DIPLOMA DI OSTEOPATIA - TCIO MILANO TAKE CARE ISTITUTO OSTEOPATICO
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TCIO MILANO TAKE CARE ISTITUTO OSTEOPATICO Anno 2017/2018 DIPLOMA DI OSTEOPATIA EFFETTO DEL TRATTAMENTO OSTEOPATICO MANIPOLATIVO SULLA PREVENZIONE E SULLO STRESS PSICOFISICO IN ATLETI AGONISTI: STUDIO CLINICO RANDOMIZZATO IN SINGOLO CIECO STUDENTI RELATORE Di Maio Nicola Gianpaolo Tornatore PhD, D.O. Marrella Marta Mazzaferro Melissa Milani Agnese Panceri Viviana Rizzi Alessandra
Indice Abstract ..............................................................................4 Capitolo 1: Introduzione .......................................................... 5 1.1 Infortuni e prevenzione ............................................... 6 1.2 Sport e stress ............................................................ 7 1.3 Sport e depressione ................................................... 9 1.4 Sport e ansia .......................................................... 13 1.5 Trattamento manipolativo osteopatico (OMT) ................... 15 1.5.1 OMT e sport ................................................. 18 1.5.2 OMT e stress ................................................. 19 1.5.3 OMT e depressione ......................................... 23 1.5.4 OMT e ansia ................................................. 25 1.6 Canoa .................................................................. 27 1.6.1 Categorie .................................................... 27 1.6.2 Biomeccanica ............................................... 28 1.6.3 Infortuni ed eventi avversi ................................ 30 1.7 Karate .................................................................. 31 1.7.1 Categorie .................................................... 33 1.7.2 Biomeccanica ............................................... 33 2
1.7.3 Infortuni ed eventi avversi ................................ 35 1.8 Ginnastica artistica .................................................. 36 1.8.1 Categorie .................................................... 38 1.8.2 Biomeccanica ............................................... 39 1.8.3 Infortuni ed eventi avversi ................................ 40 1.9 Obiettivo della tesi ................................................... 42 Capitolo 2: Materiali e metodi .................................................. 44 2.1 Diario degli outcome ................................................. 44 2.2 Questionario PSS...................................................... 45 2.3 Questionario DASS .................................................... 46 2.4 Questionario BAI ...................................................... 47 2.5 Soggetti ................................................................ 48 2.6 Descrizione dello studio ............................................. 49 2.7 L’analisi Statistica.................................................... 51 Capitolo 3: Risultati .............................................................. 54 3.1 Discussione dei risultati ............................................. 62 Capitolo 4: Conclusioni .......................................................... 64 Capitolo 5: Appendici ............................................................ 66 Bibliografia ........................................................................ 72 Sitografia .......................................................................... 78 3
ABSTRACT INTRODUZIONE: Lo sport è sempre stato considerato un’attività che coinvolge le abilità umane di base, sia fisiche che mentali, al fine di migliorarle, esercitandole con costanza, per utilizzarle successivamente in maniera più proficua. È sempre stato molto stretto il legame tra osteopatia e sport e fin dalla sua nascita la pratica osteopatica si è rivelata essere un utile strumento per aiutare gli sportivi a lenire i dolori dovuti ai traumi subìti durante l’attività. Affidarsi all’osteopatia permette all’atleta di affrontare le sfide al massimo delle proprie potenzialità, ma anche di ritrovare lo stato di salute in seguito a lesioni sportive o situazioni di sovraccarico. Il ruolo e l’abilità dell’osteopata che agisce in ambito sportivo riguarda non solo il trattare i problemi muscolo scheletrici, ma anche e soprattutto di capire, analizzare e trattare il corpo nel suo insieme. OBIETTIVO DELLA TESI: L’obiettivo della tesi è quello di effettuare uno studio sperimentale verificando l’efficacia del trattamento manipolativo osteopatico (OMT) sulla prevenzione di infortuni ed eventi avversi in atleti agonisti, rilevata attraverso un diario auto compilato, rispetto ad un gruppo di controllo non trattato. MATERIALI E METODI: Lo studio è stato impostato come studio clinico prospettico, randomizzato, in singolo-cieco, con l’arruolamento di 25 atleti agonisti, 9 maschi e 16 femmine, in una fascia di età compresa tra 10 e 25 anni. Gli sport analizzati sono stati: canoa, ginnastica artistica e karate. Tutti gli atleti sono stati sottoposti a valutazione con questionari sullo stato psicofisico e diari per monitorare lo stato di salute RISULTATI: Il trattamento osteopatico si è dimostrato efficace nella riduzione della sintomatologia dolorosa riferita dall’atleta inoltre è stato ben accettato da tutti gli atleti e non si sono rilevati eventi avversi. 4
CAPITOLO 1 Introduzione o sport è sempre stato considerato un’attività che coinvolge le abilità L umane di base, sia fisiche che mentali, al fine di migliorarle, esercitandole con costanza, per utilizzarle successivamente in maniera più proficua. Oggigiorno si è sempre più proiettati verso un’attività finalizzata all’agonismo o comunque, pur restando in ambito dilettantistico, con una motivazione più vicina alla sfida che al gioco. L’evoluzione della pratica sportiva e del suo significato terminologico è collegata strettamente al posto che essa ha occupato nella società e alla considerazione che le è stata o le è dedicata in un determinato contesto culturale, politico ed economico. In linea generale si parte da una identificazione tra sport ed educazione fisica, per arrivare ad una identificazione tra pratica dilettantistica e pratica professionistica. Gli sport agonistici sono tutte quelle attività ad un livello che Federazioni Sportive Nazionali (FSN), Discipline Sportive Associate (DSA) ed Ente di Promozione Sportiva (EPS) di appartenenza abbiano definito di alto agonismo ed impegno fisico. Gli atleti facenti parte di questa categoria devono dotarsi del certificato per sport agonistico rilasciato da un medico dello sport; disciplinato dal Decreto Ministeriale del 18 febbraio 1982. Fanno parte invece degli sport non agonistici quelle attività in cui rientrano tutti coloro che prendono parte a corsi non finalizzati alla competizione, lo sport fatto a livello ricreativo e per il proprio piacere personale. Si rientra in questa categoria se si è tesserati a FSN, DSA, EPS. In questo caso è necessario il certificato di sana 5
