SAGGI Gli insolvency protocols nelle operazioni di ristrutturazione del gruppo di imprese in crisi

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Gli insolvency protocols nelle operazioni di ristrutturazione
del gruppo di imprese in crisi* **

    Sommario: 1. I problemi connessi alla ristrutturazione del gruppo di imprese in
crisi. Le peculiarità del gruppo multinazionale. – 2. La cooperazione nella ristruttu-
razione dei gruppi di imprese in crisi. – 3. Gli insolvency protocols – 4. Conclusioni.
Le questioni ancora aperte.

1. I problemi connessi alla ristrutturazione del gruppo di imprese in
crisi. Le peculiarità del gruppo multinazionale.

    A. In una visione di insieme del moderno diritto della crisi e dell’in-
solvenza, il dato che più di ogni altro balza agli occhi è la continua ricer-
ca – divenuta negli ultimi anni e in molti ordinamenti quasi spasmodica
– di strumenti e di meccanismi in grado di salvaguardare la continuità
aziendale dell’impresa in difficoltà, che assurge a “valore” da tutelare
in sé e per sé e non più in funzione ancillare rispetto al perseguimento
di altri obiettivi. Strumenti e meccanismi il cui utilizzo viene favorito in
quanto ritenuti idonei a scongiurare l’effetto più nefasto per la collettivi-
tà che è di norma associato alla condizione di default del debitore, ossia
l’uscita traumatica dal circuito economico di un centro di imputazione

    * Il contributo riproduce il testo, tradotto e con l’aggiunta delle note, della relazione
presentata al Congresso internazionale sulle ristrutturazioni societarie, che si è svolto a
Madrid nei giorni 5 e 6 novembre 2018.
    ** This contribution is part of the project “Transnational protocols: a cooperative tool
for managing european cross-border insolvencies” (TOP). The TOP project is co-founded
by the european union (just-ag-2017/just-jcoo-ag-2017). The content of this publication
represents the views of the autor only and is his sole responsability. The European Com-
mission does not acccept any responsability for use that may be made of the informarion
it contains.

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di atti ed effetti giuridici. Dall’obiettivo “secco” della tutela delle ragioni
creditorie, il sistema sembra così progressivamente evolversi verso una
nuova condizione di equilibrio, con lo spostamento del proprio bari-
centro funzionale nella ricerca della stabilità del mercato in cui opera
l’impresa in crisi, intesa però non soltanto dal punto di vista economico,
ma anche (e nei limiti del possibile) come invarianza dei (e nei) rapporti
giuridici in itinere.
    Le osservazioni che precedono, valide per tutte le tipologie di impre-
se, lo sono particolarmente per quelle strutturate in forma di società di
capitali; e lo sono ancor di più per quelle strutturate in forma di gruppo.
Certo, gli strumenti per raggiungere l’obiettivo del risanamento, diretto
o indiretto, di tali imprese sono diversi e necessariamente più articolati,
rispetto a quelli da impiegare per le altre tipologie di debitori, raggiun-
gendo l’acme della complessità per quelle imprese che assumono le
vesti del gruppo ad operatività cross-border.
    In tale contesto è agevole comprendere il ruolo determinante che,
a livello di ordinamenti nazionali, è destinato a giuocare il c.d. “diritto
societario della crisi”, per tale intendendosi «quel segmento dell’ordina-
mento che comprende il complesso delle regole destinate a governare la
situazione, per un verso, ed il funzionamento, per altro verso, delle socie-
tà in relazione allo stato di crisi e/o al loro conseguente assoggettamento
a procedure o procedimenti di soluzione o composizione di quello stato
di crisi»1. Un complesso normartivo chiamato anch’esso a confrontarsi
con i cambiamenti in atto e a fornire le risposte più efficienti alle (mu-
tate) esigenze e ai problemi connessi alle operazioni di ristrutturazione2.
    B. a) Prendendo spunto dall’aspetto da ultimo evidenziato, si può
iniziare col dire che i problemi che ruotano intorno alla ristrutturazione
di una società di capitali in crisi sono molteplici, di non facile soluzione
ed in gran parte comuni a tutti gli ordinamenti giuridici.
    Un primo ordine di problemi attiene direttamente ai profili finanziari
dell’operazione, dovendo i soggetti incaricati di gestirla individuare le
fonti, la tipologia e le coperture del fresh money, elemento indispensabi-
le, com’è ben noto, per far uscire la società dalla situazione di financial

     1
       Nigro, Il “diritto societario della crisi”: nuovi orizzonti?, di prossima pubblicazio-
ne in Riv. soc., p. 1 del dattiloscritto gentilmente fornito dall’Autore.
    2
       Per alcuni spunti sul tema dei cambiamenti in atto (anche) sul versante del diritto
societario della crisi, cfr. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal princi-
pio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc., 2018, pp. 858 ss.

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Daniele Vattermoli

distress, rappresentando il volano per il compimento di nuovi progetti
imprenditoriali altrimenti irrealizzabili3.
    Un secondo ordine di problemi – direttamente connesso al primo –
concerne le sorti dell’assetto organizzativo e corporativo della società
in crisi, potendo la ristrutturazione condurre all’ingresso di terzi o di
creditori (essenzialmente attraverso l’operazione di debt-to-equity swap)
nel capitale proprio dell’ente collettivo, eventualmente anche contro la
volontà dei soci originari.
    In tale contesto si inserisce la dibattuta questione circa il comporta-
mento che gli amministratori dell’ente debbono (o non debbono) ov-
vero possono (o non possono) tenere nella fase di crisi o di insolvenza
imminente dell’ente collettivo: questione che inevitabilmente coinvolge
l’esatta individuazione e definizione dell’interesse sociale nella c.d. twi-
light zone4.
    Analizzando funzionalmente le operazioni di ristrutturazione socie-
taria nell’ambito delle procedure concorsuali o pre-concorsuali non li-
quidative di stampo lato sensu negoziale, si possono invero scorgere tre
distinte categorie di relazioni potenzialmente conflittuali, ossia quelle
intercorrenti: tra soci di maggioranza e soci di minoranza; tra soci e cre-
ditori tout court; tra creditori di maggioranza e creditori di minoranza,
chiamati a votare il piano di ristrutturazione5.
    b) Il discorso diviene più complesso se dalla dimensione dell’im-
presa individuale si passa a quella del gruppo di società, nella quale
ai problemi summenzionati si sommano quelli, di natura procedurale,
legati all’esigenza di coordinamento delle diverse procedure aperte nei

