DIPLOMA DI OSTEOPATIA - TCIO MILANO TAKE CARE ISTITUTO OSTEOPATICO

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DIPLOMA DI OSTEOPATIA - TCIO MILANO TAKE CARE ISTITUTO OSTEOPATICO
TCIO MILANO
   TAKE CARE ISTITUTO OSTEOPATICO
                 Anno 2017/2018

      DIPLOMA DI OSTEOPATIA

   EFFETTO DEL TRATTAMENTO OSTEOPATICO MANIPOLATIVO
   SULLA PREVENZIONE E SULLO STRESS PSICOFISICO IN ATLETI
                        AGONISTI:

    STUDIO CLINICO RANDOMIZZATO IN SINGOLO CIECO

STUDENTI                       RELATORE

Di Maio Nicola           Gianpaolo Tornatore PhD, D.O.
Marrella Marta
Mazzaferro Melissa
Milani Agnese
Panceri Viviana
Rizzi Alessandra
DIPLOMA DI OSTEOPATIA - TCIO MILANO TAKE CARE ISTITUTO OSTEOPATICO
Indice

Abstract ..............................................................................4

Capitolo 1: Introduzione .......................................................... 5

       1.1 Infortuni e prevenzione ............................................... 6

       1.2 Sport e stress ............................................................ 7

       1.3 Sport e depressione ................................................... 9

       1.4 Sport e ansia .......................................................... 13

       1.5 Trattamento manipolativo osteopatico (OMT) ................... 15

               1.5.1 OMT e sport ................................................. 18

               1.5.2 OMT e stress ................................................. 19

               1.5.3 OMT e depressione ......................................... 23

               1.5.4 OMT e ansia ................................................. 25

       1.6 Canoa .................................................................. 27

               1.6.1 Categorie .................................................... 27

               1.6.2 Biomeccanica ............................................... 28

               1.6.3 Infortuni ed eventi avversi ................................ 30

       1.7 Karate .................................................................. 31

               1.7.1 Categorie .................................................... 33

               1.7.2 Biomeccanica ............................................... 33

                                                                                     2
DIPLOMA DI OSTEOPATIA - TCIO MILANO TAKE CARE ISTITUTO OSTEOPATICO
1.7.3 Infortuni ed eventi avversi ................................ 35

       1.8 Ginnastica artistica .................................................. 36

               1.8.1 Categorie .................................................... 38

               1.8.2 Biomeccanica ............................................... 39

               1.8.3 Infortuni ed eventi avversi ................................ 40

       1.9 Obiettivo della tesi ................................................... 42

Capitolo 2: Materiali e metodi .................................................. 44

       2.1 Diario degli outcome ................................................. 44

       2.2 Questionario PSS...................................................... 45

       2.3 Questionario DASS .................................................... 46

       2.4 Questionario BAI ...................................................... 47

       2.5 Soggetti ................................................................ 48

       2.6 Descrizione dello studio ............................................. 49

       2.7 L’analisi Statistica.................................................... 51

Capitolo 3: Risultati .............................................................. 54

       3.1 Discussione dei risultati ............................................. 62

Capitolo 4: Conclusioni .......................................................... 64

Capitolo 5: Appendici ............................................................ 66

Bibliografia ........................................................................ 72

Sitografia .......................................................................... 78

                                                                                     3
DIPLOMA DI OSTEOPATIA - TCIO MILANO TAKE CARE ISTITUTO OSTEOPATICO
ABSTRACT

INTRODUZIONE: Lo sport è sempre stato considerato un’attività che coinvolge le
abilità umane di base, sia fisiche che mentali, al fine di migliorarle, esercitandole
con costanza, per utilizzarle successivamente in maniera più proficua.
È sempre stato molto stretto il legame tra osteopatia e sport e fin dalla sua
nascita la pratica osteopatica si è rivelata essere un utile strumento per aiutare
gli sportivi a lenire i dolori dovuti ai traumi subìti durante l’attività. Affidarsi
all’osteopatia permette all’atleta di affrontare le sfide al massimo delle proprie
potenzialità, ma anche di ritrovare lo stato di salute in seguito a lesioni sportive o
situazioni di sovraccarico. Il ruolo e l’abilità dell’osteopata che agisce in ambito
sportivo riguarda non solo il trattare i problemi muscolo scheletrici, ma anche e
soprattutto di capire, analizzare e trattare il corpo nel suo insieme.

OBIETTIVO DELLA TESI: L’obiettivo della tesi è quello di effettuare uno studio
sperimentale verificando l’efficacia del trattamento manipolativo osteopatico
(OMT) sulla prevenzione di infortuni ed eventi avversi in atleti agonisti, rilevata
attraverso un diario auto compilato, rispetto ad un gruppo di controllo non
trattato.

MATERIALI E METODI: Lo studio è stato impostato come studio clinico
prospettico, randomizzato, in singolo-cieco, con l’arruolamento di 25 atleti
agonisti, 9 maschi e 16 femmine, in una fascia di età compresa tra 10 e 25 anni.
Gli sport analizzati sono stati: canoa, ginnastica artistica e karate. Tutti gli atleti
sono stati sottoposti a valutazione con questionari sullo stato psicofisico e diari
per monitorare lo stato di salute

RISULTATI: Il trattamento osteopatico si è dimostrato efficace nella riduzione
della sintomatologia dolorosa riferita dall’atleta inoltre è stato ben accettato da
tutti gli atleti e non si sono rilevati eventi avversi.

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CAPITOLO       1
                                                                    Introduzione

            o sport è sempre stato considerato un’attività che coinvolge le abilità

L
            umane di base, sia fisiche che mentali, al fine di migliorarle,
            esercitandole con costanza, per utilizzarle successivamente in
            maniera più proficua. Oggigiorno si è sempre più proiettati verso
            un’attività finalizzata all’agonismo o comunque, pur restando in
            ambito dilettantistico, con una motivazione più vicina alla sfida che al
            gioco. L’evoluzione della pratica sportiva e del suo significato
terminologico è collegata strettamente al posto che essa ha occupato nella
società e alla considerazione che le è stata o le è dedicata in un determinato
contesto culturale, politico ed economico. In linea generale si parte da una
identificazione tra sport ed educazione fisica, per arrivare ad una identificazione
tra pratica dilettantistica e pratica professionistica.
Gli sport agonistici sono tutte quelle attività ad un livello che Federazioni
Sportive Nazionali (FSN), Discipline Sportive Associate (DSA) ed Ente di
Promozione Sportiva (EPS) di appartenenza abbiano definito di alto agonismo ed
impegno fisico.
Gli atleti facenti parte di questa categoria devono dotarsi del certificato per sport
agonistico rilasciato da un medico dello sport; disciplinato dal Decreto
Ministeriale del 18 febbraio 1982.
Fanno parte invece degli sport non agonistici quelle attività in cui rientrano tutti
coloro che prendono parte a corsi non finalizzati alla competizione, lo sport fatto
a livello ricreativo e per il proprio piacere personale. Si rientra in questa categoria
se si è tesserati a FSN, DSA, EPS. In questo caso è necessario il certificato di sana

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e robusta costituzione disciplinato dal Decreto del Ministro della Salute del 24
aprile 2013. (Giacinta Milita, 2013). (www.parlamento.it).
L’ente che in Italia sovraintende lo sport è il Comitato Olimpico Nazionale
Italiano fondato nel giugno del 1914 a Roma.
Il CONI è un ente pubblico a cui è affidata l'organizzazione e il potenziamento
dello sport nazionale e inoltre promuove la massima diffusione della pratica
sportiva. (www.coni.it).