e robusta costituzione disciplinato dal Decreto del Ministro della Salute del 24 aprile 2013. (Giacinta Milita, 2013). (www.parlamento.it). L’ente che in Italia sovraintende lo sport è il Comitato Olimpico Nazionale Italiano fondato nel giugno del 1914 a Roma. Il CONI è un ente pubblico a cui è affidata l'organizzazione e il potenziamento dello sport nazionale e inoltre promuove la massima diffusione della pratica sportiva. (www.coni.it). 1.1 Infortuni e prevenzione Si definisce infortunio sportivo la perdita di funzioni corporee o la deviazione della struttura causata dal trasferimento di energia durante la partecipazione allo sport. La maggior parte degli infortuni sportivi riguarda muscoli, tendini, legamenti e articolazioni, mentre in un numero limitato di casi si riportano fratture o danni agli organi interni. (Toomas Timpka et al., 2014). Gli infortuni nello sport possono essere: eventi acuti, cronici, da contatto e non. Tra le lesioni acute più frequenti si riscontrano: distorsione, contusione, concussione, fratture. Tra le lesioni croniche più frequenti si riscontrano patologie da sovraccarico cronico, dove il dolore rappresenta il sintomo principale, e patologie da sovraccarico dei tendini, nelle quali possono verificarsi 3 tipi di lesione: tendinopatie inserzionali, peritendiniti, tendinosi da sovraccarico delle articolazioni e tendinosi da sovraccarico dei muscoli. (O. Auquier et al., 2009); (William A. Romani et al., 2002). La prevenzione è l’insieme delle azioni finalizzate a ridurre il rischio di infortunio, ossia la probabilità che si verifichino eventi non desiderati. Per prevenire questi eventi vengono attuate delle procedure che possono essere divise in due categorie: 6
1. I mezzi attivi sono le iniziative che il soggetto mette in atto per proteggersi efficacemente dall’azione potenzialmente dannosa dell’esercizio fisico come la corretta esecuzione dei movimenti, l’esatta posizione del corpo, l’adeguato grado d’allenamento e la gradualità nella progressione dal facile al difficile. 2. I mezzi passivi consistono invece nelle precauzioni adottate direttamente sull’atleta e sull’ambiente aventi lo scopo di eliminare o quantomeno ridurre il rischio nelle varie attività sportive. Questi principi sono fondamentali sia per il dilettante che per il professionista. (Giacinta Milita, 2013). 1.2 Sport e stress Nella quotidianità e nella società attuale si parla molto di stress, generalmente con un’accezione negativa, in termini di senso di tensione, preoccupazione, senso di malessere diffuso, associati a conseguenze negative per l’organismo e per lo stato emotivo e mentale dell’individuo. In realtà, se non si percepisse alcun tipo di stress, non ci si impegnerebbe allo stesso modo e anche la sensazione di benessere correlata al raggiungimento dei propri obiettivi non sarebbe percepita come coì significativa e gratificante. I cambiamenti che avvengono nel nostro organismo, in risposta allo stress, sono mediati dall'attivazione del sistema nervoso simpatico e dalle ghiandole surrenali. I glucocorticoidi, tra i quali si ricorda come principale il cortisolo, l’ormone dello stress, vengono prodotti dalla corteccia surrenale e promuovono l'utilizzo dei grassi, il catabolismo proteico, quindi la distruzione della massa muscolare, aumentano l'emissione di glucosio dal fegato al circolo sanguigno, sopprimono la liberazione e l'attività dell'ormone della crescita e svolgono un'azione immunodepressiva, riducendo cioè le difese immunitarie. (Clark et al., 2016). Selye (Selye et al., 1956) ipotizzò 3 fasi che descrivono le reazioni del corpo allo stress. 7
La prima fase, nota come reazione d'allarme, è quella in cui il corpo percepisce lo stress e attiva la sindrome "fight-or-flight", caratterizzata dall'aumento del battito cardiaco, aumento della frequenza respiratoria, della temperatura corporea, della circolazione sanguigna direttamente correlata ad un incremento della pressione arteriosa, della sudorazione e delle tensioni muscolari. Il nostro corpo, infatti, non è in grado di differenziare stress fisici da stress psicologici. La risposta immediata del corpo allo stress si rifà quindi ad una memoria istintiva di battaglia o di fuga da situazioni potenzialmente pericolose per la nostra sopravvivenza. Nella seconda fase, di resistenza ed adattamento, il corpo risponde adattandosi agli stimoli esterni. La terza fase invece è caratterizzata da periodi di malessere persistente nel tempo e di conseguenza lo stress diventa insostenibile per l’organismo. (Sarkar et al., 2014) Patmore (1986) ha adottato un interessante approccio in riferimento al rapporto tra sport e stress. L'ipotesi principale di questo studio è che lo sport ruoti intorno allo stress, in modo che il principale fattore motivazionale per lo sport sia il bisogno umano di sopportare e superare lo stress; ha descritto lo sport come un esperimento in cui il fattore centrale che determina la qualità della prestazione è la capacità dell'individuo di far fronte allo stress. (Jones JG et al., 1989). Lo sport di alto livello è caratterizzato dalla capacità degli atleti di utilizzare e ottimizzare una gamma di qualità psicologiche per resistere alle pressioni che sperimentano. Negli ultimi decenni, i ricercatori hanno identificato numerosi fattori di stress a cui vanno incontro gli atleti sportivi. (Gould D et al., 1993); (Sarkar et al., 2014); (Mellalieu et al., 2009). I fattori di stress identificati in questi studi sono suddivisi in: competitivi, organizzativi e personali; quelli competitivi includono la preparazione, gli infortuni, la pressione e le aspettative. Per quanto riguarda la preparazione atletica molti sportivi ritengono inadeguati e inappropriati i metodi che vengono utilizzati. (Sarkar et al., 2014) 8