    3
       Sul ruolo che giocano gli investitori professionali nel mercato delle ristrutturazioni
societarie cfr., per tutti, Harner, Griffin e Ivey-Crickenberger, Activist Investors, Distressed
Companies, and Value Uncertainty, in 22 Am. Bankr. Inst. L. Rev., 2014, pp. 167 ss.
    4
       Sul punto, gli orientamenti che si registrano in dottrina sono i più vari. Per l’o-
rientamento, vicino alla teoria del c.d. “residual owner”, che ritiene che siano i creditori
i referenti soggettivi degli obblighi di fedeltà degli amministratori in caso di crisi della
società cfr., per tutti, Jacoby e Janger, Bankruptcy Sales, in Brooklyn Law School Legal
Studies, Research Paper, n. 463, July 2016, p. 7; per l’orientamento, invece, ispirato al
principio della c.d. neutralità organizzativa, che sostiene l’invarianza dei doveri fiducia-
ri degli amministratori della società in crisi e la sostanziale riconducibilità dell’interesse
sociale a quello dei soci, cfr., per tutti, Nigro, “Principio” di ragionevolezza e regime degli
obblighi e della responsabilità degli amministratori di spa, in Giur. comm., 2013, I, pp.
457 ss.
    5
       LoPucki e Whitford, Bargaining Over Equity’s Share in the Bankruptcy Reorgani-
zation of Large, Plublicly Held Companies, in 139 U. Pa. L. Rev., 1990, pp. 125 ss.

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confronti delle singole componenti del medesimo, al fine di procedere
alla ristrutturazione del gruppo complessivamente considerato; e quelli,
rilevanti dal punto di vista del diritto sostanziale, che scaturiscono dai
potenziali conflitti tra amministratori, soci e creditori di entità giuridica-
mente distinte6.
    c) Le operazioni di ristrutturazione raggiungono infine l’apice della
complessità, come accennato in precedenza, in ipotesi di gruppi mul-
tinazionali7, rispetto ai quali entra in giuoco non soltanto la disciplina
materiale dei rapporti giuridici che scaturiscono o sono influenzati dalle
relazioni di gruppo, la pluriordinamentalità richiedendo di risolvere, a
monte, le questioni, tipicamente internazional-privatistiche, che attengo-
no al riparto della competenza giurisdizionale, all’individuazione delle
regole di conflitto per la determinazione della legge applicabile, ai criteri
per il riconoscimento delle sentenze straniere, alla cooperazione giudi-
ziaria internazionale8.

     6
         È ben noto, invero, lo sforzo dei legislatori nazionali (e, in assenza di norme ad
hoc, della giurisprudenza e della dottrina) nel confezionare strumenti idonei a neutraliz-
zare (o, almeno, limitare), ex post (al momento, cioè, dell’apertura del concorso), gli ef-
fetti prodotti dall’abuso dell’eterodirezione, che spesso si traducono in uno spostamento
ingiustificato di valore a danno di una o più società controllate. D’altra parte, tuttavia, è
proprio nella separazione (anche) sostanziale dei patrimoni degli enti che lo compon-
gono – a cui consegue la ripartizione (e conseguente limitazione) del rischio di impresa
– che trova giustificazione il fenomeno di gruppo (in questi termini, attribuendo alle so-
cietà del gruppo la funzione di “assets partitioning”, Hansmann e Kraakman, The Essential
Role of Organizational Law, in 110 Yale L.J., 2000, p. 391). Sul difficile contemperamento
degli interessi in giuoco sia consentito il rinvio a Vattermoli, Gruppi multinazionali in-
solventi, in Riv. dir. comm., 2013, pp. 585 ss.
     7
         Che è la forma tipica in cui si presenta l’impresa multinazionale. Sul punto cfr.
LoPucki, Global and Out of Control?, in 79 Am. Bankr. L.J., 2005, p. 92; nello stesso senso,
nella dottrina italiana, Mazzoni, Osservazioni in tema di gruppo transnazionale insolven-
te, in RdS, n. 4/2007, p. 2.
     8
         Sulla crisi del gruppo cross-border v., tra gli altri, Mazzoni, Cross-border insolvency
of multinational groups of companies: proposals for an European approach in the light
of the Uncitral approach, in Aa.Vv., Insolvency and Cross-border Groups. UNCITRAL Re-
commendations for a European perspective?, Quaderni di Ricerca Giuridica della Banca
d’Italia, n. 69/2011, p. 15; Bufford, Global Venue Controls Are Coming: A Reply to Pro-
fessor LoPucki, in 79 Am. Bankr. L.J., 2005, p. 136; Sarra, Maidum’s Challenge, Legal and
Governance Issues in Dealing With Cross-Border Business Enterprise Group Insolvencies,
in 17 International Insolvency Review, 2008, p. 77; Rajak, Corporate Groups and Cross-
Border Bankruptcy, in 44 Tex. Int’l L.J., 2009, p. 535; Salafia, Cross-Border Insolvency Law
in the United States & its Application to Multinational Corporate Groups, in 21 Conn. J.
Int’l L., 2006, p. 287; Mevorach, The “Home Country” of a Multinational Enterprise Group
Facing Insolvency, in 57 ICLQ, 2008, p. 431.

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Daniele Vattermoli

    C. Alla ristrutturazione dei gruppi sono dedicate le osservazioni che
seguono, nelle quali l’attenzione verrà posta sugli strumenti di coopera-
zione e coordinamento tra gli organi delle procedure di soluzione della
crisi aperte nei confronti delle singole componenti (tutte o alcune); più
in particolare, l’accento cadrà sullo strumento che attualmente riscuote i
maggiori consensi tra gli operatori, almeno nell’ambito delle operazioni
di risanamento che coinvolgono i gruppi transfrontalieri, ossia l’insol-
vency protocol.

2. La cooperazione nella ristrutturazione dei gruppi di imprese in
crisi.

    Indipendentemente dalla loro dimensione operativa, sia essa nazio-
nale o cross-border9, non v’è dubbio che la ristrutturazione dei gruppi in
crisi presupponga il coordinamento delle procedure aperte nei confronti
delle singole imprese che li compongono.
    A. Tale coordinamento, come la pratica dimostra, può realizzarsi fon-
damentalmente attraverso due percorsi:
a) il primo – ispirato al c.d. single entity (o enterprise) approach –, che
    potremmo definire del coordinamento massimo, passa per la fusione
    delle procedure aperte (o che potrebbero essere aperte) nei con-
    fronti delle singole componenti in un’unica procedura di gruppo,
    nella quale le diverse società confluiscono come se fossero parti di
    un’unica impresa, anche dal punto di vista giuridico-formale, ferma
    restando la separazione delle rispettive masse attive e passive10;

