Diritti e libertà alla prova dell'economia della condivisione. Prime note di confronto tra Europa e America Latina - Sipotra

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20 GIUGNO 2018

       Diritti e libertà alla prova
  dell’economia della condivisione.
Prime note di confronto tra Europa e
            America Latina

                    di Pier Luigi Petrillo
          Professore ordinario di Diritto pubblico comparato
          Università degli Studi di Roma – Unitelma Sapienza

                      e Cecilia Honorati
 Avvocato ed Esperta del Nucleo per il supporto e l’analisi parlamentare
                       della Regione Campania
Diritti e libertà alla prova dell’economia della condivisione.
     Prime note di confronto tra Europa e America Latina 1*

        di Pier Luigi Petrillo                                               e Cecilia Honorati
Ordinario di Diritto pubblico comparato                              Avvocato ed Esperta del Nucleo per il
   Università degli Studi di Roma –                                    supporto e l’analisi parlamentare
          Unitelma Sapienza                                                della Regione Campania

Sommario: 1. Premessa - 2. La definizione di “Economia della condivisione” (EdC) 3. Le problematiche
emerse – 4. I tre modelli normativi – 5. Il modello “Free market” in Brasile e in Olanda - 6. Il modello
“Soft regulation” nel Regno Unito, in Francia e Portogallo – 7. Il modello “Judge made law” in Germania,
Svezia, Argentina e Spagna - 8. Un’Italia in bilico – 9. L’intervento normativo regionale e i limiti
costituzionali - 10. La posizione dell’Unione europea: un’apparente o concreta soluzione ai problemi? 11.
Prime riflessioni conclusive.

1. Premessa
La c.d. “Sharing Economy” o “economia della condivisione” (di seguito EdC) è un modello di economia
circolare di recente diffusione2 in cui professionisti, consumatori e cittadini mettono a disposizione
competenze, tempo e beni per la creazione di legami che si basano sull’utilizzo delle nuove tecnologie in
modo relazionale. Tale modello, nato in via del tutto autonoma e diffusosi capillarmente sul territorio,
risulta ad oggi non regolamentato in molti Paesi, benchè si tratti di un fenomeno di gigantesche
proporzioni (come rilevato dalla Commissione europea che ha citato un recente studio secondo cui l’EdC
è potenzialmente in grado di accrescere le entrate globali dagli attuali 13 miliardi di euro circa, a 300
miliardi di euro di qui al 20253).
Proprio perché tale modello presenta caratteri totalmente innovativi (quali l’uso intensivo e su vasta scala
delle tecnologie digitali e della raccolta dati e l’utilizzo delle piattaforme4), non può essergli applicata,

* Articolo sottoposto a referaggio. Il presente lavoro riprende e aggiorna la relazione svolta da Pier Luigi Petrillo
all’8º Congresso Internazionale di Diritto Costituzionale italo-ibero-americano sul tema “Il Diritto delle Nuove
Tecnologie e l´Ordinamento Costituzionale: una esperienza comparata” organizzato dall’Instituto Brasileiro de
Ciencias Juridica a San Paolo del Brasile il 26 giugno 2017. Pur essendo un lavoro condiviso e frutto di una comune
riflessione, i paragrafi 1, 9 e 10 sono stati scritti da Pier Luigi Petrillo mentre i paragrafi 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 11 sono
stati scritti da Cecilia Honorati.
2 Sul punto si veda: G. PETROPOULOS, “An economic review of the collaborative economy”, Policy Contribution Issue

n° 5 del 2017, in http://bruegel.org/wp-content/uploads/2017/02/PC-05-2017.pdf.
3 Si tratta dello studio “Consumer Intelligence Series: The Sharing economy. Pwc 2015”, in http://voltaitalia.org/wp-

content/uploads/2016/03/Paper-05-sharing-economy-2.pdf (consultato il 12/03/2018).
4 G. SMORTO, Economia della condivisione ed antropolia dello scambio, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, Fascicolo

1, marzo 2017, pp. 119 -138.

2                                               federalismi.it - ISSN 1826-3534                                |n. 13/2018
nemmeno in via analogica, la legislazione vigente. Da qui la necessità di una regolamentazione ad hoc,
come richiesto sia a livello europeo che mondiale. Tuttavia, un’eventuale disciplina del fenomeno pone
non pochi problemi, poichè il modello EdC: a) intreccia competenze e materie afferenti a più soggetti
istituzionali, come la concorrenza, il mercato interno, la fiscalità e la tutela dei consumatori; b) comporta
la necessità di distinguere tra le diverse forme di economia della condivisione che intervengono in più
settori (turismo, agroalimentare, trasporti, ecc.); c) pone in discussione i modelli macroeconomici
tradizionali che stabiliscono una chiara distinzione tra consumatori e produttori; d) mette in primo piano
le relazioni, la reputazione, la fiducia sociale e altre motivazioni non economiche che diventano uno dei
principali fattori propulsivi di tali mercati. Soprattutto tale modello, mettendo in primo piano l’intima
connessione che sussiste fra il mercato, la tecnologia e il diritto 5, impone un ripensamento delle
tradizionali forme statiche di regolamentazione, come rilevato anche dalla Corte Costituzionale italiana,
secondo cui «l’evoluzione tecnologica, e i cambiamenti economici e sociali conseguenti, suscitano questioni variamente
discusse non solo nelle sedi giudiziarie, ma anche presso le autorità indipendenti e le istituzioni politiche, per la pluralità
degli interessi coinvolti e i profili di novità dei loro intrecci» (Corte Cost., sentenza n. 265/20166).
Dall’analisi comparata delle normative adottate in alcuni Paesi, emerge un quadro normativo frastagliato
e indefinito che impone una riflessione “per blocchi” comparando, da un lato, l’approccio europeo al
fenomeno (esaminando, a tal fine, seppur in modo riassuntivo, le soluzioni normative adottate in Olanda,
Francia, Regno Unito, Portogallo, Germania, Svezia, Spagna e Italia) e, dall’altro, l’approccio latino-
americano (con riferimento, principalmente, al Brasile e all’Argentina).
La decisione di procedere in tale direzione è dettata principalmente da due ordini di ragioni: in primo
luogo, l’Edc ha effetti che superano la dimensione nazionale e al contempo impattano sulle realtà locali,
cosicchè risulta opportuno studiare come si evolvono le rispettive dinamiche sia all’interno di ogni Stato,
che oltre i confini nazionali, ma nella medesima area geografica data la facilità di movimento di persone,
interessi, attività. In secondo luogo, la scelta di prendere in esame i Paesi dell’Unione europea e quelli del
latino-america si fonda su motivazioni che attengono al contesto socio/economico e anche costituzionale
di riferimento. Nel primo caso, si tratta infatti di comparare territori e realtà economiche in cui l’Edc si è
diffusa a livello esponenziale e più che in altri Paesi7; nel secondo caso, si ha a che fare con ordinamenti

5 O. POLLICINO, V. LUBELLO, Un monito complesso ed una apertura al dibattito europeo rilevante: Uber tra giudici e
legislatori, in osservatorioaic.it, fasc. 2., 2017.
6 Il testo completo della sentenza è disponibile in

 https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2016&numero=265             (consultato        il
15/03/2018).
7 Per un esame approfondito del contesto attuale in America latina si veda il Rapporto “Economía colaborativa En

américa latina” disponibile in http://idbdocs.iadb.org/wsdocs/getDocument.aspx?DOCNUM=40259423, pp. 20
e ss. (consultato il 18/03/2018).

