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Decameron
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Il Decameron, o Decamerone (parola composta dal greco
                                                                              Decameron
antico: δέκα, déka, «dieci» eἡμερῶν, hēmerṓn, genitivo
plurale di ἡμέρα, hēméra, "giorno", letteralmente "di dieci               Altri titoli Decamerone
giorni", nel senso di "[opera] di dieci giorni")[3], è una
raccolta di cento novelle scritta da Giovanni Boccaccio nel
XIV secolo, probabilmente tra il 1349 (anno successivo alla
peste nera in Europa) e il 1351 (secondo la tesi di Vittore
Branca) o il 1353 (secondo la tesi di Giuseppe Billanovich).
Anche se il primo a capire che si trattava di un testo autografo
fu Alberto Chiari, Vittore Branca nel 1962 dimostrò come il
codice Hamilton 90, conservato a Berlino, fosse un prezioso
autografo risalente agli ultimi anni di vita di Giovanni
Boccaccio[4].

È considerata una delle opere più importanti della letteratura
del Trecento europeo, durante il quale esercitò una vasta
influenza sulle opere di altri autori (si pensi ai Canterbury
Tales di Geoffrey Chaucer), oltre che la capostipite della
letteratura in prosa in volgare italiano. Boccaccio nel
Decameron raffigura l'intera società del tempo, integrando            Giovanni Boccaccio presenta il
l'ideale di vita aristocratico, basato sull'amor cortese, la                   Decameron
magnanimità, la liberalità, con i valori della mercatura:
                                                                            Autore Giovanni
l'intelligenza, l'intraprendenza, l'astuzia.
                                                                                   Boccaccio
Il libro narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre           1ª ed. originale 1350-1353
uomini, che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze
                                                                    Editio princeps 1470?
per sfuggire alla peste nera che in quel periodo imperversava
nella città, e che a turno si raccontano delle novelle di taglio            Genere raccolta di
spesso umoristico e con frequenti richiami all'erotismo                            novelle[1][2]
bucolico del tempo. Per quest'ultimo aspetto, il libro fu
                                                                   Lingua originale italiano
tacciato di immoralità o di scandalo, e fu in molte epoche
censurato o comunque non adeguatamente considerato nella            Ambientazione Firenze
storia della letteratura. Il Decameron fu anche ripreso in
versione cinematografica da diversi registi, tra cui Pier Paolo
Pasolini e i fratelli Taviani.

Indice
Descrizione
   Il titolo
   La struttura narrativa
   Il proemio
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La cornice
 Caratteristiche
    Temi del Decameron
    Le fonti del Decameron
    La lingua del Decameron
    Le tecniche narrative
    La censura
 Reinterpretazioni cinematografiche
     Il Decameron di Pasolini
 Edizioni
     Edizioni moderne
 Traduzioni
     Traduzioni in italiano moderno
     Traduzioni in lingue straniere
 Note
 Bibliografia
 Voci correlate
 Altri progetti
 Collegamenti esterni

Descrizione

Il titolo

Decameron deriva dal greco e letteralmente significa "di dieci giorni". Il titolo è un rimando all'Exameron
("di sei giorni") di Sant'Ambrogio, una riformulazione in versi del racconto biblico della Genesi. Il titolo in
greco è anche sintomo dell'entusiastica riscoperta dei classici della commedia e della tragedia ellenica, non
filtrati in latino prima dalla Roma imperiale e poi da quella cristiana. L'intenzione di Boccaccio è costruire
un'analogia tra la propria opera e quella di Sant'Ambrogio: come il santo narra la creazione del mondo e
dell'umanità, allo stesso modo il Decameron narra la ricreazione dell'umanità, che avviene per mezzo dei
dieci protagonisti e del loro novellare, in seguito al flagello della peste abbattutasi a Firenze nel 1348.

A mano a mano che si susseguono i racconti dei protagonisti, tramite essi vengono ricostruiti l'immagine, le
strutture relazionali e i valori dell'umanità e della società che altrimenti sarebbero perduti, dal momento che
la città è sotto l'effetto distruttivo e paralizzante della peste. Si tratta di una metafora importante, in quanto
esprime la concezione preumanistica di Boccaccio nella quale le humanae litterae (qui rappresentate dalle
cento novelle) hanno la facoltà di rifondare un mondo distrutto e corrotto. In particolare, è notevole la
capacità del Boccaccio di passare dal sublime al triviale e viceversa senza soluzione di continuità, pur
mantenendo costante la sua estrema avversione rispetto alle aberrazioni e ai soprusi.