     9
         In generale, sull’importanza della cooperazione nel trattamento dell’insolvenza
transnazionale cfr., tra gli altri, Nielsen, Sigal e Wagner, The Cross-Border Insolvency
Concordat: Principles to Facilitate the Resolution of International Insolvencies, in 70 Am.
Bankr. L.J., 1996, pp. 533 ss.; Westbrook, Creating International Insolvency Law, ivi,
1996, pp. 563 ss.; Id., Choice of Avoidance Law in Global Insolvencies, in 17 Brook.
J. Int’l L., 1991, p. 516; Clift, The Uncitral Model Law on Cross-Border Insolvency – A
Legislative Framework to Facilitate Coordination and Cooperation in Cross-Border Insol-
vency, in 12 Tul. J. Int’l & Comp. L., 2004, 307 ss.; Burman, Harmonization of Internatio-
nal Bankruptcy Law: A United States Perspective, in 64 Fordham L. Rev., 1996, p. 2543;
Culmer, The Cross-Border Insolvency Concordat and Customary International Law: Is
It Ripe Yet?, in 14 Conn. J. Int’l L., 1999, pp. 563 ss.; Clift, Developing an international
regime for transnational corporations: the importance of insolvency law to sustainable
recovery and development, in 20 Transnational Corporations, 2011, p. 139.
     10
         Il consolidamento patrimoniale (substantive consolidation), attraverso il quale il

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b) il secondo – ispirato al c.d. separate entity approach –, definibile del
   coordinamento eventuale (o condizionato), presuppone viceversa
   l’apertura di molteplici procedure e fa leva sull’utilizzo, da parte degli
   organi delle medesime, di strumenti di cooperazione, di cui si avrà
   modo di parlare subito appresso.
   B. In tempi recenti, la progressiva presa di coscienza dell’importanza
assunta nel tessuto economico dai gruppi di società ha spinto diversi or-
dinamenti a dotarsi di norme interne che consentono la ristrutturazione
unitaria del gruppo in crisi. Una scelta che, da ultimo, è stata condivisa
anche dal legislatore italiano, con il nuovissimo Codice della crisi e
dell’insolvenza11.

giudice fallimentare «treats separate legal entities as if they were merged into a single
survivor left with all the cumulative assets and liabilities (save for inter-entity liabilities,
which are erased). The result is that claims of creditors against separate debtors morph
to claims against the consolidated survivor» [così Genesis Health Ventures, Inc. v. Staple-
ton (In re Genesis Health Ventures, Inc.), 402 F.3d 416 (3d Cir. 2005)], è infatti istituto
raramente ammesso (USA, Colombia e, dubitativamente, Spagna) e comunque, anche
ove ammesso, scarsamente utilizzato nella pratica. Sulla genesi del fenomeno e sui gravi
problemi che, anche dal punto di vista dell’efficienza complessiva del sistema, lo stesso
genera sia consentito il rinvio a Vattermoli, Gruppi insolventi e consolidamento patrimo-
niale (Substantive Consolidation), in RdS, 2010, pp. 586 ss.
     11
         Tra le novità più rilevanti recate dalla legge delega n. 155/2017 va senz’altro an-
noverata la previsione di principi specificamente dedicati alla disciplina del gruppo di
imprese in crisi o insolventi (art. 3). Nel dettare i suddetti principi, il legislatore delegante
sembrerebbe essersi ispirato sostanzialmente a due idee di fondo: per un verso e come si
anticipava nel testo, consentire e regolare il trattamento unitario delle diverse procedure
– di concordato o di liquidazione giudiziale – aperte nei confronti delle componenti del
gruppo, qualora sia prevedibile che il c.d. consolidamento procedurale si risolva in un
vantaggio per i creditori coinvolti; per altro verso, mantenere nettamente distinte le masse
attive e le masse passive delle singole imprese del gruppo, anche qualora si proceda alla
gestione unitaria delle procedure di soluzione della crisi o dell’insolvenza. Nel “Codice
della crisi e dell’insolvenza”, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019 che ha dato attuazione alla
delega, alla disciplina dei gruppi è dedicato il Titolo VI della Parte I (artt. 284-292). Nel
codice vengono ovviamente ripresi i principi espressi nella legge delega, con alcune
importanti eccezioni. In particolare, degna di nota ai fini che qui interessano, è la dispo-
sizione contenuta nell’art. 285, relativo al possibile contenuto del piano unico o dei piani
collegati ed interferenti infragruppo, nella quale si stabilisce che i piani di gruppo posso-
no prevedere, tra l’altro, operazioni contrattuali e riorganizzative, «ivi inclusi trasferimen-
ti di risorse infragruppo». Premesso che tale possibilità non è affatto contemplata nell’art.
3 della legge delega, occorre osservare che per come è scritta, la norma sembrerebbe
legittimare operazioni in virtù delle quali, fuori da qualunque rapporto sinallagmatico,
un’impresa (la A) in concordato può trasferire una porzione del suo patrimonio ad un’al-
tra impresa (la B) del gruppo ugualmente in concordato. Così letta, la norma si porrebbe

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Daniele Vattermoli

    Pur tuttavia, il coordinamento massimo rappresenta, allo stato, un’op-
zione confinata, al più, alla ristrutturazione dei soli gruppi domestici.
Per quelli transfrontalieri, invero, le best practices raccolte nei testi – sia
di hard sia di soft law – emanati dagli organismi internazionali e sovra-
nazionali consigliano il percorso meno traumatico, rispetto allo stato di
fatto che si registra nella fase fisiologica, del coordinamento eventuale,
quello cioè che fa perno sugli strumenti di cooperazione tra gli organi
delle procedure.
    È ben noto, invero, che tanto il Regolamento UE n. 848/2015, quan-
to la Parte III della Guida Legislativa Uncitral sul regime di insolvenza,
hanno adottato il modello teorico “ibrido” del cooperative territorialism,
nel quale il principio puro di territorialità viene temperato dall’innesto
di norme che consentono la cooperazione tra le diverse autorità degli
Stati coinvolti dalla crisi e nel quale, da un lato, non vi sono procedure
principali e secondarie – come invece è dato osservare nei sistemi che
adottano il modello dell’universalità limitata12 – bensì, al massimo, pro-

in frontale contrasto con il principio generalissimo della responsabilità patrimoniale (art.
2740 c.c.) – e con il principio, che dal primo discende, della separazione delle masse
attive e delle masse passive delle società del gruppo in crisi –, senza peraltro che siano
previsti adeguati strumenti di tutela per i creditori dissenzienti, i quali potrebbero rea-
gire in sede di opposizione all’omologazione soltanto se appartenenti ad una classe nel
complesso dissenziente o se titolari di almeno il 20% del totale dei crediti. Per una critica
alla norma testé menzionata v., seppure con riferimento all’allora “schema” di decreto
delegato, Nigro e Vattermoli, Il “Diritto societario della crisi” nello schema di riforma
delle procedure concorsuali: osservazioni critiche “ad adiuvandum”, in giustiziacivile.
com, n. 8/2018, pp. 9 ss.
Del resto ed a ben vedere, l’impostazione del legislatore delegante riproduce, nelle
sue linee essenziali, quella seguita dal legislatore del 1942 con riferimento ai rapporti
tra il fallimento della società e quelli, da questo dipendenti, dei soci illimitatamente re-
sponsabili. Sul punto v. le condivisibili osservazioni di Caridi, Spunti di riflessione nella
prospettiva di una disciplina organica dei gruppi insolventi, in giustiziaziacivile.com, n.
1/2016, pp. 10-11.
     12
        Il modello teorico dell’universalità limitata è adottato, con riferimento al debitore-
unico soggetto giuridico, sia dalla Legge Modello dell’Unictral sull’insolvenza transna-
zionale del 1997, sia dal Regolamento UE n. 848/2015 sulle procedure di insolvenza. In
tale modello, pur adottandosi i principi fondamentali dell’universalità, viene consentito
alle autorità giudiziarie di «evaluate the fairness of the home-country procedures and to
protect the interests of local creditors» (così, Perkins, Note. A Defense of Pure Universalism
in Cross-Border Corporate Insolvencies, in 32 N.Y.U. J. Int’l L. & Pol., 2000, p. 791). Esso fa
perno sulla dicotomia procedura principale/procedura non principale: dicotomia che, a
sua volta, ruota intorno all’individuazione del centro degli interessi principali del debito-
re (c.d. COMI: centre of main interest). La tutela degli interessi locali avviene attraverso