      1.1 Infortuni e prevenzione

Si definisce infortunio sportivo la perdita di funzioni corporee o la deviazione
della struttura causata dal trasferimento di energia durante la partecipazione allo
sport. La maggior parte degli infortuni sportivi riguarda muscoli, tendini,
legamenti e articolazioni, mentre in un numero limitato di casi si riportano
fratture o danni agli organi interni. (Toomas Timpka et al., 2014).
Gli infortuni nello sport possono essere: eventi acuti, cronici, da contatto e non.
Tra le lesioni acute più frequenti si riscontrano: distorsione, contusione,
concussione, fratture.
Tra le lesioni croniche più frequenti si riscontrano patologie da sovraccarico
cronico, dove il dolore rappresenta il sintomo principale, e patologie da
sovraccarico dei tendini, nelle quali possono verificarsi 3 tipi di lesione:
tendinopatie inserzionali, peritendiniti, tendinosi da sovraccarico delle
articolazioni e tendinosi da sovraccarico dei muscoli. (O. Auquier et al., 2009);
(William A. Romani et al., 2002).
La prevenzione è l’insieme delle azioni finalizzate a ridurre il rischio di infortunio,
ossia la probabilità che si verifichino eventi non desiderati.
Per prevenire questi eventi vengono attuate delle procedure che possono essere
divise in due categorie:

                                                                                    6
1. I mezzi attivi sono le iniziative che il soggetto mette in atto per
          proteggersi efficacemente dall’azione potenzialmente dannosa
          dell’esercizio fisico come la corretta esecuzione dei movimenti, l’esatta
          posizione del corpo, l’adeguato grado d’allenamento e la gradualità nella
          progressione dal facile al difficile.
   2. I mezzi passivi consistono invece nelle precauzioni adottate direttamente
          sull’atleta e sull’ambiente aventi lo scopo di eliminare o quantomeno
          ridurre il rischio nelle varie attività sportive.
Questi principi sono fondamentali sia per il dilettante che per il professionista.
(Giacinta Milita, 2013).

          1.2 Sport e stress

Nella quotidianità e nella società attuale si parla molto di stress, generalmente
con un’accezione negativa, in termini di senso di tensione, preoccupazione, senso
di malessere diffuso, associati a conseguenze negative per l’organismo e per lo
stato emotivo e mentale dell’individuo. In realtà, se non si percepisse alcun tipo
di stress, non ci si impegnerebbe allo stesso modo e anche la sensazione di
benessere correlata al raggiungimento dei propri obiettivi non sarebbe percepita
come coì significativa e gratificante. I cambiamenti che avvengono nel nostro
organismo, in risposta allo stress, sono mediati dall'attivazione del sistema
nervoso simpatico e dalle ghiandole surrenali. I glucocorticoidi, tra i quali si
ricorda come principale il cortisolo, l’ormone dello stress, vengono prodotti dalla
corteccia surrenale e promuovono l'utilizzo dei grassi, il catabolismo proteico,
quindi la distruzione della massa muscolare, aumentano l'emissione di glucosio
dal fegato al circolo sanguigno, sopprimono la liberazione e l'attività dell'ormone
della crescita e svolgono un'azione immunodepressiva, riducendo cioè le difese
immunitarie. (Clark et al., 2016).

Selye (Selye et al., 1956) ipotizzò 3 fasi che descrivono le reazioni del corpo allo
stress.

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La prima fase, nota come reazione d'allarme, è quella in cui il corpo percepisce lo
stress e attiva la sindrome "fight-or-flight", caratterizzata dall'aumento del battito
cardiaco, aumento della frequenza respiratoria, della temperatura corporea, della
circolazione sanguigna direttamente correlata ad un incremento della pressione
arteriosa, della sudorazione e delle tensioni muscolari. Il nostro corpo, infatti,
non è in grado di differenziare stress fisici da stress psicologici. La risposta
immediata del corpo allo stress si rifà quindi ad una memoria istintiva di battaglia
o di fuga da situazioni potenzialmente pericolose per la nostra sopravvivenza.

Nella seconda fase, di resistenza ed adattamento, il corpo risponde adattandosi
agli stimoli esterni.
La terza fase invece è caratterizzata da periodi di malessere persistente nel tempo
e di conseguenza lo stress diventa insostenibile per l’organismo. (Sarkar et al.,
2014)
Patmore (1986) ha adottato un interessante approccio in riferimento al rapporto
tra sport e stress. L'ipotesi principale di questo studio è che lo sport ruoti intorno
allo stress, in modo che il principale fattore motivazionale per lo sport sia il
bisogno umano di sopportare e superare lo stress; ha descritto lo sport come un
esperimento in cui il fattore centrale che determina la qualità della prestazione è
la capacità dell'individuo di far fronte allo stress. (Jones JG et al., 1989). Lo sport
di alto livello è caratterizzato dalla capacità degli atleti di utilizzare e ottimizzare
una gamma di qualità psicologiche per resistere alle pressioni che sperimentano.
Negli ultimi decenni, i ricercatori hanno identificato numerosi fattori di stress a
cui vanno incontro gli atleti sportivi. (Gould D et al., 1993); (Sarkar et al., 2014);
(Mellalieu et al., 2009).
I fattori di stress identificati in questi studi sono suddivisi in: competitivi,
organizzativi e personali; quelli competitivi includono la preparazione, gli
infortuni, la pressione e le aspettative. Per quanto riguarda la preparazione
atletica molti sportivi ritengono inadeguati e inappropriati i metodi che vengono
utilizzati. (Sarkar et al., 2014)

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Inoltre uno studio condotto da Nippert and Smith ha evidenziato la relazione tra
infortunio e autostima, dimostrando che essa diminuisce significativamente dopo
un infortunio. (Nippert et al., 2008)
Per quanto concerne la pressione psicologica, gli atleti hanno segnalato che essa
aumenta quando devono esibirsi in competizione. (Sarkar et al., 2014)
Gli atleti hanno anche riferito di pressioni legate all'errore commesso o a errori
durante le prestazioni, il non raggiungimento degli obiettivi, le esibizioni di
gruppo e il non esibirsi come previsto. (Gould et al., 1993)
I fattori di stress organizzativi sono definiti come "ambientali" (Fletcher et al.,
2012). Arnold e Fletcher hanno identificato i fattori di stress organizzativi
incontrati dagli atleti e hanno poi sviluppato una classificazione di questi
suddividendoli in 4 categorie: leadership e problemi personali, problemi culturali
e di squadra, problemi logistici e ambientali, prestazioni e problemi personali.
(Arnold et al., 2012). I fattori di stress personali sono associati principalmente e
direttamente ad eventi personali di vita.
Meichenbaum ha dimostrato che l'esposizione a fattori di stress moderati può
mobilitare risorse, altrimenti non sfruttate, e creare un senso di padronanza per
stress futuri. Quello che gli atleti dovrebbero fare è di ottimizzare gli eventi
stressanti che incontrano nelle loro vite attraverso l’attività sportiva. (Sarkar et al.,
2014)

