o con
      altri intangibili) al patrimonio netto contabile, facendo emergere un plusvalore (se l’indice è
      maggiore di 1) in parte imputabile ai beni immateriali.

2. VALUTAZIONE DEI MARCHI

I marchi rappresentano caratteri distintivi (con requisiti di originalità, verità, novità e liceità) che
identificano un bene e ne rappresentano qualità, provenienza e capacità distintiva. Il plusvalore
incrementale che il marchio attribuisce ad un prodotto (rispetto ad un equivalente non marchiato) è
espressione della valorizzazione di questa classica risorsa immateriale, che può essere sfruttata
internamente ovvero concessa in licenza.
Lo standard internazionale ISO 10668 definisce e individua una metodologia per la valutazione del valore
economico dei marchi, definendo gli obiettivi, gli approcci, i metodi di valutazione e le modalità di
selezione e individuazione dei dati di partenza, da utilizzarsi nell’ambito del processo di valutazione,
anche al fine di guidare il valutatore, riducendo i margini di discrezionalità e proponendo una sorta di
“protocollo” di valutazione.

2.1. Il valore strategico differenziale del marchio

Il marchio, in diritto, indica un qualunque segno suscettibile di essere rappresentato graficamente, in
particolare parole (compresi i nomi di persone), disegni, lettere, cifre, suoni, forma di un prodotto o
                               roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

della confezione di esso, combinazioni o tonalità cromatiche, purché sia idoneo a distinguere i prodotti o
i servizi di un'impresa da quelli delle altre.
In Italia il marchio è disciplinato dagli artt. da 7 a 28 del Codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30
del 10 febbraio 2005).
Esistono diversi tipi di marchi. Con riferimento all'ampiezza del portafoglio prodotti a cui si riferiscono,
si possono avere marchi:

        •   mono brand: usato per uno o pochi prodotti, e quindi evocante determinate caratteristiche
            funzionali del prodotto a cui si riferisce;
        •   family brand: riferito a molti prodotti, e che quindi richiama non caratteristiche specifiche
            (dato che esse sono diverse per ogni prodotto della "famiglia"), ma situazioni emotive o valori
            astratti. Vi sono poi i marchi “ad ombrello”, in cui il marchio principale è associato al
            prodotto specifico (ad es. Alfa Romeo – Giulietta).

A seconda della distanza dall'identità aziendale:

        •   corporate brand: usato sia per i prodotti, sia per richiamare l'immagine dell'azienda e le sue
            competenze distintive (di solito il marchio stesso dell'azienda);
        •   furtive brand: distante dall'identità aziendale, riferibile solo a determinati prodotti.

Esistono poi tipologie "ibride":

        •   brand endorsed: incorpora due marchi appartenenti a due diverse tipologie tra quelle sopra
            citate.
        •   brand individuali: brand diversi per ogni prodotto.

Si distingue il marchio di fatto dal marchio registrato che, in virtù del processo di registrazione dinanzi
all'Ufficio italiano brevetti e marchi, gode di una protezione rafforzata in quanto ha data certa, mentre il
marchio di fatto deve dimostrare sia la notorietà che il preuso esteso.
La registrazione dura dieci anni a partire dalla data di deposito della domanda, salvo il caso di rinuncia
del titolare, e alla scadenza può essere rinnovata ogni volta per ulteriori dieci anni.
La valutazione economica dei marchi trova ampia applicazione in fattispecie di natura contrattuale /
stragiudiziale ovvero per contenziosi, tipicamente inerenti ipotesi di contraffazione o anche in ambito
fiscale (anzitutto per questioni di transfer pricing).
In particolare, la valutazione economica è utilizzata in caso di:

   •   quantificazione del danno economico effettivo in azioni di contraffazione del marchio o atti di
       concorrenza sleale (imitazione servile, dumping, pubblicità ingannevole e denigrazione,
       boicottaggio, concorrenza parassitaria …);
   •   stima dei congrui tassi di royalties da negoziare nei contratti di licenza (brand licensing) o di
       franchising o di altre modalità di brand extension;
   •   determinazione del congruo canone d’affitto dell’azienda titolare del marchio;
   •   impairment test (nelle valutazioni di bilancio, applicando i principi contabili internazionali);
   •   conferimento di marchio (con o senza azienda);
   •   concambio di fusione o di scissione in presenza di marchi;
   •   valutazione del recesso del socio di società con marchi;
   •   valutazione della performance di brand managers, direttori e addetti commerciali, per premi e
       bonus;
   •   liquidazione della società e vendita del marchio;
   •   sale and lease back di marchi;

                                roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

   •   valutazione della congruità di atti a titolo oneroso riguardanti marchi, per verificare l’applicabilità
       della revocatoria fallimentare e della bancarotta preferenziale (in caso di marchi svenduti …);
   •   valore dei beni (marchi) di grandi imprese in crisi (art. 62, comma 3, D.Lgs. 270 8 luglio 1999);
   •   trasferimento / cessione del marchio (art. 23 d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30);
   •   stima fiscale del valore normale;
   •   pegno, ipoteca e usufrutto su marchi.

