DECRETI ATTUATIVI DEL JOBS ACT - DL 15 giugno 2015, n. 80 Conciliazione vita-lavoro - UDS Puglia
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Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i DECRETI ATTUATIVI DEL JOBS ACT DL 15 giugno 2015, n. 80 [Conciliazione vita-lavoro] DL 15 giugno 2015, n. 81 [Tipologie contrattuali] SCHEDA TECNICA DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 80 [Conciliazione vita-lavoro] Il provvedimento fa riferimento soprattutto al testo unico a tutela della maternità (n°151 del 26 marzo 2001) e contiene misure pensate per sostenere i genitori, in particolare le madri che lavorano nell'assolvimento delle cure parentali. Come nella legge delega sia la forma lessicale che la ratio legis risultano perlopiù rivolte alla componente femminile del nucleo genitoriale, distante dunque dal riflettere e riconoscere giuridicamente quel modello culturale e sociale in cui la cura delle relazioni e famigliari e l’assistenza parentale non spetta esclusivamente alla donna. Innanzitutto, il decreto interviene sul congedo obbligatorio di maternità e introduce la possibilità di dilazionarlo nel tempo in casi particolari come quelli di parto prematuro o di ricovero del neonato, godendo del congedo a partire dalla data di dimissione dall’ospedale del nascituro. Inoltre viene prevista un'estensione massima dell'arco temporale di ricorso al congedo parentale dagli attuali 8 anni di vita del bambino fino a 12. Il congedo parentale parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età a 6 anni (per le famiglie meno abbienti questo beneficio può arrivare fino ad 8 anni). Le stesse misure vengono introdotte anche per i casi di adozione o di affidamento. Queste modifiche, tendenzialmente suscettibili di valutazioni positive, risultano tuttavia limitate nella loro portata politica, in quanto la normativa sui congedi di paternità viene contemplata esclusivamente in termini residuali. Di fatti, viene estesa a tutte le categorie di lavoratori la possibilità di usufruirne nei casi in cui la madre non possa farlo per motivi naturali o in particolari situazioni, ma il Jobs act non presenta in maniera evidente la volontà politica di dare sostanza al congedo di paternità ed estenderlo alla stessa durata di quello di maternità. La lavoratrice neo-mamma, invece, ha la possibilità di scegliere tra la fruizione giornaliera del congedo e quella oraria. All’art. 7 viene chiarita la procedura del congedo ad ore che consiste nella possibilità di costruirsi un part time su misura nel periodo del rientro dalla maternità spalmando in modo orizzontale il congedo parentale sul proprio orario di lavoro. Peraltro, se da un lato finalmente vengono introdotte nuove norme che estendono e parificano le tutele previste per i genitori naturali anche per i genitori adottivi o in casi di affidamento, dall’altro lato il Jobs Act inserisce nel riordino delle tipologie contrattuali una soluzione alternativa al congedo di maternità parzialmente retribuito. Nonostante questa normativa sia in sperimentazione esclusivamente per l’anno solare 2015, è impossibile non evidenziare alcuni aspetti che rendono tale opportunità una vera e propria scelleratezza. Nel decreto legislativo sulle formule contrattuali (art.8, comma 7) si fa riferimento alla possibilità di trasformare il il congedo parentale in part-time, con una riduzione dell’orario di lavoro del massimo 50%. La donna interessata quindi può scegliere se tornare subito a lavorare senza usufruire del congedo, se usufruire del congedo di sei mesi oppure se ridimensionare il proprio orario di lavoro, senza abbandonare il luogo di lavoro, per poi tornare al lavoro a tempo pieno. Questa rappresenta una scelta anche di tipo economico per la madre. Il congedo parentale è pagato al 30 per cento dello stipendio, con il part time si guadagna poco di più e questo potrebbe essere motivo di Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i rinuncia ad un proprio diritto in situazioni di difficoltà economiche, alla stregua di un ricatto. A livello europeo, la varietà dei modelli che disciplinano la conciliazione vita-lavoro doveva essere ricondotta in uno schema comune di garanzie minime: almeno 20 settimane di congedo di maternità obbligatorio retribuito integralmente, almeno due settimane di congedo obbligatorio per i neo papà, anche questo a piena retribuzione. Erano queste le proposte fatte nel 2010 per rafforzare la direttiva europea in materia ma, dopo essere state bloccate per cinque anni, sono state definitivamente archiviate dalla Commissione a causa dell’impossibilità di trovare un accordo tra i paesi membri. Ad oggi, molti paesi dell’UE sono comunque più avanti rispetto all’Italia nel tutelare le esigenze di conciliazione. Secondo