I disegni di Giovanni Colacicchi a Casa Siviero - Ricordando l'incontro con Giorgio de Chirico 24 maggio - 29 settembre 2014 - Regione ...
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I disegni di Giovanni Colacicchi a Casa Siviero Ricordando l’incontro con Giorgio de Chirico A cura di Susanna Ragionieri e Mario Ruffini 24 maggio - 29 settembre 2014 Firenze, Museo Casa Siviero Regione Toscana
I DISEGNI TESTI DELLE SCHEDE DI GIOVANNI COLACICCHI Susanna Ragionieri SOMMARIO A CASA SIVIERO Ricordando l’incontro CAMPAGNA FOTOGRAFICA con Giorgio de Chirico DEI DISEGNI IN CATALOGO Attilio Tori 24 maggio-29 settembre 2014 Firenze, Museo Casa Siviero FOTOGRAFIE OPERE IN MOSTRA A VILLA BARDINI p. 3 MOSTRA PROMOSSA DA Andrea Pecchioli Elena Pianea Regione Toscana Settore Musei ed Ecomusei FOTOGRAFIE STORICHE Presentazione Domenico Viggiano IDEAZIONE DELLA MOSTRA p. 5 E DEL PROGETTO “2014. SI RINGRAZIANO Attilio Tori UN ANNO D’ARTE A FIRENZE Marcella Antonini, Vanda Butera, Lorenzo Gremigni, Lorenza Melli, L’amicizia tra Rodolfo Siviero PER GIOVANNI COLACICCHI E FLAVIA ARLOTTA” Enrico Sartoni, Elisabetta Soldini, e Giovanni Colacicchi Mario Ruffini Domenico Viggiano, Luigi Zangheri Progetti di Musica e Arti figurative p. 9 Kunsthistorisches Institut in Florenz FOTO DI COPERTINA Mario Ruffini Max-Planck-Institut Giovanni Colacicchi, Autoritratto, 1925 Giovanni Colacicchi A CURA DI QUARTA DI COPERTINA nel suo backstage creativo: Susanna Ragionieri Giovanni Colacicchi, Disegno i disegni Mario Ruffini preparatorio per “Lo Studio”,1922 REALIZZAZIONE p. 13 ORGANIZZAZIONE Regione Toscana, Settore Direzione generale della Presidenza Silvia Ciappi Musei ed Ecomusei Giunta Regione Toscana Giovanni Colacicchi: Elena Pianea incontri a casa Siviero Cinzia Manetti IMPAGINAZIONE GRAFICA tra suggestioni quattrocentesche Attilio Tori Roberta Benvenuti Giunta Regione Toscana e rigore metafisico COLLABORAZIONE ISTITUZIONALE Fondazione Parchi Monumentali © p. 15 Bardini e Peyron 2014 Giunta Regione Toscana Susanna Ragionieri Firenze, maggio 2014 Qualche nota sull’incontro ALLESTIMENTO Attilio Tori STAMPA fra Giovanni Colacicchi Pacini Editore, Ospedaletto e Giorgio de Chirico PRESTATORI DEI DISEGNI Pisa, maggio 2014 Firenze, famiglia Colacicchi p. 17 ISBN 978-88-6315-715-4 TESTI IN CATALOGO Susanna Ragionieri Elena Pianea Schede dei disegni Attilio Tori Mario Ruffini p. 53 Silvia Ciappi Bibliografia Susanna Ragionieri generale Museo Casa Rodolfo Siviero Lungarno Serristori, 1 - Firenze www.museocasasiviero.it casasiviero@regione.toscana.it 2
Presentazione Elena Pianea Con la mostra di primavera, la Regione Toscana prosegue anche nel 2014 la propria attività di studio e valorizzazione rivolti ai protagonisti del cenacolo artistico e letterario che trovò dimora nella prima metà del ’900 presso gli ambienti di Casa Rodolfo Siviero. Grazie alla ge- nerosità degli eredi Colacicchi che offrono al pubblico alcuni impor- tanti disegni del maestro Giovanni Colacicchi – oggi custoditi presso la loro collezione privata – abbiamo la possibilità di approfondire le nostre conoscenze sulle fitta rete amicale e professionale che intrec- ciò le relazioni di personalità di altissimo profilo come puntualmente documentato dagli autori di questa agile pubblicazione che ringrazio sentitamente per la generosa e competentissima collaborazione. La mostra di Lungarno Serristori si apre a poche settimane di distan- za dall’inaugurazione dell’esposizione Giovanni Colacicchi. Figure di ritmo e di luce nella Firenze del ’900 presso Villa Bardini: si offre dunque l’opportunità di completare la conoscenza di un maestro del Rodolfo Siviero (al centro) tra Novecento in due prestigiose dimore storiche ai cittadini toscani e ai Ugo Capocchini (a sinistra) turisti che in questo periodo dell’anno visitano con grande interesse e Giovanni Colacicchi (a de- stra) alla inaugurazione di una l’Oltrarno cittadino, gradevole meta alternativa ai luoghi più gettonati mostra di Quinto Martini nel nella visita di Firenze. 1980 ca., foto di Domenico Viggiano Benvenuti, dunque, a Casa Siviero! 3
Rodolfo Siviero (a sinistra) con Giovanni Colacicchi, 1980 ca., foto di Domenico Viggiano Indice dei disegni p. 18 Paesaggio con carri e pagliaio p. 27 Agnese, 1921 p. 42 Studio per “Il ponte della p. 18 Garibaldo Cepparelli che p. 28 Paesaggio toscano, 1924 ferrovia”, 1925 ca. dipinge, 1922 ca. p. 29 Disegno preparatorio per “Lo p. 43 Ritratto di Aldo Palazzeschi p. 19 Studio dalle “Cinque Bagnanti” Studio”, 1922 p. 44 Paesaggio con case e mare sullo di Cézanne p. 30 Autoritratto, 1925 sfondo, 1928 ca. p. 19 Natura con morta con tavolo p. 31 Studio per “Melancolia”, 1923 p. 45 Studio per “Ricordo del mare fra apparecchiato, 1921 ca. p. 32 Studio per il gesto della mano di Viareggio e il Forte”, 1928 ca. p. 20 Studio per “Piazzetta Santa “Melancolia”, 1924 ca. p. 46 Profilo di Eugenio Montale, 1928 Maria”, 1922-1923 p. 33 Paesaggio di Monteripaldi, p. 47 Ritratto di Nino Rota, 1929 p. 21 Studio per “Piazzetta Santa 1925 p. 48 Studio per “Natura morta con Maria”, 1926 p. 34 Studio per “Orfeo”, 1930 ca. strumento musicale africano”, p. 22 Studio per “Lo spizzone II”, p. 35 Studio di nudi danzanti, 1930 ca. 1928 1928 p. 36 Disegno preparatorio per “Santa p. 49 Studio per “Il Lago o La Pia”, p. 23 Studio per “Lo spizzone”, 1931 ca. Maria Egiziaca”, 1933 ca. 1943 p. 24 Studio per “Piazza Santa p. 37 Studio per la figura di destra in p. 50 Studio per “Endymione” di Trinita”, 1921 piedi di “Santa Maria Egiziaca”, Arturo Loria, 1943 ca. p. 25 Il Pino del Ponte al Pino, 1918 1928 p. 51 Rovine (Villa Adriana ?), p. 26 1. Autoritratto di profilo, 1921, p. 38 Onofrio Martinelli, 1931 1932 ca. disegno p. 39 Testa di giovane meticcia, 1935 p. 52 Studio per “L’antenna della p. 26 2. Autoritratto di profilo, 1921, p. 40 Ritratto di Alberto Carocci, 1926 radio”, post 1932 xilografia p. 41 Paesaggio con strada, 1925 ca. p. 53 Ritratto di Rand Herron, 1923 4