L’inquadramento del marchio all’interno dell’azienda (ex art. 2555 c.c.) o di un suo autonomo ramo
consente, se del caso, di apprezzarne le sinergie con altre attività, non sempre contabilizzate (avviamento
iscritto ovvero internamente generato, etc.).
Il marchio, stimato sotto il profilo economico con un’adeguata metrica di valutazione, può essere
chiamato a esplicare:

   •   una funzione distintiva di identificazione, certificazione e attestazione della fonte di provenienza
       del prodotto, atta da un lato ad evitare la confondibilità e il pericolo d’inganno con altri prodotti e
       il rischio di associazione tra diversi segni e dall’altro a consentire ai consumatori una selezione
       consapevole di prodotti e servizi;
   •   una funzione di garanzia qualitativa, intesa quale aspettativa da parte del consumatore di una
       costanza qualitativa dei prodotti distinti con il medesimo marchio (mantenimento nel tempo di
       identiche caratteristiche merceologiche), stimolandone la fidelizzazione (brand loyalty) e
       l’appagamento (customer satisfaction). Il marchio può sensibilmente ridurre il rischio insito nelle
       decisioni di acquisto;
   •   una funzione suggestiva o pubblicitaria, a seguito della sempre maggiore attitudine del segno
       distintivo e della «specialità» che da esso promana ad essere dotato di un intrinseco potere di
       richiamo e notorietà - facendo emergere la consapevolezza (brand awareness) dei consumatori -
       ed a divenire «collettore di clientela».

Fra gli aspetti positivi che possono derivare dal valore strategico del marchio rilevano, anzitutto, i
seguenti:

   •   simbolo della differenziazione di prodotto;
   •   adattabilità ai mutamenti di mercato (minor vulnerabilità ad azioni di marketing della
       concorrenza; minor sensibilità a crisi di mercato);
   •   internazionalità;
   •   leadership;
   •   celebrità del marchio (status symbol);
   •   protezione legale contro le contraffazioni;
   •   fidelizzazione (lealtà) del consumatore (customer loyalty) e riconoscimento del marchio (brand
       awareness);
   •   potere contrattuale nei confronti della distribuzione;
   •   capacità di aumentare le quote di mercato;
   •   attrattività del mercato.

Specularmente, un marchio debole presenta i seguenti aspetti negativi:

   •   debole effetto distintivo del marchio;
   •   bassa differenziazione;
   •   limitata reattività ai cambiamenti degli scenari competitivi di mercato (minor vulnerabilità ad
       azioni di marketing della concorrenza; maggiore sensibilità a crisi di mercato …);
   •   diffusione geograficamente limitata;
   •   bassa protezione legale;
                               roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

    •    modesta fidelizzazione del consumatore;
    •    bassa attrattività del segmento di mercato in cui opera l’azienda che detiene il marchio.

Assai frequenti sono le fattispecie di valutazione dei marchi all’interno di un portafoglio di intellectual
properties, in cui sinergicamente i marchi convivono con brevetti, know-how, avviamento, diritti d’autore
o altri beni intangibili, talora all’interno di società dedicate (royalty companies).

2.2. Metodo del reddito (income approach)

Costituisce l’approccio di valutazione maggiormente utilizzato e si basa principalmente sulle seguenti
metodologie:

    • attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa derivanti dallo sfruttamento della risorsa
      immateriale: secondo tale metodo, il valore è dato dalla sommatoria dei redditi attualizzati
      derivanti dallo sfruttamento stesso della risorsa (in termini di royalties, fatturato atteso…);
    • attualizzazione delle royalties presunte, che l’impresa pagherebbe come licenziataria se la risorsa
      immateriale non fosse di proprietà;
    • attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa differenziali (incrementali): si basa sulla
      quantificazione e attualizzazione dei benefici e dei vantaggi specifici del bene immateriale rispetto
      a situazioni "normali", cioè di prodotti non coperti da brevettazione o tutelati a titolo di segreto
      industriale. Il reddito incrementale è ottenuto per differenza tra i ricavi e costi relativi al bene
      immateriale, con attualizzazione dei flussi differenziali e con esclusione di componenti reddituali
      estranei o poco rilevanti.

2.2.1. Il metodo delle royalties presunte

I marchi sono comunemente ceduti a livello internazionale, specialmente nei gruppi che li accentrano in
società ad hoc, dette royalty companies.
Un metodo empirico agevolmente applicabile si basa sulla determinazione delle "royalties presunte" che
il titolare di una risorsa immateriale avrebbe richiesto per autorizzare terzi allo sfruttamento dello stesso
(si parla anche di metodo del "prezzo di consenso"). Il relief-from-royalties method è particolarmente
indicato laddove si voglia arrivare alla determinazione di un valore di scambio della risorsa immateriale.
Il presumibile valore di mercato di una risorsa immateriale è stimabile come somma attualizzata delle
royalties1 presunte (che l’impresa pagherebbe come licenziatario se la risorsa immateriale non fosse di
proprietà) attualizzate, in un orizzonte temporale tendenzialmente di almeno 3-5 anni e comunque non
superiore alla scadenza contrattuale.
Il concetto di reasonable royalty può assumere rilievo anche in ambito contenzioso nella quantificazione
del danno per illecito utilizzo del marchio.
In sede nazionale, e in attuazione ai principi generali da ultimo rivisti dall'OCSE nel luglio 20172, rileva
la (datata, ma tuttora valida) circolare ministeriale del 22 settembre 1980, n. 9/2267 (“Prezzo di
trasferimento e valore normale nella determinazione dei redditi di imprese assoggettate a controllo
estero”). La circolare si occupa di cessioni di beni immateriali nel cap. V.
Queste fonti normative e interpretative tendono a identificare i criteri guida per stabilire quale debba
essere il "valore normale" nelle operazioni, facendo riferimento al criterio generale di prezzi determinati
in regime di libera concorrenza e quindi rispondenti a una corretta logica economica. La predetta circolare
ministeriale indica come canoni congrui percentuali fino al 5% del fatturato.