il rapporto ILO Maternity and Paternity at Work del 2014, in Italia le sperimentazioni legislative volte a favorire la collaborazione tra madre e padre nella cura dei figli sono state poche e deboli. Infatti il congedo di paternità prevede un solo giorno retribuito, a fronte delle Francia e della Spagna, in cui sono concesse ai neopapà 2 settimane al 100% dello stipendio, per non parlare del Portogallo (20 giorni, di cui i primi 10 obbligatori) della Finlandia (54 giorni) o della Slovenia (90 giorni). In Svezia, il paese che introdusse i congedi parentali, i genitori possono godere, in modo frazionabile e prolungabile, di 13 mesi di congedo parentale all’80% della retribuzione. Ma non si tratta solo di un’eccezione virtuosa: su 35 paesi che, tra Europa ed Asia, sostengono economicamente la possibilità del congedo parentale, l’Italia è uno dei pochi che si limita a garantire solo il 30% dello stipendio (ILO, 2014). Per questo riteniamo che sarebbe stato molto più opportuno, da parte del governo, aumentare la retribuzione del congedo, in linea con gli altri paesi europei, piuttosto che prevedere la possibilità di part-time al 50% dello stipendio, rendendo lo strumento del congedo parentale una possibilità che esiste sulla carta, ma che rischia di rimanere lettera morta perché troppo difficile da sostenere economicamente da parte delle famiglie. Per quanto concerne l’ indennità di maternità, questa viene estesa anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi, pure ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla gestione separata (Legge n. 335/95) non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie. Infine, il decreto contiene due disposizioni agli artt. 23,24 in materia di telelavoro e di donne vittime di violenza di genere. Si introducono, quindi, benefici per i datori del privato che facciano ricorso al telelavoro per venire incontro alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti. Per quanto riguarda le donne vittime di violenza viene predisposto un congedo ed accorgimenti per la protezione certificata. Si prevede inoltre la possibilità per le lavoratrici dipendenti, nel pubblico o nel privato (ad esclusione del lavoro domestico), nonché per le titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di astenersi dal lavoro, per un massimo di 3 mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo la retribuzione e gli altri diritti connessi. Rispetto alle disposizioni in caso di violenza di genere, riteniamo siano portatrici di contraddizioni intrinseche ed incapaci di produrre cambiamenti socio-culturali in Italia nel contrasto alle discriminazioni di genere, per l’emancipazione economica e sociale della donna e preventive della violenza stessa. Infatti, in riferimento all’intero Decreto Legislativo evidenziamo grossi limiti: innanzitutto che non apporta avanzamenti normativi per il raggiungimento di un welfare balance universale e non rivolto esclusivamente alla componente femminile; si compone di norme contrastanti tra loro sia per generalità nei contenuti sia per ratio apparentemente escludenti tra loro ( schizofrenia evidente soprattutto riguardo alle novità sui congedi); in conclusione, queste disposizioni sarebbero in sperimentazione fino a Dicembre 2015, per pochi mesi dunque, un arco temporale non sufficiente neanche per avere riscontri empirici di quanto previsto, a riprova di un approccio propagandistico, miope e strumentale di questo Governo in materia di politiche di genere. Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 81 [Tipologie contrattuali] Il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, anche detto Codice dei Contratti, in attuazione della legge delega c.d. Jobs Act riformula la disciplina organica dei rapporti di lavoro e delle tipologie contrattuali e rivede la normativa in materia di mansioni. Capo I Disposizioni in materia di rapporto di lavoro L’Articolo 1 definisce che la forma contrattuale comune è il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Significa che altre tipologie contrattuali dovrebbero essere previste solo in presenza di particolari condizioni. La formulazione dell’Articolo 1 è piuttosto comune nella legislazione degli Stati europei. E’ opportuno ricordare che gli effetti dello stesso Jobs Act hanno modificato profondamente la natura del contratto a tempo indeterminato, a partire dalla sopressione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e quindi della “tutela reale” del posto di lavoro. In un regime che vede la livellazione verso il basso dei diritti e l’estensione del ricatto della precarietà a tutto il mondo del lavoro, è interessante testare nella pratica il significato della formula “forma contrattuale comune”. Il combinato disposto della