3                                                federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 13/2018
che garantiscono un diverso livello di tutela delle libertà costituzionalmente riconosciute a partire da
quelle connesse al libero mercato. Pertanto, è interessante comprendere come un intervento normativo
in materia venga diversamente modulato anche a seconda dei diritti che, in ragione dell’Edc, risultano
incisi e/o limitati.
L’esame comparato delle normative adottate (o non-adottate) dai paesi presi a modello consente di
individuare 3 diversi modelli di regolazione del fenomeno basati su un insieme di macro-caratteri comuni
a tutte le esperienze esaminate. Si tratta, è bene precisarlo, di una classificazione puramente finalizzata a
semplificare il ragionamento, non avendo alcuna pretesa di esaustività e, men che meno, alcuna pretesa
di esaminare nel dettaglio le singole normative adottate. L’obiettivo del presente lavoro è, quindi, quello
di verificare, da un lato, le caratteristiche essenziali delle normative adottate e, dall’altro, la compatibilità
tra le norme adottate e il complesso mercato dell’Edc tenendo presente, tra l’altro, che non esiste ancora
una definizione esaustiva che racchiuda tutte le declinazioni dell’EdC e che, anche per questo, nel presente
lavoro ci si limiterà ad esaminare il caso del trasporto di persone (Uber) e il caso dell’alloggio o locazione
a breve termine (Airbnb).

2. La definizione di economia della condivisione
Ai servizi che caratterizzano l’economia della condivisione (o “EDC” come si indicherà di seguito)
attengono tre aspetti: 1) l’utilizzo di pratiche basate sul riuso invece che sull’acquisto e sull’accesso
piuttosto che sulla proprietà, in forma sincrona (per esempio, si condivide la propria casa con un’altra
persona) o differita (si lascia la propria casa temporaneamente a un’altra persona); 2) la presenza di una
piattaforma tecnologica che supporta relazioni digitali; 3) la relazione peer-to-peer: la disintermediazione
favorisce il rapporto diretto tra domanda e offerta, spesso al di fuori di logiche professionali, con una
caduta dei confini tra finanziatore, produttore, consumatore e cittadino attivo8.
Ad oggi, tra le varie definizioni9, la più compiuta è contenuta nella Comunicazione della Commissione
Europea “Un’agenda europea per l’economia collaborativa” (COM(2016) 356 final) dove si legge:

8 Come evidenziato dallo studio di I. PAIS, M. MAINIERI, Il fenomeno della Sharing economy in Italia e nel mondo, in
Equilibri, 1/2015, pp. 11-20.
9 Sono molte le definizioni esistenti. Al fine di concettualizzare la Edc si riprende la definizione contenuta

nell’Oxford Dictionary, secondo la qual per sharing economy si intende “un sistema economico nel quale beni o servizi sono
condivisi tra privati,gratuitamente o in cambio di una somma di denaro, tipicamente attraverso internet” (si rinvia al link
https://en.oxforddictionaries.com/definition/sharing_economy). Secondo il Business Innovation Observatory,
invece, la Edc si concepisce come un “modello di business basato sull’accessibilità per i mercati peer-to-peer relativo allo scambio
di risorse-beni e/o servizi-tra un consumatore che la possiede ed un altro che la necessita,sul presupposto di costi di transazione
ragionevoli” (Business Innovation Observatory, The Sharing Economy: Accessibility Based Business Models for Peer-to-Peer
Markets, Case study 12, European Unión, 2013, p. 3). Definizioni più ampie e in questo senso anche più accreditate
sono quelle di Nesta e Debby Wosskow. Nesta intende l’economia economia collaborativa nei seguenti termini:
“The Collaborative Economy as we define it involves using internet technologies to connect distributed groups of people to make better

4                                                   federalismi.it - ISSN 1826-3534                                    |n. 13/2018
“L'espressione «economia collaborativa» si riferisce ai modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme
di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. L'economia
collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti: i) i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze
e possono essere sia privati che offrono servizi su base occasionale (“pari”) sia prestatori di servizi nell'ambito della loro
capacità professionale (“prestatori di servizi professionali”); ii) gli utenti di tali servizi; e iii) gli intermediari che mettono in
comunicazione — attraverso una piattaforma online — i prestatori e utenti e che agevolano le transazioni tra di essi
(“piattaforme di collaborazione”). Le transazioni dell’economia collaborativa generalmente non comportano un trasferimento
di proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro”10.
Proprio al fine di classificare le molteplici declinazioni empiriche del fenomeno, sono state individuate
due categorie principali e quattro forme di EdC11. La prima categoria è rappresentata dall’EdC in senso
stretto, o “economia su richiesta” (on-demand economy). Questa si suddivide in: a) “economia dell’accesso”:
per iniziative dell’EdC il cui modello imprenditoriale implica che lo scambio di beni e servizi avviene sulla
base dell’accesso anziché della proprietà. Questo tipo di iniziativa si riferisce al noleggio temporaneo di
oggetti piuttosto che alla loro vendita/acquisto permanente; b) “gig economy12” (gig intesa come singola
prestazione lavorativa attivata su richiesta tramite piattaforme online o applicazioni di cellulari,
smartphone, ecc.): per iniziative dell’EdC basate su prestazioni lavorative aleatorie che vengono negoziate
in un mercato digitale. La seconda categoria, invece, è rappresentata dalla “pooling economy” o “economia
della messa in comune”, che si suddivide a sua volta in: a) “economia collaborativa”: per iniziative
dell’EdC che promuovono un approccio “peer to peer” (tra pari) e/o coinvolgono gli utilizzatori nella
concezione del processo produttivo oppure trasformano i clienti in una comunità; b) “commoning economy”
(“economia dei beni comuni”): per iniziative dell’EdC a proprietà o gestione collettiva.

use of goods, skills and other useful things. It allows people to communicate in a peer-to-peer way” (in K. STOKES, E.
CLARENCE, L. ANDERSON, A. RINNE, NESTA and Collaborative Lab, Making Sense of the UK Collaborative
Economy, 2014). Wosskow parla, invece, di “online platforms that help people share access to assets, resources, time and skills.
It encompasses a broad church of businesses and business models: peer-to-peer marketplaces such as Etsy, which allows anyone to sell
their craftware; services like City Car Club, where people can share access to a car without having to own one themselves and time
banks like the Economy of Hours which allows you to trade your skills, an hour for an hour” (in WOSSKOW D., Unlocking the
sharing economy, independent report for the Department for Business Innovation & Skills, UK Government,
London, 2014).
10 Sul punto si veda la Comunicazione della Commissione Europea “Un’agenda europea per l’economia collaborativa”

(COM(2016) 356 final, disponibile in http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-2001_it.htm (consultato il
22/04/2018).
11 Sul punto il parere del Comitato Europeo delle Regioni — La dimensione locale e regionale dell’economia della

condivisione (2016/C 051/06), disponibile in:
http://open.toscana.it/documents/276954/0/parere+comitato+regioni+unione+euopea/a8fcf039-76d1-4237-
a186-4b8ddbdde02f (consultato il 13/03/2018).
12 D. TEGA, “Pronto Uber? Un’auto a Piazza del Quirinale n. 41»: la gig economy arriva alla Corte costituzionale”, in

forumcostituzionale.it, 2 maggio 2017.