L'intitolazione del Decameron nell'apografo di Francesco Mannelli[5] (Codice Laurenziano Pluteo XLII 1),
datato 13 agosto 1384, è la seguente:
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«Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato prencipe Galeotto. Nel quale si
      contengono cento novelle in diece dì decte da septe donne & da tre giovani huomini.»

      (Decameron, p. 1[6])

L'opera è cognominata (ossia sottotitolata) Prencipe Galeotto, con riferimento a un personaggio, Galeuth o
Galehaut, del ciclo bretone del romanzo cortese che fece da intermediario d'amore tra Lancillotto e Ginevra.
"Galeotto" inoltre riecheggia un famoso verso, riferito allo stesso personaggio, del V canto dell'Inferno di
Dante Alighieri, Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse, verso con cui Francesca termina il suo racconto.

A margine va annotato che il tempo effettivo trascorso fuori città dai giovani è di quattordici giorni, poiché
il venerdì è dedicato alla preghiera e il sabato alla cura personale delle donne.

La struttura narrativa

All'interno del Decameron, Boccaccio
immagina che, durante il periodo in cui la
peste devasta Firenze (1348), una brigata di
sette giovani donne e tre giovani uomini, tutti
di elevata condizione sociale, decidano di
cercare una possibilità di fuga dal contagio
spostandosi in campagna. Qui questi dieci
giovani trascorrono il tempo secondo precise
regole, tra canti, balli e giochi. Notevole
importanza, come vedremo dopo, assumono
anche le preghiere.
                                                      I giovani novellatori del Decameron in un dipinto di John
Per occupare le prime ore pomeridiane, i
                                                     William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916, Lady
giovani decidono di raccontare una novella
                                                     Lever Art Gallery, Liverpool
ciascuno, tranne il venerdì ed il sabato,
secondo precisi rituali: per esempio, l'elezione
quotidiana di un re che fisserà il tema della giornata a cui tutti gli altri narratori dovranno ispirarsi nei loro
racconti. Al solo Dioneo, per la sua giovane età, è concesso di non rispettare il tema delle giornate; dovrà
però novellare sempre per ultimo (Privilegio di Dioneo). La prima e la nona giornata hanno un tema libero.

Si sono date molteplici interpretazioni degli strani nomi attribuiti ai narratori, in gran parte riecheggianti
etimologie greche:

 1. Dioneo ("lussurioso", da Diona, madre di Venere, spurcissimus dyoneus si definiva
    Boccaccio in una lettera giovanile);
 2. Filostrato ("vinto d'amore");
 3. Panfilo (il "Tutto Amore", che infatti racconterà spesso novelle ad alto contenuto erotico);
 4. Elissa (l'altro nome di Didone, la regina dell'Eneide di Virgilio, rappresenta l'amore tragico);
 5. Emilia, l'"orgogliosa della sua bellezza";
 6. Fiammetta (la donna amata da Boccaccio; la fanciulla che arde d'amore come una fiamma);
 7. Filomena ("amante del canto", oppure "colei che è amata");
 8. Lauretta (come Laura de Noves, la donna simbolo di Petrarca, il cui nome viene da alloro, la
    pianta simbolo della gloria);
 9. Neìfile ("nuova amante");
10. Pampìnea ("la rigogliosa").
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Nel Decameron le cento novelle, pur avendo spesso in comune il
tema, sono diversissime l'una dall'altra, poiché l'autore vuol
rappresentare la vita di tutti i giorni nella sua grande varietà di tipi
umani, di atteggiamenti morali e psicologici, di virtù e di vizio; ne
deriva che il Decameron offre una straordinaria panoramica della
civiltà del Trecento: in quest'epoca l'uomo borghese cercava di
creare un rapporto fra l'armonia, la realtà del profitto e gli ideali
della nobiltà cavalleresca ormai finita.