L’amicizia tra Rodolfo Siviero e Giovanni Colacicchi Attilio Tori Il forte carattere autoritario e intransigente procurò a Siviero molte amarezze e inimicizie; sono rare le persone di cui egli parla con stima e affetto, ma uno dei pochi è proprio Giovanni Colacicchi 1. I due si conoscevano sicuramente fin dagli anni Trenta. Colacicchi era allora un pittore già affermato a livello nazionale, il futuro “007 dell’arte” invece era un giovane studente fiducioso di veder riconosciute le sue ambizioni di poeta e di critico d’arte. Il giovane Siviero frequentava i ritrovi degli intellettuali fiorentini il Caffè delle Giubbe Rosse, la Trattoria Antico Fattore e le redazio- ni delle riviste culturali «Il Frontespizio, Solaria, l’Universale»; inoltre i due avevano amici comuni, in particolare Giorgio Castelfranco e Alessandro Bon- santi2. Probabilmente ci furono anche contatti durante la comune militanza antifascista dopo l’8 settembre 19433. Comunque fino agli anni Sessanta la frequentazione tra Siviero e Colacicchi fu superficiale. Infatti i diari dell’epoca e i successivi scritti autobiografici di Siviero ricordano Colacicchi solo una volta e solo semplicemente citandone il nome in una lista di una decina di artisti che egli era solito incontrare alle Giubbe Rosse4. Purtroppo, a differenza di quanto ha fatto su molti altri, Sivie- ro non ha lasciato niente di scritto sulla pittura di Colacicchi. Non possiamo quindi conoscere il suo giudizio su Colacicchi artista; sappiamo però che esi- steva una forte affinità tra le convinzioni estetiche di Siviero e quelle di Cola- cicchi. Tutti gli scritti storico-critici di Siviero infatti ruotano intorno all’idea che l’arte moderna debba svilupparsi in continuità con la tradizione antica5, reinterpretando in modo contemporaneo i valori umanistici della figurazione e del saper fare bene, anche manualmente, il proprio mestiere. Nel dopoguerra poi Siviero, come Colacicchi, si schierò decisamente contro l’arte astratta, l’in- formale e le altre tendenze di avanguardia che giudicava effimere conseguenze della confusione intellettuale e della decadenza spirituale del proprio tempo6. Le relazioni culturali e amicali tra Siviero e Colacicchi si svilupparono so- prattutto negli anni Sessanta-Settanta all’interno dell’Accademia delle Arti del Disegno, a cui Siviero fu ammesso nel giugno del 1962, cioè sei mesi dopo l’elezione di Colacicchi a presidente7. Quando nel marzo 1971, in modo del tutto inusuale essendo solo un membro onorario, Siviero divenne presidente dell’Accademia al posto di Colacicchi, questi convalidò il risultato della votazione e accolse il nuovo presidente con signorili parole di augurio8. Negli anni seguenti Colacicchi, prima come Vice- presidente poi come Presidente della Classe di Pittura9, collaborò con Siviero nel Consiglio di Presidenza dell’Accademia, appoggiando quasi sempre la sua azione di rinnovamento della antica istituzione e lodando pubblicamente l’opera svolta da Siviero sia nella ricostruzione e riorganizzazione dell’Acca- demia che nel recupero delle opere d’arte10. I due, se erano impossibilitati a partecipare, si conferivano reciprocamente le deleghe per essere rappresentati nelle riunioni del Consiglio Accademico; Siviero sosteneva e approvava i pro- grammi presentati da Colacicchi come Presidente della Commissione Mostre 5
e Attività Culturali dell’Accademia11 e le sue iniziative in difesa delle opere d’arte fiorentine12 ; inoltre assicurava la sua presenza anche alle inaugurazioni di mostre personali di Colacicchi non organizzate dall’Accademia13, mostre di cui rimane il catalogo nella biblioteca di Casa Siviero. I documenti conservati nell’Archivio dell’Accademia dimostrano che tra i due ci fu sempre grande stima e rispetto, anche in quei casi in cui le loro opinioni divergevano. Colacicchi ad esempio aveva sempre difeso la fiorentinità dell’Ac- cademia14 mentre Siviero volle dargli un carattere nazionale e internazionale in- vitando a farne parte importanti artisti non residenti a Firenze come de Chirico, Manzù, Guttuso, Bacon, Chagall, Kokoschka, Moore. Solo quando Siviero propose di nominare accademico Alberto Burri, Cola- cicchi fece mettere a verbale la sua contrarietà15. Considerando che entrambi condividevano la polemica contro le tendenze artistiche non figurative, si può ritenere che la scelta di Siviero fosse ispirata da motivazioni di prestigio, mentre a Colacicchi interessava molto di più la difesa del valore della “pittura” rispetto alla presenza in Accademia di grandi nomi. Nel caso specifico la volontà del presidente Siviero prevalse e Burri entrò a far parte, come membro ordinario, proprio di quella Classe di Pittura di cui era direttore Colacicchi. Ma altre volte G. Colacicchi, catalogo mostra, Firenze, Galleria La Gradiva, Siviero dimostrò di tenere in grande considerazione l’opinione di Colacicchi, 1972, Biblioteca Casa Siviero giustificando con il suo parere negativo la non ammissione di un artista16. Colacicchi era contrario anche all’idea di Siviero di ammettere nell’Accade- mia gli studiosi di arte, facendo notare che ogni organismo artistico governato da critici e storici dell’arte fatalmente si è deteriorato, come nel caso della Bien- nale di Venezia e della Quadriennale di Roma17. Anche in questo caso però l’autorità del Presidente fu accettata da Colacicchi e il nuovo Statuto appro- vato nel 1978 contemplò le nuove due classi di Storia dell’Arte e di Discipline Umanistiche e Scienze. La reciproca stima ed il rispetto per i diversi ruoli sono evidenti anche quando a dividerli sono opposte valutazioni sulle mostre da organizzare, una attività che riguardava in modo specifico Colacicchi nella sua carica di Presidente della Commissione Mostre e Attività Culturali dell’Accademia. Nel 1973 Si- viero, che fin da giovane aveva amato molto Picasso18, propose di organizza- re una mostra commemorativa del pittore spagnolo scomparso pochi mesi prima. Colacicchi non era d’accordo ritenendo che una mostra di Picasso: non aggiungerebbe né toglierebbe nulla alla sua fama e non risveglierebbe certo l’interesse del pubblico19. Avendo sempre unito gli interessi artistici con quelli letterari, Colacicchi proponeva invece una mostra dedicata al pittore e poeta settecentesco inglese William Blake altro artista importante nel campo interna- zionale e poco noto al pubblico italiano20. Si intuisce che c’era una differenza di fondo tra Siviero, intenzionato a re- stituire prestigio culturale all’Accademia per mezzo di iniziative di forte ri- chiamo mediatico, e Colacicchi che privilegiava scelte più intellettualmente raffinate anche se di minore popolarità e visibilità. La discussione dovette 6