Inoltre uno studio condotto da Nippert and Smith ha evidenziato la relazione tra infortunio e autostima, dimostrando che essa diminuisce significativamente dopo un infortunio. (Nippert et al., 2008) Per quanto concerne la pressione psicologica, gli atleti hanno segnalato che essa aumenta quando devono esibirsi in competizione. (Sarkar et al., 2014) Gli atleti hanno anche riferito di pressioni legate all'errore commesso o a errori durante le prestazioni, il non raggiungimento degli obiettivi, le esibizioni di gruppo e il non esibirsi come previsto. (Gould et al., 1993) I fattori di stress organizzativi sono definiti come "ambientali" (Fletcher et al., 2012). Arnold e Fletcher hanno identificato i fattori di stress organizzativi incontrati dagli atleti e hanno poi sviluppato una classificazione di questi suddividendoli in 4 categorie: leadership e problemi personali, problemi culturali e di squadra, problemi logistici e ambientali, prestazioni e problemi personali. (Arnold et al., 2012). I fattori di stress personali sono associati principalmente e direttamente ad eventi personali di vita. Meichenbaum ha dimostrato che l'esposizione a fattori di stress moderati può mobilitare risorse, altrimenti non sfruttate, e creare un senso di padronanza per stress futuri. Quello che gli atleti dovrebbero fare è di ottimizzare gli eventi stressanti che incontrano nelle loro vite attraverso l’attività sportiva. (Sarkar et al., 2014) 1.2 Sport e depressione I disturbi depressivi sono definiti come una combinazione di diversi dei seguenti sintomi: diminuzione dell'interesse o del piacere (anedonia), tristezza, alterazioni dell'appetito, alterazioni del sonno, mancanza di energia/irrequietezza, astenia, sentimenti di inutilità, eccessivo senso di colpa, difficoltà di concentrazione e pensieri al suicidio. Ci deve essere inoltre una connessione tra i sintomi precedenti e un impatto socio-professionale. Il disturbo depressivo maggiore (MDD) è un disturbo psichiatrico. 9
I principali disturbi depressivi sono associati ad una disregolazione della risposta immunitaria. Infatti un fattore di stress esterno può essere determinante per un aumento delle citochine circolanti. Tra queste, il fattore di necrosi tumorale-a e l'interleuchina-6 sono spesso coinvolti. Le citochine aiutano la regolazione dei neurotrasmettitori monoaminergici, compresa la serotonina e svolgono un ruolo importante nell'asse ipotalamo- ipofisi-surrene. Esiste una reazione ipotalamica a cui segue una cascata ipofisaria, che aumenta le concentrazioni di ormone rilasciante la corticotropina e quindi l'ormone adrenocorticotropo. La risposta surrenale prevede un aumento della sintesi del cortisolo. (Arbus et al., 2017) La depressione colpisce circa il 6,7% della popolazione adulta di oggi in un periodo di 12 mesi. Secondo il Dipartimento della Sanità e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, i tassi di prevalenza per determinate fasce d'età, come giovani adulti e anziani, sono più alti per esempio, per il gruppo di età compresa tra 18 e 25 anni. Storch et al. furono i primi a confrontare i sintomi della depressione tra gli atleti e i non atleti. Con il loro studio è stato ipotizzato che gli atleti segnalerebbero livelli più elevati di depressione e ansia in quanto sono sottoposti a condizioni di maggior stress psicofisico. Lo studio ha anche ipotizzato che gli atleti avrebbero riferito di avere meno sostegno sociale dei non atleti. Uno dei fattori di rischio più ampiamente studiati per il disagio psicologico tra gli atleti è stato l'infortunio sportivo. In un recente sondaggio condotto da medici della medicina sportiva, è emerso che l'80% delle volte che gli atleti che si sottopongono ad un trattamento a seguito di un infortunio, discutono anche di problemi psicologici legati al trauma. Brewer e Petrie furono tra i primi ricercatori a confrontare i sintomi della depressione tra gli atleti che avevano subito una lesione e gli atleti sani. In questo studio, è stato riscontrato che gli atleti che hanno subito un infortunio, 10
durante l'anno precedente, hanno riportato punteggi di sintomi di depressione significativamente più alti rispetto agli atleti non infortunati. In ogni caso entrambi i gruppi di atleti hanno riportato alti livelli di sintomi di depressione. (Eugene et al., 2015) Smith e Milliner hanno riferito di 5 casi in cui dopo un infortunio gli atleti hanno tentato il suicidio e hanno identificato 6 fattori di rischio: - infortunio che richiedeva un intervento chirurgico, - una lunga riabilitazione che impediva all'atleta di partecipare al suo sport per almeno 6 mesi, - una diminuzione delle capacità atletiche dopo l'infortunio, - poca fiducia nella loro capacità di esibirsi ai livelli precedenti alla lesione, - sostituzione da parte di un compagno di squadra, - grande successo prima dell'infortunio. Lo stato mentale e fisico di un atleta può essere compromesso non solo da una lesione acuta ma anche dalla sindrome da allenamento eccessivo (OTS). Le due condizioni, la depressione e l’OTS, non sono necessariamente separate ma possono coesistere. Da un punto di vista psicologico, gli atleti possono essere inclini a provare sintomi di depressione quando affrontano il calo delle loro prestazioni atletiche o quando riscontrano una prestazione atletica negativa. Una cattiva prestazione atletica può comportare sensazioni di impotenza o disperazione, che sono coerenti con i sintomi della depressione. Il fallimento di una prestazione è stato anche collegato ad un aumento della rabbia, depressione e riduzione del vigore. Esistono dunque fattori di rischio più specifici per una popolazione atletica (ad esempio l’infortunio, l’interruzione involontaria della carriera e il sovrallenamento) che possono aumentare il rischio di depressione rispetto alla popolazione generale. (Smith et al., 1994). 11
È stato ipotizzato che la gestione accademica, il mantenimento della salute, il recupero dall'infortunio, il successo e la gestione dell'ansia nelle prestazioni sportive siano tutti fattori stressanti pertinenti agli atleti d'élite. Il fallire nella competizione e il mancato raggiungimento degli obiettivi personali sono forme di stress che sembrano aumentare la suscettibilità agli affetti negativi e ai disordini depressivi (Davis et al., 2013). Anche la fine della carriera di un atleta segna un importante cambiamento di vita che può portare a modifiche nelle relazioni interpersonali e nelle routine quotidiana. Sebbene la cessazione della carriera sportiva rappresenti una significativa transizione di vita per gli atleti, ciò non significa necessariamente che si traduca in disagio psicologico. Tuttavia, è stato anche riscontrato che i sintomi di disagio psicologico per gli atleti che si occupano della cessazione involontaria della carriera sono diminuiti nel tempo. L'identità atletica è definita come il grado in cui uno sportivo si definisce in termini di ruolo atletico, persone con un'identità atletica forte ed esclusiva sperimentano difficoltà psicologiche ed emotive più intense e frequenti dopo il ritiro dagli sport. (Eugene et al., 2015). Uno studio ha dimostrato che all'interno di un campione elitario, l'80% degli atleti che aveva sperimentato un fallimento sportivo aveva avuto almeno un periodo di 2 settimane in cui mostravano almeno 5 sintomi depressivi descritti nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR12), nell'anno successivo ai test olimpici. Non solo il fallimento in competizione aumenta la suscettibilità alla depressione ma anche la visione di un passato atletico personale negativo può indurre ad uno stato depressivo. Anche aspirare a competere tra i migliori atleti del mondo può aumentare la suscettibilità di un atleta alla depressione, in particolare in relazione ad una prestazione fallita. Alla luce di questi risultati, è importante che gli allenatori, lo staff atletico e in particolare gli psicologi del team prendano in considerazione la salute mentale degli atleti e dispongano di adeguati servizi di screening, monitoraggio e intervento, soprattutto dopo una prestazione fallita. 12