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cedure parallele coordinate, con la conseguenza che nessun particolare
potere è riconosciuto all’organo della procedura straniera, anche qua-
lora quest’ultima sia da considerare (perché aperta nel luogo in cui v’è
la sede legale ed operativa dell’impresa) “oggettivamente” principale;
dall’altro lato, la cooperazione è, appunto, soltanto eventuale, spettando
all’autorità giudiziaria ed al rappresentante della procedura domestica
valutare se sia o meno economicamente efficiente “coordinarsi” con gli
omologhi stranieri, al fine della migliore realizzazione degli interessi
locali13.
    C. Ciò premesso, va osservato come la cooperazione tra autorità e/o
organi tecnici delle procedure nazionali aperte nei confronti (del debi-
tore unico soggetto giuridico o) di società facenti parte del medesimo
gruppo può realizzarsi attraverso distinti strumenti e può assumere qual-
siasi forma.
    Essa può consistere, ad esempio, nella facoltà di comunicazione e
nello scambio di informazioni tra i curatori e tra le autorità giudiziarie
delle diverse procedure coinvolte14; nella fissazione di udienze simulta-

l’apertura di procedure non principali – quelle, cioè, incardinate in un ordinamento
diverso da quello di origine del debitore – che, pur essendo “subordinate” rispetto alla
procedura principale, producono l’effetto di impedire che i beni situati nel territorio di
competenza siano appresi e liquidati dall’organo di quest’ultima ed il ricavato distribuito
secondo il sistema di graduazione proprio dello Stato in cui è localizzato il COMI. Sul
punto cfr., in dottrina, Neiman, International Insolvency and Environmental Obligations:
A Prelude to Resolving the Conflicting Policies of a Clean Slate Versus a Clean Site in
Transnational Bankruptcies, in 8 Fordham J. Corp. & Fin. L., 2003, p. 826; Anderson,
The Cross-Border Insolvency Paradigm: A Defense of the Modified Universal Approach
Considering the Japanese Experience, in 21 U. Pa. J. Int’l Econ. L., 2000, p. 691, il quale
sottolinea come tale modello «retains some of the efficiencies of pure universalism while
incorporating the flexibility and discretion of the territorial approaches».
    13
        L’interpretazione “autentica” del modello è offerta da LoPucki, Cooperation in In-
ternational Bankruptcy, cit., pp. 742-743: «Under the cooperative territoriality system I
propose, the bankruptcy courts of a country will administer the assets of a multinational
debtor within the borders of that country as a separate estate. If a debtor had signifi-
cant assets in several countries, several independent bankruptcy cases might result. None
would be main, secondary, or ancillary. Each of the courts would decide, according to
local law and practices, whether the assets within its country’s borders would be reorgani-
zed or liquidated. If a court chose to liquidate the assets, it would distribute the proceeds
according to its own rules of priority»; Id., Global and Out of Control, cit., p. 96.
    14
        Cfr. artt. 56.2, lett. a) e 57.2, Regolamento n. 848/2015 e Raccomandazione n. 243,
Guida Legislativa Uncitral. Naturalmente, oltre al riconoscimento in capo ai giudici ed ai
curatori della generica facoltà di comunicare con gli omologhi stranieri, le leggi interne
dovrebbero anche regolare gli aspetti “tecnici” delle comunicazioni, chiarendo, ad esem-

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Daniele Vattermoli

nee15; nella nomina di mandatari di giustizia che si pongano come tra-
mite tra gli organi delle procedure per eliminare le (eventuali) barriere
linguistiche16; nella fissazione di obblighi reciproci di comportamento,

pio, se queste debbano avvenire oralmente o tramite documenti scritti; individuando i
mezzi a tal fine utilizzabili (posta ordinaria; fax; e-mail; telefono; videoconferenza); sta-
bilendo il contenuto delle stesse e fissando eventuali limiti per quelle aventi ad oggetto
determinate informazioni “sensibili”; disciplinando, infine, i diritti dei soggetti coinvolti
dalla crisi, qualora lo scambio delle informazioni possa incidere sulle loro posizioni
processuali e/o sostanziali.
     15
        È indubbio che la previsione di udienze simultanee (o congiunte) relative alle
procedure collettive aperte, in diversi Stati, nei confronti di società del medesimo grup-
po, rappresenti, potenzialmente, un fattore di efficienza nella gestione dell’insolvenza
transfrontaliera. In proposito è sufficiente pensare, a titolo di esempio, alla fase di ve-
rifica del passivo, nella quale il “trattamento” congiunto delle questioni (es.: eccezioni
di compensazione; revocatorie incidentali; subordinazione involontaria dei crediti; ecc.)
che scaturiscono da atti infragruppo (es.: costituzione di garanzie, reali o personali; fi-
nanziamenti; contratti di cash pooling; ecc.) costituirebbe certamente uno strumento di
accelerazione e di riduzione dei costi delle operazioni di accertamento; oppure, al giu-
dizio di omologazione dell’eventuale concordato di gruppo, là dove ancor più evidente
si palesa il vantaggio offerto dalla trattazione simultanea delle questioni che potrebbero
condurre al rigetto della domanda (specialmente nell’ipotesi in cui le proposte presenta-
te dalle società del gruppo siano l’una condizionata all’approvazione – e alla successiva
omologazione – dell’altra). D’altra parte, però, non possono non essere evidenziate le
difficoltà che si incontrano nell’utilizzo di tale strumento di cooperazione. Alcune sono
di tipo, se si vuole, operativo: sul punto è sufficiente pensare ai costi che dovrebbe
sostenere l’amministrazione della giustizia per l’acquisto del materiale tecnologico di
supporto alla trattazione congiunta delle udienze (es.: sistemi di videoconferenza) e per
l’opera dei traduttori giurati; ma anche, ed indipendentemente dalle spese da sostenere,
alle difficoltà legate ai diversi fusi orari in cui si trovano ad operare le corti fallimentari
interessate. Altre, ben più gravi, attengono al problema – particolarmente delicato in ca-
so di udienze simultanee – del rispetto delle regole processuali in tema vuoi di accesso
al procedimento pendente dinanzi all’autorità straniera, vuoi di produzione di documen-
ti e, più in generale, di disposizione, ammissione e acquisizione di mezzi istruttori, vuoi
dei limiti della giurisdizione e vuoi, infine, di notificazione degli atti alle parti interessate.
La sensazione è che, allo stato, il coordinamento delle udienze sia uno strumento utiliz-
zabile nelle sole ipotesi in cui gli ordinamenti interessati appartengano alla medesima
tradizione giuridica e condividano una matrice linguistica comune (nella prassi, infatti, le
joint hearings sono quasi sempre utilizzate sull’asse Canada/USA, a partire dal pioniero
caso Everfresh Beverages del 1995: sul punto cfr., per tutti, Leonard, Managing Default
by a Multinational Venture: Cooperation in Cross-Border Insolvencies, in 33 Tex. Int’l
L.J., 1998, p. 543). Non stupisce, quindi, che nella Raccomandazione n. 245 della Guida
Legislativa (relativa, appunto, al coordinamento delle udienze), si utilizzi – ed è l’unico
caso in cui ciò accade – il «may» e non il «should». Il coordinamento delle udienze è al-
tresì previsto dall’art. 57.3, lett. d), Regolamento UE n. 848/2015.
     16
        Nella Raccomandazione n. 241, lett. c) della Guida Legislativa – che sul punto