essere animata perchè Colacicchi fece mettere a verbale che non desiderava interessarsi della mostra di Picasso e forse minacciò le dimissioni, visto che Siviero fece scrivere che invece confermava la stima e la fiducia a Colacic- chi come Presidente della Commissione Mostre e Attività Culturali21. In ogni caso la mostra di Picasso fu approvata dal Consiglio Accademico, ma non fu mai realizzata. Colacicchi infatti fu di fatto il più stretto collaboratore del pre- sidente Siviero e senza il suo impegno concreto non sarebbe stato possibile re- alizzare nessuna delle esposizioni organizzate dall’Accademia in quegli anni. Entrambi erano fortemente interessati a promuovere gli artisti dell’Accade- mia con mostre collettive. La prima si svolse in Francia, a Montauban e Nancy nell’estate e autunno del 1971. Essendo stata aperta pochi mesi dopo l’elezio- ne di Siviero probabilmente la sua organizzazione fu principalmente dovuta alla gestione precedente e in particolare al Segretario Armando Nocentini; Colacicchi vi partecipò con tre dipinti e due disegni22. La seconda si tenne a Spoleto in occasione del Festival dei Due Mondi nell’e- state del 1973. I primi contatti tra l’Accademia e gli organizzatori spoletini furono tenuti da Siviero, che inoltre firmò la Presentazione sul Catalogo23, ma fu Colacicchi che si recò a visitare i locali dell’esposizione, invitò gli artisti a Colacicchi Mostra Antologica, partecipare alla mostra, sollecitandoli poi a consegnare le opere e le notizie catalogo mostra, Anagni, Pa- lazzo comunale, 1972, Biblio- biografiche per il catalogo24. teca Casa Siviero Terza mostra collettiva fu quella che inaugurò la nuova sede espositiva dell’Acca- demia in Piazza San Marco a Firenze, nel dicembre 1975, in occasione del Cen- tenario della morte di Vasari. I documenti dell’Accademia ci dicono che l’idea della mostra fu di Colacicchi come Presidente della Commisione Mostre25. La proposta fu immediatamente accolta e sostenuta da Siviero, che poi si occupò principalmente di tenere i contatti con le istituzioni pubbliche che finanziava- no le celebrazioni vasariane. Siviero volle anche che fossero gli stessi artisti a scrivere la presentazione delle loro opere nel catalogo26, ma fu Colacicchi, come Presidente della Commissione Esecutiva appositamente istituita per questa mo- stra27, che decise il numero delle opere da esporre, scrisse agli artisti da invitare, informò Siviero delle difficoltà organizzative28 e redasse di suo pugno la nota introduttiva per il catalogo29, nella quale illustrava i criteri per la futura program- mazione espositiva nella nuova sede di Piazza San Marco. Forse Siviero la riten- ne troppo impegnativa e vincolante perché nel catalogo fu stampata solo una breve e anonima nota nella quale, sicuramente in accordo tra i due, si affermava: l’impegno dell’Accademia di riprendere con spirito nuovo le antiche tradizioni30. E’ proprio nei documenti riguardanti l’organizzazione della mostra collettiva del 1975 che si nota come il tono delle comunicazioni tra Colacicchi e Siviero, nono- stante il “caratteraccio” del secondo, sia diventato amichevole e addirittura affet- tuoso. Non sorprende quindi di leggere nei diari di Siviero del 1976 la seguente nota: L’accademia di Firenze comincia a impegnarmi troppo e con amarezze continue. Tolti pochi non ci sono artisti ma solo rompiscatole villani con i quali è impossibile un rapporto... All’Accademia ho avuto solo tre amici Berti, Colacicchi e Granchi31. 7
1 Siviero ms. 1975-1977, nota intestata Roma martedì 28 11 Registro dei Verbali del Consiglio dal 23 marzo 1974 al settembre 1976 e Siviero Diario ms. 1977-1983 nota inte- 1986, in Archivio AAD, Faldone 1974. stata Roma, Domenica 23 III 80 ore 22. 12 Ivi, Verbale 14 del 17 gennaio 1976, pp. 58-59. 2 Cfr. Siviero datt. 1964, nel quale Siviero ricorda i suoi giova- 13 il telegramma di Siviero al Sindaco di Anagni del 23 nili trascorsi letterari negli anni Trenta fino al momento della agosto 1974 in Archivio AAD, Faldone 1974, Cartella ver- sua entrata nei servizi segreti militari. In particolare Siviero ri- de Il Presidente. corda Giorgio Castelfranco come la persona che gli permise di 14 Verbale Riunione del Consiglio di Presidenza del 1 otto- conoscere molti artisti (ivi, pp. 23-25) e Alessandro Bonsanti bre 1970, Archivio AAD, Faldone 1973 e verbali dal 1954 come il suo “compagno preferito” che lo aiutò a pubblicare la al 1973, Cartella 1970 nella quale il Presidente Colacic- raccolta di poesie La Selva Oscura, (ivi, pp. 12-14). chi difende la norma statutaria secondo la quale i membri 3 Nel periodo della occupazione nazista, mentre Siviero dell’Accademia dovevano essere residenti nella Provincia organizzava il gruppo di partigiani che raccoglieva infor- di Firenze. mazioni sulla razzie naziste di opere d’arte, Colacicchi era 15 Verbale n. 21 del 28 ottobre 1978, in Archivio AAD, tra gli animatori del Partito d’Azione; poi dopo la Libera- Faldone 1974, Registro dei Verbali del Consiglio dal 23 zione, quando Siviero in collaborazione con la Fine Arts marzo 1974 al 1986, p. 75. and Monuments Commission alleata comincia a occuparsi 16 Lettera di P. Conti a R. Siviero del 9 aprile 1981 con del recupero dei capolavori trafugati, il Comando Alleato appunto autografo firmato Siviero, in Archivio AAD, Fal- nomina Colacicchi Commissario dell’Accademia, cfr. Zan- done 1979/1980/1981. gheri 2014, p. 147. 17 il Verbale della Riunione del Collegio dei Professori di 4 Siviero datt. 1964, p. 11. lunedì 8 maggio 1972, Archivio AAD, Faldone 1973 e Ver- 5 Siviero 1936, p. 9. bali dal 1954 al 1973, Cartella 1972. 6 Siviero1964, pp. 9-10. 18 Vedi Siviero 1936, p. 7 e Siviero 1940 c., p. 83. 7 Zangheri 2000, pp. 85, 301 19 Verbale Riunione del Consiglio Accademico del 15 8 Siviero ottenne 17 voti, Colacicchi 3 voti. Il verbale ottobre 1973, Archivio AAD, Faldone 1973 e verbali dal specifica che:”Il prof. Colacicchi pensa che possa esser con- 1954 al 1973, Cartella 1974. validata la votazione a favore del prof. Siviero, benché in 20 Ibidem. contrasto con la prassi accademica precedente, essendo il 21 Ibidem. prof. Siviero membro onorario dell’Accademia… Il prof. 22 L’Art d’aujourd’hui a Florence 1971, pp. 36-37. Colacicchi, presidente uscente … nel porgere il suo saluto 23 Esposizione di pittura, scultura, grafica a Spoleto 1973. al nuovo Presidente si augura che l’Accademia possa sotto 24 la documentazione relativa in Archivio AAD, Faldone la sua guida affrontare i difficili problemi che si profilano 1973, Cartella 1973 Festival di Spoleto. all’orizzonte…” cfr. il verbale della Riunione del Collegio 25 Verbale 8, del 19 novembre 1974, Archivio AAD, Fal- Accademico di martedì 20 marzo 1971, Archivio AAD, Fal- done 1974, Registro dei verbali del Consiglio dal 23 marzo done 1973 e verbali dal 1954 al 1973, Cartella 1972. 1974 al 1986, pp. 19-22. 9 Colacicchi è vicepresidente della Classe di Pittura dal 26 Ivi, Verbale 11 del 5 settembre 1975, p. 27. 13 Dicembre 1971, ma spesso partecipa al Consiglio di 27 Ivi, Verbale 9 del 18 dicembre 1974, p. 25. Presidenza in sostituzione di Annigoni (cfr. Lettera di P. 28 Archivio AAD, Faldone 1974, Cartella gialla 30-A Com- Annigoni a R. Siviero del 7 aprile 1974, Archivio AAD, missione Mostre e Attività Culturali. Faldone 1973 e verbali dal 1954 al 1973, Cartella 1973 Do- 29 Nota redazionale, in Archivio AAD, Faldone 1975, Car- cumenti di gestione accademia). Il 23 marzo 1974 Colacic- tella arancione Appunti Catalogo. chi è eletto Presidente della Classe di Pittura (cfr. Zangheri 30 Mostra degli Accademici delle Arti del Disegno 1975, 2000, p. 85). p. V. 10 Verbale 14 del 17 giugno 1976 e Verbale n. 21 del 28 31 Siviero ms. 1975-1977; nota intestata Roma martedì 28 ottobre 1978, in Archivio AAD, Faldone 1974, Registro dei settembre 1976. Verbali del Consiglio dal 23 marzo 1974 al 1986, pp. 44, 85 8