La prestazione atletica subisce influenze anche dai compagni di squadra, allenatori e familiari. (Davis et al., 2013) 1.4 Sport e ansia Nel DSM-5, l’ansia è definita come l'anticipazione della minaccia futura, è la risposta emotiva alla minaccia imminente reale o percepita. Da un punto di vista evolutivo è un'emozione adattativa poiché promuove la sopravvivenza inducendo le persone a evitare luoghi pericolosi (DSM). Esiste però una soglia clinica che distingue ansia quotidiana adattativa e ansia patologica angosciosa. È noto che lo sport, soprattutto a livelli agonistici, è una potenziale fonte di ansia e stress. In un contesto sportivo, l'ansia è spesso considerata come una tipica risposta ad una situazione in cui vengono valutate le abilità di un atleta, è dovuta quindi all'esecuzione di un compito sotto pressione. (Arvinen-Barrow et al., 2017). Da un punto di vista fisiopatologico la serotonina, norepinefrina e GABA sono i tre principali neurotrasmettitori coinvolti nei disturbi d’ansia (Shah et al., 2015). L'ansia è caratterizzata da una serie di risposte, che possono verificarsi prima, dopo e durante l’evento competitivo e comprendono segni e sintomi cognitivi, comportamentali e fisiologici. Ad oggi, molte ricerche sono state dedicate alla comprensione dei meccanismi con cui l'ansia possa influire sulle prestazioni sportive, sia durante l’allenamento che nei contesti competitivi. (Dilip et al., 2010). Sebbene la maggior parte degli studi sperimentali condotti sono incentrati su come l'ansia possa influenzare l'effettiva esecuzione dei movimenti, diversi studi hanno dimostrato che anche prima di impegnarsi nell’azione, l'ansia influenza il modo in cui si esamina visivamente il nostro ambiente. Gli studi cognitivi sull'ansia e le prestazioni mostrano come, in uno stato d’ ansia, aumenti l'attivazione dell'amigdala (un importante centro emotivo nel cervello) e si 13
verifichi una diminuzione dei meccanismi di controllo prefrontale. Di conseguenza, gli individui ansiosi mostrano una maggiore predisposizione a percepire stimoli emotivamente ambigui come se fossero minacciosi cioè pregiudizi interpretativi. Generalmente ciò significa che quando le persone sono ansiose diventa più difficile per loro concentrarsi su un compito ed elaborare in modo efficiente le informazioni rilevanti per l’obiettivo prefissato. Le efferenze sono ridotte a causa delle troppe informazioni afferenti. Questo spesso porta ad una diminuzione delle prestazioni cognitive, influenzando il modo in cui vengono eseguiti i movimenti rendendoli più lenti, meno accurati e più rigidi. Su atleti esperti, in cui il gesto atletico è altamente automatizzato, l'ansia può indurre a controllare esplicitamente i propri movimenti interrompendo l'esecuzione del gesto automatico e danneggiando le prestazioni (Nieuwenhuys et al., 2012). Per riassumere quanto sopra, è chiaro che l'ansia influisce non solo sulle prestazioni percettivo-motorie durante l'esecuzione del movimento, ma di fatto esercita anche la sua influenza durante la percezione e la selezione delle possibilità d’azione. Una delle teorie sulla psicologia dello sport è l'ipotesi di U invertita; questa suggerisce che le prestazioni e l'ansia dovrebbero essere viste su un continuum a forma di U invertita. Quindi livelli troppo bassi di ansia portano ad una riduzione delle prestazioni e un aumento d’ansia può facilitare le prestazioni fino ad un livello ottimale. Il modello presuppone anche che, oltre questo punto, ulteriore ansia causi il declino delle prestazioni. La teoria dell’inversione, invece, fornisce una dimensione aggiuntiva alla relazione ansia-prestazioni suggerendo che i modi in cui l’ansia influisce sulle prestazioni dipendono dall'interpretazione individuale: debilitanti o facilitanti. Queste prime teorie hanno fornito una base utile per far emergere modelli multidimensionali. Il modello propone anche che la prestazione sportiva stessa influenzi eventuali successive situazioni sportive agonistiche, valutazioni cognitive e risvegli fisiologici di tali situazioni. 14
Studi recenti evidenziano che l’ansia può avere un ruolo nella prevenzione degli infortuni sportivi, nella ricorrenza degli stessi, nella riabilitazione e nel ritorno allo sport. Di tutte le variabili della personalità studiate fino ad oggi, la ricerca ha identificato l'ansia da competizione come la variabile maggiormente associata al verificarsi di infortuni sportivi muscolo-scheletrici. La letteratura ha suggerito che immediatamente dopo una lesione, durante la fase di reazione all’infortunio, un atleta rischia di provare ansia correlata sia al trauma sia al processo di recupero. Una volta che l'atleta progredisce nella fase di riabilitazione, è più probabile che l'ansia sia associata alla riabilitazione e/o al dover usare la parte del corpo lesa. Una serie di studi con professionisti della medicina dello sport hanno anche indicato che la prevalenza di stress e ansia sono tra i fattori più pertinenti che distinguono gli atleti che reagiscono bene alle lesioni da quelli che non lo fanno. La fase finale della riabilitazione è incentrata sul recupero fisico e psicosociale dello sportivo. Spesso questi due aspetti non sono valutati allo stesso modo, ma l'attenzione è prevalentemente posta sulle abilità fisiche e sulla prontezza a tornare allo sport rispetto al benessere psichico. Inoltre l’ansia legata all'incapacità e/o all'incertezza di tornare al livello delle prestazioni pre- infortunio influiscono sul successo sportivo. (Arvinen-Barrow et al., 2017). Alla luce di queste evidenze coloro che lavorano con gli atleti dovrebbero essere consapevoli di come l'ansia possa trasferirsi da una situazione all'altra e di come questa possa variare a seconda dell'atleta in questione. 1.5 Trattamento Manipolativo Osteopatico (OMT) Andrew Taylor Still fu il primo a proporre nel 1874 la propria filosofia e pratica osteopatica, essa consisteva sostanzialmente in 5 principi: l’unità dell’organismo, la capacità di autoguarigione, secondo la quale l’organismo possiede in sé tutto ciò che è necessario per mantenersi in salute e riprendersi dalla malattia e dove il ruolo del medico consiste nel potenziare tale capacità, la componente somatica della malattia, la relazione reciproca tra struttura e funzione e l’utilizzo della 15