1 Il concetto di royalty (canone), che etimologicamente deriva dalla "rendita sovrana", è generico e può meglio essere
specificato - come tipicamente si fa nei contratti di licenza - individuandone la natura esclusiva o meno, le categorie
merceologiche e il territorio di applicazione, la durata, la possibilità o meno di sub-licenziare e altre caratteristiche. Sotto il
profilo economico, rileva anche l'analisi del mercato effettivo e potenziale di riferimento, l'impegno a sviluppare e sostenere
l’intangible con adeguati investimenti, la profittabilità del prodotto, etc.
2 Cfr. http://www.oecd.org/ctp/transfer-pricing/transfer-pricing-guidelines.htm.
                                    roberto.moro@unicatt.it           www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

Tale percentuale può oscillare tra valori minimi e massimi e si deve far riferimento anche al tipo di
mercato in cui opera l'impresa. In casi eccezionali, relativi a marchi celebri, soprattutto nell’ambito di
particolari settori merceologici (alta moda, etc.), le percentuali possono anche essere più elevate.

2.2.2. Il metodo del reddito incrementale

Il valore di una risorsa immateriale è tanto maggiore quanto più elevati sono i risultati economici
operativi attesi associabili alla risorsa medesima.
Pertanto, ove si consideri un’impresa in funzionamento (going concern), il contributo di un bene
immateriale in termini di incrementi di prezzo e/o di volumi (e quindi, di margine economico) alla
redditività d’impresa può essere misurato attraverso il metodo dei redditi differenziali, che determina il
valore della risorsa immateriale in misura pari al valore attuale della sommatoria dei sopra definiti redditi
differenziali che presumibilmente essa produrrà in futuro. Il brand è quindi valutabile se ed in quanto
all’origine di tangibili benefici economici differenziali e future utilità potenziali, che si estrinsecano in un
premium price, inteso come differenziale di prezzo del prodotto caratterizzato da una forte componente di
riconoscibilità sul mercato.
La mancata o simbolica contabilizzazione e capitalizzazione dei costi connessi al marchio impatta da un
lato a livello di mancati ammortamenti e dall’altro di potenziale sottovalutazione del patrimonio netto,
con un valore contabile inferiore a quello di mercato.

2.3. Metodo di mercato (market approach)

La stima del valore di mercato si basa sullo screening delle transazioni che riguardano risorse
immateriali, a titolo di vendita o licenza, utilizzando i database internazionali oggi disponibili sul web
può fornire utili indizi sul loro valore, anche in un’ottica fiscale di comparazione, per stimare ai fini del
transfer pricing il “valore normale” di transazioni tra controparti indipendenti.
Il market approach è coerente con il principio sancito dall’IFRS 13 sulla base del quale il fair value deve
essere determinato adottando le assunzioni che gli operatori di mercato utilizzerebbero nella
determinazione del prezzo del marchio, presumendo che gli operatori di mercato agiscano per soddisfare
nel modo migliore il proprio interesse economico.
Comunemente, l’analisi comparativa si basa, sull’indice Price / Book Value, che rapporta il prezzo di
borsa (di una società quotata) al patrimonio netto contabile, facendo emergere un plusvalore (se l’indice è
maggiore di 1) in parte imputabile alle risorse immateriali.

2.4. Metodo del costo (cost approach)

In assenza di dati disponibili sulla capacità di reddito, un’alternativa possibile è quella del costo sostenuto
in passato per creare la risorsa immateriale e per occupare nel mercato le posizioni raggiunte dallo stesso
alla data di valutazione. Si tratta pertanto di individuare i costi più significativi sostenuti, considerandone
anche la percentuale rispetto alle vendite:

   •   costi di ricerca e sviluppo;
   •   oneri inerenti al deposito e alla concessione dell’intangible (consulenze legali, tasse di domanda,
       di pubblicazione, di concessione, ecc.);

Questo procedimento presenta dei limiti rispetto al metodo dei redditi differenziali.
Un limite deriva dalla nota inidoneità, dovuta al mutare del potere d’acquisto della moneta e al variare
delle condizioni economiche, dei costi storici a misurare dei valori in un momento successivo. Il secondo
limite è riconducibile al fatto che il valore di un bene non è dovuto soltanto ai costi necessari al suo
ottenimento, ma anche e principalmente ai benefici futuri che se ne possono ricavare.
Un passo avanti rispetto al metodo precedente è costituito dal procedimento del costo di riproduzione di
una risorsa immateriale funzionalmente equivalente, che sostituisce ai costi storici i costi di riproduzione
                                roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

ex novo del bene, vale a dire i costi che sarebbe necessario sostenere al momento della valutazione per
ricostruire lo stesso valore che la risorsa immateriale ha raggiunto in quello stesso momento.

2.5. Brand equity

ll patrimonio di marca o valore del marchio (brand equity), è una risorsa immateriale che si fonda sulla
conoscenza di una marca da parte di un determinato mercato e sulla sua conseguente valorizzazione.
La brand equity esprime il valore della marca, da un punto di vista finanziario (financial-based) o di
marketing (patrimonio di immagine) in condizioni di funzionamento sintetizzando la forza di una marca
sul mercato di riferimento.
Le principali determinanti della brand equity sono le seguenti:

       •   immagine di marca (brand image) e risonanza;
       •   preferenza per la marca (brand preference);
       •   posizionamento della marca (brand positioning) e relazione tra quota di mercato e prezzo;
       •   esperienza della marca;
       •   tratti distintivi e riconoscibilità (brand awareness);
       •   personalità della marca, qualità percepita e capacità di spuntare prezzi superiori (premium
           price);
       •   fedeltà alla marca (brand loyalty) e area fiduciaria (brand trust area);
       •   conoscenza della marca (brand knowledge) e tasso di retention dei clienti acquisiti;
       •   tasso di penetrazione e capacità di attrarre nuovi clienti;
       •   associazioni di marca, come collegamento tra la mente del consumatore e la marca stessa;
       •   diffusione, affidabilità e differenziazione;
       •   soddisfazione del consumatore.