Come scritto nella conclusione dell'opera, i temi che Boccaccio
voleva illustrare al popolo sono essenzialmente due. In primo
luogo, infatti, Boccaccio voleva mostrare ai fiorentini che è
possibile rialzarsi da qualunque disgrazia si venga colpiti, proprio
come fanno i dieci giovani con la peste che si abbatte in quel
periodo sulla città. Il secondo tema, invece, è legato al rispetto e ai
riguardi di Boccaccio nei confronti delle donne: egli infatti scrive          Miniatura che illustra la Quinta
che quest'opera è dedicata a loro che, a quel tempo, erano le                 novella della Prima giornata, sulla
persone che leggevano maggiormente e avevano più tempo per                    Marchesana di Monferrato: c. 22v di
dedicarsi alla lettura delle sue opere.                                       un manoscritto italiano del
                                                                              Decameron del XV secolo,
Riguardo alla struttura complessiva dell'opera, sono state formulate          conservato nella Bibliothèque
numerose interpretazioni. Tra queste segnaliamo quella del filologo           nationale de France, segnatura MS
Vittore Branca, che ipotizzò una struttura ascensionale dell'opera, in        Italien 63.
cui vengono contrapposti l'esempio negativo fornito da ser
Ciappelletto, protagonista della prima novella della prima giornata,
con quello positivo fornito da Griselda, personaggio dell'ultima novella dell'opera (e in generale dai
protagonisti di tutta la decima giornata, in cui si trattano esempi di liberalità e magnificenza). Altri italianisti,
quali Alberto Asor Rosa, hanno ipotizzato una strutturazione del Decameron per "grappoli tematici",
formati da più giornate caratterizzate da tematiche simili. Infine, il critico Ferdinando Neri tentò di dividere
l'opera in due parti di cinque giornate ciascuna, a cui la Prima e la Sesta giornata fungono da introduzione.

Il proemio

Il libro si apre con un proemio che delinea i motivi della stesura dell'opera. Boccaccio afferma che il libro è
dedicato a coloro che sono afflitti da pene d'amore, allo scopo di dilettarli con piacevoli racconti e dare loro
utili consigli. L'autore specifica poi che l'opera è rivolta in particolare ad un pubblico di donne e più
precisamente a quelle che amano. Il destinatario dell'opera è la borghesia cittadina, che si contrappone
all'istituto della corte, sviluppatosi soprattutto in Francia. Dunque la novella, essendo caratterizzata da uno
stile semplice, breve e immediato, tende ad interfacciarsi con il nuovo ceto sociale, la borghesia laica,
benestante e acculturata di cui Boccaccio è espressione.

Sempre nel proemio, Boccaccio racconta di rivolgersi alle donne per rimediare al peccato della Fortuna: le
donne possono trovare poche distrazioni dalle pene d'amore rispetto agli uomini. Alle donne, infatti, a causa
delle usanze del tempo, erano preclusi certi svaghi che agli uomini erano concessi, come la caccia, il gioco,
il commerciare; tutte attività che possono occupare l'esistenza dell'uomo. Quindi nelle novelle le donne
potranno trovare diletto e utili soluzioni che allevieranno le loro sofferenze.

Sin dal proemio, il tema dell'amore mostra la propria importanza: in effetti gran parte delle novelle tocca
questa tematica, che assume anche forme licenziose e che susciterà reazioni negative da parte di un
pubblico retrivo; per questo motivo Boccaccio, nell'introduzione alla IV giornata e nella conclusione
all'opera, rivendicherà il suo diritto ad una letteratura libera ed ispirata ad una concezione naturalistica
dell'Eros (significativo in questo senso il cosiddetto "apologo delle papere", inizio della IV giornata).
La cornice

L'uso della cornice narrativa in cui inserire le novelle è di origine
indiana.[7] Tale struttura passò poi nella letteratura araba e in
Occidente. La cornice è costituita da tutto ciò che si trova al di fuori
delle novelle ed in modo particolare dalla Firenze contaminata dalla
peste dove un gruppo di dieci giovani, di elevata condizione
sociale, decide di ritirarsi in campagna per trovare scampo dal
contagio. È per questo che Boccaccio all'inizio dell'opera fa una
lunga e dettagliata descrizione della malattia che colpì Firenze nel
1348 (ispirata quasi interamente a conoscenze personali ma anche
all'Historia Langobardorum di Paolo Diacono); oltre a decimare la
popolazione, l'epidemia distrusse tutte quelle norme sociali, quegli
usi e quei costumi che gli erano cari.