5                                                   federalismi.it - ISSN 1826-3534                                    |n. 13/2018
Le citate forme di Edc intervengono in cinque settori chiave: 1) alloggio (locazione a breve termine), 2)
trasporto di persone, 3) servizi alle famiglie, 4) servizi tecnici e professionali e 5) finanza collaborativa.
Merita un riferimento anche la classificazione adottata in virtù del rapporto Nesta 13 che, riprendendo ed
espandendo la concettualizzazione di Botsman e Rogers14, sostiene che i pilastri della Sharing cconomy
sono quattro: “collaborative consumption”, “collaborative production”, “collaborative learning” e “collaborative finance”.
A questi, il dibattito più recente tende a includere un quinto pilastro, quello della “governance
collaborativa”.
In particolare, secondo questa ricostruzione, il “consumo collaborativo” (primo pilastro) fa riferimento
a piattaforme e realtà innovative che stanno progressivamente rielaborando in modalità peer-to-peer i
tradizionali concetti e pratiche della condivisione (sharing), il baratto (bartering), il commercio (trading), il
noleggio (renting), la donazione (gifting) e lo scambio (swapping). Queste pratiche e concetti vengono
reinventati ed estesi attraverso le tecnologie della rete in modi e tempi mai resi possibili prima. Si va da
enormi mercati come eBay e Craigslist, ai modelli di peer-to-peer travel come Airbnb, a servizi come il car
sharing di Zipcar, agli innumerevoli casi di food swap, home swape e così via. In virtù dell’ampiezza di questo
fenomeno, l’economia collaborativa viene spesso identificata con il solo consumo collaborativo. Con il
termine “produzione collaborativa” (il secondo pilastro), si fa, invece, riferimento a quelle pratiche in cui
più persone collaborano per produrre innovando, ad esempio attraverso l’open-manufacturing e l’open-design.
Elementi essenziali per svolgere queste attività sono i c.d. Fabrication Laboratories (FabLabs), ovvero
laboratori aperti, attrezzati con macchinari e strumenti tecnologici (come le stampanti 3D), realizzati al
fine di consentire agli utenti di auto-fabbricare qualunque cosa e di stimolare l’innovazione diffusa. Il
terzo pilastro, “l’apprendimento collaborativo” racchiude tutte le pratiche di condivisione di conoscenza
quali corsi, conferenze e contenuti scientifici o educativi liberamente prodotti e messi a disposizione di
chiunque, come ad esempio Wikipedia. Nella “finanza collaborativa” (quarto pilastro) rientrano gli
strumenti finanziari e le monete alternative che consentono alle persone di scegliere a chi destinare un
finanziamento, come il crowdfunding o il crowd-sourced equity. Infine, la “governance collaborativa” (quinto
pilastro) concerne tutti i nuovi meccanismi di governance orizzontali e partecipativi, a livello urbano o
all’interno delle imprese e che consentono di stabilire più forti relazioni tra i cittadini, la pubblica
amministrazione, i privati e il terzo settore. Ne sono esempio i processi di consultazione dei cittadini
nell’ambito dei processi decisionali15.

13 K. STOKES, op. cit., p. 10 e ss.
14 R. BOTSMAN, R. ROGERS, What’s Mine Is Yours: The Rise of Collaborative Consumption, HarperCollins, New York,
2010.
15 La teoria dei quattro pilastri dell’Ecd si deve a K. STOKES, op. cit., p. 11 e ss.

6                                              federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 13/2018
3. Le problematiche emerse
Come anticipato, in virtù delle caratteristiche che la contraddistinguono, risulta impossibile applicare alla
EdC le regole proprie del modello economico tradizionale: ne consegue che molti operatori dei classici
modelli di consumo denunciano situazioni di violazione delle regole imposte all’uno o all’altro settore.
In particolare, ad oggi il dibattito si è concentrato sulle seguenti questioni16: a) l’accesso al mercato: si
devono risolvere eventuali situazioni di violazione del divieto di concorrenza sleale17 e dei principi della
libertà di impresa e di uguaglianza; b) la questione fiscale: è necessario individuare i soggetti cui applicare
l’IVA, capire se assoggettare ad IRPEF i fornitori di beni e servizi e se e come tassare le piattaforme; c)
la definizione delle nuove attività: occorre definire l’attività di intermediazione, di prestazione o di
gestione del servizio e le regole tecniche relative ai servizi della società di informazione (direttiva
2006/123/CE); d) le garanzie per i lavoratori: è necessario definire se si tratta di attività
occasionale/continuativa; di lavoro autonomo/dipendente; di fornitori privati/professionali; di attività
mirata alla socialità/al profitto; e) le garanzie per gli utenti: bisogna approntare garanzie per gli utenti in
materia di sicurezza, privacy, igiene ecc. (ad oggi le uniche forme di garanzia sono rappresentate dal
meccanismo delle recensioni).
Le maggiori problematiche riscontrate, anche sul fronte internazionale e soprattutto dei Paesi
dell’America Latina, hanno interessato il settore dei trasporti e quello immobiliare. Per ciò che, in
particolare, attiene al settore dei trasporti, la questione ha visto coinvolta Uber18, la nota piattaforma
elettronica che fornisce, mediante un’applicazione per smartphone, un servizio retribuito di messa in
contatto di conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo con persone che intendono
effettuare spostamenti urbani19. In particolare, l’app di Uber consente l’incontro fra domanda e offerta di
mobilità costituendo una community, in cui gli iscritti, drivers (sul piano dell’offerta) e utenti (sul piano della
domanda), possono geo-localizzarsi, visualizzare le distanze e i tempi di attesa, mettersi in contatto, infine

16         Dossier        Camera           dei       Deputati     n°        433,          2        maggio           2016,        in
http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/AP0065.Pdf (consultato il 14/04/2018).
17 In argomento, S. SERAFINI, La concorrenza sleale per violazione della normativa pubblicistica del trasporto urbano non di

linea: il caso Uber, in Corr. giur., 3, 2016, p. 372 ss; G. RESTA, Uber di fronte alle corti europee, in Diritto dell’informazione e
dell’informatica n. 2/ 2017, p. 330 e ss..
18 Per approfondimenti si rinvia a https://www.uber.com/it/our-story/. Si ritiene utile analizzare il modello e le

problematiche sottese a Uber principalmente per il seguente ordine di ragioni: 1) perché il gruppo Uber rappresenta
il più rilevante operatore economico riconducibile alla sharing economy, latamente intesa; 2) per la peculiarità del
terreno di competizione in cui la stessa impresa opera, rappresentando la mobilità urbana non di linea un mercato
dovunque regolato; 3) in quanto il suo ingresso nel mercato ha sollevato, pressoché ovunque, problematiche
giuridiche attinenti alla natura dei servizi resi e al rispetto delle regole già applicabili ai vettori tradizionali.
19 La società Uber (in Europa la piattaforma Uber è gestita dalla Uber BV, una società di diritto olandese) offre sia

servizi di condivisione delle auto (UberPool), sia servizi con autisti: con autisti professionali (UberBlack) o con
autisti privati, non professionisti (UberPop). In Italia attualmente sono attivi servizi Uber che si appoggiano a
NCC.