Giovanni Colacicchi nel suo backstage creativo: i disegni Mario Ruffini È con orgoglio che presentiamo questa mostra dedicata ai disegni di Colacic- chi, la terza di un progetto di quattro mostre nato nel settore di ricerca dei Progetti di Musica e Arti figurative del Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut e denominato: “2014. Un anno d’arte a Firenze per Gio- vanni Colacicchi e Flavia Arlotta”. Questa esposizione arriva dopo la grande mostra antologica di Villa Bardini (Giovanni Colacicchi. Figure di ritmo e di luce nella Firenze del ’9001 e quella dedicata a Flavia Arlotta. Donna e pittrice del ’9002 all’Accademia delle Arti del Disegno. [Figg. 1-2] Con i trentasette disegni esposti a Casa Siviero, si vanno a scandagliare le origini della creatività dell’artista e si entra nel backstage della sua fucina. Si possono ritrovare nei segni e nei disegni una inesausta “ricerca di motivi”, suggestioni, sguardi del pittore che coglie l’attimo di una luce o di una pro- spettiva, e ne fa un appunto grafico nel suo taccuino, non diversamente da un compositore o un poeta. Prosegue l’indagine sul mondo dell’artista, la cui produzione pittorica è stret- tamente legata al pensiero del ritmo, della danza e della musica, novità ri- Fig. 1 levante della temperie creativa di Colacicchi, emersa per la prima volta in Giovanni Colacicchi. Figure di occasione della mostra a Villa Bardini3. L’interesse per il mondo figurativo ritmo e di luce nella Firenze del ’900 accompagna da sempre il pittore, e qui si palesa nell’organizzazione grafica dei suoi motivi, negli studi preparatori, in schizzi, appunti e citazioni lettera- rie. L’attenzione al segno e al disegno ha comunque un portato che va oltre l’aspetto puramente grafico, inserendosi in un contesto culturale che si forma attraverso complesse sedimentazioni del pensiero, a partire da speculazioni teologiche e filosofiche sul rapporto fra le arti diverse, sul movimento che entra nello spazio della figura e si sviluppa in rapporto alle altre arti, in primis la musica. Il sogno delle arti riunite si osserva, nei disegni e negli schizzi, nel momento più intimo della prima luce creativa. Scrivevo sul tema già nel volume Musica e Arti figurative. Rinascimento e Novecento, ricordando che se «a Venezia la storia dell’arte si manifesta con una forte attenzione alle complessità cromatiche della luce e del colore, che trovano corrispondenza musicale nella complessità polifonica delle linee vo- cali, nella policoralità e nell’armonia, e che nell’insieme si specchiano nelle aristoteliche speculazioni filosofiche dello Studio Patavino, dove costante è l’empirica osservazione di natura, luce, colore, armonia»4, «a Firenze, corrono in parallelo l’essenzialità figurativa del segno e del disegno (da Andrea del Sarto a Michelangelo), e l’essenzialità melodica. Segno che si fa figura, da un lato, e canto (melos) dall’altro, e che porta alla nascita del melodramma. Cor- rispondenze che sembrano ubbidire ai dettati neoplatonici di Ficino, come se l’idea filosofica alimentasse insieme segno e suono, che a Firenze più che altrove si fanno disegno e melodia»5. La corrispondenza non sfugge a Quirino Principe, che annota: «Se questi sono fondamenti elementari del disegno, non Fig. 2 Flavia Arlotta. Donna e pittrice è possibile sviluppare su di essi una vasta teoresi che istituisca relazioni di del ’900 corrispondenza biunivoca, una sorta di correlativo oggettivo” alla maniera di 9
Thomas Stearns Eliot, tra le arti del disegno, come le chiamava Giorgio Vasa- ri, e l’arte dei suoni?»6. Già Goethe insegna d’altronde a operare “pensando”, una modalità che il disegno si incarica di far propria nel decriptare l’alfabeto della natura. Il disegno accoglie in sé il principio unitario delle arti, il sogno delle arti unite. Il backstage del laboratorio di Colacicchi qui esposto, racconta l’intera storia del suo pensiero originario, quella che precede e segue l’incontro con Giorgio de Chirico nella casa di Giorgio Castelfranco, oggi Casa Siviero. Dalle prime influenze cézanniane delle Cinque bagnanti [p. 19], all’epifania della piazza. La piazza, appunto, che era stata quindici anni prima all’origine di tutta la metafisica di de Chirico, specificamente Piazza Santa Croce, e che ora ritorna sia nella vita privata che in quella creativa di Colacicchi: Piazza Santa Trinita Fig. 3 Studio per “Piazza Santa Trini- (1923-1924) [p. 24], Piazzetta Santa Maria (1926) [pp. 20-21] o Piazza Bonifa- ta”, 1921 cio VIII (1927) denotano un passaggio obbligato nella sua formazione dell’im- magine metafisica; Colacicchi allarga la sua “piazza” nel Paesaggio toscano (una sorta di piazza più grande, del 1924, p. 28), nel Paesaggio di Monteripaldi [p. 33], nel Paesaggio con edificio industriale o al Ponte della ferrovia [p. 42] (disegni che sono tutti del 1925, coevi dunque della Fabbrica a Campo di Mar- te esposta al Bardini), oppure contrae lo spazio dentro una stanza in opere come Lo Studio (1922) [p. 29], che anticipa Melancolia (1924) [p. 31], pur conservando la luce di quella illuminazione che caratterizza questo periodo: un’idea dello spazio metafisico. Utile mettere a confronto lo Studio per “Piazza Santa Trinita” (1921) con la corrispondente opera esposta a Villa Bardini (Piazza Santa Trinita, del 1923- 1924), poiché il disegno si configura come preliminare e non preparatorio all’olio: il disegno è infatti una perfetta riproduzione di Piazza Santa Trinita con puro intento topografico, dove viene colta anche un’automobile, oltre a persone che vivono in quello spazio e gli conferiscono movimento, mentre in lontananza si vede la curvatura del ponte Santa Trinita che porta diladdarno. L’olio è invece una perfetta trasfigurazione del paesaggio, la visuale è mutata rispetto al disegno: ora vediamo la chiesa, anche se la colonna rimane il punto nevralgico attorno a cui tutto gira. Qui diventano protagonisti i contorni di luce, tali da determinare uno spettacolare effetto fotografico da grandangolo: lo spazio fisico si fa metafisico. Tutto è immobile, e sembra di rivivere il pome- riggio d’estate dell’epifania dechirichiana in Piazza Santa Croce; il pensiero corre anche a una celebre poesia di Antonio Machado, Noche de verano, che Fig. 4 Piazza Santa Trinita, 1923- fissa una piazza desolata di una notte d’estate resa celebre anche dalla Luigi 1924, olio su tela Dallapiccola con la sua Piccola musica notturna7: [Figg. pp. 3-4]. 10