Nella prospettiva del consumatore (customer-based), il valore del brand corrisponde al capitale
accumulato dalla marca grazie agli investimenti cumulati di marketing.

3. VALUTAZIONE DEL KNOW-HOW

Il know-how esprime il concetto di "saper fare", a cavallo tra organizzazione in serie e tecnologia,
giuridicamente tutelato come segreto industriale.
La condivisione e trasferibilità del know-how sono alla base della sua valutazione economica, fondata su
metodologie complementari che proiettano l'utilità futura dei costi sostenuti, le royalties presunte dalla
licenza o redditi differenziali da sfruttamento interno.
A differenza dei brevetti, il know-how non è autonomamente negoziabile e può essere reso più
difficilmente opponibile ai terzi, ma allo stesso tempo conserva caratteristiche di riservatezza che con la
brevettazione in parte devono essere divulgate. Le conseguenze sotto il profilo della bancabilità possono
essere rilevanti.

3.1. L’incerto perimetro del "saper fare", tra organizzazione e tecnologia

Il know-how to do it ("saper come fare") è un concetto caratterizzato da un perimetro di definizione molto
ampio, che rischia di sconfinare nell’indeterminatezza; complesse sono le problematiche applicative e
interpretative, anche in fase di stesura contrattuale e tutela (morale e patrimoniale) dei diritti, anzitutto
nell’ambito del trasferimento di tecnologia o della concorrenza sleale.
Il know-how (savoir faire) consiste in un metodo produttivo e organizzativo, spesso con applicazioni
tecnologiche nell’ambito di un processo d’industrializzazione, e si sostanzia nella conoscenza pratica
sulle modalità di saper fare qualcosa, ad es. un prodotto. Il know-how sfrutta un bagaglio di conoscenze e
artifici costruttivi acquisiti anche con il talento imprenditoriale, spesso a titolo artigianale e non sempre
                               roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

formalmente codificate, non di dominio pubblico e quindi tali da originare esclusive asimmetrie
informative, che spesso sconfinano in segreti industriali, intrinsecamente caratterizzati da requisiti di
novità e non accessibilità ai terzi. Il lavoro che porta al know-how, attraverso un progresso tecnico-
organizzativo, è tipicamente svolto in team. Anche in ambito giuridico, per il know-how vi sono rilevanti
problemi d’identificabilità, tracciabilità, accertabilità e individuabilità (che discendono dall’immaterialità
delle res incorporales, inapprensibili ed evanescenti), oltre a quelli di segretezza, sostanzialità, utilità e
titolarità.
Il know-how, che può essere considerato un bene economico, e che rappresenta un patrimonio relazionale
e di conoscenze, può includere attività tangibili e sostanziali come formule, istruzioni e specifiche,
procedure codificate e archetipi, accorgimenti tecnici, layout produttivi con impiego di tecnologia, design,
stampi o modelli o attività intangibili come strategie di marketing e di comunicazione, tecniche di test di
qualità, procedure e competenze produttive e organizzative. Il know-how si riferisce sia a produzioni in
serie, in cui le strategie organizzative e produttive sono serialmente codificate e standardizzate
("customizzate"), sia a produzioni per commessa, che rappresentano "vestiti su misura" in cui la
componente artigianale e la creatività risultano esaltate. Trattasi in ogni caso di expertise e di conoscenze
interne confidenziali legate ad una creatività riproducibile di informazioni tecniche e/o commerciali
proprietarie, con una vita utile indefinita e potenzialmente infinita, che differenzia il know-how e i segreti
industriali dalle invenzioni brevettate. L’ampliamento del concetto, nella sua ripartizione fondamentale
tra know-how tecnico-industriale e commerciale (legato al marketing), è concomitante con la crescente
importanza dell’innovazione come driver strategico.
Nella misura in cui la brevettazione impone una qualche forma di divulgazione, molte invenzioni
rimangono volutamente confinate nell’ambito dei segreti industriali, in cui le conoscenze, in quanto non
notorie, devono essere inaccessibili; soprattutto nelle invenzioni di procedimento, il segreto industriale
tipicamente offre maggiori garanzie, rispetto alla brevettazione, nei confronti di eventuali violazioni di
terzi.
Il know-how, attraverso un processo orchestrato di apprendistato (learning by doing), comporta
innovazioni di processo e di prodotto, che a livello strategico possono essere fonte di un vantaggio
competitivo, inteso da Michael Porter come vantaggio di costo e/o di differenziazione, nell’ambito della
competizione tra imprese. La diffusione cognitiva volontaria del know-how si estrinseca nello show-how,
a titolo di dimostrazione di determinati metodi, pratiche, procedure o processi, anche nell’ambito di
accordi di assistenza tecnica.
Il know-how può essere opportunamente inteso come collante sinergico del “complesso organizzato di
beni” che costituisce l’azienda (ex art. 2555 c.c.), da intendersi anche come un nesso Coasiano di
contratti, caratterizzato dall’abilità di creare, trasferire, assemblare, integrare e sfruttare economicamente
attività derivanti (anche) dalla conoscenza; il suo ambiguo perimetro non sempre consente una nitida
demarcazione rispetto ad altre attività immateriali, rappresentate anzitutto dall’avviamento (acquisito a
titolo oneroso e quindi contabilizzato3 ovvero, più frequentemente, internamente generato), inteso come
categoria residuale di plusvalore non altrimenti allocabile4. Ma il know-how è anche alla base della R&S
che può portare alla brevettazione di invenzioni originali e talora può essere associato anche ai marchi,
considerando la loro natura di segni distintivi che estrinsecano anche caratteristiche qualitative fondate in
buona parte sul know-how. E il know-how può essere anche contiguo al software o, talora, ai diritti di
utilizzazione delle opere dell’ingegno.
Il know-how è, in senso lato, anche il presidio conoscitivo per la garanzia di qualità e per la riparazione
dei prodotti, con l’indotto del mercato post vendita, rilevando anche ai fini della riduzione delle
difettosità, con conseguente limitazione della responsabilità di prodotto.