        1.2 Sport e depressione
I disturbi depressivi sono definiti come una combinazione di diversi dei seguenti
sintomi: diminuzione dell'interesse o del piacere (anedonia), tristezza, alterazioni
dell'appetito, alterazioni del sonno, mancanza di energia/irrequietezza, astenia,
sentimenti di inutilità, eccessivo senso di colpa, difficoltà di concentrazione e
pensieri al suicidio. Ci deve essere inoltre una connessione tra i sintomi
precedenti e un impatto socio-professionale.
Il disturbo depressivo maggiore (MDD) è un disturbo psichiatrico.

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I principali disturbi depressivi sono associati ad una disregolazione della risposta
immunitaria. Infatti un fattore di stress esterno può essere determinante per un
aumento delle citochine circolanti. Tra queste, il fattore di necrosi tumorale-a e
l'interleuchina-6 sono spesso coinvolti.
Le citochine aiutano la regolazione dei neurotrasmettitori monoaminergici,
compresa la serotonina e svolgono un ruolo importante nell'asse ipotalamo-
ipofisi-surrene. Esiste una reazione ipotalamica a cui segue una cascata ipofisaria,
che aumenta le concentrazioni di ormone rilasciante la corticotropina e quindi
l'ormone adrenocorticotropo. La risposta surrenale prevede un aumento della
sintesi del cortisolo. (Arbus et al., 2017)
La depressione colpisce circa il 6,7% della popolazione adulta di oggi in un
periodo di 12 mesi.
Secondo il Dipartimento della Sanità e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, i tassi di
prevalenza per determinate fasce d'età, come giovani adulti e anziani, sono più
alti per esempio, per il gruppo di età compresa tra 18 e 25 anni.
Storch et al. furono i primi a confrontare i sintomi della depressione tra gli atleti
e i non atleti. Con il loro studio è stato ipotizzato che gli atleti segnalerebbero
livelli più elevati di depressione e ansia in quanto sono sottoposti a condizioni di
maggior stress psicofisico. Lo studio ha anche ipotizzato che gli atleti avrebbero
riferito di avere meno sostegno sociale dei non atleti.
Uno dei fattori di rischio più ampiamente studiati per il disagio psicologico tra gli
atleti è stato l'infortunio sportivo. In un recente sondaggio condotto da medici
della medicina sportiva, è emerso che l'80% delle volte che gli atleti che si
sottopongono ad un trattamento a seguito di un infortunio, discutono anche di
problemi psicologici legati al trauma.
Brewer e Petrie furono tra i primi ricercatori a confrontare i sintomi della
depressione tra gli atleti che avevano subito una lesione e gli atleti sani. In
questo studio, è stato riscontrato che gli atleti che hanno subito un infortunio,

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durante l'anno precedente, hanno riportato punteggi di sintomi di depressione
significativamente più alti rispetto agli atleti non infortunati.
In ogni caso entrambi i gruppi di atleti hanno riportato alti livelli di sintomi di
depressione. (Eugene et al., 2015)
Smith e Milliner hanno riferito di 5 casi in cui dopo un infortunio gli atleti hanno
tentato il suicidio e hanno identificato 6 fattori di rischio:
       -   infortunio che richiedeva un intervento chirurgico,
       -   una lunga riabilitazione che impediva all'atleta di partecipare al suo
           sport per almeno 6 mesi,
       -   una diminuzione delle capacità atletiche dopo l'infortunio,
       -   poca fiducia nella loro capacità di esibirsi ai livelli precedenti alla
           lesione,
       -   sostituzione da parte di un compagno di squadra,
       -   grande successo prima dell'infortunio.
Lo stato mentale e fisico di un atleta può essere compromesso non solo da una
lesione acuta ma anche dalla sindrome da allenamento eccessivo (OTS).
Le due condizioni, la depressione e l’OTS, non sono necessariamente separate
ma possono coesistere.
Da un punto di vista psicologico, gli atleti possono essere inclini a provare
sintomi di depressione quando affrontano il calo delle loro prestazioni atletiche o
quando riscontrano una prestazione atletica negativa. Una cattiva prestazione
atletica può comportare sensazioni di impotenza o disperazione, che sono
coerenti con i sintomi della depressione.
Il fallimento di una prestazione è stato anche collegato ad un aumento della
rabbia, depressione e riduzione del vigore.
Esistono dunque fattori di rischio più specifici per una popolazione atletica (ad
esempio l’infortunio, l’interruzione involontaria della carriera e il
sovrallenamento) che possono aumentare il rischio di depressione rispetto alla
popolazione generale. (Smith et al., 1994).

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È stato ipotizzato che la gestione accademica, il mantenimento della salute, il
recupero dall'infortunio, il successo e la gestione dell'ansia nelle prestazioni
sportive siano tutti fattori stressanti pertinenti agli atleti d'élite.
Il fallire nella competizione e il mancato raggiungimento degli obiettivi personali
sono forme di stress che sembrano aumentare la suscettibilità agli affetti negativi
e ai disordini depressivi (Davis et al., 2013).
Anche la fine della carriera di un atleta segna un importante cambiamento di vita
che può portare a modifiche nelle relazioni interpersonali e nelle routine
quotidiana. Sebbene la cessazione della carriera sportiva rappresenti una
significativa transizione di vita per gli atleti, ciò non significa necessariamente che
si traduca in disagio psicologico. Tuttavia, è stato anche riscontrato che i sintomi
di disagio psicologico per gli atleti che si occupano della cessazione involontaria
della carriera sono diminuiti nel tempo.
L'identità atletica è definita come il grado in cui uno sportivo si definisce in
termini di ruolo atletico, persone con un'identità atletica forte ed esclusiva
sperimentano difficoltà psicologiche ed emotive più intense e frequenti dopo il
ritiro dagli sport. (Eugene et al., 2015). Uno studio ha dimostrato che all'interno
di un campione elitario, l'80% degli atleti che aveva sperimentato un fallimento
sportivo aveva avuto almeno un periodo di 2 settimane in cui mostravano
almeno 5 sintomi depressivi descritti nel Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali (DSM-IV-TR12), nell'anno successivo ai test olimpici. Non solo il
fallimento in competizione aumenta la suscettibilità alla depressione ma anche la
visione di un passato atletico personale negativo può indurre ad uno stato
depressivo. Anche aspirare a competere tra i migliori atleti del mondo può
aumentare la suscettibilità di un atleta alla depressione, in particolare in
relazione ad una prestazione fallita. Alla luce di questi risultati, è importante che
gli allenatori, lo staff atletico e in particolare gli psicologi del team prendano in
considerazione la salute mentale degli atleti e dispongano di adeguati servizi di
screening, monitoraggio e intervento, soprattutto dopo una prestazione fallita.