                                                                                               19
Saggi

tra autorità e/o rappresentanti delle procedure, in ordine alla ammini-
strazione, in senso lato, dei beni e alla sorveglianza dell’attività economi-
ca delle imprese del gruppo dichiarate insolventi17; nell’autorizzazione
da parte delle autorità giudiziarie agli organi tecnici delle procedure ad
accordarsi in ordine alla soluzione di determinate questioni che atten-
gono allo sviluppo delle procedure (come, ad esempio, quella attinen-
te all’analisi della documentazione relativa all’attuazione delle direttive
di gruppo, al fine di un’eventuale azione di responsabilità contro gli
esponenti aziendali della società madre e/o delle controllate), nonché a
nominare un curatore che svolga il ruolo di “coordinatore” degli altri18.

replica la disposizione contenuta nell’art. 27, lett. a) della Legge Modello del 1997 – si
legge che la cooperazione può realizzarsi per mezzo della nomina «of a person or body
to act at the direction of the court»; a sua volta, l’art. 57.1 Regolamento UE n. 848/2015
stabilisce che ai fini della cooperazione, «I giudici possono, ove opportuno, designare una
persona o un organismo indipendente che agisca su loro istruzione, purché ciò non sia
incompatibile con le norme ad essi applicabili». Uno studio legale internazionale potreb-
be, ad esempio, svolgere al meglio tale funzione, collaborando non soltanto con le corti,
ma anche con gli organi rappresentativi delle procedure e con le parti interessate, con
funzioni che possono oscillare tra l’agevolare lo scambio di informazioni e quella, ben
più impegnativa, di predisporre un cross-border insolvency agreement. Il soggetto di cui
si tratta non rappresenta un nuovo organo della procedura di insolvenza, né può essere
assimilato ad un “super-curatore”, ma va inquadrato, più modestamente, negli ausiliari
di giustizia, traendo i suoi poteri dall’atto di nomina del tribunale, nel quale dovranno
essere specificamente indicate le funzioni allo stesso assegnate.
     17
         Tale forma di cooperazione – espressamente prevista sia dagli artt. 56.2, lett. b) e
57.3, lett. c) del Regolamento UE n. 848/2015 sia dalla Raccomandazione n. 241, lett. b)
della Guida Legislativa – risulta estremamente opportuna, specialmente nelle ipotesi in
cui le attività delle singole componenti del gruppo siano economicamente integrate tra
loro. Non è raro, infatti, che le varie società di un gruppo si occupino ciascuna di una
fase di un’unica impresa: in tal caso, una gestione coordinata delle operazioni di vendita,
che consenta di addivenire ad una cessione “in blocco” di assets facenti parte di distinte
masse attive, potrebbe condurre a risultati decisamente vantaggiosi per i creditori (ferma
restando, ovviamente, la necessità di rispettare la separazione patrimoniale tra le varie
società, mediante un’opportuna distribuzione del ricavato dalla vendita). Ma non solo: il
coordinamento potrebbe anche sfociare nella decisione di “rallentare” o “sospendere” le
operazioni di liquidazione, oppure avere ad oggetto la strategia da seguire in ordine alla
sorte dei contratti pendenti, in tal modo facilitando la continuazione dell’attività dell’im-
presa di gruppo e la predisposizione di piani di risanamento globali.
     18
         Tale ultima possibilità risulta particolarmente importante nell’ipotesi in cui il grup-
po insolvente presenti un numero elevato di componenti, facilitando la formulazione e
l’attuazione di strategie comuni. Non è detto, peraltro, che il ruolo di pivot venga ricoper-
to dal curatore della procedura aperta nei confronti della controllante: è ben possibile,
infatti, che la procedura “principale” – quanto ad attivo; numero dei creditori e rilevanza
economica delle relazioni contrattuali in corso di esecuzione – sia quella aperta nei con-

20
Daniele Vattermoli

    La cooperazione, ancora, può tradursi nel coordinamento dell’ammi-
nistrazione (o supervisione) della complessiva attività economica del-
le imprese del gruppo, nel caso in cui la stessa continui nonostante
l’apertura della procedura di insolvenza19, in particolare in materia di
finanziamento successivo all’instaurarsi del concorso; di conservazione,
di utilizzo e di alienazione dei beni delle società del gruppo; di eser-
cizio delle azioni revocatorie, che, seppure indirettamente, potrebbero
influenzare il concreto svolgimento dell’attività di impresa. Il coordina-
mento potrebbe inoltre interessare intere fasi delle procedure, come l’ac-
certamento del passivo e la ripartizione dell’attivo (fasi che, nella specie,
potrebbero risultare particolarmente delicate, con riferimento, proprio,
alle operazioni infragruppo); e potrebbe riguardare, altresì, la proposta
e la negoziazione di piani di riorganizzazione “concertati”20.
    La cooperazione, infine, può spingersi sino al punto di consentire
all’autorità giudiziaria di adottare un atto “coordinato” (con le autorità
straniere) di nomina del rappresentante della procedura di insolvenza
che sia unico, o il medesimo, per tutte le procedure aperte nei confronti
delle società del gruppo, a condizione, evidentemente, che tale soggetto
possegga i requisiti richiesti dalla legge degli Stati in cui è chiamato a
svolgere il proprio incarico21.