Al contrario, i giovani creano una sorta di realtà parallela quasi
perfetta per dimostrare come l'uomo, grazie all'aiuto delle proprie
forze e della propria intelligenza, sia in grado di dare un ordine alle
cose, che poi sarà uno dei temi fondamentali dell'Umanesimo. In
                                                                           Decameron, 1492. Proemio:Umana
contrapposizione al mondo uniforme di questi giovani si pongono            cosa elhaver compassione a gli
poi le novelle, che hanno vita autonoma: la realtà descritta è             afflitti. e come che a ciaschuna
soprattutto quella mercantile e borghese; viene rappresentata              persona stia bene a choloro
l'eterogeneità del mondo e la nostalgia verso quei valori cortesi che      massimamente e richiesto liquali gia
via via stanno per essere distrutti per sempre; i protagonisti sono        hanno di conforto havuto misteri: &
moltissimi ma hanno tutti in comune la determinazione di volersi           hanolo trovato in alcuno fra liquali se
realizzare per mezzo delle proprie forze. Tutto ciò fa del                 alcuno mai nebbe:ogli fu caro o gia
Decameron un'opera unica, poiché non si tratta di una semplice             ne ricevete piacere. Io sono uno di
raccolta di novelle: queste ultime sono tutte collegate fra di loro        quelli per cio..
attraverso la cornice narrativa, formando una sorta di romanzo.

Caratteristiche

Temi del Decameron

La concezione della vita morale nel Decameron si basa sul contrasto tra Fortuna e Natura, le due ministre
del mondo (VI,2,6).

L'uomo si definisce in base a queste due forze: una esterna, la
Fortuna (che lo condiziona ma che egli può volgere a proprio
favore), l'altra interna, la Natura, con istinti e appetiti che deve
riconoscere con intelligenza.[8] La Fortuna nelle novelle appare
spesso come evento inaspettato che sconvolge le vicende, mentre la
Natura si presenta come forza primordiale la cui espressione prima
è l'Amore come sentimento invincibile che domina insieme l'anima
e i sensi, che sa ugualmente essere pienezza gioiosa di vita e di          La novella di Nastagio degli Onesti,
morte.                                                                     dipinta da Sandro Botticelli

L'amore per Boccaccio è una forza insopprimibile, motivo di diletto
ma anche di dolore, che agisce nei più diversi strati sociali e per questo spesso si scontra con pregiudizi
culturali e di costume. La virtù in questo contesto non è mortificazione dell'istinto, bensì capacità di
appagare e dominare gli impulsi naturali. Nel Decameron il tema della follia compare a più riprese e si
intreccia con altre tematiche, come quella della beffa e quella della follia per amore, per la quale uno dei
due amanti giunge fino alla morte. Durante tutta la IV giornata vengono narrate novelle che trattano di
amori che ebbero infelice fine: si tratta di storie in cui la morte di uno degli amanti è inevitabile perché le
leggi della Fortuna trionfano su quelle naturali dell'Amore. All'interno della giornata, le novelle 3, 4 e 5
rappresentano un trittico che illustra in modi diversi l'amore come follia. L'elemento che le accomuna è la
presenza della Fortuna coniugata come diversità di condizione sociale: prevale infatti la tematica dell'amore
che travalica le leggi della casta e del matrimonio, che diventa una follia sociale e motivo di scandalo.

Un esempio è costituito dalla 5ª novella della IV giornata, ovvero la storia di Lisabetta da Messina e il vaso
di basilico. In questa novella si sviluppa il contrasto Amore/Fortuna: Lorenzo è un semplice garzone di
bottega, bello e gentile, con tutte le qualità cortesi per suscitare l'amore; Lisabetta, che appartiene a una
famiglia di mercanti originaria di San Gimignano, incarna l'energia eroica di chi resiste all'avversa fortuna
solo con la forza del silenzio e del pianto; i tre fratelli sono i garanti dell'onore della famiglia, non tollerano
la relazione della sorella con qualcuno di rango inferiore. Sono costretti ad intervenire per riportare le cose
in ordine e per ristabilire l'equilibrio sovvertito dalla pazzia amorosa di Lisabetta. Lisabetta è un esempio di
amore dagli aspetti tragici ed elegiaci e nell'opera di Boccaccio sono presenti altre figure femminili tragiche
in cui lo scrittore vede realizzarsi pienezza di vita ed intelligenza che egli chiama "grandezza d'animo".