Noche de verano Notte d’estate Es una hermosa noche de verano È una bella notte d’estate. Tienen las altas casas Hanno le case alte abiertos los balcones le finestre aperte del viejo pueblo a la anchurosa plaza. sull’ampia piazza del vecchio paese. En el amplio rectángulo desierto, Nel largo rettangolo deserto bancos de piedra, evónimos y acacias panche di pietra, siepi e acacie simiétricos dibujan simmetriche disegnano sus negras sombras en la arena blanca. le loro nere ombre sull’arena bianca. En el cenit, la luna, y en la torre Nello zenit, la luna, e sulla torre la esfera del reloj iluminada. la sfera, l’orologio; illuminata. Yo en este viejo pueblo paesando Io passeggio in questo vecchio paese solo, como un fantasma. solo, come un fantasma. (traduzione di Carlo Bo) La piazza, evidentemente, è nel destino personale di Giovanni Colacicchi, poiché qualche anno dopo questo ciclo di disegni e opere che prendono avvio dall’incon- tro con Giorgio de Chirico, il pittore fiorentino di Anagni incontra Flavia Arlotta, la compagna della sua esistenza, proprio in Piazza San Marco, il 19 febbraio 1931. Tutti i lavori di Colacicchi, ammirabili nella mostra di Villa Bardini, trovano in quella di Casa Siviero i loro antecedenti, i motivi originari che si sciolgono nei disegni preparatori o negli schizzi alla base del primo processo creativo. Se l’ispirazione degli esordi è riconducibile all’arte rinascimentale, oltre che Fig. 5 alla pittura dell’amico Giorgio de Chirico, e trova con evidenza il suo primo Orfeo, 1931, olio su tela, par- capolavoro nel 1924 con Melancolia [p. 31], qui esposta con due disegni pre- ticolare della danza infernale paratori, ben presto la sua pittura si fa più personale, abbracciando il tema del delle baccanti mito e della classicità in maniera più diretta, come nelle tinte notturne dell’Or- feo, dove la scena è divisa in due parti: la danza infernale delle baccanti sullo sfondo e il corpo senza vita del cantore in primo piano8. I corpi delle baccanti sono studiati in ben due disegni preparatori, che mostrano nel profondo il lavoro preparatorio prima di una grande impresa pittorica. [Figg. 5-6] An- che Santa Maria Egiziaca, come Orfeo, ha qui due disegni, veri strumenti per capirne l’evoluzione pittorica [pp. 36-37]. Ricca inoltre la produzione dei Ri- tratti, da Garibaldo Cepparelli (1922) [p. 18], suo maestro, ai due Autoritratti (1921-1925) [pp. 26, 30], a quello dell’amico Onofrio Martinelli (1931) [p. 38], alla giovane donna meticcia ritratta nel 1935 durante la sua permanenza in Sud Africa [p. 39], al “compagno di rivista” Alberto Carocci (1926), che Fig. 6 risale all’epoca di «Solaria» [p. 40], fino a Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi Giovanni Colacicchi, Orfeo, dal disegno all’opera: la danza e Nino Rota, tutti colti nel periodo magico e misterioso della frequentazione infernale delle baccanti del mitico caffè delle Giubbe Rosse [pp. 43, 46-47]. 11
Nino Rota riporta l’attenzione di Colacicchi al tema della musica, come si evince anche dalla Natura morta con strumento musicale africano, lo stesso strumento acquistato nel Nord Africa in occasione del suo primo viaggio fatto insieme a Rand Herron (egli stesso ritratto) nel 1928, che torna in numerosi disegni e ope- re a olio e che negli anni Sessanta sarà “mangiato” dal collie Star, il cane della famiglia Colacicchi9. [Figg. 7-8-9] La musica è altresì evocata nell’Antenna della radio, il cui olio su tavola sarà alla base del pensiero scenografico di Volo di notte, l’opera con cui Luigi Dallapiccola (ritratto in due diversi disegni nel 1940 e nel 1947) debutta al Maggio Musicale Fiorentino del 194010. [p. 52] Fig. 7 La mostra di Casa Siviero ripercorre dunque gli studi degli anni Venti e Natura morta africana con amo- rino e strumento musicale afri- Trenta e permette di scoprire, in parallelo all’esposizione di Villa Bardini, le cano, 1938-1940, olio su tela origini del magistero artistico di Giovanni Colacicchi, il cui mondo può es- sere ulteriormente allargato grazie alle due mostre all’Accademia delle Arti del Disegno, quella dedicata a Flavia Arlotta e quella che seguirà nella stessa Accademia, Giovanni Colacicchi dal disegno all’opera. Una lezione di stile11, che illustrerà da vicino il passaggio del processo creativo, dalle fasi iniziali del “motivo” catturato in un disegno preparatorio, all’opera compiuta. Quat- tro mostre per una esplorazione compiuta dell’arte di Giovanni Colacicchi e Flavia Arlotta, cui si aggiunge il documentario Giovanni Colacicchi e Flavia Arlotta: Cronaca familiare e vita d’artista del giovane regista Clemente Fioren- tini, altresì commissionato e prodotto dai Progetti di Musica e Arti figurative del Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut, per un anno tutto vissuto insieme alla loro arte. Fig. 8 Studio per la Natura morta della collezione Castelnuovo- Tedesco con strumento musica- le africano, anni Venti, matita su carta Fig. 9 Giovanni e Flavia, con Piero, Francesco e il collie Star, che si ciba di strumenti musicali 1 Giovanni Colacicchi. Figure di ritmo e di luce 2014. 8 La scenografia del documentario Giovanni Colacicchi e Flavia 2 Flavia Arlotta. Donna e Pittrice del ‘900 2014. Arlotta: Cronaca familiare e vita d’artista del regista Clemente Fio- 3 Ruffini, Giovanni Colacicchi e la musica, in: Giovanni Colacicchi. rentini, commissionato e prodotto dai Progetti di Musica e Arti Figure di ritmo e di luce 2014, pp. 47-91. figurative del Kunsthistorisches Institut in Florenz - Max-Planck- 4 Ruffini 2008, pp. X-XIV: XI. Institut. 5 Ruffini, La matematica 2008, pp. 307-343: 307. 9 M. Ruffini, 2014, pp. 47-91: 74-75 6 Principe 2008, pp. 3-16: 11. 10 Ivi, p. 65 7 Ruffini 2002, pp. 234-237; 278-279. 11 Giovanni Colacicchi dal disegno all’opera. Una lezione di stile, 2014. 12