terapia manipolativa. (Philip E. Greenman, 2001) La prima scuola di osteopatia venne fondata nel 1892 sempre da A.T. Still. (Brolinson, Gunnar et. al, 2008). La modalità con cui gli osteopati osservano i processi correlati alla salute, alla sua promozione e al suo mantenimento evidenzia il contributo che l’osteopatia offre alla salute pubblica. La salute è la capacità di mantenimento della funzionalità dei sistemi fisiologici per mezzo dell’adattamento e dell’autoregolazione del sistema, in funzione degli stimoli esterni dell’ambiente sull’organismo (Schulkin, 2010). Attraverso risposte omeostatico-allostatiche delle unità autoregolatorie (biomeccanica, neurologica- biopsicosociale, metabolico-energetica, circolatorio- respiratoria), l’individuo intraprende la risposta adattativa andando incontro a sindromi di adattamento locale o generale (Selye, 1956) dei tessuti e delle funzioni ad essi correlate (Mueller e Maluf, 2002; Sueki et al., 2013). Questi adattamenti sono relazionati dall’osteopata con le alterazioni della meccanica tissutale attraverso lo strumento della palpazione percettiva (Lunghi et al., 2016). Il disagio da cui è afflitta una persona può essere correlato al vissuto personale, allo stile di vita e ai livelli di carico allostatico, quindi alla capacità adattativa (Thomson et al., 2013). I modelli di valutazione del rapporto struttura-funzione sono: • Modello biomeccanico. Il tessuto fasciale, se alterato, condiziona i modelli posturali durante le attività quotidiane e favorisce disturbi algico- disfunzionali (Masi et al., 2010) che si tramutano in tensione e dolore e portano a disturbi muscolo-scheletrici sintomatici o patologici (Lunghi et al., 2016). I trattamenti osteopatici possono migliorare l’entità, la durata, la direzione e la frequenza di queste tensioni tissutali (Zein-Hammoud e Standley, 2015). • Modello neurologico/comportamentale-biopsicosociale. Il dolore è 16
spesso accompagnato da uno stato di ipersensibilità dei tessuti periferici che favoriscono un ciclo vizioso neurologico-metabolico. Questo stato di sensibilizzazione neurologica e alterazione del sistema nervoso autonomo può condurre la persona ad un sovraccarico dell’intero sistema. Una specifica tipologia di trattamento osteopatico può bilanciare l’eccitazione autonomica producendo effetti antinfiammatori e iperparasimpatici (Ruffini et al., 2015) e stimolando le terminazioni libere e le fibre C; inoltre può modulare la soglia interocettiva e lo stato di sensibilizzazione centrale (D’Alessandro et al., 2016). • Modello metabolico-energetico. I trattamenti osteopatici sembrerebbero produrre effetti sia sulla risposta immunitaria generale, provocando un aumento ematico dei basofili (Mesina et al., 1998), sia sulla risposta anticorpale specifica (Measel, 1982), favorendo l’adattamento dei vaccini antivirali nel sistema. L’osteopatia potrebbe quindi avere un impatto sull’efficienza del sistema immunitario. (Jackson et al., 1998). • Modello circolatorio-respiratorio. Particolari tecniche osteopatiche incentrate sul sistema respiratorio hanno permesso di osservare benefici su pazienti asmatici. (Guiney et al., 2016). Per quanto riguarda invece il modello circolatorio studi clinici hanno evidenziato che tecniche osteopatiche volte ad influenzare questo sistema possono migliorare lo spessore dell’intima-media vasale e la pressione sistolica sanguigna. Questi risultati suggeriscono un potenziale effetto benefico dell’OMT nella gestione di pazienti a rischio di incidenti cardiovascolari (Cerritelli et al., 2011). Nell’ambito del ragionamento clinico osteopatico si distinguono due fasi: nella prima l’osteopata, utilizzando un approccio biomedico, esclude condizioni cliniche che necessitano di un rinvio a uno specialista; nella seconda fase, tramite una palpazione percettiva esegue una valutazione basata su diversi modelli correlando struttura e funzione, il cui risultato permette all’osteopata di eseguire 17
un ragionamento basato su quanto evidenziato in anamnesi e durante la palpazione. (Grace et al., 2016). Le fasi anamnestica ed osservazionale conducono l’operatore alla valutazione di un sovraccarico di tipo locale o generale. Questo processo guida l’osteopata alla selezione del modello di approccio più indicato per il paziente. (Lunghi et al., 2016). L'OMT dunque può essere definito come "l'applicazione terapeutica di forze manuali guidate da un osteopata per migliorare la funzione fisiologica e/o supportare l'omeostasi che è stata alterata dalla disfunzione somatica." (Joel E. Bialosky et al., 2008). Secondo il Glossario della terminologia osteopatica, OMT si riferisce ad una vasta gamma di tecniche manipolative che vanno dalla manipolazione articolatoria a quella viscerale includendo anche l'osteopatia cranica. (American Association of Colleges of Osteopathic Medicine, 2012). 1.5.1 Osteopatia e sport La pratica di uno sport a livello agonistico sottopone l’organismo a continue e pesanti sollecitazioni, il corpo umano possiede una capacità eccezionale di adattarsi agli sforzi, che siano meccanici, organici, fisiologici o psicologici. L’impiego di tecniche manipolative in ambito atletico risale già ai tempi dell’antica Grecia e si è tramandato fino ai tempi moderni con buoni risultati circa il recupero post infortunio ed il miglioramento della prestazione sportiva. (Brolinson et al., 2012). Gli obiettivi della medicina manuale sono quello di ripristinare il movimento massimale e indolore del sistema muscolo scheletrico, migliorare la funzione neuromuscolare e l’equilibrio biomeccanico. Per la medicina osteopatica, la perdita della capacità di adattamento è un campanello di allarme che deve essere preso in considerazione. Una volta instaurata la patologia, l’osteopatia ha il compito, nel rispetto delle realtà anatomiche e fisiologiche, di restituire la perfetta integrità funzionale. Tutte le funzioni dell’organismo sono interdipendenti e il sintomo non necessariamente compare 18