fronti di una controllata “operativa”. Sul punto cfr. l’art. 56.2, ultimo periodo, Regolamen-
to n. 848/2015, nel quale si afferma che, ai fini del coordinamento delle procedure, «tutti
o alcuni degli amministratori delle procedure di insolvenza di cui al paragrafo 1 possono
convenire di conferire ulteriori poteri all’amministratore delle procedure di insolvenza
nominato in una delle procedure laddove un tale accordo sia consentito dalle norme
applicabili a ciascuna procedura. Possono altresì convenire la ripartizione di taluni
compiti tra di essi, laddove una tale ripartizione sia consentita dalle norme applicabili
a ciascuna procedura».
     19
        Cfr. Raccomandazione n. 250, lett. d), Guida Legislativa.
     20
        Cfr. l’art. 56.2, lett. c) del Regolamento UE n. 848/2015 e la Raccomandazione n.
250, lett. e), Guida Legislativa. Rispetto a quest’ultima ipotesi, va detto che anche qualora
il rappresentante della procedura d’insolvenza non rientri, a norma della legge nazio-
nale, tra i soggetti legittimati a presentare la proposta con il piano di riorganizzazione
da sottoporre all’approvazione dei creditori, è indubbio che lo stesso possa comunque
svolgere un ruolo importante nel quadro del tentativo di risanamento, e ciò: vuoi, po-
nendosi come tramite per il coordinamento delle varie procedure; vuoi, cooperando con
il debitore (o il soggetto proponente) e gli altri rappresentanti delle procedure estere,
in modo da creare le condizioni ottimali (ad esempio, redigendo una relazione positiva
sulla proposta) affinché il piano venga approvato dagli aventi diritto al voto.
     21
        Cfr. l’art. 57.3, lett. a) del Regolamento UE n. 848/2015 e la Raccomandazione n.
251 della Guida Legislativa. Si tratta di una forma, seppure parziale, di “consolidamento

                                                                                           21
Saggi

3. Gli insolvency protocols.

    Esiste peraltro uno strumento, sempre più utilizzato nella pratica in-
ternazionale, che se adottato nell’ordinamento interno rende in buona
misura superfluo il recepimento, attraverso norme specifiche, delle di-
sposizioni o raccomandazioni che nei testi, rispettivamente, di hard e
di soft law elaborati in ambito sovranazionale, contemplano le singole
misure di cooperazione di cui si è appena dato conto.
    A. Il riferimento è, in particolare, al c.d. insolvency protocol22, attraverso
il quale le parti si impegnano, appunto, a prestarsi reciproca cooperazione,

procedurale”, astrattamente idoneo ad incrementare considerevolmente l’efficienza della
gestione del gruppo insolvente, eliminando, di fatto, i costi, i ritardi e le difficoltà che la
cooperazione tra una pluralità di organi comunque comporta e facilitando le operazioni di
accertamento dei crediti e, soprattutto, di alienazione “in blocco” degli assets del gruppo.
D’altro canto, però, la nomina di un unico soggetto incaricato di amministrare i patrimoni
di diverse società insolventi prospetta non poche difficoltà. Ed invero: per un verso, non
è così scontato che le procedure collettive vengano aperte, nei diversi ordinamenti, simul-
taneamente; e, per altro verso e soprattutto, è estremamente complicato per i tribunali
interessati riuscire a coordinare la loro attività ancor prima dell’esistenza di un concorso in
atto. Per raggiungere il risultato auspicato dai testi in precedenza menzionati, il tribunale
che per primo dichiara l’insolvenza dovrebbe quindi nominare come organo della pro-
cedura un soggetto che possegga i requisiti per svolgere il medesimo ruolo anche nelle
procedure che verranno aperte all’estero; mentre per poter procedere alla nomina dello
stesso soggetto, i tribunali stranieri che intervengono successivamente dovrebbero essere
a conoscenza dell’appartenenza del debitore ad un gruppo multinazionale e del fatto
che una delle sue componenti sia già stata sottoposta alla procedura collettiva. Inoltre, la
gestione unitaria di patrimoni formalmente appartenenti a soggetti distinti può generare,
nel caso specifico, conflitti di interesse. Non è rara, infatti, l’ipotesi che l’interesse di una
specifica procedura sia non coincidente o, addirittura, in aperto conflitto con quello della
massa dei creditori di altra procedura: è sufficiente pensare, ad esempio, alle eventuali
azioni di responsabilità esercitate dal curatore del fallimento della controllata nei confronti
della capogruppo, anch’essa insolvente; oppure all’azione revocatoria degli atti infragrup-
po; o, più in generale, ad ogni azione del curatore idonea a determinare uno spostamento
di “valore” da una procedura ad un’altra. È per tale motivo che la stessa Guida Legislativa
(Raccomandazione n. 252) auspica l’adozione di misure volte a eliminare o contenere il
possibile conflitto di interessi in cui può incorrere, nella specie, l’unico curatore, sugge-
rendo la possibilità di nominare uno o più curatori “speciali” in grado, all’occorrenza, di
adeguatamente tutelare le ragioni delle procedure coinvolte. Nella Guida viene altresì
suggerito che in caso di conflitto (anche solo potenziale) di interessi, la legge nazionale
dovrebbe prevedere l’obbligo per il curatore che si trovi in tale situazione di comunicare
tempestivamente all’autorità giudiziaria la sua condizione e di attendere, prima del compi-
mento dell’atto, che la stessa autorità detti le direttive specifiche in merito.
     22
        Sugli insolvency protocols cfr., in dottrina, Warren e Westbrook, Court-to-court Nego-
tiation, in 22 Am. Bankr. Inst. J., 2003, p. 28; Zumbro, Cross-Border Insolvencies and Inter-

22
Daniele Vattermoli

con lo scopo di coordinare lo svolgimento di procedimenti che presentano
profili di connessione23. Uno strumento la cui importanza, oltre che sul pia-
no pratico, deve essere apprezzata anche sul piano sistematico. Può infatti
affermarsi che l’attuale diritto internazionale della crisi e dell’insolvenza sia
stato preceduto24 e in qualche modo guidato nella sua evoluzione, proprio
dai protocols – nati, almeno nella loro versione moderna25, nei primi anni