                                                                                    12
La prestazione atletica subisce influenze anche dai compagni di squadra,
allenatori e familiari. (Davis et al., 2013)

         1.4 Sport e ansia

Nel DSM-5, l’ansia è definita come l'anticipazione della minaccia futura, è la
risposta emotiva alla minaccia imminente reale o percepita.
Da un punto di vista evolutivo è un'emozione adattativa poiché promuove la
sopravvivenza inducendo le persone a evitare luoghi pericolosi (DSM).
Esiste però una soglia clinica che distingue ansia quotidiana adattativa e ansia
patologica angosciosa.
È noto che lo sport, soprattutto a livelli agonistici, è una potenziale fonte di ansia
e stress. In un contesto sportivo, l'ansia è spesso considerata come una tipica
risposta ad una situazione in cui vengono valutate le abilità di un atleta, è dovuta
quindi all'esecuzione di un compito sotto pressione. (Arvinen-Barrow et al.,
2017).
Da un punto di vista fisiopatologico la serotonina, norepinefrina e GABA sono i
tre principali neurotrasmettitori coinvolti nei disturbi d’ansia (Shah et al., 2015).
L'ansia è caratterizzata da una serie di risposte, che possono verificarsi prima,
dopo e durante l’evento competitivo e comprendono segni e sintomi cognitivi,
comportamentali e fisiologici.
Ad oggi, molte ricerche sono state dedicate alla comprensione dei meccanismi
con cui l'ansia possa influire sulle prestazioni sportive, sia durante l’allenamento
che nei contesti competitivi. (Dilip et al., 2010).
Sebbene la maggior parte degli studi sperimentali condotti sono incentrati su
come l'ansia possa influenzare l'effettiva esecuzione dei movimenti, diversi studi
hanno dimostrato che anche prima di impegnarsi nell’azione, l'ansia influenza il
modo in cui si esamina visivamente il nostro ambiente. Gli studi cognitivi
sull'ansia e le prestazioni mostrano come, in uno stato d’ ansia, aumenti
l'attivazione dell'amigdala (un importante centro emotivo nel cervello) e si

                                                                                   13
verifichi una diminuzione dei meccanismi di controllo prefrontale. Di
conseguenza, gli individui ansiosi mostrano una maggiore predisposizione a
percepire stimoli emotivamente ambigui come se fossero minacciosi cioè
pregiudizi interpretativi. Generalmente ciò significa che quando le persone sono
ansiose diventa più difficile per loro concentrarsi su un compito ed elaborare in
modo efficiente le informazioni rilevanti per l’obiettivo prefissato. Le efferenze
sono ridotte a causa delle troppe informazioni afferenti. Questo spesso porta ad
una diminuzione delle prestazioni cognitive, influenzando il modo in cui vengono
eseguiti i movimenti rendendoli più lenti, meno accurati e più rigidi.
Su atleti esperti, in cui il gesto atletico è altamente automatizzato, l'ansia può
indurre a controllare esplicitamente i propri movimenti interrompendo
l'esecuzione del gesto automatico e danneggiando le prestazioni (Nieuwenhuys
et al., 2012).
Per riassumere quanto sopra, è chiaro che l'ansia influisce non solo sulle
prestazioni percettivo-motorie durante l'esecuzione del movimento, ma di fatto
esercita anche la sua influenza durante la percezione e la selezione delle
possibilità d’azione.
Una delle teorie sulla psicologia dello sport è l'ipotesi di U invertita; questa
suggerisce che le prestazioni e l'ansia dovrebbero essere viste su un continuum a
forma di U invertita. Quindi livelli troppo bassi di ansia portano ad una riduzione
delle prestazioni e un aumento d’ansia può facilitare le prestazioni fino ad un
livello ottimale. Il modello presuppone anche che, oltre questo punto, ulteriore
ansia causi il declino delle prestazioni. La teoria dell’inversione, invece, fornisce
una dimensione aggiuntiva alla relazione ansia-prestazioni suggerendo che i
modi in cui l’ansia influisce sulle prestazioni dipendono dall'interpretazione
individuale: debilitanti o facilitanti. Queste prime teorie hanno fornito una base
utile per far emergere modelli multidimensionali. Il modello propone anche che
la prestazione sportiva stessa influenzi eventuali successive situazioni sportive
agonistiche, valutazioni cognitive e risvegli fisiologici di tali situazioni.

                                                                                  14
Studi recenti evidenziano che l’ansia può avere un ruolo nella prevenzione degli
infortuni sportivi, nella ricorrenza degli stessi, nella riabilitazione e nel ritorno
allo sport. Di tutte le variabili della personalità studiate fino ad oggi, la ricerca ha
identificato l'ansia da competizione come la variabile maggiormente associata al
verificarsi di infortuni sportivi muscolo-scheletrici. La letteratura ha suggerito che
immediatamente dopo una lesione, durante la fase di reazione all’infortunio, un
atleta rischia di provare ansia correlata sia al trauma sia al processo di recupero.
Una volta che l'atleta progredisce nella fase di riabilitazione, è più probabile che
l'ansia sia associata alla riabilitazione e/o al dover usare la parte del corpo lesa.
Una serie di studi con professionisti della medicina dello sport hanno anche
indicato che la prevalenza di stress e ansia sono tra i fattori più pertinenti che
distinguono gli atleti che reagiscono bene alle lesioni da quelli che non lo fanno.
La fase finale della riabilitazione è incentrata sul recupero fisico e psicosociale
dello sportivo. Spesso questi due aspetti non sono valutati allo stesso modo, ma
l'attenzione è prevalentemente posta sulle abilità fisiche e sulla prontezza a
tornare allo sport rispetto al benessere psichico. Inoltre l’ansia legata
all'incapacità e/o all'incertezza di tornare al livello delle prestazioni pre-
infortunio influiscono sul successo sportivo. (Arvinen-Barrow et al., 2017). Alla
luce di queste evidenze coloro che lavorano con gli atleti dovrebbero essere
consapevoli di come l'ansia possa trasferirsi da una situazione all'altra e di come
questa possa variare a seconda dell'atleta in questione.