nello stesso punto della causa, ecco perché il campo di ricerca dell’osteopatia si occupa di tutti i sistemi dell’organismo. Lo sportivo è un paziente che spinge il proprio organismo ai confini dei suoi limiti fisiologici. Lo scopo del Trattamento Manipolativo Osteopatico (OMT) nell’atleta è l’individuazione degli squilibri biomeccanici e il ripristino del movimento massimale del sistema muscolo scheletrico. Inoltre migliora la funzione neuromuscolare e risolve i disturbi neurofisiologici dello sportivo agendo sulla struttura articolare, fasciale, viscerale, cranio sacrale. Alcuni atleti hanno riscontrato un miglioramento delle prestazioni dopo il trattamento manipolativo. L’osteopata aiuta a prevenire e migliorare eventuali lesioni sportive. Il trattamento manipolativo osteopatico è anche in grado di ridurre il dolore muscolare in seguito ad un allenamento o ad un infortunio. Traumi distorsivi, infiammazioni tendinee, alterazioni di tipo posturale e muscolari sono le problematiche più frequenti sui quali agisce l’osteopatia. Questa trova così nella gestione dello sport uno dei maggiori ambiti di applicazione. (Brolinson et aI., 2012). L’osteopatia, oltre a ricoprire grandissima importanza in ambito preventivo, gioca un ruolo strategico anche in campo riabilitativo post traumatico dello sportivo. I trattamenti osteopatici, infatti, si conciliano molto bene nell’iter medico e fisioterapico per il completo recupero funzionale della persona. (Auquier et al., 2009). 1.5.2 Osteopatia e stress Il nostro corpo è costituito da un insieme intricato di sistemi omeostatici. L'omeostasi è la tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità all'interno del nostro organismo nonostante le variazioni dell'ambiente esterno. Una delle forme più prominenti di perturbazione omeostatica si verifica a causa dello stress che minaccia il benessere fisico e/o psicologico dell'individuo; queste perturbazioni causano a loro volta una vasta gamma di sintomi somatici e/o psicosomatici che vanno ad influenzare tutti i sistemi del nostro corpo: sistema 19
nervoso, endocrino, immunitario, muscolo-scheletrico e comportamentale. • Sistema Nervoso: La funzione principale è quella di rilasciare in circolo catecolamine (noradrenalina e adrenalina) da parte della midollare del surrene. La risposta del SNS (Sistema Nervoso Simpatico) è abbastanza improvvisa affinché il corpo sia in grado di rispondere alla situazione di emergenza. Il problema si verifica quando siamo in presenza di stress cronico, quello che dura per un periodo prolungato di tempo, perché può provocare un esaurimento delle energie del corpo; il SNS continua ad innescare reazioni fisiche e di conseguenza provoca usura e danno al corpo, causando l’insorgenza di patologie negli altri sistemi corporei (Kozlowska, 2013). Studi hanno riportato che l'OMT può essere un potente approccio per migliorare l'attivazione parasimpatica e quindi prevenire esagerate attivazioni cardiache indotte dallo stress (Ruffini et. al., 2015) e che con l'applicazione di trattamenti osteopatici si ristabilisce un equilibrio simpatico vagale dopo un forte evento stressorio, inoltre agisce abbassando i livelli di cortisolo (Fornari et al., 2017). • Sistema neuroendocrino: Le cellule neuroendocrine dell’ipotalamo secernono e sintetizzano l’ormone di rilascio della corticotropina (CRF) che è il principale regolatore dell’asse HPA. In risposta allo stress, il CRF attiva l’ipofisi che a sua volta inizia a rilasciare l’ormone adrenocorticotropo (ACTH). Questo ormone stimola la sintesi e la secrezione di glucocorticoidi, tra i quali il cortisolo, a livello della corteccia surrenale. L’ipotalamo stimola le ghiandole surrenali a produrre l’ormone adrenalina che agisce mantenendo il corpo in stato di allerta per la sua risposta di attacco o fuga. (Smith et al., 2006) • Sistema muscolo-scheletrico: L’adrenalina porta a dei cambiamenti, sotto stress, al nostro corpo; uno di questi è la contrazione muscolare che perdura nel tempo a causa dello 20
stato vigile portato dal SNS. I nostri muscoli reagiscono così per protezione. Questa tensione muscolare nel tempo può condurre a dolori generalizzati. A livello del sistema muscolo scheletrico, in periodi di stress elevato aumenta il tono muscolare soprattutto a livello delle spalle, del collo e della colonna vertebrale cervicale e dorsale con la presenza di cefalee miotensive; numerosi studi mostrano che attraverso dei regolari trattamenti osteopatici è possibile ridurre queste tensioni muscolari. • Apparato respiratorio: Le situazioni di stress possono portare ad un aumento del fabbisogno metabolico con conseguente iperventilazione. Una maggiore ventilazione, normalmente, prepara il corpo all’azione. Quando la minaccia è interna assistiamo alla perturbazione dell’omeostasi. L’aumento della ventilazione avviene soprattutto nei momenti di stress acuto, mentre nello stress cronico accade l’opposto. Nello stress cronico, infatti, il muscolo diaframma risulta contratto e non permette un giusto equilibrio tra gli atti di inspirazione e espirazione. La respirazione in questo caso sarà corta. Un possibile cambiamento, dovuto al mal funzionamento diaframmatico coinvolgerà l’utilizzo di altri muscoli per compiere l’atto respiratorio. Verrà indotta una respirazione toracica, che sappiamo essere dannosa. La respirazione toracica potrà instaurare una rigidità a livello cervicale e nella parte alta della schiena. Un diaframma che non funziona correttamente può condurre anche a deficit a livello circolatorio e digestivo. (Kozlowska K, 2013) • Apparato digerente: Il Sistema Nervoso Centrale (SNC) e il sistema gastro-intestinale (SGI) sono intimamente connessi. È noto come lo stress possa portare a sintomi come dispepsia, diarrea o dolore addominale. La corticotropina (CRF) ha un effetto importante sull’SGI per la modulazione dell’infiammazione, sull’aumento della permeabilità e della sensazione di dolore. Il SNC e SGI 21