3 Il tema della contabilizzazione dell’avviamento è particolarmente controverso; si veda l’art. 2426, n. 6 c.c.; il principio
contabile OIC 24; a livello internazionale, v. IAS 36.
4 Nell'ambito degli effetti della fusione, l'art. 2504 bis, c. 4, c.c. rileva che «(…) se dalla fusione emerge un disavanzo, esso
deve essere imputato, ove possibile, agli elementi dell'attivo e del passivo delle società partecipanti alla fusione e, per la
differenza e nel rispetto delle condizioni previste dal numero 6 dell'articolo 2426, ad avviamento».
                                      roberto.moro@unicatt.it          www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

3.2. La valutazione economico-finanziaria

La stima del valore di mercato del know-how deve essere tipicamente inserita in un contesto valutativo
che consideri non solo l’azienda o il ramo complessivamente oggetto di valutazione, ma anche - in
particolare - le sue risorse immateriali, a cominciare da quelle ontologicamente più contigue al know-how
(vale a dire i brevetti e, residualmente, l’avviamento).
La valorizzazione del know-how discende anche dalla catena del valore di cui esso fa parte e dalle fonti
esterne di valutazione, come riportato nella figura 2.

4. LA VALUTAZIONE DEI BREVETTI

La valutazione economica dei brevetti è propedeutica alla stima del danno da contraffazione o da atti di
concorrenza sleale, ovvero per finalità stragiudiziali (congruità delle royalties nel patent licensing e
technology transfer; conferimenti e altre operazioni straordinarie, etc.).
I brevetti sono valutabili anche nell’ambito di innovazioni di prodotto e di processo che sinergicamente
coinvolgono altri intangibili come know-how o marchi e possono far temporaneamente emergere
rendite monopolistiche.
Tra i metodi di valutazione, rilevano a livello comparativo le royalties presunte o il reddito
incrementale derivanti dallo sfruttamento dei brevetti, ovvero il costo-opportunità di una loro
riproduzione e le opzioni reali connesse alla flessibilità di un loro potenziale utilizzo.

4.1. Funzioni del brevetto e rilevanza della valutazione economica

Il brevetto rappresenta un diritto di proprietà industriale riferito ad una nuova invenzione idonea ad avere
un’applicazione tecnica ed immediati risultati industriali, quali, ad esempio, un metodo o un processo di
lavorazione industriale, una macchina caratterizzata da una costruzione innovativa, uno strumento, un
utensile o dispositivo meccanico, un prodotto o un risultato industriale o l’applicazione pratica
nell’ambito delle attività economico-produttive di un principio scientifico.
La valutazione economica dei brevetti ha diverse applicazioni pratiche, che dipendono dalle funzioni che
essi esplicano e dalle complesse problematiche giuridiche che ne derivano.
La stima economica presenta numerose affinità, sotto il profilo delle metodologie di valutazione, con i
marchi, anche se esistono rilevanti differenze, che afferiscono non solo alla diversa natura del brevetto
rispetto al marchio ma anche alla durata residua del diritto (indicativamente non superiore ai 20 anni per il
brevetto e tendenzialmente illimitata per il marchio) e al collegamento con altre risorse intangibili affini
(know-how, segreti industriali e spese di R&S per i brevetti; costi di pubblicità e di marketing e, in senso
più lato “avviamento commerciale” per i marchi).
La valutazione economica dei brevetti viene utilmente effettuata ad esempio in caso di:

   -   quantificazione del danno economico effettivo in azioni di contraffazione o altri atti di
       concorrenza sleale (imitazione, dumping, concorrenza parassitaria ...);
   -   stima dei congrui tassi di royalties da negoziare nei contratti di licenza (patent licensing) o di altre
       modalità di patent extension;
   -   determinazione del congruo canone d’affitto della patent (royalty) company;
   -   stima del valore contabile (nelle valutazioni di bilancio, applicando i principi contabili
       internazionali);
   -   conferimento di brevetto (con o senza azienda);
   -   concambio di fusione o di scissione in presenza di brevetti;
   -   valutazione del recesso del socio di società con brevetti;
   -   valutazione della performance di patent managers, ricercatori e dirigenti nell’area produttiva e di
       R&S, per premi e bonus;
   -   liquidazione della società e vendita del brevetto;
   -   sale and lease back di brevetti;
   -   valorizzazione dei brevetti in operazioni di corporate lending o venture capital e stima del valore

                               roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

         “collaterale” dei brevetti5;
    -    valutazione della congruità di atti a titolo oneroso riguardanti brevetti, per verificare l’applicabilità
         della revocatoria fallimentare e della bancarotta preferenziale (in caso di brevetti svenduti ...);
    -    valore dei beni (brevetti) di grandi imprese in crisi (art. 62, comma 3, D.Lgs. n. 270/1999) o in
         caso d’insolvenza (anche per la congruità dell’affitto di rami d’azienda);
    -    trasferimento / cessione del brevetto - technology transfer / commercializzazione da università e
         centri di ricerca;
    -    stima fiscale del valore normale;
    -    pegno, ipoteca e usufrutto su brevetti.