       1.5 Trattamento Manipolativo Osteopatico (OMT)
Andrew Taylor Still fu il primo a proporre nel 1874 la propria filosofia e pratica
osteopatica, essa consisteva sostanzialmente in 5 principi: l’unità dell’organismo,
la capacità di autoguarigione, secondo la quale l’organismo possiede in sé tutto
ciò che è necessario per mantenersi in salute e riprendersi dalla malattia e dove il
ruolo del medico consiste nel potenziare tale capacità, la componente somatica
della malattia, la relazione reciproca tra struttura e funzione e l’utilizzo della

                                                                                     15
terapia manipolativa. (Philip E. Greenman, 2001)
La prima scuola di osteopatia venne fondata nel 1892 sempre da A.T. Still.
(Brolinson, Gunnar et. al, 2008).
La modalità con cui gli osteopati osservano i processi correlati alla salute, alla sua
promozione e al suo mantenimento evidenzia il contributo che l’osteopatia offre
alla salute pubblica.
La salute è la capacità di mantenimento della funzionalità dei sistemi fisiologici
per mezzo dell’adattamento e dell’autoregolazione del sistema, in funzione degli
stimoli esterni dell’ambiente sull’organismo (Schulkin, 2010).
Attraverso risposte omeostatico-allostatiche delle unità autoregolatorie
(biomeccanica, neurologica- biopsicosociale, metabolico-energetica, circolatorio-
respiratoria), l’individuo intraprende la risposta adattativa andando incontro a
sindromi di adattamento locale o generale (Selye, 1956) dei tessuti e delle
funzioni ad essi correlate (Mueller e Maluf, 2002; Sueki et al., 2013).
Questi adattamenti sono relazionati dall’osteopata con le alterazioni della
meccanica tissutale attraverso lo strumento della palpazione percettiva (Lunghi
et al., 2016).
Il disagio da cui è afflitta una persona può essere correlato al vissuto personale,
allo stile di vita e ai livelli di carico allostatico, quindi alla capacità adattativa
(Thomson et al., 2013).
I modelli di valutazione del rapporto struttura-funzione sono:
   •   Modello biomeccanico. Il tessuto fasciale, se alterato, condiziona i
       modelli posturali durante le attività quotidiane e favorisce disturbi algico-
       disfunzionali (Masi et al., 2010) che si tramutano in tensione e dolore e
       portano a disturbi muscolo-scheletrici sintomatici o patologici (Lunghi et
       al., 2016). I trattamenti osteopatici possono migliorare l’entità, la durata,
       la direzione e la frequenza di queste tensioni tissutali (Zein-Hammoud e
       Standley, 2015).
   •   Modello neurologico/comportamentale-biopsicosociale.            Il dolore è

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spesso accompagnato da uno stato di ipersensibilità dei tessuti periferici
       che favoriscono un ciclo vizioso neurologico-metabolico. Questo stato di
       sensibilizzazione neurologica e alterazione del sistema nervoso autonomo
       può condurre la persona ad un sovraccarico dell’intero sistema. Una
       specifica tipologia di trattamento osteopatico può bilanciare l’eccitazione
       autonomica producendo effetti antinfiammatori e iperparasimpatici
       (Ruffini et al., 2015) e stimolando le terminazioni libere e le fibre C;
       inoltre può modulare la soglia interocettiva e lo stato di sensibilizzazione
       centrale (D’Alessandro et al., 2016).
   •   Modello metabolico-energetico. I trattamenti osteopatici sembrerebbero
       produrre effetti sia sulla risposta immunitaria generale, provocando un
       aumento ematico dei basofili (Mesina et al., 1998), sia sulla risposta
       anticorpale specifica (Measel, 1982), favorendo l’adattamento dei vaccini
       antivirali nel sistema. L’osteopatia potrebbe quindi avere un impatto
       sull’efficienza del sistema immunitario. (Jackson et al., 1998).
   •   Modello circolatorio-respiratorio. Particolari tecniche osteopatiche
       incentrate sul sistema respiratorio hanno permesso di osservare benefici
       su pazienti asmatici. (Guiney et al., 2016). Per quanto riguarda invece il
       modello circolatorio studi clinici hanno evidenziato che tecniche
       osteopatiche volte ad influenzare questo sistema possono migliorare lo
       spessore dell’intima-media vasale e la pressione sistolica sanguigna.
       Questi risultati suggeriscono un potenziale effetto benefico dell’OMT
       nella gestione di pazienti a rischio di incidenti cardiovascolari (Cerritelli et
       al., 2011).
Nell’ambito del ragionamento clinico osteopatico si distinguono due fasi: nella
prima l’osteopata, utilizzando un approccio biomedico, esclude condizioni
cliniche che necessitano di un rinvio a uno specialista; nella seconda fase, tramite
una palpazione percettiva esegue una valutazione basata su diversi modelli
correlando struttura e funzione, il cui risultato permette all’osteopata di eseguire

                                                                                    17
un ragionamento basato su quanto evidenziato in anamnesi e durante la
palpazione. (Grace et al., 2016). Le fasi anamnestica ed osservazionale
conducono l’operatore alla valutazione di un sovraccarico di tipo locale o
generale. Questo processo guida l’osteopata alla selezione del modello di
approccio più indicato per il paziente. (Lunghi et al., 2016).

L'OMT dunque può essere definito come "l'applicazione terapeutica di forze
manuali guidate da un osteopata per migliorare la funzione fisiologica e/o
supportare l'omeostasi che è stata alterata dalla disfunzione somatica." (Joel E.
Bialosky et al., 2008). Secondo il Glossario della terminologia osteopatica, OMT si
riferisce ad una vasta gamma di tecniche manipolative che vanno dalla
manipolazione articolatoria a quella viscerale includendo anche l'osteopatia
cranica. (American Association of Colleges of Osteopathic Medicine, 2012).

       1.5.1 Osteopatia e sport
La pratica di uno sport a livello agonistico sottopone l’organismo a continue e
pesanti sollecitazioni, il corpo umano possiede una capacità eccezionale di
adattarsi agli sforzi, che siano meccanici, organici, fisiologici o psicologici.
L’impiego di tecniche manipolative in ambito atletico risale già ai tempi
dell’antica Grecia e si è tramandato fino ai tempi moderni con buoni risultati
circa il recupero post infortunio ed il miglioramento della prestazione sportiva.
(Brolinson et al., 2012). Gli obiettivi della medicina manuale sono quello di
ripristinare il movimento massimale e indolore del sistema muscolo scheletrico,
migliorare la funzione neuromuscolare e l’equilibrio biomeccanico. Per la
medicina osteopatica, la perdita della capacità di adattamento è un campanello
di allarme che deve essere preso in considerazione. Una volta instaurata la
patologia, l’osteopatia ha il compito, nel rispetto delle realtà anatomiche e
fisiologiche, di restituire la perfetta integrità funzionale. Tutte le funzioni
dell’organismo sono interdipendenti e il sintomo non necessariamente compare