national Protocols – an Imperfect but Effective Tool, in 11 Bus. L. Int’l, 2010, p. 157; Braun e
Tashiro, Cross-border Insolvency Protocol Agreements between Insolvency Practitioners and
their Effect on the Rights of Creditors, disponibile on line sul sito www.iiiglobal.org; Sarra,
Maidum’s Challenge, cit., p. 84: Van de Ven, The Cross-Border Insolvency Protocol; what is
it and what in in it?, Master Thesis, Leiden Law School, 2015; Altman, A Test Case in Inter-
national Bankruptcy Protocols: The Lehman Brothers Insolvency, in 12 San Diego Int’l L.J.,
2011, pp. 463 ss.; Baer, Toward an International Insolvency Convention: Issues, Options
and Feasibility Considerations, in Business Law International, 2016, pp. 5 ss.; Barteld,
Cross-Border Bankruptcy and the Cooperative Solution, in 9 Int’l L. & Mgmt. Rev., 2012,
pp. 27 ss.; Espiniella Menéndez, Los protocolos concursales, in ADCo, n. 10/2007, pp. 165 ss.;
Bufford, Revision of the European Union Regulation on Insolvency Proceedings – Recom-
mendations, 2014, disponibile on line sul sito http:ssrn.com/abstract=2382133, in part. pp.
28 ss.; Jackson e Mason, Developments in court to court communications in International
insolvency cases, in University of New South Wales Law Journal, 2014, pp. 507 ss.; Deane e
Mason, The UNCITRAL Model Law on Cross-Border Insolvency and the Rule of Law, in Inter-
national Insolvency Review, 2016, pp. 138 ss.; Flaschen e Silverman, Cross-Border Insolvency
Cooperation Protocols, in 33 Tex. Int’l L.J., 1998, pp. 587 ss.; Leonard, Internationalization
of Insolvency and Reorganizations, in 24 Int’l Bus. Law., 1996, pp. 203 ss.; Lubben e Woo,
Reconceptualizing Lehman, in New York University Law and Economics Working Papers,
Paper n. 347, 2013; Maltese, Court-to-court Protocols in Cross-Border Bankruptcy Procee-
dings: Differing Approaches Between Civil Law and Common Law Legal System, disponibile
on line sul sito https://www.iiiglobal.org.
Nel documento elaborato dall’Uncitral, Practice Guide on Cross-Border Insolvency Coo-
peration, New York, 2010, 3, viene evidenziato come tali strumenti di cooperazione assu-
mano nella prassi internazionale denominazioni diverse: «Cross-border insolvency agree-
ments are most commonly referred to in some States as “protocols”, although a number of
other titles have been used, including “insolvency administration contract”, “cooperation
and compromise agreement” and “memorandum of understanding”».
    23
        Uncitral, Practice Guide, cit., p. 27.
    24
        Nielsen, Sigal e Wagner, The Cross-Border Insolvency Concordat, cit., p. 533.
    25
        In realtà, il primo accordo di insolvenza transfrontaliera si fa risalire al caso
Macfadyen, che ha coinvolto, agli inizi del 1900, le corti inglese ed indiana. Il caso con-
cerneva due società, aventi sede a Londra ed a Madras, composte dagli stessi soci e che
operavano nel mercato come fossero, in realtà, un’unica impresa. Aperte le procedure
di insolvenza nei confronti delle due partnership, gli organi delle stesse si accordarono
– attraverso, appunto, un protocol – nel senso di considerare unica la massa attiva ed
unica la massa passiva (una sorta di consolidamento patrimoniale), procedendo così alla
distribuzione pro-quota tra tutti i creditori del ricavato dalla liquidazione; nell’accordo,
inoltre, gli organi delle rispettive procedure stabilirono di «Exchange lists of admitted

                                                                                             23
Saggi

’90 del secolo scorso (caso Maxwell)26 –, i quali, con il trascorrere del tem-
po, hanno dato luogo a quelle best practices che si trovano oggi tradotte in
molti testi di diritto uniforme27, determinando quel passaggio dalla “pratica
alla norma”, di recente ben evidenziato da una parte della dottrina28.
    Ed è così che i protocols, in principio impiegati essenzialmente nei
sistemi di common law, hanno conquistato progressivamente campo

claims, agreed to be bound by the determinations of the other as to admitted claims, and
promised that wichever of them ended up with a surplus of assets would make a globally
ratable distribution by remitting to the other such balance as may be necessary in order
to ensure such rateable distribution» (così, Wessels, Markell e Kilborn, International Coo-
peration in Bankruptcy and Insolvency Matters, New York, 2009, p. 177).
     26
        In re Maxwell Communication Corp [93 F 3d 1036 (2d Cir. 1996)]. La Maxwell
Communication Corporation plc era la holding, con sede nel Regno Unito, di un grup-
po che comprendeva più di 400 controllate, alcune con sede nello stesso Regno Unito,
altre in Canada e altre ancora negli USA, dove era ubicato circa l’80% del valore degli
assets del gruppo. Il giorno successivo alla richiesta di assoggettamento al Chapter 11
per carenza di liquidità, la capogruppo presentò altresì istanza alla High Court of Justice
inglese per l’ammissione alla procedura di administration. Aperte le due procedure,
le autorità giudiziarie negoziarono ed approvarono – attraverso l’opera prestata dai tre
administrators nominati dal giudice inglese e dall’examiner nominato dal giudice sta-
tunitense – un “protocol”, al fine di armonizzare i due procedimenti e di minimizzare i
costi ed i conflitti generati dall’insolvenza transnazionale. Agli administrators fu affidata
la funzione di monitorare la governance della holding; all’examiner il compito, tra l’altro,
di autorizzare specifici atti di straordinaria amministrazione. Nel gennaio del 1993 furo-
no presentati un reorganization plan ed uno scheme of arrangement, il contenuto dei
quali era stato precedentemente negoziato dagli organi delle due procedure: entrambe
le proposte furono accettate ed il gruppo Maxwell venne in parte risanato ed in parte
liquidato. Maggiori dettagli sul caso Maxwell possono ricavarsi da Flaschen e Silverman,
Cross-Border Insolvency, cit., pp. 587 ss.; Hoffmann, Cross-Border Insolvency: A British
Perspective, in 64 Fordham L. Rev., 1996, pp. 2507 ss.; Westbrook, The Lessons of Maxwell
Communication, in 64 Fordham L. Rev., 1996, p. 2534, che definisce il caso Maxwell, «the
first worldwide plan of orderly liquidation even achieved».
     27
        Wessels, Markell e Kilborn, International Cooperation, cit., p. 176: «While efforts
were underway to encourage a principled legislative solution, insolvency professionals had
to find ways of assuaging pressing conflicts under existing law (…) Creative lawyers, ac-
countants, and judges implemented their own solutions on an ad hoc basis through pri-
vate agreements, generally confirmed by court order». Nello stesso senso, più di recente,
Kamalnath, Cross-Border Insolvency Protocols: A Success Story?, in IJLSR, 2013, pp. 172 ss.
     28
        Fumagalli, I protocolli tra le procedure nella disciplina transfrontaliera dell’insolven-
za, in Leandro, Meo e Luzzo. Crisi transfrontaliera di impresa: orizzonti internazionali ed
europei, Bari, 2018, p. 185, il quale, riferendosi ai protocols evidenzia il fenomeno per cui,
«un modello organizzativo sviluppato nel commercio internazionale viene recepito in uno
strumento europeo vincolante, con singolare incontro tra un istituto espressione di “vita
giuridica internazionale” e uno strumento sovranazionale inteso a regolarla».