La valutazione del brevetto deve essere effettuata con un approccio interdisciplinare, che consideri
congiuntamente diversi aspetti, apprezzandone l’impatto in un’ottica economico-finanziaria. In
particolare, vanno considerati i profili:

    a) tecnologico (utilità e industrialità dell’invenzione; capacità di creare degli standard ...);
    b) giuridico (analisi dell’intensità del grado di protezione offerto dalla concessione del brevetto nelle
       diverse fattispecie ...);
    c) contabile (valutazione in bilancio del brevetto e delle spese di ricerca e sviluppo che lo sostengono
       ...);
    d) tributario (impatto della fiscalità in caso di trasferimento del brevetto; tassazione delle royalties
       ...);
    e) strategico / produttivo (plusvalore differenziale del brevetto; capacità del brevetto di consentire la
       realizzazione di economie di scala e/o di esperienza...);
    f) micro e macro economico (rendita monopolistica derivante dalla proprietà e dal diritto di
       sfruttamento del brevetto, rilevabile a livello di singola azienda ma estendibile con un effetto
       network, in un’ottica aggregata, anche ad una filiera di imprese o ad un distretto industriale).

4.2. I principali metodi di valutazione

I principali metodi per la stima del valore di mercato dei brevetti sono diversi e riconducibili a due
tipologie: i metodi empirici e i metodi analitici.
I metodi empirici si fondano sull’osservazione pratica dei prezzi di mercato dei beni immateriali
sufficientemente simili e, in quanto tali, comparabili.
I metodi analitici hanno invece un fondamento scientifico più solido e una maggiore tradizione anche in
sede professionale e su fondano anzitutto su un approccio reddituale-finanziario, per stimare quanto vale
oggi un asset (anche un brevetto) sulla base dei rendimenti futuri attesi ovvero attraverso una stima dei
costi sostenuti o di riproduzione / rimpiazzo.
Il valore di un brevetto dipende anche dal suo posizionamento all’interno di database specializzati e dal
mercato potenziale per l’invenzione.
I principali metodi utilizzati - singolarmente o in via complementare - dalla prassi professionale per la
stima economica del valore dei brevetti sono:

    1. attualizzazione delle royalties presunte, che l’impresa pagherebbe come licenziataria se il brevetto
       non fosse di proprietà;
    2. attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa differenziali (incrementali): si basa sulla
       quantificazione e attualizzazione dei benefici e dei vantaggi specifici del bene immateriale rispetto
       a situazioni “normali”, cioè di prodotti non coperti da brevettazione. Il reddito incrementale è
       ottenuto per differenza tra i ricavi e costi relativi al bene immateriale, con attualizzazione dei
       flussi differenziali e con esclusione di componenti reddituali estranei o poco rilevanti;
    3. (determinazione dei) costi sostenuti per la realizzazione del brevetto o da sostenere per la sua

5 I brevetti (e a maggior ragione altri intangibili non registrati) tendono ad avere un valore collaterale limitato se si passa da
uno scenario di continuità aziendale ad un contesto di liquidazione e pertanto la loro funzione di garanzia per affidamenti
bancari è spesso secondaria. D’altro canto, visto che il valore delle aziende dipende sempre più dalle loro componenti
intangibili, in un’ottica di funzionamento il brevetto sostiene i flussi economici e finanziari, cui è legata la capacità di servire il
debito.
                                     roberto.moro@unicatt.it          www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

      riproduzione: secondo tale metodo, il valore di un brevetto è determinato dalla sommatoria dei
      costi capitalizzati, sostenuti per la realizzazione del brevetto o da sostenere per riprodurlo;
   4. valutazione del patrimonio differenziale (incrementale), attraverso indicatori del plusvalore di
      mercato come il Q di Tobin, che rapporta il valore di mercato delle attività di una società al loro
      valore di sostituzione / rimpiazzo; se l’indice è superiore all’unità, ciò è dovuto alla presenza di un
      avviamento implicito che può dipendere, tra le altre cose, dal valore (non contabilizzato) del
      brevetto. In via complementare, si usa l’indice Price / Book Value, che rapporta il prezzo di borsa
      (di una società quotata) al patrimonio netto contabile, facendo emergere un plusvalore (se l’indice
      è maggiore di 1) in parte imputabile ai brevetti;
   5. opzioni reali, utilizzate per valutare progetti di investimento flessibili e dagli esiti incerti.

I tre diversi approcci valutativi proposti dal citato meta-standard ISO 10668 (“Brand Valuation”,
applicabile ai marchi ma anche, in senso più lato, a molti altri intangibili e qui analogicamente
richiamato) sono i seguenti:

   -   “Cost Approach”: l’approccio del costo considera il valore dell’intangibile come somma dei costi
       sostenuti per la costruzione dello stesso bene immateriale.
   -   “Income Approach”: l’approccio reddituale / finanziario consente di valutare l’intangible in
       funzione del valore attuale della sua capacità di generare redditi / flussi futuri, nell’arco della sua
       vita utile attesa.
   -   “Market Approach”: l’approccio di mercato definisce il valore dell’intangibile in relazione ai
       valori espressi da transazioni comparabili sul mercato.