                                                                                18
nello stesso punto della causa, ecco perché il campo di ricerca dell’osteopatia si
occupa di tutti i sistemi dell’organismo.
Lo sportivo è un paziente che spinge il proprio organismo ai confini dei suoi limiti
fisiologici. Lo scopo del Trattamento Manipolativo Osteopatico (OMT) nell’atleta
è l’individuazione degli squilibri biomeccanici e il ripristino del movimento
massimale del sistema muscolo scheletrico. Inoltre migliora la funzione
neuromuscolare e risolve i disturbi neurofisiologici dello sportivo agendo sulla
struttura articolare, fasciale, viscerale, cranio sacrale. Alcuni atleti hanno
riscontrato un miglioramento delle prestazioni dopo il trattamento manipolativo.
L’osteopata aiuta a prevenire e migliorare eventuali lesioni sportive.
Il trattamento manipolativo osteopatico è anche in grado di ridurre il dolore
muscolare in seguito ad un allenamento o ad un infortunio. Traumi distorsivi,
infiammazioni tendinee, alterazioni di tipo posturale e muscolari sono le
problematiche più frequenti sui quali agisce l’osteopatia. Questa trova così nella
gestione dello sport uno dei maggiori ambiti di applicazione. (Brolinson et aI.,
2012). L’osteopatia, oltre a ricoprire grandissima importanza in ambito
preventivo, gioca un ruolo strategico anche in campo riabilitativo post
traumatico dello sportivo. I trattamenti osteopatici, infatti, si conciliano molto
bene nell’iter medico e fisioterapico per il completo recupero funzionale della
persona. (Auquier et al., 2009).

       1.5.2 Osteopatia e stress
Il nostro corpo è costituito da un insieme intricato di sistemi omeostatici.
L'omeostasi è la tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità
all'interno del nostro organismo nonostante le variazioni dell'ambiente esterno.
Una delle forme più prominenti di perturbazione omeostatica si verifica a causa
dello stress che minaccia il benessere fisico e/o psicologico dell'individuo; queste
perturbazioni causano a loro volta una vasta gamma di sintomi somatici e/o
psicosomatici che vanno ad influenzare tutti i sistemi del nostro corpo: sistema

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nervoso, endocrino, immunitario, muscolo-scheletrico e comportamentale.
   •   Sistema Nervoso:
       La funzione principale è quella di rilasciare in circolo catecolamine
       (noradrenalina e adrenalina) da parte della midollare del surrene. La
       risposta del SNS (Sistema Nervoso Simpatico) è abbastanza improvvisa
       affinché il corpo sia in grado di rispondere alla situazione di emergenza. Il
       problema si verifica quando siamo in presenza di stress cronico, quello
       che dura per un periodo prolungato di tempo, perché può provocare un
       esaurimento delle energie del corpo; il SNS continua ad innescare reazioni
       fisiche e di conseguenza provoca usura e danno al corpo, causando
       l’insorgenza di patologie negli altri sistemi corporei (Kozlowska, 2013).
       Studi hanno riportato che l'OMT può essere un potente approccio per
       migliorare l'attivazione parasimpatica e quindi prevenire esagerate
       attivazioni cardiache indotte dallo stress (Ruffini et. al., 2015) e che con
       l'applicazione di trattamenti osteopatici si ristabilisce un equilibrio
       simpatico vagale dopo un forte evento stressorio, inoltre agisce
       abbassando i livelli di cortisolo (Fornari et al., 2017).
   •   Sistema neuroendocrino:
       Le cellule neuroendocrine dell’ipotalamo secernono e sintetizzano
       l’ormone di rilascio della corticotropina (CRF) che è il principale regolatore
       dell’asse HPA. In risposta allo stress, il CRF attiva l’ipofisi che a sua volta
       inizia a rilasciare l’ormone adrenocorticotropo (ACTH). Questo ormone
       stimola la sintesi e la secrezione di glucocorticoidi, tra i quali il cortisolo, a
       livello della corteccia surrenale. L’ipotalamo stimola le ghiandole surrenali
       a produrre l’ormone adrenalina che agisce mantenendo il corpo in stato di
       allerta per la sua risposta di attacco o fuga. (Smith et al., 2006)
   •   Sistema muscolo-scheletrico:
       L’adrenalina porta a dei cambiamenti, sotto stress, al nostro corpo; uno di
       questi è la contrazione muscolare che perdura nel tempo a causa dello

                                                                                      20
stato vigile portato dal SNS. I nostri muscoli reagiscono così per
    protezione. Questa tensione muscolare nel tempo può condurre a dolori
    generalizzati. A livello del sistema muscolo scheletrico, in periodi di stress
    elevato aumenta il tono muscolare soprattutto a livello delle spalle, del
    collo e della colonna vertebrale cervicale e dorsale con la presenza di
    cefalee miotensive; numerosi studi mostrano che attraverso dei regolari
    trattamenti osteopatici è possibile ridurre queste tensioni muscolari.
•   Apparato respiratorio:
    Le situazioni di stress possono portare ad un aumento del fabbisogno
    metabolico con conseguente iperventilazione. Una maggiore ventilazione,
    normalmente, prepara il corpo all’azione. Quando la minaccia è interna
    assistiamo alla perturbazione dell’omeostasi. L’aumento della ventilazione
    avviene soprattutto nei momenti di stress acuto, mentre nello stress
    cronico accade l’opposto. Nello stress cronico, infatti, il muscolo
    diaframma risulta contratto e non permette un giusto equilibrio tra gli atti
    di inspirazione e espirazione. La respirazione in questo caso sarà corta. Un
    possibile cambiamento, dovuto al mal funzionamento diaframmatico
    coinvolgerà l’utilizzo di altri muscoli per compiere l’atto respiratorio. Verrà
    indotta una respirazione toracica, che sappiamo essere dannosa. La
    respirazione toracica potrà instaurare una rigidità a livello cervicale e nella
    parte alta della schiena. Un diaframma che non funziona correttamente
    può condurre anche a deficit a livello circolatorio e digestivo. (Kozlowska K,
    2013)
•   Apparato digerente:
    Il Sistema Nervoso Centrale (SNC) e il sistema gastro-intestinale (SGI) sono
    intimamente connessi. È noto come lo stress possa portare a sintomi
    come dispepsia, diarrea o dolore addominale. La corticotropina (CRF) ha
    un effetto importante sull’SGI per la modulazione dell’infiammazione,
    sull’aumento della permeabilità e della sensazione di dolore. Il SNC e SGI