decontribuzione prevista in Legge di Stabilità per l’attivazione di contratti a tempo indeterminato e della manomissione delle tutele contenute nello Statuto dei lavoratori non hanno comunque impattato positivamente nella composizione dei contratti attivati. Il tema è da mesi oggetto della martellante propaganda del Governo Renzi, che con cadenza mensile sfrutta i dati sulle attivazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato per sottolineare che la propria azione riformatrice sta contrastando disoccupazione e precarietà. Citiamo solo un dato per smentire il Governo: nel mese di Maggio 2015 il saldo fra attivazioni e cessazioni per i contratti a tempo indeterminato è di 271 unità, mentre sale a 184.000 unità per i contratti a tempo determinato (fonte Ministero del Lavoro). La realtà del Decreto Poletti dello scorso anno è la liberalizzazione del contratto a tempo determinato, emancipato dai vincoli di causalità e prorogabile fino a 5 volte in 36 mesi: la precarietà diventa norma, questo è il vero risultato strutturale dell’intervento nel mercato del lavoro del Governo Renzi. Collaborazioni organizzate dal commitente: Il decreto sancisce la conversione a partire dal 1° gennaio 2016 la conversione in rapporti di lavoro subordinato dei rapporti di collaborazione che si concentrano in prestazioni personali, continuative e le cui modalità di esecuzione (tempi e luoghi di lavoro) sono organizzate dal committente. La norma intende superare i rapporti di parasubordinazione e il ricorso alle false partite IVA. Questa disposizione non viene applicata in caso di: • collaborazioni per le quali accordi collettivi nazionali che prevedono discipline specifiche in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore; • collaborazioni nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in albi profesionali; • consigli di amministrazione e organi di controllo delle società. Le disposizioni finali (Art. 52 e Art. 53) del decreto attuativo sanciscono, da un lato, l’abrogazione degli articoli della c.d. Legge Biagi che riguardavano le collaborazioni a progetto e, dall’altro, il superamento dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro. L’Articolo 54, invece, prevede per il 2’16 una Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i sanatoria sui precedenti illeciti amministrativi per incentivare la stabilizzazione di co.co.co, co.co.pro e titolari di partita IVA. In sostanza, la promessa di Renzi e Poletti di operare una profonda semplificazione attraverso il riordino delle tipologie contrattuali si riduce all’abolizione di co.co.pro. e delle associazioni in partecipazione. La montagna ha partorito un topolino, peraltro perfettamente coerente con l’impianto ideologico del Governo: le forme contrattuali precarie restano ampiamente disponibili per i datori. Anziché estirpare il precariato dal mercato del lavoro, il Jobs Act lo rafforza e lo estende in forme fino ad oggi inedite. Demansionamento: Il decreto rivede la disciplina sulle mansioni. In particolare, si stabilisce che il lavoratore deve essere impiegato in mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore della stessa categoria legale. La modifica più pesante riguarda il demansionamento in caso di fronte a modifiche degli assetti organizzativi aziendali: il lavoratore può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello inferiore di inquadramento senza passare dalla contrattazione sindacale. Persino la mancata formazione del lavoratore nello svolgimento delle nuove mansioni assegnategli non è comunque motivo di nullità dell'atto di assegnazione delle stesse (comma 3), il lavoratore sarà quindi comunque tenuto a svolgere le nuove mansioni senza la dovuta formazione, aumentando così i rischi di infortuni sul lavoro, in totale violazione dell'art. 2087 cc che obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Questo intervento è fortemente penalizzante per il potere contrattuale dei lavoratori nei confronti della parte datoriale, la quale acquisisce un ampio margine di manovra sulla possibilità di demansionare i propri dipendenti al di fuori dalla negoziazione. E’ un ulteriore fattore di ricattabilità che si inserisce nella prospetiva complessiva di cancellazione de diritti dei lavoratori e sindacali. Capo II Lavoro a orario ridotto e flessibile Sezione I - Lavoro a tempo parziale Le norme contenute dal decreto sul contratto a tempo parziale non vedono particolari stravolgimenti, esse si possono considerare in continuità tanto con le precedenti leggi in materia ( D.Lgs. 25/02/2000, n. 61 - Artt. 1-12 ter ) quanto con le linee generali del Jobs Act. Le novità si possono riassumere con la riduzione, a favore dell'impresa, di alcune restrizioni; la direzione è quella di una flessibilizzazione