Giovanni Colacicchi: incontri a casa Siviero tra suggestioni quattrocentesche e rigore metafisico Silvia Ciappi Ho conosciuto Giovanni Colacicchi nell’autunno del 1978 a casa del ministro Rodolfo Siviero, allora Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno, dove ero arrivata in modo del tutto casuale in attesa della sessione di laurea. Quell’in- carico di collaborazione con l’istituzione vasariana si rilevò subito una straor- dinaria opportunità per conoscere “da vicino” importanti opere del ‘900, ma soprattutto incontrare artisti che erano stati ed erano ancora i protagonisti della cultura artistica fiorentina. Nel villino sul Lungarno Serristori le opere contem- poranee si confondevano con le tavole a fondo oro, con statue lignee medievali e tele rinascimentali: ero protagonista di un sogno inebriante che stordiva, che mi faceva sentire inadeguata, acerba, ma animata da una vivace recettività nel tentare di comprendere la trama di quella sottile e intrigata tela tessuta dagli artisti del ‘900, della quale avevo una pallida infarinatura, salvo avvalermi di solide certezze apprese seguendo le lezioni di attribuzioni del professor Carlo Del Bravo, vivace palestra di conoscenza per molte generazioni di studenti. A casa Siviero, superato il timore di collaborare con il ministro, personaggio da molti ritenuto burbero ed esigente ma che, in seguito, si rivelò dotato di un’acuta Giovanni Colacicchi, Autori- tratto, 1981, olio su tela, Fi- sensibilità e di una sottile ironia utili per sdrammatizzare gli inevitabili momenti di renze, Corridoio Vasariano, tensione, tutto era denso di forti emozioni. Si avvertiva netta la sensazione, quasi fi- Galleria degli Uffizi sica, di una continua immersione volta a comprendere le sfaccettature poliedriche della cultura fiorentina della prima metà del ‘900, dove personalità, istituzioni, rivi- ste, associazioni erano state artefici di uno scenario affascinante quanto complesso. E fu a casa Siviero che conobbi Giovanni Colacicchi, Ugo Capocchini, Delio Granchi, Gastone Breddo, Antonio Berti che comparivano, quasi alla che- tichella, in tarda serata per il piacere di scambiarsi impressioni, commenti, ricordi di vicende e avvenimenti che li avevano visti partecipi, coinvolti in opere con tematiche e soggetti simili e in assidue frequentazioni. Colacicchi appena incontrato mi chiese se sapevo dove era Anagni: lo sapevo e ne fu compiaciuto e da lì più volte mi parlò di quella sua amata terra natale e mi accennò ai colori, agli odori di certi meriggi estivi caldi e assolati: i ricordi dell’uomo si confondevano con le emozioni dell’artista. Nelle sue opere ap- prezzavo la potenza espressiva dei paesaggi e dei personaggi sacrali, archetipi di un mondo antico e, allo stesso tempo, anche vivaci protagonisti di una straordinaria attualità espressiva. Manifestavo, allora come ora, una spiccata predilezione per le nature morte e apprezzai i dipinti di Colacicchi dove erano raffigurate conchiglie, solide e irte di punte come aculei solidificati, cariche di atmosfere selvagge, che riman- davano a memorie indefinite di atavici ricordi che esprimevano una bellezza silente e ritmica, sublimazione magica di una poetica indefinita, dalle quali emergeva la sensazione tattile della leggerezza. Allo stesso modo fu emozionante vedere, anche solo dalla riproduzione fotografica, opere come Piazzetta Santa Maria e Piazza Bonifacio VIII, dove il rigore dell’architet- tura rimandava ai nitidi profili degli edifici quattrocenteschi, densi di citazioni clas- siche, ma anche alla precisione solenne, a tratti inquietante delle opere metafisiche1. 13
Intuivo, dalle immagini delle opere che Colacicchi mi mostrava e dai sui rac- conti, che il fulcro della poetica figurativa del ‘900 consisteva in quella stra- ordinaria capacità di assimilare e comprendere in profondità, l’essenza del recupero dell’antico, reale o filtrato dall’algida eleganza dei pittori del Quat- trocento, unito a più moderni linguaggi, tra i quali le opere di Giorgio de Chi- rico. Dipinti, bozzetti, disegni, tempere e tele di quell’artista che vedevo per la prima volta “dal vivo” frequentando il villino che diveniva sempre più uno scrigno di meraviglie. Di quelle opere presenti a casa Siviero, disposte in modo sparso e senza conferire loro alcuna sacralità reverenziale, Siviero mi racconta- va i retroscena: da quelle acquistate dopo vivaci trattative a quelle entrate nella sua collezione a seguito dell’amicizia con Giorgio Castelfranco e faceva cenno al “sodalizio difficile” con de Chirico, entrambi personaggi dominanti, spes- so inclini allo scontro2. Giovanni Colacicchi, che aveva conosciuto de Chirico nel 1923, mi forniva ulteriori spiegazioni sull’opera dell’artista e mi invitava a Rodolfo Siviero, presidente osservare l’ampiezza architettonica evocativa delle piazze e degli spazi, dove il dell’Accademia delle Arti del rigore della natura si accordava con la lineare geometria degli edifici, ma anche Disegno, alla inaugurazione della mostra di Manzù organiz- a considerare l’acuta ricerca introspettiva del Ritratto di Matilde, la moglie di zata dall’Accademia nel 1979 Giorgio Castelfranco, del 1921 e il Ritratto di Elide o Ritratto della moglie di un pittore del 1920, opere nelle quali si coglievano puntuali rimandi alla ritrattistica del Rinascimento e in modo più specifico alle delicate sfumature di Raffaello e del Perugino3. Se i confronti con l’arte del Rinascimento non mi coglievano impreparata, era invece affascinante scandagliare il vero significato del Nuovo Umanesimo che emergeva dai racconti di Colacicchi, dove i senti- menti, i ricordi si univano a concetti profondi che coinvolgevano la vivace e internazionale cultura della Firenze degli anni Trenta-Quaranta. Al contrario Siviero, fine conoscitore dell’arte, della filosofia e della letteratura tedesca co- glieva nelle opere di de Chirico i rimandi, o per meglio dire le affinità mentali, con Arnold Böcklin e con la letteratura germanica. Mentre io cercavo di fare ordine in una miriade di notizie e di suggestioni da metabolizzare, Rodolfo Siviero si divertiva a confondermi le carte in tavola, mettendomi di fronte alle opere di Pietro Annigoni, di Ardengo Soffici e di Ugo Pignotti: la sfida era quella di comprendere affinità e contrapposizio- ni, superando critiche severe verso quegli artisti, giudizi verso i quali Siviero esprimeva un vivace dissenso, non di rado con termini e aggettivi decisamen- te coloriti. L’amichevole mediazione di Giovanni Colacicchi stemperava la tensione e invitava alla riflessione, esortando a capire l’ambiente politico e culturale che aveva dato adito a valutazioni severe e avventate. 1 Giovanni Colacicchi. Figure di ritmo e di luce 2014, pp. 261- che unirono Castelfranco, de Chirico e Siviero, vedi Tori, 262, nn. 7-8, figg. 7-8 e relative indicazioni bibliografiche. 2010, pp. 24-26. 2 Sanna 2003, pp. 18-31. Lo studio delle carte conservate 3 Ragionieri 2012, pp. 52-67. Per i due ritratti, Sanna 2003, a Casa Siviero ha consentito di disporre di oggettive te- pp. 54-58, figg. 6-8; Tori 2014, pp. 11, 45. stimonianze documentarie, Sanna 2006. Per le vicende 14