24
Daniele Vattermoli

anche in quelli di civil law29, grazie all’esplicita menzione degli stessi
nei testi di soft law emanati in materia dall’Uncitral30 e, soprattutto,
allo spazio ad essi dedicato più di recente dal Regolamento UE sulle
procedure di insolvenza (nella versione recast del 2015), che rende
verosimile un incremento considerevole del loro utilizzo nel futuro
prossimo31.

   29
        Nel documento Guidelines for Coordination of Multinational Enterprise Group In-
solvencies, elaborate nel 2012 dall’International Insolvency Institute, si legge a pagina 17
(nt. 16) che «The use of protocols is quite common in both civil and common law countries».
Il primo caso in cui è stato utilizzato un insolvency protocols per gestire procedure aperte
nei confronti dello stesso debitore in un ordinamento di common law (USA) e in uno di
civil law (Israele) è In re Joseph Nakash [in 190 B.R. 763 (1996)]. Per maggiori dettagli sul
caso Nakash cfr. Flaschen e Silverman, Cross-Border Insolvency, cit., pp. 593 ss.
     30
        Cfr. l’art. 27, lett. d) LM e le Raccomandazioni nn. 253-254 della Parte III della
Guida Legislativa sul regime di insolvenza.
Sul punto cfr. Zumbro, Cross-Border Insolvencies and International Protocols, cit., 164:
«The adoption of the Model Law has been vital to the proliferation of protocols, in part
because jurisdictions that have adopted the Model Law are expressly authorized to em-
ploy cross-border protocols». Anche il Cross-Border Insolvency Concordat prevede che
nell’ipotesi in cui vi siano due o più procedimenti concorsuali aperti nei confronti del
medesimo debitore, nessuno dei quali qualificabile come “main forum”, «each forum
should coordinate with each other, subject in appropriate cases to a governance protocol»
(Principle 4.A). Nella stessa direzione si muovono le European Communication and Co-
operation Guidelines for Cross-border Insolvency, elaborate nel 2007 nell’ambito dell’IN-
SOL Europe, nelle quali si legge che «Cooperation may be best attained by way of an
agreement or “protocol” that establishes decision-making procedures, although decisions
may continue to be made informally as long as they are compatible with the substance
of any such agreement or “protocol”» (linea guida n. 12.4); nonché le Guidelines for Co-
ordination of Multinational Enterprise Group Insolvencies, cit., che alla linea-guida n. 7
stabiliscono che «To the extent permitted by local law, the courts should direct, authorize,
or permit the debtor or insolvency representative over whom they have authority or juri-
sdiction to enter into agreements or protocols with other members of the enterprise group
to further the objectives of these Guidelines».
     31
        In argomento cfr. le (profetiche) osservazioni contenute in Uncitral, Practice Gui-
de, cit., p. 35: «insolvency agreements occur in practice more frequently between com-
mon law jurisdictions, where courts have wider discretion than in jurisdictions in which
statutory authorization to enter into such arrangements (…) is needed. However, com-
mentators of civil law countries are generally of the view that insolvency agreements will
become more common in the future due to their successful use in cross-border insolvency
proceedings».

                                                                                           25
Saggi

    Nel Regolamento n. 848/2015, in particolare, ai protocols sono desti-
nati – oltre al Considerando n. 4932 – gli artt. 41.133 e 42.3, lett. e)34, per
quel che attiene al coordinamento delle procedure aperte nei confronti
del debitore unico soggetto giuridico; e gli artt. 56.135 e 57.3, lett. e)36, per
quel che riguarda i gruppi multinazionali. In entrambi i casi l’utilizzo di tali
accordi è contemplato quale mezzo di cooperazione tra gli amministratori
delle procedure di insolvenza, per le autorità giudiziarie essendo previsto
il mero «coordinamento dell’approvazione dei protocolli, se necessario».
    B. Sulla scorta degli elementi desumibili dalle norme summenzio-
nate (e dalle Raccomandazioni della Guida Legislativa dell’Uncitral) e
tenendo in conto le indicazioni ricavabili dall’esperienza maturata “sul

     32
       Considerando n. 49: «(…) gli amministratori delle procedure di insolvenza e i
giudici dovrebbero poter concludere accordi e protocolli allo scopo di facilitare la coo-
perazione transfrontaliera in caso di procedure d’insolvenza multiple in Stati membri
diversi riguardanti lo stesso debitore o società facenti parte dello stesso gruppo di società,
laddove ciò sia compatibile con le norme applicabili a ciascuna procedura. Tali accordi
e protocolli possono variare per forma, sia scritta che orale, nonché per ambito di appli-
cazione, da generico a specifico, e possono essere conclusi da parti differenti. Semplici
accordi generici possono evidenziare la necessità di una stretta cooperazione tra le parti
senza affrontare questioni specifiche, mentre accordi specifici più dettagliati possono de-
finire un quadro di principi per disciplinare le procedure d’insolvenza multiple e pos-
sono essere approvati dai giudici coinvolti, laddove il diritto nazionale lo richieda. Essi
possono indicare che le parti hanno concordato di adottare o di astenersi dall’adottare
determinati provvedimenti o azioni».
    33
       Art. 41: «1. L’amministratore della procedura principale di insolvenza e l’ammi-
nistratore o gli amministratori delle procedure secondarie di insolvenza riguardanti lo
stesso debitore cooperano tra loro nella misura in cui tale cooperazione non sia incom-
patibile con le norme applicabili alle rispettive procedure. La cooperazione può assumere
qualsiasi forma, compresa quella della conclusione di accordi o protocolli».
    34
       Art. 42: «1. (…). 3. La cooperazione di cui al paragrafo 1 può svolgersi con qual-
siasi mezzo il giudice ritenga opportuno. Sono compresi in particolare: a) (…); e) il
coordinamento dell’approvazione dei protocolli, se necessario».
    35
       Art. 56: «1. Se la procedura d’insolvenza riguarda due o più società facenti parte
di un gruppo di società, l’amministratore delle procedure di insolvenza nominato nella
procedura relativa a una società del gruppo coopera con l’amministratore delle proce-
dure di insolvenza nominato nella procedura relativa ad un’altra società dello stesso
gruppo, nella misura in cui tale cooperazione serva a facilitare la gestione efficace di
tale procedura, non sia incompatibile con le norme ad essa applicabili e non comporti
conflitto d’interessi. Tale cooperazione può assumere qualsiasi forma, compresa quella
della conclusione di accordi o protocolli».
    36
       Art. 57: «1. (…). 3. La cooperazione di cui al paragrafo 1 può svolgersi con qualsi-
asi mezzo il giudice ritenga opportuno. Essa può riguardare in particolare: a) (…); e) il
coordinamento dell’approvazione dei protocolli, se necessario».

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