del lavoro, attraverso la facoltà del datore di lavoro di aumentare l'orario, e di un'elasticizzazione del lavoro, attraverso la facoltà del datore di lavoro di variare con poco preavviso l'orario delle prestazioni lavorative. Definizione Il contratto part time riguarda il lavoro subordinato e può essere a tempo determinato o indeterminato; esso prevede un orario inferiore alle 40 ore settimanali proprie del tempo pieno. Il part timer, pur avendo un trattamento economico e normativo proporzionale alla durata della sua prestazione, ha pari diritti di un lavoratore a tempo pieno. Il testo del decreto legislativo non fa riferimento alle classificazioni finora vigenti del lavoro part time ( orizzontale, verticale e misto a seconda del numero di giorni in cui si distribuiscono le ore previste dal contratto) che, dunque, vanno considerate superate. Le ore stabilite dal contratto a tempo parziale potranno essere distribuite indistintamente su tutti i giorni feriali della settimana ad orario ridotto o solo in alcuni giorni a orario completo. Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i Supplementare e straordinario Il datore di lavoro può chiedere al part timer delle prestazioni supplementari oltre l'orario concordato entro i limiti dell'orario di lavoro full-time. • La disciplina del lavoro supplementare è stabilita dal contratto collettivo nazionale ma da oggi è possibile richiedere tali prestazioni anche in mancanza di CCNL: l'unico limite posto al datore di lavoro è il divieto di richiedere prestazioni di lavoro supplementare superiori al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate (Queste ore sono maggiorate nella retribuzione lorda del 15%). • Come già previsto dalla “legge Biagi” del 2003 ( art. 1 comma 2 lett c, del dlgs n. 66) il datore di lavoro può richiedere, con un preavviso di soli 2 giorni, anche prestazioni di lavoro straordinario oltre il limite dell'orario di lavoro full-time. Clausole elastiche Il datore di lavoro può subordinare l'assunzione di un lavoratore all'inserimento nel contratto di un' eventuale clausola di elasticità, ( introdotte dal d.lgs 61 del 2000) che da completa facoltà al datore di aumentare arbitrariamente ( con un preavviso di soli 2 giorni) l'orario di lavoro. A partire dalla legge Biagi, e così tale decreto conferma, non è necessario, per la legittimità delle stesse clausole di elasticità, che queste siano previste da un contratto collettivo nazionale; possono invece essere “liberamente” pattuite dalle parti. Resta la maggiorazione del 15% della retribuzione lorda. La revoca del consenso alla clausola è permessa ( Fornero 2008) esclusivamente alle figure di “studenti lavoratori” (giuridicamente stabilite dallo Statuto dei Lavoratori 1970) ed a salariati soggetti a gravi impedimenti lavorativi. In caso di mancato rispetto dei limiti previsti dalla legge dei contratti collettivi in materia di clausole elastiche non è previsto nient'altro che una mera sanzione pecuniaria a carico del datore di lavoro. Congedo parentale • Nei casi di necessità di congedi parentali, come nei casi di alcune gravi patologie, è possibile, da oggi, la conversione del rapporto contrattuale da tempo pieno in un part-time con un monte ore non inferiore al 50% delle ore previste. Forma scritta Ai fini della prova il contratto deve essere scritto ed indicare puntualmente la durata e la collocazione temporale della prestazione lavorativa richiesta. Qualora manchi la forma scritta, al fine di provare la natura part-time del contratto, il lavoratore può richiedere la Pronucia Giudiziale che riconosce che “da sempre” il rapporto contrattuale è a tempo pieno, dunque full time. Qualora invece la forma scritta provi la natura part-time del contratto ma non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, anche qua, il lavoratore può richiedere la Pronuncia Giudiziale, ed essere riconosciuto, “da quel momento in poi”, lavoratore full-time. Computazione In ordine al computo dei dipendenti i lavoratori part-time non sono computati come lavoratori veri e propri ma in base all'orario concordato nel contratto. ( 50 full-time = 100 part-time). Sezione II - Lavoro intermittente Questa sezione disciplina il lavoro intermittente o a chiamata, definito come contratto di lavoro, anche a tempo determinato, per il quale il datore di lavoro può usufruire in maniera discontinua delle prestazioni di manodopera secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi o nelle situazioni disciplinate da apposito decreto del Ministero del Lavoro. Molto diffuso nei settori degli esercizi, del commercio e del turismo, il contratto a chiamata è previsto anche dal contratto nazionale degli studi professionali, mentre non si applica Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i