sono collegati anche alla flora intestinale: nelle situazioni di stress stimola cambiamenti. Una lunga esposizione allo stress può generare un cambiamento nella regolazione dell’asse cervello-intestino. (Konturek et al.,2011) • Sistema circolatorio: L'importanza del rapporto tra l'apporto di sangue al livello di funzione di un organo, è un principio fondamentale dell'osteopatia e uno dei grandi contributi di Still non solo a questa professione. Altri dati importanti sull'efficacia dell'OMT riguardano il beneficio che può dare a livello del sistema circolatorio, in particolare molteplici studi dimostrano che questi trattamenti agiscono sulla variabilità della frequenza cardiaca (rapporto LH/HF), sulla pressione sanguigna e sul battito cardiaco; tre variabili che sono molto influenzate dallo stress. Per quanto concerne la pressione sanguigna, diversi studi mostrano come questa si abbassi significativamente dopo l'OMT. • Sistema immunitario: La letteratura recente ha indicato una relazione tra lo stress e il livello di immunità alle mucose, in cui livelli crescenti di stress causati da stress percepito o fisico, possono causare una diminuzione della IgA. La diminuzione di questi anticorpi porterebbe quindi ad un indebolimento del sistema immunitario e di conseguenza ad un aumento delle infezioni soprattutto a livello respiratorio. Nella cura di pazienti seguiti da osteopati, è stato dimostrato che l'OMT migliora la circolazione linfatica e aumenta le risposte immunitarie. Negli ultimi 3 decenni, è stato studiato il potenziale effetto dell'OMT - in particolare le tecniche di pompa linfatica - sulla risposta immunitaria. Measel scopri che i soggetti che hanno ricevuto l'OMT hanno un evidente miglioramento nella risposta immunologica dopo le tecniche di pompa linfatica e splenica. (Measel, 1982) Per concludere, e capire meglio come l'osteopatia può aiutare le 22
persone sotto diversi aspetti è interessante citare uno studio condotto da Konstantin Korotkov che ha voluto dimostrare come i trattamenti di osteopatia influenzano determinati aspetti misurabili attraverso la bioelettrografia, un'elettrofotografia ad alta tensione del biocampo umano; con questa metodologia è possibile misurare la componente fisica, psicologica, emotiva, lo stress e il livello di funzionamento degli organi di una persona. La maggior parte dei destinatari di questi trattamenti osteopatici ha riscontrato riduzione dei livelli di stress e miglioramento della pressione arteriosa; tutti i soggetti erano di buon umore dopo il trattamento; molti di loro avevano dolore e tensione muscolare che sono scomparsi. Questi cambiamenti sono stati riflessi in tutti i parametri analizzati, sia in ambito psicosomatico che in stati somatici. È stato dunque dimostrato che l’OMT influisce positivamente su tutti i sistemi che vengono alterati dallo stress. (Kortkov et al., 2012). 1.5.3 Osteopatia e depressione L'omeostasi è un processo integrato che coinvolge le interazioni del cervello e del sistema immunitario. L'effetto del pensiero sull'omeostasi viene esplorato nella depressione e in altri stati mentali alterati. Le donne soffrono di episodi di depressione tre volte più spesso degli uomini, soprattutto in età fertile, per via di meccanismi biologici, in particolare dati dagli effetti che determinati ormoni hanno sul cervello. Storicamente, gli studi OMT di Andrew Taylor Still, furono tra i primi a sostenere l'esistenza di un'integrazione tra il sistema nervoso, il comportamento e il sistema immunitario. I ricercatori che hanno studiato il trattamento manipolativo nella cura del paziente hanno riportato vari risultati, tra cui stati d'animo migliorati, degenza ospedaliera abbreviata e miglioramento dello stato depressivo, specialmente negli anziani. Tuttavia, sapendo che il sistema endocrino, i neurotrasmettitori e il sistema immunitario possono determinare stati depressivi, la causa della depressione è stata attribuita su base 23
neurobiologica. I cambiamenti comportamentali, tipici degli stati depressivi, modificano la funzione immunitaria. È stato dimostrato che gli stati affettivi negativi deprimono i livelli di anticorpi, mentre gli stati affettivi positivi hanno l'effetto opposto su questi, quindi, alterazioni del comportamento o dello stato psicologico, si traducono in cambiamenti della funzione del sistema immunitario, con conseguenti alterazioni delle cellule T, delle cellule B e della funzione delle cellule natural killer (NK). Gli studi condotti negli ultimi 15 anni hanno dimostrato che esiste una comunicazione tra il cervello e il sistema immunitario. L'attuale trattamento convenzionale di individui con depressione moderata di solito include farmaci antidepressivi in aggiunta ad una consulenza psichiatrica. Poiché esiste una connessione diretta tra il comportamento e il sistema nervoso e immunitario, è ragionevole aspettarsi che l'OMT, che influenza la trasmissione neurale, abbia un impatto sugli stati comportamentali e che tali alterazioni possano essere monitorate attraverso la valutazione dello stato immunologico. Risultati di uno studio indicano che l'OMT può essere usato in aggiunta alla terapia psichiatrica standard per alleviare la depressione, almeno come misurato dalla scala Zung. I dati di questo studio forniscono la base per un'ulteriore revisione del ruolo delle cure primarie nel trattamento dei pazienti con depressione, attraverso l'uso di OMT. Inoltre, questo accelerato tasso di miglioramento in pazienti affetti da depressione potrebbero portare ad una riduzione del carico sul sistema sanitario fornendo cure economiche per una malattia cronica grave e prevalente. Chiaramente, sono necessari ulteriori studi per confermare o confutare l'efficacia dell'OMT nel trattamento della depressione. Gli studi futuri dovrebbero continuare ad esaminare l'effetto dell'OMT sulla risposta immunitaria, con l'obiettivo finale di utilizzare i cambiamenti misurati come misure di lettura dell'efficacia dell’OMT e dello stato generale di salute mentale. (Plotkin B.J., 2001) 24
1.5.4 Osteopatia e ansia Le prove scientifiche mostrano come la mente e il corpo siano intrinsecamente e dinamicamente connessi: percezioni, pensieri e sentimenti cambiano e rispondono a uno stato fisico e viceversa. L'ansia viene solitamente affrontata come una condizione mentale e corporea che coinvolge più sistemi. Nel corso degli anni sono emersi diversi modelli empirici e teorici per spiegare le emozioni e in particolare l’ansia, tra cui i modelli cognitivo-percettivi e l'ipotesi del marker somatico. L'emozione è la rappresentazione e la regolazione dei cambiamenti omeostatici che si verificano a diversi livelli del corpo e del cervello in determinate situazioni. In questo contesto, l'interocezione gioca un ruolo importante. I meccanismi psico-fisiologici contribuiscono ai cosiddetti disturbi dell'ansia endogena; tratti affettivi (ad es. sensibilità all'ansia) e tratti fisiologici costituzionali sono dimensioni importanti che sono implicate nello sviluppo e nel mantenimento dell'ansia e dei sintomi somatici (Bulbena et al., 2015) Si ipotizza che uno stato emotivo alterato possa causare cambiamenti al di fuori del sistema nervoso centrale che, a loro volta, lo influenzano producendo cambiamenti nel tono muscolare scheletrico. La terapia manipolativa osteopatica può avere risultati benefici nel trattamento dei disturbi emotivi. Gli effetti del trattamento osteopatico possono operare in tre modi: attraverso le afferenze che modificano il livello generale dell'attività cerebrale, attraverso la modificazione dei riflessi pavloviani e attraverso le influenze sul sistema nervoso autonomo. È stato anche suggerito che i disordini scheletrici possono servire come "messa a fuoco" nel determinare il sito dei disturbi fisici apparenti o reali così spesso associati a malattie emotive. Quindi, un paziente soggetto a disagio emotivo può sviluppare ulcera peptica, un altro può sviluppare malfunzionamenti del colon, e un terzo può mostrare manifestazioni di malattia coronarica. (Bradford et al., 1965) Un muscolo spesso coinvolto nei disturbi d’ansia è il diaframma influenzando la percezione del dolore e lo stato emotivo. Gli individui ansiosi di solito hanno una 25