                                                                               21
sono collegati anche alla flora intestinale: nelle situazioni di stress stimola
    cambiamenti.
    Una lunga esposizione allo stress può generare un cambiamento nella
    regolazione dell’asse cervello-intestino. (Konturek et al.,2011)
•   Sistema circolatorio:
    L'importanza del rapporto tra l'apporto di sangue al livello di funzione di
    un organo, è un principio fondamentale dell'osteopatia e uno dei grandi
    contributi di Still non solo a questa professione. Altri dati importanti
    sull'efficacia dell'OMT riguardano il beneficio che può dare a livello del
    sistema circolatorio, in particolare molteplici studi dimostrano che questi
    trattamenti agiscono sulla variabilità della frequenza cardiaca (rapporto
    LH/HF), sulla pressione sanguigna e sul battito cardiaco; tre variabili che
    sono molto influenzate dallo stress. Per quanto concerne la pressione
    sanguigna, diversi studi mostrano come questa si abbassi
    significativamente dopo l'OMT.
•   Sistema immunitario:
    La letteratura recente ha indicato una relazione tra lo stress e il livello di
    immunità alle mucose, in cui livelli crescenti di stress causati da stress
    percepito o fisico, possono causare una diminuzione della IgA. La
    diminuzione di questi anticorpi porterebbe quindi ad un indebolimento
    del sistema immunitario e di conseguenza ad un aumento delle infezioni
    soprattutto a livello respiratorio. Nella cura di pazienti seguiti da osteopati,
    è stato dimostrato che l'OMT migliora la circolazione linfatica e aumenta
    le risposte immunitarie. Negli ultimi 3 decenni, è stato studiato il
    potenziale effetto dell'OMT - in particolare le tecniche di pompa linfatica -
    sulla risposta immunitaria. Measel scopri che i soggetti che hanno
    ricevuto l'OMT hanno un evidente miglioramento nella risposta
    immunologica dopo le tecniche di pompa linfatica e splenica. (Measel,
    1982) Per concludere, e capire meglio come l'osteopatia può aiutare le

                                                                                22
persone sotto diversi aspetti è interessante citare uno studio condotto da
       Konstantin Korotkov che ha voluto dimostrare come i trattamenti di
       osteopatia influenzano determinati aspetti misurabili attraverso la
       bioelettrografia, un'elettrofotografia ad alta tensione del biocampo
       umano; con questa metodologia è possibile misurare la componente fisica,
       psicologica, emotiva, lo stress e il livello di funzionamento degli organi di
       una persona. La maggior parte dei destinatari di questi trattamenti
       osteopatici ha riscontrato riduzione dei livelli di stress e miglioramento
       della pressione arteriosa; tutti i soggetti erano di buon umore dopo il
       trattamento; molti di loro avevano dolore e tensione muscolare che sono
       scomparsi. Questi cambiamenti sono stati riflessi in tutti i parametri
       analizzati, sia in ambito psicosomatico che in stati somatici. È stato
       dunque dimostrato che l’OMT influisce positivamente su tutti i sistemi che
       vengono alterati dallo stress. (Kortkov et al., 2012).

       1.5.3 Osteopatia e depressione
L'omeostasi è un processo integrato che coinvolge le interazioni del cervello e del
sistema immunitario. L'effetto del pensiero sull'omeostasi viene esplorato nella
depressione e in altri stati mentali alterati. Le donne soffrono di episodi di
depressione tre volte più spesso degli uomini, soprattutto in età fertile, per via di
meccanismi biologici, in particolare dati dagli effetti che determinati ormoni
hanno sul cervello. Storicamente, gli studi OMT di Andrew Taylor Still, furono tra
i primi a sostenere l'esistenza di un'integrazione tra il sistema nervoso, il
comportamento e il sistema immunitario. I ricercatori che hanno studiato il
trattamento manipolativo nella cura del paziente hanno riportato vari risultati,
tra cui stati d'animo migliorati, degenza ospedaliera abbreviata e miglioramento
dello stato depressivo, specialmente negli anziani. Tuttavia, sapendo che il
sistema endocrino, i neurotrasmettitori e il sistema immunitario possono
determinare stati depressivi, la causa della depressione è stata attribuita su base

                                                                                  23
neurobiologica. I cambiamenti comportamentali, tipici degli stati depressivi,
modificano la funzione immunitaria. È stato dimostrato che gli stati affettivi
negativi deprimono i livelli di anticorpi, mentre gli stati affettivi positivi hanno
l'effetto opposto su questi, quindi, alterazioni del comportamento o dello stato
psicologico, si traducono in cambiamenti della funzione del sistema immunitario,
con conseguenti alterazioni delle cellule T, delle cellule B e della funzione delle
cellule natural killer (NK). Gli studi condotti negli ultimi 15 anni hanno dimostrato
che esiste una comunicazione tra il cervello e il sistema immunitario.
L'attuale trattamento convenzionale di individui con depressione moderata di
solito include farmaci antidepressivi in aggiunta ad una consulenza psichiatrica.
Poiché esiste una connessione diretta tra il comportamento e il sistema nervoso
e immunitario, è ragionevole aspettarsi che l'OMT, che influenza la trasmissione
neurale, abbia un impatto sugli stati comportamentali e che tali alterazioni
possano essere monitorate attraverso la valutazione dello stato immunologico.
Risultati di uno studio indicano che l'OMT può essere usato in aggiunta alla
terapia psichiatrica standard per alleviare la depressione, almeno come misurato
dalla scala Zung. I dati di questo studio forniscono la base per un'ulteriore
revisione del ruolo delle cure primarie nel trattamento dei pazienti con
depressione, attraverso l'uso di OMT.
Inoltre, questo accelerato tasso di miglioramento in pazienti affetti da
depressione potrebbero portare ad una riduzione del carico sul sistema sanitario
fornendo cure economiche per una malattia cronica grave e prevalente.
Chiaramente, sono necessari ulteriori studi per confermare o confutare l'efficacia
dell'OMT nel trattamento della depressione.
Gli studi futuri dovrebbero continuare ad esaminare l'effetto dell'OMT sulla
risposta immunitaria, con l'obiettivo finale di utilizzare i cambiamenti misurati
come misure di lettura dell'efficacia dell’OMT e dello stato generale di salute
mentale. (Plotkin B.J., 2001)

                                                                                  24
1.5.4 Osteopatia e ansia
Le prove scientifiche mostrano come la mente e il corpo siano intrinsecamente e
dinamicamente connessi: percezioni, pensieri e sentimenti cambiano e
rispondono a uno stato fisico e viceversa. L'ansia viene solitamente affrontata
come una condizione mentale e corporea che coinvolge più sistemi. Nel corso
degli anni sono emersi diversi modelli empirici e teorici per spiegare le emozioni
e in particolare l’ansia, tra cui i modelli cognitivo-percettivi e l'ipotesi del marker
somatico. L'emozione è la rappresentazione e la regolazione dei cambiamenti
omeostatici che si verificano a diversi livelli del corpo e del cervello in
determinate situazioni. In questo contesto, l'interocezione gioca un ruolo
importante. I meccanismi psico-fisiologici contribuiscono ai cosiddetti disturbi
dell'ansia endogena; tratti affettivi (ad es. sensibilità all'ansia) e tratti fisiologici
costituzionali sono dimensioni importanti che sono implicate nello sviluppo e nel
mantenimento dell'ansia e dei sintomi somatici (Bulbena et al., 2015)
Si ipotizza che uno stato emotivo alterato possa causare cambiamenti al di fuori
del sistema nervoso centrale che, a loro volta, lo influenzano producendo
cambiamenti nel tono muscolare scheletrico. La terapia manipolativa osteopatica
può avere risultati benefici nel trattamento dei disturbi emotivi.
Gli effetti del trattamento osteopatico possono operare in tre modi: attraverso le
afferenze che modificano il livello generale dell'attività cerebrale, attraverso la
modificazione dei riflessi pavloviani e attraverso le influenze sul sistema nervoso
autonomo. È stato anche suggerito che i disordini scheletrici possono servire
come "messa a fuoco" nel determinare il sito dei disturbi fisici apparenti o reali
così spesso associati a malattie emotive. Quindi, un paziente soggetto a disagio
emotivo può sviluppare ulcera peptica, un altro può sviluppare
malfunzionamenti del colon, e un terzo può mostrare manifestazioni di malattia
coronarica. (Bradford et al., 1965)
Un muscolo spesso coinvolto nei disturbi d’ansia è il diaframma influenzando la
percezione del dolore e lo stato emotivo. Gli individui ansiosi di solito hanno una