Qualche nota sull’incontro fra Giovanni Colacicchi e Giorgio de Chirico Susanna Ragionieri La fantasia credono molti sia un dono di immaginare cose non viste. A un pit- tore e a un artista in genere la fantasia, più che a immaginare il non visto serve a trasformare ciò che vede. Così Giorgio de Chirico introduce sulla «Rivista di Firenze» del novembre 1924 la figura di Gustave Courbet; nell’Ottocento, secondo il suo giudizio, il pittore che meglio ha sentito ed espresso il canto segreto dell’epoca in cui visse1. Circa un anno prima, Colacicchi aveva incontrato l’artista a Firenze, in casa di Giorgio Castelfranco; quel villino ottocentesco affacciato sul lungarno Serristori e dive- nuto teatro per riposi di ninfe nostalgiche o sfondo a cavalieri erranti in parten- za per l’ignoto: opere raccolte in quella che fu, prima della sua triste dispersio- ne, fra le più belle e importanti collezioni italiane di de Chirico2. La vicenda è ormai ampiamente nota, anche se forse la portata creativa di quella che rimase un’ipotesi espressiva circoscritta ad un momento di breve durata, interrotto dal trasferimento dell’artista a Parigi, dovrebbe essere maggiormente sottolineata: l’intelligente ospite e mecenate da un lato, l’inquieto maestro, in piena fase di rinnovamento creativo, dall’altro, vanno scrivendo insieme un affascinante ca- pitolo della storia dell’arte del Novecento, di cui Colacicchi è uno dei primi, più avvertiti, e intelligenti, testimoni. Quadri come l’Autoritratto col Mercurio, che il giovane pittore anagnino, ancora incerto fra pittura e poesia, vide appena finito sul cavalletto e ammirò sinceramente3, leggendovi la possibilità di una via intel- lettuale alla pittura, opere come la Natura morta con cocomeri, La partenza del cavaliere errante, o L’Ottobrata, dimostrano infatti che de Chirico, dopo essersi lasciato risolutamente alle spalle un’idea di composizione costruita adoperando la vistosa sintassi a collage delle opere parigine e ferraresi, andava sperimentan- do in quei primi anni Venti la possibilità di una significativa e misteriosa tra- sformazione dell’immagine realizzata dall’interno; un’ immagine comunicativa, proprio per la scelta di non scardinarne la struttura apparentemente naturali- stica, ma insieme capace di esprimere certe felici combinazioni che [...] rivelano l’aspetto fantastico e lirico del mondo4. Era stato quello il nucleo della cosiddetta magia ermetica dei Greci, transitata poi nella disposizione geniale all’illusione e al sogno che dà il nuovo mito5, propria del Quattrocento italiano, e passata infine nella forza lirica dell’Ottocento di Courbet, di Böcklin, di Klinger, di Marées. Lo spirito di una simile inclinazione era ciò che bisognava ricreare, a costo di correre il rischio sempre in agguato del verismo; equivoco del quale de Chirico era ben conscio e perciò avvertiva della differenza fondamentale esistente fra una simile banalizzazione del rapporto con la natura e la profondità del reali- smo di Courbet, affine nel carattere trasfigurante e poetico, a quello di un Jules Verne o di un Giuseppe Verdi. Tanto da concludere il suo appassionato ritratto con l’apparente ossimoro: Courbet è un romantico e nel tempo stesso un realista [...]. Il suo romanticismo non è altro che l’aspetto puramente sorprendente degli esseri e della natura6. Alla posizione di de Chirico faceva eco quella di Giorgio Castelfranco, che dalle stesse colonne della rivista, denunciava l’ambiguità di un programma di ritorno 15
alla tradizione come quello annunciato da Oppo sullo «Spettatore Italiano», ba- sato su una semplificazione tale del concetto di realtà e di imitazione, da tradir- ne subito la superficialità antiquata, mentre totalmente ignote, a chi non sapeva vederle, restavano la consapevolezza di quella libertà di spiriti che aveva fatto la forza di un secolo come il Quattrocento, e l’armonica rappresentazione dell’im- magine, che era stata carattere dominante del periodo7. Altro punto nodale, che Castelfranco non cessava di approfondire nei suoi articoli pubblicati su quella «Rivista di Firenze» che stava diventando cassa di risonanza del suo pensiero e di quello di de Chirico, era infatti il confronto con la cultura dell’umanesimo. In questo senso Firenze non era una città qualsiasi, ma un luogo emblematico, non a caso de Chirico, nel catalogo della Fiorentina Primaverile del ‘22, dove espone con il gruppo di «Valori Plastici», si proclama nato a Firenze. Qui in- fatti, e non altrove, l’arte era riuscita a trovare, come dirà Paolo Mix nel corsivo d’avvio della «Rivista di Firenze», quell’equilibrio, quella saggezza artistica che sa contemperare il realismo la grazia il pensiero in un’unica forma di bellezza8. Tutti questi motivi saranno di prima importanza per la maturazione delle scelte artistiche di Colacicchi, come indicano le opere eseguite a partire dal 1923 e so- prattutto Melancolia: l’opera manifesto, densa di riferimenti da Dürer a Bellini, fino al Courbet de L’Atelier, che dimostra meglio di ogni altra, affinità e distin- guo dal pensiero del grande Metafisico. Così, appare dechirichiana l’idea della donna statua, che prende misteriosamente vita come nel mito di Pigmalione, un motivo che de Chirico stesso sembra rafforzare nel suo contatto con Firenze, la città piena di statue situate all’aperto ed a tal punto mescolate agli esseri viventi da trasmettergli il senso della misteriosa vitalità della tradizione9; dechirichiana appare la capacità fantastica di trasfigurare le cose viste illuminando il colore di una «luce creata»10, ovvero osservata e immaginata insieme; una capacità quasi alchemica di trasmutazione delle cose che trova un corrispettivo simbolico nella centralità data nella Melancolia, al globo vitreo e luminoso che la figura ha nella mano: essa stessa statua, donna e metafora dell’artista. Sarà la schietta natura terrestre della pittura sognata dal giovane Colacicchi, a provocare invece i primi distinguo, da rintracciarsi nel prevalere sempre più chiaro dell’aspetto evocati- vo del racconto, o nel timbro contemplativo del paesaggio, che in de Chirico scarta e sfuma dopo il trasferimento a Parigi a fianco dei surrealisti, mentre in Colacicchi aumenta e si rafforza, trovando riscontro nel confronto con scrittori, artisti e musicisti, suoi diretti interlocutori in «Solaria», la rivista che più di ogni altra raccoglie echi e riflessi di questa particolare declinazione romantica della metafisica. 1 De Chirico 1924, pp. 3-4. 7 Castelfranco 1925, pp. 21-24. e dare, nell’ombra notturna o nei me- 2 Tori 2014, pp. 5-55. 8 Mix 1924, p. 1. ridiani incanti della luce, una viva im- 3 Colacicchi 1980, s.p. 9 De Chirico 1985; cfr. anche Franchi pressione d’uomini fra uomini». 4 De Chirico 1924, p. 7. 1941, p. 9: «De Chirico proclama che 10 Franchi 1939, p. 6. 5 Castelfranco 1924, p. 5. le statue di eroi, per essere metafisiche, 6 De Chirico 1924, p. 6. debbono sorgere da piedistalli bassi, 16
Schede dei disegni Susanna Ragionieri 17