7                                                  federalismi.it - ISSN 1826-3534                                   |n. 13/2018
accordarsi per la prestazione di trasporto. Da un lato, i conducenti del servizio devono possedere una
patente di guida e non avere precedenti penali. Dall’altro, i clienti sono tenuti a pagare una tariffa che è
determinata dal gestore della piattaforma sulla base della distanza e della durata del tragitto. Essa varia in
funzione della domanda in un determinato momento con la conseguenza che il prezzo del tragitto può,
in periodi di forte affluenza, superare più volte la tariffa di base. Il prezzo della corsa è calcolato
dall’applicazione e viene automaticamente prelevato dal gestore della piattaforma che ne trattiene una
parte a titolo di commissione, di norma compresa tra il 20 e il 25%, e versa il resto al conducente.
L’applicazione Uber contiene anche un sistema di valutazione: i passeggeri possono valutare i conducenti
e viceversa. Un punteggio medio inferiore a una determinata soglia può comportare l’esclusione dalla
piattaforma, in particolare, dei conducenti.
Questo servizio, presentando oltretutto condizioni economiche molto vantaggiose nei confronti dei
propri fruitori, ha sottratto una notevole fetta di mercato al mondo dei taxi20. Uber è stato, quindi,
fortemente avversato dai tassisti di tutti i Paesi dove il servizio è entrato in funzione, i quali hanno
denunciato la concorrenza asseritamente sleale posta in essere dalla società di servizi di mobilità. Tra gli
argomenti addotti a suffragio di tale prospettazione, i più ricorrenti attengono alla violazione del
monopolio o di situazioni di mercato protetto in favore di vettori tradizionali; alla violazione del principio
di eguaglianza in relazione alla diversa regolamentazione in termini di autorizzazioni; infine al mancato
rispetto, da parte di Uber, dei limiti ad esso imposti.
L’economia della condivisione che non ha frontiere è arrivata anche in Sudamerica21, dove nelle
controversie nate a tutela delle forme tradizionali dell’economia, sono state sollevate le stesse riserve dei
Paesi europei. Anche in Sudamerica, infatti, ed in particolare in Argentina e Brasile, l’EdC sta
conquistando enormi fette di mercato. Si sostiene22 che il Sudamerica sia per noleggio e car-sharing
l’angolo più promettente (ad esempio il Messico è il terzo mercato mondiale, mentre in Brasile Uber ha
conquistato il 43% del mercato). Anche qui i governi nazionali e locali stanno cercando di dipanare le
controversie nate intorno a queste nuove forme di business ed in particolare intorno a Uber23.

20 Vi sono alcuni studi scientifici che sembrano dimostrare che Uber abbia ridotto significativamente i guadagni
dei tassisti; sul punto, cfr., per tutti, HUNG-HAO CHANG, The economic effects of Uber on taxi drivers in Taiwan, in
Journal of Competition Law & Economics, 13(3), p. 475 ss. il quale, in particolare, afferma come «the results indicate that
Uber reduced regular taxi drivers’ service revenue by approximately 12 percent in the initial year and 18 percent in the third year of
entry of Uber».
21 Per una disamina approfondita di tutti i settori della EcD in America latina si veda il Rapporto “Economía

colaborativa En américa latina”, op. cit., pp. 1- 39.
22 Al riguardo si veda: http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2017/01/09/news/far_east-

155724407/
23Per ulteriori approfondimenti si può consultare lo studio “Americas Digital Economy Service” disponibile in

http://www.cullen-international.com/asset/?location=/content/assets/discover/sample-americas-digital-
economy-november-2016.pdf/sample-americas-digital-economy-november-2016.pdf (consultato il 25/04/2018).

8                                                   federalismi.it - ISSN 1826-3534                                    |n. 13/2018
Per quanto riguarda, invece, il settore immobiliare, gli albergatori e le altre associazioni di categoria hanno
lamentato la disparità negli adempimenti regolatori richiesti e la differenza del trattamento fiscale: chi
utilizza, ad esempio, AirBnB per mettere a disposizione i propri appartamenti privati non è considerato,
attualmente, come imprenditore del settore. Le principali criticità che ne derivano, quindi, sono: una
generalizzata evasione fiscale (di IVA, di IRPEF e di tassa di soggiorno), una scarsa garanzia per i clienti
in merito all’adeguatezza dell’alloggio (sotto i profili dell’igiene, della sicurezza ecc.), l’evasione
dell’obbligo di avere la licenza di affittacamere o di casa vacanze.

4. I tre modelli di comparazione
La disciplina dei servizi di trasporto di passeggeri non di linea forniti attraverso applicazioni software è
attualmente controversa in molti ordinamenti, segnatamente là dove la società Uber ha iniziato ad
operare. In generale, da un’analisi comparata delle tesi sostenute da vari Paesi24, emergono tre profili
comuni: a) è diffusa l’idea che ci sia bisogno di una nuova regolamentazione ad hoc che possa meglio
contemperare i contrastanti interessi in gioco; b) ci si chiede se i conducenti Uber debbano possedere
un’autorizzazione che dimostri il rispetto di determinati requisiti quali la sicurezza stradale e dei
passeggeri; c) ci si interroga sulla violazione dei limiti imposti al servizio di trasporto Uber.
Volendo analizzare quali soluzioni siano state adottate dai Paesi europei e da quelli sudamericani per
capire se ci sono similarità o differenze negli approcci, si è utilizzato un metodo di comparazione comune
attraverso l’adozione di tre modelli che raggruppano i vari Stati a seconda delle iniziative intraprese da
ciascuno.
Potremmo definire il primo modello “Free market”, poichè comprende quei Paesi che, in assenza ed in
attesa di una qualsivoglia regolamentazione ad hoc della materia, hanno deciso che siano le regole del libero
mercato e i principi della concorrenza leale a regolare i rapporti fra i nuovi attori economici. Come
vedremo, rientrano in questa casistica il Brasile e l’Olanda.
Il secondo modello, che potremmo definire di “Soft regulation”, racchiude invece quei Paesi che fin da
subito hanno tentato di inquadrare giuridicamente il fenomeno dell’Edc e lo hanno fatto attraverso una
timida e snella regolamentazione a livello nazionale o locale. Si tratta della Francia, del Regno Unito e del
Portogallo.
Il terzo modello, o di “Judge made law”, coinvolge quei Paesi in cui la giurisprudenza ha assunto un
atteggiamento di completa chiusura nei confronti dell’Edc o come conseguenza di una scelta influenzata

24 Sul punto v. P. PASSAGLIA, “Il servizio di trasporto passeggeri non di linea fornito attraverso applicazioni software”, in
cortecostituzionale.it, settembre 2016.

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dalla sfera politica o per mancanza di una debita percezione del fenomeno. Ne fanno parte la Germania,
la Svezia, l’Argentina e la Spagna.
L’Italia, ad oggi, non può essere fatta rientrare in nessuno di questi tre modelli, non avendo ancora assunto
una posizione chiara e definita. La stessa giurisprudenza, dopo un periodo di chiusura, ha mostrato, come
si vedrà, timide aperture e ha preso atto della necessità di un urgente intervento in materia. Dal punto di
vista legislativo, invece, gli unici provvedimenti adottati, sono attribuibili alle singole Regioni e
concernono solo profili marginali dell’Edc e legati ad aspetti tradizionali della prestazione lavorativa o del
rapporto di lavoro.