nella Pubblica Amministrazione. La normativa non viene di fatto modificata nella sostanza dal decreto attuativo sulle tipologie contrattuali del Jobs Act. Restano infatti la quasi totalità delle prescrizioni legislative già in vigore. Si sottolinea che il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta e che può essere utilizzato in ogni caso con soggetti con meno di 24 anni, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni. Il perimetro di applicabilità del lavoro a chiamata viene tracciato escludendo per legge il ricorso a questa tipologia contrattuale per la sostituzione dei lavoratori che esercitano il diritto di sciopero o presso unità produttive nelle quali si è proceduto nei sei mesi precedenti a licenziamenti collettivi. Si tratta di due casi emblematici di quanto il lavoro a chiamata possa diventare uno strumento in mano alla parte datoriale per sostituire arbitrariamente manodopera o per aggirare il diritto di sciopero mantenendo costanti i livelli produttivi. Il lavoro intermittente prevede la possiblità di corrispondere una indennità di disponibilità, oltre alla retribuzione della prestazione lavorativa. Questa indennità è determinata dai contratti collettivi, non può essere inferiore (quando presente) all’importo fissato con apposito decreto del Ministero del Lavoro ed è interamente assoggettata alla contribuzione previdenziale. Il Jobs Act mantiene su questa materia tutta una serie di norme che rendono il lavoratore intermittente altamente ricattabile, a fronte del potere del datore di lavoro di richiedere con scarso preavviso l’esecuzione della prestazione di lavoro. In particolare, il rifiuto non adeguatamente giustificato di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento, mentre in caso di malattia o di altro avento che rende impossibile prestare la propria manodopera si perde il diritto all’indennità. Il Jobs Act, quindi, conferma il carattere altamente ricattatorio del lavoro a chiamata e lascia ampio margine discrezionale ai datori di lavoro su questioni decisive, come i casi di giustificato motivo per l’interruzione del rapporto di lavoro. Decine di migliaia di giovani, spesso in concomitanza con gli studi, entrano nel mercato del lavoro tramite il Job on call, costretti a rispondere immediatamente alla chiamata del datore di lavoro per non rischiare il licenziamento. La precarietà nella programmazione della propria vita nel lavoro intermittente si somma all’assenza di ammortizzatori sociali universali. I requisiti contributivi per accedere alla Nuova AsPI risultano escludenti per buona parte dei lavoratori a chiamata, che si trovano con frequenza di fronte al rischio sociale della discontinuità di reddito e della mancanza di diritti pienamente riconosciuti circa malattia e genitorialità. Capo III Lavoro a tempo determinato Il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato è stato oggetto di un profondo intervento del Governo Renzi nel 2014 con il c.d. Decreto Poletti, criticatissimo per aver compiuto una liberalizzazione de facto del contratto a termine, elevando la precarietà a norma del mercato del lavoro. Il Jobs Act sostanzialmente recepisce la normativa del Decreto Poletti e chiarisce alcuni aspetti della precedente disciplina. Il contratto a tempo determinato tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello ha durata massima di 36 mesi: oltre questo termine temporale - per effetto di un contratto unico o per una successione di contratti - il contratto si trasforma in un tempo indeterminato. Tuttavia, presso la direzione territoriale del lavoro competente può essere stipulato un ulteriore contratto a tempo determinato per la durata massima di 12 mesi anche alla scadenza dei 3 anni. Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i Come stabilito dal Decreto Poletti, il contratto a tempo determinato può essere prorogato fino a 5 volte, sempre dentro una durata complessiva di 36 mesi. Da notare che queste limitazioni non si applicano alle imprese start-up innovative disciplinate dal decreto legge “Salva Italia” del Governo Monti (2012): l’economia della conoscenza stracciona del Governo Renzi prevede eroici venture capital che impiegano lavoratori con alti tassi di specializzazione e di conoscenza, ma con precarietà crescente e senza i fondamentali investimenti pubblici in Ricerca e Sviluppo. Se il rapporto di lavoro a tempo determinato prosegue oltre il limite dei 36 mesi, il datore di lavoro ha la possibilità di non stabilizzare il lavoratore se la continuazione non va oltre i 30 giorni: sarà sufficiente una maggiorazione della retribuzione del 20% fino al decimo giorno succesivo e del 40% per ciascun giorno ulteriore fino al trentesimo. Non possono essere assunti