Lo screening dei brevetti utilizzando i database pubblici oggi disponibili su formato elettronico può
fornire utili indizi sul loro valore; la letteratura scientifica americana da oltre venti anni studia con
modelli econometrici la relazione tra l’attività brevettuale, da un lato, e l’innovazione, la spesa in R&S e
il valore di mercato della patent company, dall’altro. L’evidenza empirica derivante dal rinnovo annuale
dei brevetti fornisce utili indicazioni per la valutazione, considerando che i costi di rinnovo sono
tipicamente trascurabili a livello domestico ma crescono sensibilmente in caso di estensioni in altri paesi;
utile è anche una regressione statistica tra il valore di mercato della patent company e il numero di
citazioni (per brevetti successivi) o di controversie e opposizioni.
La scelta dei metodi da usare, nell’ambito di quelli sopra menzionati o di ulteriori varianti, dipende dalla
tipologia di brevetto e dalle finalità e dal contesto della valutazione, ma anche dalla facilità con cui
possono essere reperite informazioni attendibili e significative sul brevetto e sul mercato in cui esso si
posiziona.
Dei diversi metodi va colta la complementarità nell’individuare - da diverse angolature - i poliedrici
aspetti del brevetto, atti a consentire una valutazione integrata: le royalties presunte sono anche in
funzione dei redditi o flussi di cassa incrementali che dal brevetto derivano, che interagiscono anche con
il plusvalore di mercato o i moltiplicatori di società comparabili; il patrimonio incrementale deriva da un
accumulo negli anni del reddito differenziale (...).
I diversi metodi dovrebbero in teoria portare a risultati simili, anche se il metodo delle royalties presunte
e del costo di riproduzione talora tendono a fornire valutazioni più basse rispetto al metodo dei redditi
differenziali o alle comparazioni di mercato.

4.2.1. Patrimonio incrementale: Q di Tobin e rapporto Price / Book Value

La stratificazione di redditi differenziali grazie al brevetto genera un patrimonio incrementale, che
esprime il differenziale tra valore di mercato e valore contabile dell’azienda; trattasi di un elemento
idoneo ad esprimere - in modo un po’ grossolano ma spesso efficace - il plusvalore di assets intangibili
che raramente trovano “soddisfazione” nel loro valore contabile e che hanno portato la dottrina a parlare
di differenziale “fantasma”.
L’avviamento internamente generato, non contabilizzabile per ragioni di prudenza costantemente
richiamate dai principi contabili nazionali e internazionali, talora si identifica - in tutto o in parte - con il
plusvalore di un brevetto (ancora più agevole è l’accostamento ai marchi).
Il patrimonio incrementale può essere stimato attraverso il citato indice Q ideato dal premio Nobel J.
                                roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

Tobin, pari al rapporto tra valore di mercato dell’azienda e costo di rimpiazzo dei beni tangibili; se Q > 1,
l’azienda vale più dei suoi beni tangibili e tale plusvalore esprime il valore dei beni intangibili.
In via complementare, si può usare il rapporto tra price e book value, che esprime il confronto tra valore
di mercato e valore contabile del patrimonio netto, evidenziando un plusvalore non contabilizzato se il
rapporto è superiore all’unità. L’indicatore è semplice e affidabile (essendo basato su un prezzo di borsa
oggettivo e su un patrimonio netto desunto dal bilancio), laddove disponibile. Rimane poi il problema di
quanta parte del plusvalore sia da attribuire direttamente al brevetto e quanto sia invece di pertinenza di
altri intangibles specifici o in via residuale di un generico avviamento. Il problema si risolve
automaticamente nel caso di una patent company quotata in cui i brevetti rappresentano l’unico asset.

4.2.2. Opzioni reali e clausole di earn out

La valutazione dei brevetti, soprattutto se relativi ad invenzioni non ancora consolidate sotto il profilo dei
risultati economici attesi, tipicamente comporta elevati profili di incertezza e aleatorietà che si riflettono
anche nella difficoltà di stimare i flussi di cassa (o reddituali) derivanti dal loro sfruttamento.
La stima dei flussi di cassa di un investimento viene di norma effettuata ex ante, senza introdurre nei
rigidi e predeterminati meccanismi di calcolo del Valore Attuale Netto dell’investimento brevettuale
ipotesi evolutive e varianti in corso d’opera che invece, col senno di poi, si rivelano particolarmente
frequenti.
Le opzioni reali consentono di inserire nel modello di stima elementi di flessibilità e resilienza,
incorporando in esso le reazioni del mercato, spesso difficilmente prevedibili. Si possono così avere
opzioni di differimento, sospensione temporanea, abbandono, contrazione ovvero - in senso più
ottimistico - di espansione o sviluppo, che conferiscono elasticità e adattabilità alle invenzioni brevettate,
incrementandone il valore potenziale.
La capacità di prevedere e modellare eventi futuri ed incerti connessi all’effettivo ritorno economico-
finanziario derivante dallo sfruttamento del brevetto può essere utilmente codificata in clausole
contrattuali di earn out che, nelle compravendite di brevetti, assicurino al venditore un prezzo
addizionale, ove si verifichino determinate fattispecie, particolarmente aleatorie ed incerte al momento
della stipula contrattuale. Ciò consente di superare delicate situazioni di stallo, in cui il venditore non è
disposto a rinunciare ad extra guadagni (nella misura in cui i meriti siano a lui riferibili) e l’acquirente a
riconoscerli senza che sia accertata la presumibile verificabilità degli eventi positivi ad essi associati. Tra
earn out e opzioni reali si possono stabilire utili collegamenti, codificando contrattualmente gli aspetti
economici di eventi possibili ed incerti.
Le opzioni reali possono essere utilmente collegate con il Competitive Advantage Period, concorrendo a
stimarne intensità e durata.