5. Il modello “free market” in Olanda e Brasile
L’Olanda e il Brasile rappresentano due casi emblematici di quello che abbiamo definito il modello “Free
market”, poiché in questi Paesi dove ancora non sussiste un’organica disciplina dell’Edc e del trasporto
non di linea fornito attraverso applicazioni software, la giurisprudenza e le autorità locali hanno accettato,
dopo alcune iniziali renitenze, l’attività di Uber nella misura in cui la stessa rispetta i principi del libero
mercato.
In particolare, in Olanda i taxi (che non sono considerati servizi di trasporto pubblico) ed il trasporto non
di linea su strada sono regolamentati dalla legge sul trasporto di persone. È prevista in capo ai provider
dei servizi taxi, la necessità di ottenere una licenza per il trasporto di persone dietro corrispettivo, oltre a
determinati requisiti, relativi, ad esempio, alle loro vetture, alle tariffe, alle revisioni, etc. In questo Paese
Uber ha dato corso al progetto pilota dell’app UberPop nel 2014. Tale servizio è stato però presto sospeso
a seguito della pronuncia della Corte di appello dell’Aja dell’8 dicembre 2014 che lo ha vietato in quanto
ritenuto contrastante con la normativa in materia di trasporto25. Invece, altri servizi di Uber come
UberBlack e UberLux che si avvalgono di conducenti professionisti con la necessaria licenza, non sono
affatto stati vietati, nonostante non abbiano osservato tutti i requisiti aggiuntivi richiesti rispetto a quello
della licenza. Il Segretario di Stato per le Infrastrutture e l’Ambiente, Wilma Mansveld26, si è, inoltre, attivata
per cercare una soluzione legislativa che trovi il giusto equilibrio tra i contrapposti interessi e che quindi,
da un lato, offra tutele per i servizi ed i valori protetti dalla normativa esistente e che, dall’altro, non
precluda l’ingresso nel mercato di iniziative innovative proprio come quella rappresentata da Uber.

25 Per approfondimenti sul punto si veda, A. V. RIEMSDIJK, S. CLARK, Uber to Drop Low-Cost Uberpop Car-Hailing
Service in the Netherlands, in The Wall Street Journal, November 2015.
26 Per approfondimenti si veda il documento del 5 maggio 2015 del Ministero delle Infrastrutture olandese firmato

dalla Segretaria di Stato Wilma Mansveld in
https://vkplusmobilebackend.persgroep.net/rest/content/assets/295612dd-541d-4048-843d-
31fc1590a4cd?_sp=289a78e5-b672-405d-9aae-8947d513c636.1524494524764 (consultato il 14/04/2018).

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In Brasile27, dopo un atteggiamento di iniziale contrarietà, si sono registrate alcune aperture, soprattutto
grazie alle autorità locali. Ad esempio, a San Paolo, dopo numerosi tentativi dei tassisti volti a bloccare
l’attività di Uber durante il 2015, prima l’intervento delle autorità giudiziarie28, poi quello del sindaco di
San Paolo, hanno segnato importanti passaggi a favore del riconoscimento di Uber. Infatti, il sindaco,
dopo aver indetto una consultazione pubblica alla ricerca di una soluzione normativa di compromesso
tra i settori coinvolti, il 10 maggio 2016, ha approvato il decreto n. 56.98129, che disciplina l’uso intensivo
delle strade urbane comunali per lo sviluppo dell’attività economica privata di trasporto individuale a
pagamento di passeggeri di pubblica utilità (come, ad esempio, di Uber), il servizio di car pooling e la
condivisione di veicoli senza conducente. Grazie al decreto, il c.d. diritto all’uso delle strade urbane è
riconosciuto soltanto agli operatori tecnologici di trasporto accreditati (Operadoras de Tecnologia de Transporte
Credenciadas – OTTCs). Per l’accreditamento, che deve realizzarsi presso le autorità comunali, si richiede
il pagamento di una tassa comunale mensile o annuale. Il mancato pagamento del tributo comporta la
sospensione dell’accreditamento.
Anche a Rio de Janeiro durante il 2015 le autorità locali hanno cercato più volte di bloccare il servizio
prestato da Uber o dai suoi conducenti. In particolare, il Comune ha approvato il decreto n. 40.518/201530
che commina sanzioni per il trasporto a pagamento irregolare di passeggeri in ambito municipale e la Lei
Complementar Municipal n. 159/201531, che vieta qualsivoglia servizio di trasporto individuale privato.
Cionondimeno, e a differenza di quanto avvenuto in Argentina, le autorità giudiziarie hanno provveduto
a difendere la continuità nella prestazione del servizio di Uber, fino alla dirimente sentenza del 5 aprile
201632. Con questa pronuncia, che ha scagionato Uber, il giudice ha chiarito che la Costituzione del 198833

27  D.E A. L. DEFOSSEZ, “The regulation of a project of the deregulation: UBER in Brazil and the European Union”, in
Journal of Law and Regulation / Revista de Direito Setorial e Regulatório, in ndsr.org, April 2017.
28 http://www.icndiario.com/2016/02/03/brasil-justicia-ampara-uso-de-la-aplicacion-uber-en-san-pablo/.
29 Il testo del decreto (in lingua portoghese) è reperibile alla pagina web http://legislacao.prefeitura.sp.gov.br/leis/decreto-

56981-de-10-de-maio-de-2016/ (consultato il 19/04/2018).
30      Il      testo      del     decreto    è      disponibile        in      http://www.tjrj.jus.br/web/guest/home/-
/noticias/visualizar/21304?p_p_state=maximized (consultato il 12/04/2018).
31               Il            testo          della               legge              è             consultabile               in
http://mail.camara.rj.gov.br/APL/Legislativos/contlei.nsf/1dd40aed4fced2c5032564ff0062e425/65e58cb3ec93
794483257ecf00600d50?OpenDocument (consultato il 17/04/2018). Va precisato che la costituzionalità della Lei
Complementar Municipal n. 159/2015 è stata peraltro denunciata, ma il relativo ricorso deve ancora essere deciso
(Representação de Inconstitucionalidade n. 0055838-98.2015.8.19.0000). Per approfondimenti: http://tj-
rj.jusbrasil.com.br/jurisprude ncia/241803973/direta-de-inconstitucionalidade-adi-558389820158190000-rj-0055838-98201
58190000/inteiro-teor-241803984 (consultato il 13/04/2018).
32 Tribunal de Justiça, Comarca da Capital, Cartório da 6ª Vara da Fazenda Pública (processo n. 0406585-

73.2015.8.19.0001), in http://www.migalhas.com.br/arquivos/2016/4/art20160406-02.pdf (consultato il
12/04/2018).
33       Testo         reperibile      alla     pagina         web        http://www.senado.gov.br/atividade/const/constituicao-
federal.asp#/con1988/CON1988_28.11.2013/index.shtm (consultato il 13/04/2018).