lavoratori a TD in misura superiore al 20% dei dipendenti a tempo indeterminato: oltre alle diverse disposizione che derivano dai contratti collettivi, tale indicazione non si applica ai contratti conlcusi: i) nella fase di avvio di nuove attività; ii) da imprese start-up innovative; iii) per lo svolgimento di attività stagionali iv) per specifici spettacoli o per specifici programmi radiofonici o televisivi; v) per sostituzione di lavoratori assenti; vi) con lavoratori di età superiore a 50 anni; vii) da università private, enti di ricerca pubblici e privati e per lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica e tecnologica. In caso di violazione di queste disposizioni si applica una sanzione amministrativa al datore di lavoro. Non sono inserite nel decreto disposizioni stringenti per quanto riguarda l’accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di adeguata formazione, per aumentare qualificazione e promuoverne la carriera. Viene soltanto indicata la possibilità che i contratti collettivi prevedano modalità e strumenti diretti a questo obiettivo. E’ una grave mancanza che deresponsabilizza il datore di lavoro e favorisce il ricorso al contratto a tempo determinato come strumento di ricatto, anziché come dispositivo di ingresso dentro un contesto lavorativo con prospettive di stabilizzazione. E’ opportuno ricordare come il Decreto Poletti ha eliminato la “causale” per la stipulazione di un contratto a tempo determinato e per la somministrazione di lavoro a tempo determinato. La acausalità è divenuta la norma, sollevando la parte datoriale dall’obbligo di giustficare la scelta del contratto a tempo determinato in base a provate esigenze produttive o di inserimento. Capo IV Somministrazione di lavoro La somministrazione di lavoro è quel rapporto di lavoro nella quale la manodopera lavorativa viene fornita ad un utilizzatore da parte delle agenzie di somministrazione. In questo caso viene ad esserci una scissione del datore di lavoro, in quanto c’è un datore di lavoro formale (agenzia di somministrazione) che fornisce il lavoratore al datore di lavoro sostanziale (utilizzatore). Il lavoratore, quindi, è alle dipendenze del somministratore, e la sua forza lavoro, considerata come una merce, viene fatta oggetto di contratto commerciale tra quest’ultimo e l’utilizzatore. Il rapporto di lavoro può essere sia a tempo indeterminato che determinato. Il “Jobs Act”, rispetto alla previgente disciplina, ha liberalizzato la somministrazione di lavoro a tempo determinato, rendendola acausale, ed eliminando le “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, prima necessarie per utilizzare questa tipologia. Questa innovazione trasforma anche nel caso della somministrazione, il contratto a termine da eccezione a regola, in contrasto con la direttiva europea n° 70/1990, che ritiene, quello a tempo indeterminato, il Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i contratto di lavoro tipico, e quindi derogabile solo attraverso ragioni giustificatrici. Altra novità è la liberalizzazione dello “staff leasing”, per cui un utilizzatore può “affittare” un lavoratore senza limiti di tempo, con l’unica limitazione del 10% rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato in forza all’utilizzatore. Prima erano previste ipotesi tassativamente indicate dalla legge nelle quali era ammesso questo fenomeno, oggi non è più così. Se l’intento del Jobs Act era quello di diminuire la precarietà, l’esempio della somministrazione, rende evidente come questo provvedimento incentiva ancora di più l’utilizzo di forme contrattuali flessibili, che precarizzano ancor di più le vite dei lavoratori. Questo tipo di contratto è la rappresentazione plastica della mercificazione del lavoro: l’agenzia di somministrazione “commercializza” la forza lavoro che possiede ad imprese completamente deresponsabilizzate nei confronti del lavoratore. Infatti, il più delle volte, questo tipo di contratto comporta un dialettica inesistente tra l’utilizzatore e il lavoratore, visto che il datore formale è il somministratore, che porta a condizioni lavorative di sfruttamento, alta ricattabilità e difficoltà di sindacalizzazione. Capo V Apprendistato L’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo determinato esplicitamente finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani che entrano in contatto con il mercato del lavoro. Si suddivide in 3 tipologie: • Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore; • Apprendistato professionalizzante • Apprendistato di alta formazione e ricerca. Il contratto di apprendistato ha una durata minima di sei mesi e deve contenere il piano formativo individuale, che viene predisposto dall’istituzione formativa