HSE in Mitsubishi, tra dojo room e kiken yochi - Amazon S3
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HSE in Mitsubishi, tra dojo room e kiken yochi Ho visitato Francesco Marella negli stabilimenti di un’azienda nata in Italia e da qualche anno entrata nel gruppo giapponese, che nelle sue sedi in Italia, Cina e India e produce sistemi centralizzati per la climatizzazione. Ho conosciuto l’ing. Marella a giugno all’HSE Symposium di Bologna, quando ha presentato una interessante sinergia tra mondo ESH, Lean Manufacturing/Produzione che ha prodotto una modalità innovativa di imballaggio e trasporto “milk-run” delle materie prime provenienti dai fornitori. In questo modo l’Organizzazione è più sostenibile: meno imballaggi significa ridurre il taglio di alberi per il legno e la carta, meno rifiuti, meno rischi nell’aprire le casse, portando dei vantaggi in termini di tempi di produzione e di risorse impiegate. Così vantaggiosa che i fornitori l’hanno estesa ad altri loro clienti. Un ottimo risultato, non c’è che dire. Ma non è questo ciò che mi ha colpito. L’ing. Marella, nel raccontare il processo che ha portato allo sviluppo di questa soluzione, ha descritto un’azienda dove, una volta tanto, la politica aziendale per la sicurezza, l’ambiente e la qualità non è una semplice enunciazione ma un obiettivo che viene perseguito sistematicamente. Nei successivi incontri con l’ing. Marella ho voluto approfondire l’argomento. Quanto tutti questi processi sono il risultato di una particolare impostazione aziendale portata dalla nuova proprietà giapponese e quanto sono frutto della cultura imprenditoriale italiana? La sinergia tra HSE e Lean Manufacturing è sempre stata nel nostro DNA, perché un’azienda sicura è soprattutto una azienda con una ottima organizzazione, quindi profittevole e con
prodotti alta qualità. E la Lean insegna che per ottenere questi risultati bisogna ascoltarci, ognuno deve fare la propria parte ma lavorando in team. La nuova proprietà giapponese ha rinforzato molto questi concetti. Una delle prime parole è stata proprio “Nemawashi” che significa lavorare assieme ottenendo il consenso di tutti per ogni progetto pianificato e appunto… pianificare! Le culture mediterranee, in genere, hanno una grandissima energia e determinazione a “fare”, e analogamente una grandissima determinazione e capacità di correggere mentre sta facendo. I colleghi giapponesi dedicano più tempo alla pianificazione e alla condivisione degli obbiettivi e dei vari passaggi per raggiungerli. “fare” è l’ultima parte del processo, che avviene senza intoppi. Alla fine, il risultato è uguale per tutti ma quanta energia viene sprecata per risolvere i problemi a mano a mano che si presentano? Non sarebbe meglio organizzarsi prima? Crearsi un ordine mentale e procurarsi gli strumenti in modo da risparmiare forze ed energie, da applicare solo dove effettivamente servono? Il cultural change ha portato a mescolare un la visione giapponese e quella italiana, prendendo il meglio da entrambe. È un processo faticoso per tutti, perché è nella natura umana essere più reattivi che proattivi e migliorare significa cambiare le nostre abitudini ed il modo di lavorare: nel nostro caso abbiamo acquisito un certo tipo di ordine mentale che ha valorizzato le nostre capacità. Su questi principi è gestito il processo di riduzione dei rischi per la sicurezza e l’ambiente: i dirigenti, con la collaborazione di HSE e del loro team raccolgono le segnalazioni dal campo e, in base ai KPI, pianificano le attività necessarie a raggiungere gli obbiettivi. Sono gli stessi dirigenti che poi presentano trimestralmente il piano di azione al Datore di Lavoro. Due attività mi hanno particolarmente colpito. La prima è la