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stabilisce che lo Stato democratico di diritto ha come fondamento la libera iniziativa, garantita a tutti i
soggetti attraverso diverse norme. Il diritto al libero esercizio di qualsiasi lavoro, commerciale o
professionale che sia, non è altro che un’estensione di questa garanzia. Pertanto, sono questi i principi
che dovrebbero accompagnare un tentativo di regolamentazione da parte dello Stato, poiché – ad avviso
del Tribunale - non è legittimo vietare in generale un’attività economica lecita. Il giudice pur constatando
che l’attività svolta da Uber non è disciplinata da un’apposita normativa, ha evidenziato che non si può
impedire, in un mercato aperto alla libera concorrenza, un’attività economica solo perché non ancora
regolamentata. Ha aggiunto che il divieto di esercizio di questo tipo di attività non solo non è conforme
alla Costituzione ma che anche la creazione di una sorta di monopolio dell’attività di trasporto individuale
di passeggeri da parte dei tassisti è incostituzionale. Ciò non significa che l’attività di Uber non debba
conoscere taluni limiti o che non debba essere sottoposta a controllo. Volendo pertanto ricondurla ad
una specifica disciplina, occorre constatare che la legge federale n. 12.587, del 3 gennaio 2012, che
regolamenta la mobilità urbana, distingue tra trasporto individuale e collettivo, pubblico e privato34. Ad
avviso del giudice, non sussiste dubbio sul fatto che i taxi si inquadrano nella modalità di trasporto
pubblico individuale, mentre Uber rientra nelle modalità di trasporto privato individuale; tuttavia,
importanti esigenze di interesse pubblico depongono a favore dell’adozione di una specifica normativa
che disciplini i nuovi servizi privati di trasporto. Infine, il giudice ha constatato che la convivenza tra un
regime pubblico ed uno privato è stata ampiamente e positivamente collaudata in altri settori
dell’ordinamento. Allo stesso modo, anche nel settore dei trasporti è opportuno da un lato stimolare la
concorrenza, dall’altro tutelare i valori collegati alla vita in società ed alla efficace organizzazione delle
città.

6. Il modello “soft regulation” in Gran Bretagna, Francia, Portogallo
Nel modello di “Soft regulation”, i Paesi hanno optato per un intervento normativo in materia che, sebbene
non esaustivo o diretto a disciplinare ogni aspetto controverso del rapporto di lavoro, potesse fornire una
soluzione, almeno atta ad inquadrare le attività di Uber dentro una cornice normativa che fornisse
certezza del diritto e che ponesse una fine alle conflittualità con le associazioni di categoria dei tassisti.
Così, in Gran Bretagna, in base alla legislazione vigente, tra i servizi pubblici non di linea su strada
rientrano i taxi (hackney carriages) e le cc.dd. private hire cars (PHV o minicabs), ovvero autovetture private
per noleggio con il conducente. I taxi possono far salire clienti dalla strada o da postazioni apposite,
mentre i minicabs devono obbligatoriamente essere prenotati in anticipo, elettronicamente,

34  Testo reperibile alla pagina web http://www.planalto.gov.br/ccivil_03/_ato2011-2014/2012/lei/l12587.htm
(consultato il 13/04/2018).

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telefonicamente o presso un ufficio apposito. Di recente, con l’ingresso di Uber sul mercato, non solo si
è offuscata la distinzione tra taxi e PHV (Uber accetta entrambi i tipi di veicoli tra i propri “affiliati”), ma
il settore dei trasporti su strada non di linea ha subito una vera e propria rivoluzione. Ad oggi, la gestione
del sistema di autorizzazioni ed il dettaglio dei servizi resi da questo tipo di mezzo pubblico è in larga
misura disciplinato dalle singole autorità locali o, nella città di Londra, dall’ente Transport for London (TfL).
I nuovi servizi per la mobilità, come Uber, sono considerati alla stregua di PHV: si applica loro, dunque,
la disciplina tradizionalmente prevista per i minicabs. In sostanza, i conducenti per diventare un autista
Uber devono35: dotarsi di una licenza (private hire licence) rilasciata dall’autorità dei trasporti di Londra; aver
compiuto il ventunesimo anno d’età; essere in possesso di una valida patente; avere almeno un anno di
esperienza di guida nel territorio del Regno Unito36. Tuttavia, dal punto di vista pratico, il fenomeno è in
diffusione37 ed è stata creata un’apposita piattaforma per gli imprenditori e questi stanno preparando un
marchio (trademark) per i modelli di economia responsabile condivisa38.
Anche in Francia, come negli altri Paesi, con lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione 39, si è
verificato a partire dal 2012 un forte incremento dell’offerta di servizi di vetture di trasporto con
conducente (VTC) a basso costo. Ciò ha determinato la nascita di una forte concorrenza tra il servizio
taxi, gestito da esercenti una professione molto regolamentata, e le VTC, disciplinate con norme più
flessibili. La necessità di introdurre una nuova disciplina è stata, quindi, avvertita dal Governo al fine di:
1) ridefinire le regole comuni e/o specifiche ad entrambe le attività (taxi e VTC); 2) di prendere in
considerazione l’attività degli operatori di messa in relazione tra i clienti e i conducenti di VTC, come ad
esempio Uber, Drive o LeCab; 3) ridefinire le regole di tariffazione; 4) rafforzare la lotta contro le pratiche

35  Tutte le informazioni sono sul sito Transport for London in https://tfl.gov.uk/info-for/taxis-and-private-
hire/licensing/private-hire-driver-licence#on-this-page-0, (consultato il 15/04/2018).
36 Sul punto si veda D. P. BELARDINELLI, G. PORTONERA, IBL Focus Uber, Taxi e trasporto pubblico non di linea:

proposte dall’estero, in brunoleonimedia.it, marzo 2017 (consultato il 18/04/2018).
37 Agli autisti Uber della Gran Bretagna è stato anche riconosciuto da novembre 2017 il diritto ad essere inquadrati

come lavoratori subordinati, con tutte le conseguenti tutele che ne derivano (Appeal No. UKEAT/0056/17/DA,
disponibile su:
https://assets.publishing.service.gov.uk/media/5a046b06e5274a0ee5a1f171/Uber_B.V._and_Others_v_Mr_Y_
Aslam_and_Others_UKEAT_0056_17_DA.pdf). Tale status non è stato, invece, riconosciuto dal Tribunale del
Lavoro di Parigi agli autisti Uber francesi (sentenza del 29 gennaio 2018, consultabile in http://www.diritto-
lavoro.com/wp-content/uploads/2018/02/sentenza-del-29-gennaio-2018.pdf)
38 L’atteggiamento, anche giurisprudenziale, che si può registrare nei confronti di Uber varia molto a seconda dei

Paesi in cui il servizio è stato offerto. Mentre, infatti, nei Paesi di civil law la questione ha riguardato principalmente
la sussistenza di eventuali atti di concorrenza sleale per violazione di norme pubblicistiche; all’opposto, in quelli di
common law il dibattito si è caratterizzato per essersi concentrato sulla qualificazione giuridica dell’autista affiliato ad
Uber, stante un’accentuata deregolamentazione indubbiamente favorevole all’esercizio della libera attività
d’impresa anche in settori assolventi servizi d’interesse generale.
39 Per un approfondimento in materia si veda Conseil d’Etat, Etude annuelle 2017 - Puissance publique et plateformes

numériques: accompagner l’«ubérisation», in astrid-online.it, settembre 2017, e Sénat - Rapport d’information – Commission des
finances - L’adaptation de la fiscalité à l’économie collaborative, in astrid-online.it, 29 marzo 2017.