5. LA VALUTAZIONE DEL SOFTWARE

Il software, sinteticamente inteso come sequenza di istruzioni informatiche per eseguire funzioni su
dispositivi hardware, rientra nell’ambito delle immobilizzazioni immateriali e presenta, per la sua
pervasività nella vita quotidiana, uno strumento ormai irrinunciabile per qualsiasi fruitore.
Ne derivano problematiche giuridiche assai articolate, qui richiamate in sintesi, e anche sofisticati
metodi di valutazione economica, anche al fine della stima del danno da contraffazione, in uno
scenario evolutivo caratterizzato da forti discontinuità tecnologiche.

5.1. Definizione e caratteristiche del software

In termini generali, il software (o programma) è una sequenza informatica di istruzioni, scritte in un
linguaggio di programmazione (C, Visual Basic …), per ottenere un determinato risultato e per compiere
funzioni in un dispositivo elettronico; tali istruzioni formano il codice sorgente, trasformato mediante un
compilatore in codice oggetto, che la CPU (Central Processor Unit) è in grado di elaborare; in altri
termini, esso è rappresentato dalle informazioni (dati) e dalle regole (programmi) atti a gestire detti dati.
Tali informazioni possono essere quindi rappresentate da uno o più programmi, oppure da uno o più dati,
oppure da una combinazione dei due.
                               roberto.moro@unicatt.it     www.morovisconti.com
Roberto Moro Visconti © - Riproduzione Riservata per gli studenti di MACERATA 2 maggio 2018

Il codice sorgente di un software proprietario solitamente non viene diffuso e viene ritenuto un segreto
commerciale. Si ha, in tale ambito, un software proprietario, che si contrappone al software open source
(free software), in cui il codice sorgente è reso pubblico dagli autori, consentendo ai programmatori
indipendenti di apportare modifiche ed estensioni.
Il software rappresenta un elemento fondamentale dell’informatica (computer science), che si occupa del
trattamento dell’informazione attraverso procedure automatizzabili, utilizzando algoritmi, vale a dire
procedimenti formali che risolvono problemi (di natura procedurale, computazionale, etc.),
interpretandone la calcolabilità attraverso un numero finito di passaggi. Gli algoritmi, di norma basati su
concetti matematici, rappresentano un aspetto cardine nella fase di programmazione dello sviluppo di un
software che utilizza linguaggi informatici poi eseguiti da un calcolatore.
La definizione del concetto di software, non priva di ambiguità (anche per le sue caratteristiche tecniche
in continua evoluzione), è anche strumentale al suo inquadramento sotto il profilo giuridico. Secondo una
prima definizione, fornita dall’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) nel 1984, il
software è “espressione di un insieme organizzato e strutturato di istruzioni in qualsiasi forma o su
qualunque supporto capace, direttamente o indirettamente, di far eseguire o far ottenere una funzione o
un compito o far ottenere un risultato particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica
dell’informazione”.
Nella lingua inglese "software" nasce per contrapposizione al termine "hardware"6 e dalla composizione
delle parole "soft" (in italiano "morbido", "tenero", “soffice”, "leggero") e "ware" (in italiano "merci",
"articoli", "prodotti", "mercanzie").
In base alle diverse caratteristiche, i software possono essere classificati anzitutto in base a:

    -    le funzioni che soddisfano (contabilità, consultazione documenti, video-scrittura di documenti,
         fogli di calcolo, gestione paghe, database, grafica …);
    -    il grado di apertura della licenza (libero utilizzo o proprietario);
    -    l’installabilità presso apparecchiature hardware o portabilità, con evoluzioni Internet che hanno
         aperto lo spazio al cloud computing, che permette di archiviare dati (backup) ed elaborare
         informazioni in remoto (data as a service), ovvero di utilizzare programmi sempre in remoto,
         fuori dal computer fisico o dalla LAN locale (software as a service), attraverso un cloud provider
         esterno che utilizza memorie di massa in outsourcing;
    -    il sistema operativo7 su cui possono essere utilizzati (DOS, Unix, Mac OS, Linux, Windows,
         Android, iOS …);
    -    il tipo di interfaccia che li utilizza (PC singoli oppure in rete, a livello testuale o grafico);
    -    le criticità dei processi che governano.

La realizzazione di un software è un'attività complessa e articolata in più fasi, partendo da una
piattaforma base di programmi (ad es., Java) su cui sono sviluppate applicazioni e personalizzazioni,
nell’ambito di un ambiente di esecuzione, e per questo motivo esso viene in genere associato ad un
prodotto ingegneristico, ma se ne differenzia soprattutto per la plasmabilità secondo necessità.

5.2. Valutazione economico-finanziaria

Il software rientra nell’ambito delle immobilizzazioni immateriali e pertanto la sua valutazione prende le
mosse dai principi di stima normalmente applicabili agli intangibili, da adattare al caso di specie.
La valutazione economica del software può trovare applicazione in fattispecie di natura contrattuale /
stragiudiziale ovvero per contenziosi, tipicamente inerenti ipotesi di contraffazione o concorrenza sleale.
La valutazione del software deve essere effettuata con un approccio interdisciplinare, che consideri
congiuntamente diversi aspetti, apprezzandone l’impatto in un’ottica economico-finanziaria.

6 Il termine “hardware” indica la parte fisica di un computer, ovvero tutte quelle parti elettroniche, elettriche, meccaniche,
magnetiche e ottiche che ne consentono il funzionamento.
7 Il termine “sistema operativo” (operating system) si riferisce a quel insieme di componenti software, che consente l'utilizzo di
varie apparecchiature informatiche (ad esempio di un computer, un tablet o uno smartphone) da parte di un utente.
                                    roberto.moro@unicatt.it          www.morovisconti.com
Puoi anche leggere