dojo room. Me ne vuoi parlare? Da più di un anno abbiamo attrezzato quest’area, che si chiama dojo room (dojo è il nome in giapponese della palestra dove si praticano il judo o altre arti marziali) nella quale i lavoratori si esercitano nelle attività pratiche, come la brasatura o l’avvitatura, prima di essere messi a lavorare in linea di assemblaggio. La dojo room è presidiata da un formatore qualificato, in possesso dei requisiti stabiliti dall’Accordo Stato Regioni. Una dojo room giapponese © Getty Vengono trasmesse e verificate le competenze tecniche necessarie allo svolgimento delle attività lavorative, così come quelle per la sicurezza dei lavoratori, come l’utilizzo dei DPI, gli standard ambientali eccetera. Il L’addestramento assieme ad un tutor, che corregge i comportamenti sbagliati e migliora quelli giusti offre una maggiore garanzia che i lavoratori conoscano le regole di processo e gli standard, non si facciano male e che la qualità del loro lavoro sia migliore. La durata dell’addestramento in questa “safe zone” dipende dai ruoli: tipicamente un assemblatore si esercita nella dojo room per quarantaquattro ore prima di essere avviato al lavoro nella sua linea di assemblaggio. E il kiken yochi? Il kiken yochi (letteralmente “allenamento sulla previsione dei pericoli”) deriva dalla necessità che ciascuno di noi, assuefatto a lavorare in un determinato contesto, può considerare priva di rischi una attività che invece per un occhio attento come quello dell’RSPP è foriera di pericoli. Bisogna ritararci sul riconoscere cosa è pericoloso e cosa non lo è. Una delle cause degli incidenti è che, nelle nostre fabbriche gran parte delle attività di assemblaggio sono manuali e anche molto variabili da prodotto a prodotto. Per questo motivo i
nostri lavoratori devono essere ben addestrati, versatili e devono avere la capacità di segnalare le derive del processo. Un near-miss è di fatto una deriva del processo. Nel nostro progetto kiken yochi un tecnico della sicurezza, tipicamente un RSPP, affianca un Team Leader, per venti minuti due volte alla settimana per cinque settimane, ed insieme analizzano le singole postazioni di montaggio. Per ogni problema che viene identificato, si stabilisce se la risoluzione è in carico al Team Leader stesso, ai lavoratori (es. materiale fuori posto) o ad altre figure aziendali (es. l’ingegneria industriale) e l’assegnazione viene formalizzata. Questo processo impone al Team Leader di guardare la sua linea di assemblaggio con un punto di vista differente da quello esclusivo della produzione, cui è abituato e di fatto guidandolo nella valutazione dei rischi per la sicurezza e l’ambiente delle sue aree. Questo rende più consapevole il Team Leader del suo ruolo di preposto ed aiuta l’RSPP nell’aggiornamento della valutazione dei rischi: le piccole modifiche di processo possano sfuggire anche all’RSPP. Il kiken yochi è un modo per insegnare al team-leader l’importanza di segnalare anche le piccole modifiche ai processi, che possano impattare sulla sicurezza. Il beneficio è una migliore comunicazione e la consapevolezza che i problemi, quando sono correttamente segnalati, sono presi in carico dai managers che hanno tutto l’interesse a rendere le fabbriche più sicure, produttive e profittevoli. Approfondimenti
e-Book Parlare di Sicurezza in Azienda Antonio Pedna L’e-Book “Parlare di Sicurezza in Azienda” raccoglie le riflessioni di Antonio Pedna, HSE Advisor. Dal 2018, Antonio Pedna, Architetto e Technical Member IOSH, scrive i contenuti della pagina LinkedIn – HSE Manager Wolters Kluwer Italia, pagina di riferimento del settore HSE italiano seguita da oltre 860 operatori QHSE d’Italia. I contenuti che condivide sono originali e offrono spunti e consigli sulla professione, tra cultura della sicurezza e buone pratiche. L’Ebook è offerto da SIMPLEDO, la piattaforma Wolters Kluwer web-based per la gestione della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, la qualità e la tutela ambientale, rivolta ad Aziende, pubbliche e private. Wolters Kluwer Scarica gratis l'eBook
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