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illegali, come ad esempio il contatto diretto con i clienti presso le stazioni o gli aeroporti. Il contenzioso,
ordinario e costituzionale, che ha animato la contrapposizione tra le due categorie in Francia si è
incentrato soprattutto sui problemi legati alle attività di messa in relazione, via internet e telefonia mobile,
tra erogatori di servizi di trasporto, nello specifico con conducente, e clienti. Così il 19 luglio 2016
l’Assemblea nazionale ha varato una nuova disciplina (approvando la proposta di legge del deputato
Laurent Grandguillaume - Loi n° 2016-1920 du 29 décembre 201640) che reca disposizioni volte a migliorare il
regime di dichiarazione e l’obbligo per le piattaforme di verificare che le persone poste in relazione
rispettino le regole di accesso alla professione (taxi o VTC) e volte ad uniformare le condizioni di accesso
alla professione di trasporto pubblico non di linea di persone41.
In Portogallo, il confronto inziale fra Uber e l’associazione di categoria dei tassisti è sfociato nella sentenza
del Tribunale di Lisbona che - nella prima metà del 2015 - ha dichiarato illegale l’attività di Uber.
Successivamente, la questione è stata risolta con l’approvazione in Parlamento (il 23 marzo 2018) di un
progetto di legge di iniziativa governativa42 presentato dall’esecutivo lusitano a luglio 2016 (Decreto nº
201/XIII)43.
La legge interviene per colmare un’importante lacuna legislativa e porre fine alla concorrenza sleale di
Uber e Cabify nei confronti dei tassisti tradizionali, aprendo il mercato alle nuove aziende emergenti. La
legge introduce una nuova categoria definita TVDE (Transporte em Veículo Descaracterizado a partir de
plataforma Eletrónica – trasporto in veicoli non contrassegnati offerti da una piattaforma online) che è
rappresentativa delle piattaforme elettroniche che mettono in collegamento i passeggeri e gli operatori.
Per registrarsi come TVDE è necessario inviare una richiesta alla autorità di regolazione locale (IMT –
Instituto da Mobilidade e dos Trasportes Terrestres) fornendo i documenti necessari. I TVDE possono realizzare

40    La legge n° 2016-1920 du 29 décembre 2016 è consultabile al seguente indirizzo:
https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000033734510&dateTexte=20170101
(consultato il 02/05/2018). Per eventuali ulteriori approfondimenti si veda:
https://www.legifrance.gouv.fr/affichLoiPreparation.do;jsessionid=EF3FDC6D50E7E3C5F2FD36D3933C95
B8.tpdila17v_3?idDocument=JORFDOLE000032921896&type=general&typeLoi=prop&legislature=14
(consultato il 03/05/2018).
41 Sul punto si veda il rapporto Rapporto “Au nom de la commission du développement durable et de l’aménagement du territoire

sur la proposition de loi, après engagement de la procédure accélérée, relative à la régulation, à la responsabilisation et à la simplification
dans le secteur du transport public particulier de personnes (n° 3855)” disponibile in http://www.assemblee-
nationale.fr/14/rapports/r3921.asp (consultato il 15/04/2018).
42 Si segnala che la proposta del 12 maggio 2016 del gruppo parlamentare Partido Comunista Português, di segno

nettamente opposto in quanto volta a sanzionare penalmente il c.d. ‘trasporto UBER’, è rimasta lettera morta.
43 Si tratta del Decreto n.º 201/XIII “Regime jurídico da atividade de transporte individual e remunerado depassageiros em

veículos        descaracterizados        a        partir        de         plataforma          eletrónica”,        visualizzabile           in:
http://app.parlamento.pt/webutils/docs/doc.pdf?path=6148523063446f764c324679595842774f6a63334e7a637
664326c755a47566a636d563062334d7657456c4a5353396b5a574d794d44457457456c4a5353356b62324d3d&fich
=dec201-XIII.doc&Inline=true (consultato il 04/05/2018).

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le seguenti attività: a) intermediazione della domanda e dell’offerta tra passeggeri e operatori; b) gestione
del processo di remunerazione per gli operatori o drivers (con un obbligo di pagamento digitale). I TVDE
possono interdire l’accesso alla piattaforma agli operatori che infrangono la legge. Anche per lavorare
come operatore in queste piattaforme è necessario registrarsi inviando all’IMT una copia della carta
d’identità e la fedina penale (del rappresentante legale se il driver è persona giuridica). Inoltre, per essere
riconosciuti come autisti abilitati, i drivers devono possedere una patente di guida, un certificato TVDE
e devono aver frequentato 30 ore di scuola guida obbligatoria per i guidatori. Infine, il prezzo della corsa
è deciso in via del tutto autonoma dal TVDE, ma la cifra deve essere stabilita in modo trasparente in
modo che il cliente abbia la possibilità di accettare o meno.
Il Ministro dell’Ambiente portoghese, João Pedro Matos Fernandes, quando la proposta normativa è stata
presentata, ha specificato l’intenzione di mantenere nettamente separate queste piattaforme dalla
«normalità del servizio pubblico»44. A questo scopo, ha precisato che le aziende devono essere identificate
come servizi fornitori di tecnologia e che non possono pertanto accedere alle agevolazioni fiscali riservata
alle imprese di trasporto pubblico e ai tassisti.
Come è dato pertanto riscontrare dai contenuti della legge e dalle dichiarazioni del Ministro
dell’Ambiente, la nuova legge ha sicuramente differenziato la disciplina delle due categorie (trasporto
pubblico e TVDE) e ha introdotto alcuni limiti e vincoli che coinvolgono sia gli autisti, sia l’utilizzo delle
piattaforme digitali, ma lo ha fatto con una regolamentazione snella e in linea con le direttive pubblicate
a giugno dall’Unione Europea. Il caso portoghese risulta quindi estremamente interessante per tutti quei
Paesi che stanno ancora ipotizzando un intervento in materia.

7. Il “judge made law model” in Germania, Svezia, Spagna e Argentina
Il terzo modello definito di “Judge made law” contraddistingue quei Paesi in cui l’atteggiamento nei
confronti dei servizi di Uber è stato di totale rifiuto e si è tradotto in numerose pronunce giurisprudenziali
di sapore quasi creativo, volte a reprimere il fenomeno perché non riconducibile alla tradizionale
disciplina di trasporto delle persone.
Ad esempio, in Germania fin dal 2014, Uber (con UberPop e UberBlack) è stato implicato in numerosi
contenziosi. Il dibattito giuridico in questo paese ha riguardato principalmente due questioni: se i servizi
UberPop e Black violassero i requisiti richiesti per i taxi e per le vetture a noleggio con conducente (NCC)
dalla legge federale sul trasporto delle persone; se le strategie di Uber fossero compatibili con la legge

44Sul  punto si veda l’articolo di M. JOÃO BABO, Ministro do Ambiente: Proposta do Governo para a Uber “acaba com o
biscate”, in jornaldenegocios.pt, março de 2017.