disfunzione respiratoria che genera lavoro più intenso nella parte superiore del torace e minor attività diaframmatica. E’ noto che un sintomo immediato nei disturbi d’ansia è l’iperventilazione. (Castro-Sanchez et al., 2009). Il diaframma è innervato dal nervo frenico e dal nervo vago. Il nervo vago forma diverse anastomosi, compreso il sistema simpatico nella regione cervicale e addominale e il nervo frenico. I nervi frenico e vago sono coinvolti nelle funzioni respiratorie del diaframma, in perfetta sinergia. La percezione del dolore è ridotta nell'apnea inspiratoria, quando il diaframma si abbassa. Questo evento suggerisce l'intervento di barocettori. La relazione tra ansia e funzione respiratoria (veicolata dal diaframma) è quindi bidirezionale, da questi presupposti si può dedurre che l’osteopata agendo sul muscolo diaframmatico possa generare una variazione sui centri emotivi. Il nervo frenico ha una stretta relazione con il sistema simpatico, non solo a livello diaframmatico, ma anche nella regione del ganglio stellato, dove le fibre post-gangliari si alzano e scendono verso il diaframma (in particolare il nervo frenico destro). Il nervo vago contiene anche fibre simpatiche. Pertanto, possono essere ipotizzate condizioni di sovra-stimolazione del sistema simpatico in seguito ad alterazioni freniche e vagali, anche una disfunzione del sistema nervoso simpatico influisce negativamente sulla percezione del dolore e sulle emozioni. (Bordoni et al., 2017) Oltre ad agire sugli stati emotivi sfruttando componenti muscolo-scheletriche, fasciali e viscerali l’OMT si è dimostrato efficace anche tramite l’approccio cranio-sacrale. Uno studio mostra che la terapia cranio-sacrale migliora la qualità della vita dei pazienti, riducendo la loro percezione del dolore e della fatica e migliorando il sonno e l'umore, con un aumento della funzione fisica, riduce i livelli di ansia, migliorando parzialmente lo stato depressivo. (Castro-Sanchez et al., 2009). Oltre alle evidenze scientifiche anche la percezione soggettiva dei pazienti mostra un ruolo favorevole dell’osteopatia rispetto a disturbi ansiogeni. I risultati 26
di uno studio condotto sulla percezione dell’OMT su pazienti ospedalizzati indicano che i pazienti percepivano l'OMT come benefico in vari aspetti dell'assistenza ospedaliera cioè livello di comfort, stress e ansia. Almeno il 90% di tutti gli intervistati ritiene che l'OMT sia benefico nel migliorare il comfort generale, facilitare il recupero e ridurre lo stress e l’ansia. (Beck et al., 2008) 1.6 Canoa La canoa nasce, in origine, come mezzo di trasporto per soddisfare la necessità dell’uomo di spostarsi attraverso l’acqua. La canoa moderna, più comunemente conosciuta come kayak, è un’imbarcazione interamente coperta a sponde basse. Il canoista che durante l’attività siede all’interno dell’imbarcazione, entra nel kayak attraverso un pozzetto aperto nella copertura ed impugna una pagaia a doppia pala. La canoa, come sport, raggiunge l’apice del successo quando nel 1936 viene inserita come specialità olimpica ai giochi di Berlino, nello stesso anno la Reale Federazione Italiana di Canottaggio istituisce la sezione di canoa, ma solo più tardi nel 1987 la Federazione Italiana Canoa e Kayak (F.I.C.K.) ottiene il proprio riconoscimento a federazione effettiva. Le discipline ad oggi riconosciute dalla F.I.C.K. sono: canoa slalom, canoa velocità, canoa polo, canoa discesa e canoa maratona (www.federcanoa.it) 1.6.1 Categorie Come in tutti gli sport anche gli atleti e le gare di canoa vengono suddivisi in categorie ben precise in base alle varie discipline. • Canoa Slalom: nel Kayak monoposto (K1 e K1 a squadre) possono competere sia uomini che donne. • Canoa Velocità: per quanto riguarda la canoa velocità il Kayak (K1, K2, K4), comprende categorie sia maschili che femminili. 27
• Canoa Polo: le partite di canoa polo sono disputate sia da squadre maschili che femminili e a seconda della collocazione geografica possono essere svolte all’aperto o indoor. • Canoa Discesa: nelle gare di Kayak monoposto (K1) possono competere sia uomini che donne. • Canoa Maratona: sia uomini che donne possono prender parte alle competizioni con Kayak mono e biposto (K1 e K2). (www.federcanoa.it) 1.6.2 Biomeccanica Uno sport come la canoa richiede elevati livelli di capacità aerobiche e anaerobiche, così come la massima forza e potenza muscolare. (Pallarès e Izquerdo, 2011). Il lavoro del canoista segue un preciso schema motorio che rimane invariato indipendente dalle condizioni esterne: il movimento è ritmico, sistematico e ciclico, si alternano fasi di contrazione e rilassamento, che determinano la natura dinamica del lavoro muscolare. Il picco di rendimento è caratterizzato dalla massima potenza metabolica (aerobica e anaerobica) espressa con un movimento il più economico possibile. (Hagner-Derengowska et al., 2013). Questo sport richiede importanti prestazioni della parte superiore del corpo e della muscolatura del tronco (Mark R. McKean e Brendan Burkett, 2009) in particolare vengono eseguiti movimenti di trazione e spinta, in uno schema di movimento che può essere definito bilaterale, simmetrico e reciproco. Le massime sollecitazioni avvengono a livello della spalla, definita come lo “snodo” fondamentale nell’esecuzione dei movimenti. (Mark R. McKean e Brendan Burkett, 2009). In una gara, i canoisti sono tenuti a pagaiare i loro kayak con il massimo sforzo per tutta la lunghezza della distanza di gara. (Jacob S. Michael et al., 2009). La risultante delle forze in gioco nel sistema Pagaia-Atleta-Kayak non consente alla canoa di procedere con una velocità e direzione costante. L’equilibrio alternato che regola il movimento si basa sul principio di azione e reazione e dipende dalla forza prodotta dal canoista attraverso l’attrito della 28
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