nell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e nell’apprendistato di alta formazione e ricerca. Valgono le sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo. Il decreto aggiunge che per l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionali costituisce giustificato motivo di licenziamento il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi: una formula giudicata da più parti piuttosto ambigua e pericolosa, soprattutto perché conferisce all’impresa o al datore di lavoro un ampio potere discrezionale - e allo stato attuale non controllabile con criteri oggettivi - sul licenziamento degli apprendisti. Al termine del periodo di apprendistato, se le parti non recedono dal contratto, il rapporto fra apprendista e datore di lavoro prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Possono essere assunti dallo stesso datore di lavoro un numero di apprendisti che non superi il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate occupate, mentre tale rapporto scende a 1 a 1 in caso di datori di lavoro che occupano meno di dieci lavoratori. Il decreto rimanda alla legge delega del Jobs Act per indicare che gli incentivi per i datori di lavoro che assumono con l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e con l’apprendistato di alta formazione e ricerca saranno fissati da un successivo decreto attuativo. Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore E’ strutturato per coniugare la formazione effettuata in azienda con l’istruzione e la formazione professionale svolta dalle istituzioni formative ed è rivolto ai giovani tra i 15 e i 25 anni. E’ una denominazione nuova proprio in virtù del fatto che l’apprendistato è finalizzato anche all’ottenimento del diploma di istruzione Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i secondaria superiore. La novità più rilevante introdotta dal decreto è la possibilità di attivare percorsi di formazione on the job che prevedano contratti di apprendistato dal secondo anno dei percorsi di istruzione secondaria superiore. L’apprendistato sperimentale, quindi, viene esteso oltre le classi quarte e quinte degli istituti tecnici e professionali, mentre viene abolita la norma (art. 8-bis, c. 2 del Decreto 12 settembre 2013, n. 104) che affidava al MIUR la regolazione dei percorsi di apprendistato sperimentale e la definizione dei diritti degli studenti. L’età di accesso a questa tipologia di apprendistato viene ulteriormente abbassata di due anni, scendendo di fatto a 15 anni, e si prosegue la tendenza a scaricare quote crescenti di formazione sul mercato del lavoro e sulle imprese. Si tratta di una spinta ancora più dequalificante se pensiamo al basso tasso di investimenti in formazione, ricerca e innovazione che registrano aziende ed imprese italiane. Al contrario, ne potranno trarre beneficio i datori di lavoro felici di poter forzare la formazione dei giovani alle proprio esigenze produttive (spesso conservative e a breve termine) e di poter sfruttare in produzione manodopera a costo più basso. Oltre il danno la beffa: questa norma era contenuta nella prima stesura nel Ddl Buona Scuola, poi cancellata e adesso rientrata dalla finestra del decreto attuativo del Jobs Act. Una norma che incide pesantemente nella definizione di un modello di formazione duale all’italiana nel totale silenzio del MIUR e senza un adeguato dibattito pubblico sull’istruzione tecnica e professionale (non a caso il provvedimento passa in sordina in un decreto di riordino dei contratti di lavoro). Le ore di formazione svolte nell’istituzione formativa non prevedono retribuzione da parte del datore di lavoro, mentre per le ore di formazione a suo carico deve corrispondere all’apprendista una retribuzione pari soltanto al 10% di quella ordinaria (prima era fissata al 35%), spingendo ulteriormente verso il basso i livelli retributivi dei giovanissimi assunti con questa tipologia contrattuale. Apprendistato professionalizzante E’ un contratto valido per tutti i settori di attività, rivolto a giovani con età compresa fra i 18 e i 29 anni e finalizzato al consegumento di una qualificazione professionale. Anche in questo caso, quindi, il rapporto di lavoro deve mantenere un profilo formativo, nel quale il neoassunto “apprende” una determinata mansione professionale. La formazione di tipo professionalizzante è integrata dall’offerta formativa pubblica, con l’obiettivo di garantire l’acquisizione di competenze di base e trasversali, contro la tendenza alla specializzazione particolare nella singola azienda. Il monte ore complessivo delle formazione pubblica è di 120 ore nel triennio del contratto di apprendistato. Il decreto subordina nuove assunzioni di apprendisti alla stabilizzazione del rapporto di lavoro con almeno il 20% degli