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federale contro la concorrenza sleale. Il Tribunale amministrativo superiore (OVG) di Berlino 45, con
l’ordinanza del 10 aprile 201546 (OVG 1 S 96.14), ha confermato il provvedimento inibitorio relativo alle
Uber app (Black e Pop), in quanto il modello di business di Uber, che è basato sulle smartphone-apps, va
considerato un’attività commerciale di trasporto che necessita di un’autorizzazione ai sensi della legge
federale. Nello stesso senso si è pronunciata anche la giurisprudenza più recente (Corte d’appello (OLG)
di Francoforte sul Meno, sentenza del 9 giugno 2016 – 6 U 73/15).
In Svezia i problemi emersi hanno riguardato espressamente la natura dei servizi offerti da UberPop,
dovendosi in particolare decidere se si trattava di servizi di taxi oppure di servizi di car-pooling. La legge
svedese utilizza come discrimine per l’inquadramento in una o nell’altra categoria il prezzo o la tariffa del
servizio. Infatti, la legge ammette il car-pooling quando vi è una ragionevole remunerazione per il
conducente, mentre considera un servizio di taxi quando si pretende di ottenere dalla prestazione un
profitto. In quest’ultimo caso, i conducenti sono obbligati ad avere licenze, auto munite di un numero di
matricola e tassametri, e sono tenuti al pagamento delle tasse. A settembre 2015, un autista di UberPop
è stato sanzionato con un’ammenda poiché, ad avviso del giudice, doveva ritenersi prestatore di un
servizio di taxi senza le dovute autorizzazioni e licenze. La corte di appello di Stoccolma ha confermato
la decisione con sentenza del 23 marzo 2016 (caso n. B 9078-15) statuendo che, in base alle azioni del
conducente Uber, si potesse desumere che guidava illegalmente un taxi, giacché aveva fornito servizi di
trasporto al pubblico in modo professionale ed a pagamento. Del pari, il 21 marzo 2016 altri conducenti
sono stati sanzionati47 a Stoccolma e Göteborg, perché si è ritenuto che fornissero un servizio di taxi
illegalmente. Il 18 maggio 2016 la compagnia ha deciso di sospendere i suoi servizi nel Paese.
Uber è arrivato in Argentina ad aprile 2016, iniziando ad operare nella città di Buenos Aires dove ha
trovato un’accoglienza tutt’altro che indulgente da parte dei sindacati e delle associazioni di tassisti. Infatti,
tali categorie hanno immediatamente avviato un’azione legale adendo le autorità giudiziarie per
denunciare la prestazione di un servizio irregolare di trasporto da parte di Uber, a loro giudizio
responsabile di violare gli obblighi sanciti dalla normativa in materia di trasporto di persone (Codice della
circolazione e del trasporto della Città di Buenos Aires48 e legge n. 3622 del 201349). I sindacati e le

45 L. BELVISO, Il caso Uber negli Stati Uniti e in Europa fra mercato, tecnologia e diritto. Obsolescenza regolatoria e ruolo delle
Corti, in medialaws.eu, gennaio 2018, pp. 144-160.
46 Testo della decisione in http://openjur.de/u/769090.print (consultato il 20/04/2018).
47 Gli autisti Uber sono stati dichiarati colpevoli di aver violato le leggi sul trasporto pubblico del paese e sono stati

multati con 2.000/6.000 corone (£ 230 a £ 690) ciascuno.
48 Il testo del codice è reperibile alla pagina web http://www.buenosaires.gob.ar/sites/gcaba/ files/codigo_transito_06.pdf.

(consultato il 02/05/2018).
49 Il testo della legge è reperibile alla pagina web http://www.buenosaires.gob.ar/sites/gcaba/ files/ley_3622.pdf (consultato

il 05/05/2018).

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associazioni hanno soprattutto lamentato la lesione del diritto al lavoro di coloro che, a differenza dei
drivers di Uber, offrono servizi di trasporto nel rispetto della normativa, con licenze VTC o di taxi.
Il 13 aprile 201650, a pochi giorni dall’inizio dell’attività di Uber, il Juzgado Contencioso Administrativo y
Tributario n. 15 della Città di Buenos Aires, in attuazione dell’art. 177 del Codice del contenzioso
amministrativo e tributario, ritenendo violate norme costituzionali e locali, ha imposto al governo della
Città di intervenire al fine di interdire, fino a sentenza definitiva, qualsivoglia attività dell’impresa.
Tuttavia, Uber ha continuato ad operare dando così adito ad una nuova controversia sollevata questa
volta dal Procuratore locale che ha chiesto al Tribunale di estendere il blocco del servizio a tutto il Paese
e di emanare un mandato d’arresto per i manager della filiale locale della società per aver violato l’ordine
del tribunale di Buenos Aires. Su queste basi, il giudice ha esteso il divieto di esercizio dell’attività a tutta
l’Argentina, ma ha respinto il mandato d’arresto per i dirigenti Uber. Immediata è stata la reazione della
Compagnia che, denunciando l’impossibilità per il Tribunale locale di ordinare provvedimenti fuori dalla
città, ha preannunciato di agire in appello contro la sentenza e ha garantito il normale funzionamento
dell’applicazione.
A questi tentativi di bloccare lo svolgimento delle attività di Uber ne sono seguiti altri: il 21 gennaio 2017,
il Tribunale penale e dei reati della Capitale ha ordinato di bloccare il sito web di Uber (dominio
www.uber.com) e l’utilizzo della relativa piattaforma digitale (ordine poi confermato con la decisione fs.
641/64351). A fine novembre 2017, la Corte d’appello del Tribunale penale ha accusato Uber di aver
posto in essere una “condotta illecita di evasione fiscale” sulla base della mancata riscossione dei tributi
stabiliti nei confronti di coloro che svolgono attività di trasporto di persone. Infine, il 12 aprile 2018 la
Corte d’appello del Tribunale penale ha dichiarato inammissibile il ricorso di costituzionalità presentato
avverso la sua precedente decisione (fs. 641/643) volta a confermare il blocco del sito web di Uber. La
Corte ha rigettato il ricorso per motivi sia procedurali che di merito: infatti, da un lato ha sostenuto
l’impossibilità di sollevare ricorso di costituzionalità nei confronti di una sentenza non definitiva
(trattandosi in questo caso di una misura cautelare ex art. 29 della LPC); dall’altro, ha evidenziato come
la giurisprudenza precedente abbia in più occasioni affermato che un ricorso di costituzionalità non può
fondarsi sull’assunto di generiche violazioni dei diritti e dei principi fondamentali della Carta

50 Sentenza del 13 aprile 2016, Juzgado Contencioso Administrativo y Tributario n. 15 de la Ciudad de Buenos Aires, caso
“Sindicato de Peones de Taxi de la Capital Federal y ots. c/ GCBA y otros s/ Amparo” (Expte. n. C 3065-2016/0).
51 Sul punto si veda la decisione del Tribunal Penal Contravencional y de Faltas de la Capital consultabile in

https://www.fiscalias.gob.ar/wp-content/uploads/2018/02/Sala-II-Incidente-de-apelacion-UBER-cn-4790-
302-2016-Revoca-y-se-readecua-la-clausura-bloqueo-de-dominio-www.uber_.com-y-plataformas-digitales-en-
todo-el-pais.pdf (consulto il 22/04/2018).

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