                                                                                      25
disfunzione respiratoria che genera lavoro più intenso nella parte superiore del
torace e minor attività diaframmatica. E’ noto che un sintomo immediato nei
disturbi d’ansia è l’iperventilazione. (Castro-Sanchez et al., 2009). Il diaframma è
innervato dal nervo frenico e dal nervo vago. Il nervo vago forma diverse
anastomosi, compreso il sistema simpatico nella regione cervicale e addominale
e il nervo frenico. I nervi frenico e vago sono coinvolti nelle funzioni respiratorie
del diaframma, in perfetta sinergia. La percezione del dolore è ridotta nell'apnea
inspiratoria, quando il diaframma si abbassa. Questo evento suggerisce
l'intervento di barocettori. La relazione tra ansia e funzione respiratoria
(veicolata dal diaframma) è quindi bidirezionale, da questi presupposti si può
dedurre che l’osteopata agendo sul muscolo diaframmatico possa generare una
variazione sui centri emotivi.
Il nervo frenico ha una stretta relazione con il sistema simpatico, non solo a
livello diaframmatico, ma anche nella regione del ganglio stellato, dove le fibre
post-gangliari si alzano e scendono verso il diaframma (in particolare il nervo
frenico destro). Il nervo vago contiene anche fibre simpatiche. Pertanto, possono
essere ipotizzate condizioni di sovra-stimolazione del sistema simpatico in
seguito ad alterazioni freniche e vagali, anche una disfunzione del sistema
nervoso simpatico influisce negativamente sulla percezione del dolore e sulle
emozioni. (Bordoni et al., 2017)
Oltre ad agire sugli stati emotivi sfruttando componenti muscolo-scheletriche,
fasciali e viscerali l’OMT si è dimostrato efficace anche tramite l’approccio
cranio-sacrale. Uno studio mostra che la terapia cranio-sacrale migliora la qualità
della vita dei pazienti, riducendo la loro percezione del dolore e della fatica e
migliorando il sonno e l'umore, con un aumento della funzione fisica, riduce i
livelli di ansia, migliorando parzialmente lo stato depressivo. (Castro-Sanchez et
al., 2009).
Oltre alle evidenze scientifiche anche la percezione soggettiva dei pazienti
mostra un ruolo favorevole dell’osteopatia rispetto a disturbi ansiogeni. I risultati

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di uno studio condotto sulla percezione dell’OMT su pazienti ospedalizzati
indicano che i pazienti percepivano l'OMT come benefico in vari aspetti
dell'assistenza ospedaliera cioè livello di comfort, stress e ansia. Almeno il 90% di
tutti gli intervistati ritiene che l'OMT sia benefico nel migliorare il comfort
generale, facilitare il recupero e ridurre lo stress e l’ansia. (Beck et al., 2008)

       1.6 Canoa
La canoa nasce, in origine, come mezzo di trasporto per soddisfare la necessità
dell’uomo di spostarsi attraverso l’acqua.
La canoa moderna, più comunemente conosciuta come kayak, è un’imbarcazione
interamente coperta a sponde basse. Il canoista che durante l’attività siede
all’interno dell’imbarcazione, entra nel kayak attraverso un pozzetto aperto nella
copertura ed impugna una pagaia a doppia pala. La canoa, come sport, raggiunge
l’apice del successo quando nel 1936 viene inserita come specialità olimpica ai
giochi di Berlino, nello stesso anno la Reale Federazione Italiana di Canottaggio
istituisce la sezione di canoa, ma solo più tardi nel 1987 la Federazione Italiana
Canoa e Kayak (F.I.C.K.) ottiene il proprio riconoscimento a federazione effettiva.
Le discipline ad oggi riconosciute dalla F.I.C.K. sono: canoa slalom, canoa velocità,
canoa polo, canoa discesa e canoa maratona (www.federcanoa.it)

       1.6.1 Categorie
Come in tutti gli sport anche gli atleti e le gare di canoa vengono suddivisi in
categorie ben precise in base alle varie discipline.
   •   Canoa Slalom: nel Kayak monoposto (K1 e K1 a squadre) possono
       competere sia uomini che donne.
   •   Canoa Velocità: per quanto riguarda la canoa velocità il Kayak (K1, K2,
       K4), comprende categorie sia maschili che femminili.

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•   Canoa Polo: le partite di canoa polo sono disputate sia da squadre
       maschili che femminili e a seconda della collocazione geografica possono
       essere svolte all’aperto o indoor.
   •   Canoa Discesa: nelle gare di Kayak monoposto (K1) possono competere
       sia uomini che donne.
   •   Canoa Maratona: sia uomini che donne possono prender parte alle
       competizioni con Kayak mono e biposto (K1 e K2). (www.federcanoa.it)

       1.6.2 Biomeccanica
Uno sport come la canoa richiede elevati livelli di capacità aerobiche e
anaerobiche, così come la massima forza e potenza muscolare. (Pallarès e
Izquerdo, 2011). Il lavoro del canoista segue un preciso schema motorio che
rimane invariato indipendente dalle condizioni esterne: il movimento è ritmico,
sistematico e ciclico, si alternano fasi di contrazione e rilassamento, che
determinano la natura dinamica del lavoro muscolare. Il picco di rendimento è
caratterizzato dalla massima potenza metabolica (aerobica e anaerobica)
espressa con un movimento il più economico possibile. (Hagner-Derengowska et
al., 2013). Questo sport richiede importanti prestazioni della parte superiore del
corpo e della muscolatura del tronco (Mark R. McKean e Brendan Burkett, 2009)
in particolare vengono eseguiti movimenti di trazione e spinta, in uno schema di
movimento che può essere definito bilaterale, simmetrico e reciproco. Le
massime sollecitazioni avvengono a livello della spalla, definita come lo “snodo”
fondamentale nell’esecuzione dei movimenti. (Mark R. McKean e Brendan
Burkett, 2009). In una gara, i canoisti sono tenuti a pagaiare i loro kayak con il
massimo sforzo per tutta la lunghezza della distanza di gara. (Jacob S. Michael et
al., 2009). La risultante delle forze in gioco nel sistema Pagaia-Atleta-Kayak non
consente alla canoa di procedere con una velocità e direzione costante.
L’equilibrio alternato che regola il movimento si basa sul principio di azione e
reazione e dipende dalla forza prodotta dal canoista attraverso l’attrito della

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