apprendisti precedenti. Tale disposizione non è prevista per l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e per l’apprendistato di alta formazione e ricerca, mentre viene confermata la cancellazione dell’obbligo di assunzione di almeno il 30% degli apprendisti, previsione già abrogata nel 2014 dal Decreto Poletti (Dl 34/2014). Apprendistato di alta formazione e ricerca L’apprendistato di alta formazione e ricerca è quella tipologia contrattuale, riservata a giovani tra i 18 e i 29 anni, già in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore o di un diploma professionale integrato da una specializzazione tecnica superiore o dal diploma di maturità professionale, al fine di conseguire un titolo di studio universitario e della alta formazione, come i dottorati di ricerca, un diploma ITS, o svolgere il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. Alla base del contratto c’è un protocollo tra il datore di lavoro e l’istituzione formativa, o l’ente di ricerca, a Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
Rete della Conoscenza Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma Tel. 06/69770332 – Fax 06/6783559 info@retedellaconoscenza.it www.retedellaconoscenza.i cui lo studente è iscritto, che stabilisce la durata e le modalità della formazione, e il numero di crediti formativi riconoscibili per il percorso di formazione che svolge. La regolamentazione e la durata, per i percorsi di formazione, sono stabiliti dalle Regioni con le istituzioni formative e di ricerca. Come per l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, la retribuzione per l’apprendista delle ore di formazione interne all’azienda è pari al 10% rispetto a quella che gli sarebbe dovuta, salvo diverse previsioni dei contratti collettivi. Gli standard formativi dell’apprendistato saranno definiti da un decreto ministeriale del Ministero del Lavoro, di concerto con il MIUR e le Regioni. Capo VI Lavoro accessorio Il lavoro accessorio si riferisce alle prestazioni di manodopera meramente occasionali pagate con i buoni lavoro o voucher. Il Jobs Act ha modificato in maniera estensiva la possibilità di ricorrere a questo strumento, aprendo la strada a una nuova frontiera del lavoro precario, come l’ha definita lo stesso Presidente dell’INPS Tito Boeri. I voucher lavoro sono sottoposti a un limite massimo di compensi nel corso di un anno: questo limite è stato innalzato da 5.000 a 7.000€, ma risultano del tutto assenti indicazioni qualitative. A prescindere dall’attività svolta e dalla natura subordinata o meno del rapporto di lavoro, il committente - imprenditore, professionista, ente locale - potrà ricorrere a questo strumento. Nel limite di 3.000€ annui il lavoro accessorio è compatibile con il beneficio di prestazioni integrative di salario o di sostegno al reddito. Per ricorrere al lavoro accessorio i committenti devono acquistare carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, dal valore nominale di 10 euro. Per il settore agricolo il valore è invece pari all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata stabilito dal contratto collettivo di settore. Il committente è tenuto a comunicare alla direzione territoriale del lavoro dati anagrafici del lavoratore, luogo e arco temporale della prestazione (non superiore ai trenta giorni successivi). Il compenso è esente da imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato, ma è valido per il rinnovo del permesso di soggiorno. Anche i Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali regola tramite decreto le modalità per il versamento dei contributi e delle realtive coperture assicurative e previdenziali. L’aumento del tetto economico annuale per il lavoro accessorio e la liberalizzazione del ricorso al voucher sono fra gli aspetti più problematici del Jobs Act. Di fatto, rafforzano le zone grige del mercato del lavoro che prevedono una rottura fra lavoro e diritti sanciti nei contratti collettivi, fra lavoro e compenso equo, fra lavoro e previdenza sociale. Introdotti per regolamentare prestazioni lavori occasionali che vengono svolte fuori dalla regolarità, i voucher sono stati trasformati a tutti gli effetti in uno strumento per non riconoscere diritti e tutele previste dai contratti nazionali in dei rapporti di lavoro subordinato e continuato a tutti gli effetti. Non è un caso che dal 2008 ad oggi i prestatori di lavoro accessorio siano aumentati da neppure 25mila a 1 milione, in un contesto sociale dove la povertà materiale si è spostata anche all’interno del regime del salario grazie all’espansione del lavoro sottopagato o gratuito. Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma info@retedellaconoscenza.it Tel. 06/69770332
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