Taccuino rilegato in tela color ocra. In prima pagina: «Giovanni Colacicchi Caetani / Firenze 1922» Foglio di sinistra: Garibaldo Cepparelli che dipinge, 1922 ca., in basso a sinistra: «Cepparelli», a penna (calligrafia di Amalia Zanotti), sul lato sinistro: «20» (a matita), matita su carta, mm 170 x 109. Foglio di destra: Paesaggio con carro e pagliaio, matita su carta, mm 170 x 109. Il taccuino, acquistato dall’artista nel 1922, come risulta dall’anno- tazione da lui stesso apposta in prima pagina, contiene molti dise- gni eseguiti al caffè delle Giubbe Rosse e un profilo di Francesco Franchetti. L’abitudine a esercitarsi sulla figura colta dal vero, in atteggiamenti di vita quotidiana, gli viene dalla frequentazione del- lo studio di Garibaldo Cepparelli (San Gimignano, 1865-1932), a sua volta allievo di Niccolò Cannicci e fedele interprete della tradizione macchiaiola. Restauratore e copista dei Primitivi tosca- ni, sarà lui ad indirizzarlo, secondo una prassi che era stata anche quella di Abbati, Borrani, Lega e Fattori, a recarsi nelle chiese a disegnare dagli affreschi o dalle tavole dei grandi maestri toscani del Trecento e del Quattrocento per educare la mano e la mente a quella purezza di sguardo e di armonico impianto compositi- vo che era stata elemento distintivo della loro pittura (Ragionieri 2014, pp. 21-22). In parallelo, l’attrazione per la vivacità dei caffè cittadini, vere e proprie università della cultura del tempo, lo porta a frequentare le Giubbe Rosse. È proprio in quest’ambito, come indica il profilo disegnato a penna contenuto nel taccuino, che conoscerà il pittore Francesco Franchetti (Livorno, 1878-Roma, 1931), al cui studio, lasciato quello di Cepparelli in via Santo Spi- rito, deciderà di trasferirsi, unico allievo di un artista dal carattere difficile e tormentato che per tutta la vita avrebbe considerato il suo vero maestro. Bibliografia: Ragionieri 2014, p. 21, fig. 1. 18
Taccuino «Pietro Miliani, n. 699» (acquistato a Firenze, cartoleria F. Pineider) Foglio di sinistra: Studio dalle “Cinque bagnanti” di Cézanne; inchiostro su carta, mm 90 x 127. Foglio di destra: Natura morta con tavolo apparecchiato, in alto a sinistra: «Giubbe Rosse /1921 circa», a matita (calligrafia di Colacicchi posteriore al disegno), in basso a destra: «12», a matita, inchiostro su carta, mm 90 x 127. Entrambi gli studi a penna dimostrano l’interesse nutrito dal giovane per una scansione compositiva dell’immagine impostata su una vo- lontà costruttiva che lo indirizza verso Cézanne. Se i nudi femminili, Studio dalle “Cinque bagnanti” oggi a Basilea, sono una chiara confer- ma, non solo della conoscenza diretta, ma anche della frequentazione della collezione di Egisto Fabbri, ricca di capolavori dell’artista fran- cese, la maniera cézanniana di interpretare un tavolo apparecchiato, accompagnata dall’annotazione «Giubbe Rosse/1921 circa», indica i segni di una volontà costruttiva molto precoce, che precede la cono- scenza del gruppo dei «Valori Plastici», esordiente nella Fiorentina Primaverile del ’22, nel ricercare l’attuazione di un proposito segnato nell’ultima pagina di questo taccuino: «la pittura deve avere per scopo non la narrazione, la descrizione, e l’esposizione di un’impressione; ma l’evoluzione dell’espressione attraverso lo spirito dell’artista e que- sta si chiama sintesi». Bibliografia: Ragionieri 2014, pp. 22-23, fig. 8. 19
Studio per “Piazzetta Santa Maria” 1922-1923, al centro in basso: «Colacicchi», matita su carta, mm 130 x 194. Taccuino con carta quadrettata. La presenza su questo taccuino di un disegno preparatorio per il dipinto Lo studio, datato 1922, induce a considerare la possibilità che anche questa nitida inquadratura di Piazza Santa Maria ad Anagni, composta da piani architettonici che l’ombra sfaccetta come quelli di un prisma a contra- sto dell’ampio respiro del cielo, possa essere stata eseguita intorno a quella data. L’assenza dell’e- sile teoria di alberelli dalle chiome rotonde che compare invece nel quadro dallo stesso soggetto del 1926 (Ragionieri 2014 p. 29, cat. 7), potenzia il senso di vuoto immenso del piano sottostante, aperto verso i monti Lepini, accentuando la concentrata essenzialità dell’immagine, vera e propria traduzione disegnativa dei paesaggi anagnini sintetisti del periodo. Così, la macchia scura del cavallo in controluce, già presente in una tavoletta del ’21 (Ragionieri 2014, pp. 22-23, fig. 5), si sviluppa ora nel più articolato nodo dell’animale e della figura seduta per terra, che dall’angolo destro della composizione irradia freschezza e silenzio sulla piazza ricongiungendosi per via di spaziali geometrie all’ombra luminosa del campanile della cattedrale disegnata sul selciato. La poetica dell’artista si annuncia dunque in una ricerca di centralità della «luce creata», come la chiamerà Raffaello Franchi, su quella esclusivamente naturale: risultato di un’emozione visiva pas- sata al filtro dell’interiorità come in ogni pittura di tipo classico o metafisico (Franchi 1939, p. 6). 20
Studio per “Piazzetta Santa Maria” In basso a destra: «Colacicchi 1926», a matita, inchiostro su carta, mm 210 x 312. Si tratta del disegno preparatorio per il paesaggio presentato, insieme con altre dieci opere, alla III Esposizione del Sindacato Regionale Toscano delle Arti del Disegno, tenuta a Firenze nel 1927, dove l’opera verrà acquistata dall’architetto Marcello Piacentini (Ragionieri 2014, p. 29, cat. 7). Poche ma significative differenze della versione finale da questo disegno indicano la progressiva messa a punto dell’immagine: innanzi tutto la scelta di regolarizzare la fila degli alberi sul belve- dere in modo da rafforzare un ordine gentile di moderna integrazione cittadina fra architettura e natura; poi la diversa distribuzione dei personaggi, ancora poco calibrati nel disegno, più rimati e ritmici nella versione su tela; infine, la centralità divenuta solenne delle ombre, soprattutto quella allungata del campanile della cattedrale: presenza avvertita e romanticamente indicata per via di assenza a sollecitare l’immaginazione. L’inquadratura stessa subisce un lieve quanto significativo aggiustamento: l’artista rinuncia ad una porzione di spazio di cielo in modo da far coincidere il tetto dell’edificio in primo piano con lo spigolo alto della composizione. Egli rafforza così l’idea di un cammino compiuto dallo sguardo nel percorrere una scala di piani che lo accompagnano verso l’infinito del fondo e del cielo. A concludere, la tavolozza, fatta di verdi, rosa, bianchi, grigi perla, gialli dorati, traduce quella osservata e fatta risuonare nell’immaginazione, dei Primitivi toscani e delle smaltate robbiane, secondo una temperatura emotiva riscontrabile anche nei lavori coevi dell’amico Bruno Bramanti (Ragionieri 2002, tav. II a). 21
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