Ad esempio si possono menzionare la moglie di Guglielmo Rossiglione (IV, 9), la quale, costretta dal
marito a mangiare il cuore del suo amante, si toglie la vita gettandosi da una finestra del castello, oppure
Ghismonda di Salerno (IV, 1) che, uccisole dal padre il giovane valletto di cui si era innamorata, si suicida
stoicamente. Boccaccio affronta il tema dell'Amore mostrando con perfezione il gioco degli istinti e dei
sentimenti, senza compiacimenti per la materia sessuale, fornendo invece esempi in cui l'Amore cozza
contro il Caso o le leggi delle convenzioni sociali.

Mentre per Dante la Fortuna è una intelligenza angelica che agisce
nell'àmbito di un progetto divino (Inferno - Canto settimo, 76-96),
la Fortuna presente nel Decameron è il "caso". L'opera
boccacciana non è ascetica ma laica, svincolata dal teocentrismo
che invece sta alla base della Divina Commedia di Dante e della
mentalità medievale della quale il Decameron rappresenta
l'"autunno". L'Ingegno umano è un altro motivo ricorrente.
Troviamo il gusto della beffa (Chichibio, VI, 4), la spregiudicatezza
empia di Ciappelletto (I, 1), la dabbenaggine di Andreuccio da
Perugia (II, 5) e Calandrino, l'arguzia e l'imbroglio (Frate Cipolla,
VI, 10), gli aspetti maliziosi e ridanciani (racconto delle monache e
della badessa, novella del giudice marchigiano beffato).

Incontriamo anche l'arguzia gentile di Cisti fornaio (VI, 2),
l'intelligenza pronta di Melchisedech (I, 3) e l'ingegno di Giotto
(VI, 5), la signorilità venata di arguzia e di bizzarria del brigante
Ghino di Tacco (X, 2). Due giornate sono consacrate ai motti, cioè
alla prontezza dello spirito, quattro sono dedicate alle astuzie di
ogni genere, volte a conquistare l'amore o a vendicarlo o a beffare
l'intelligenza altrui, o, soprattutto, a trarsi d'impaccio, mediante
                                                                             Lisabetta piange la testa del suo
l'immediata intuizione, dalle situazioni più difficili e strane.
                                                                             amato Lorenzo nel vaso
L'opera presenta una duplice "anima". La prima è realistica, riflette
la mentalità e la cultura della classe borghese-mercantile (Vittore
Branca ha definito l'opera di Boccaccio "epopea mercantile"). La seconda è aristocratica ed in essa sono
presenti le virtù cavalleresche proprie dell'aristocrazia feudale, del mondo cortese-cavalleresco: cortesia,
magnanimità, munificenza, lealtà, virtù umana fino al sacrificio (novelle della decima giornata; novella di
Federigo degli Alberighi). Federigo degli Alberighi (V, 9) è un insigne esempio di dignità cavalleresca,
mentre tra le novelle dell'ultima giornata emergono la magnanima cortesia di Natan (X, 3), la saggezza
malinconica di re Carlo (X, 6), la virtù di Griselda (X; 10). Scrive Vittore Branca: " È un'epopea (cioè
un'interpretazione al di là degli eventi) di quell'età in cui la vita cavalleresca e feudale si incontrava
splendidamente con quella pulsante e fervida delle compagnie e delle arti e la grandiosa architettura
dell'impero andava mirabilmente frangendosi nel molteplice e ricco mosaico dei regni, dei principati, dei
comuni. [....] Accanto al mondo solenne e dorato dei re e dei cavalieri, il Boccaccio pone senza alcuna
esitazione la società operosa e avventurosa degli uomini della sua età".[9]

È scomparso il Medioevo mistico e idealizzante e al suo posto è presente la vita terrena riscoperta con un
senso di gioia e di prorompente vitalità, un intenso interesse per tutte quelle manifestazioni che legano
l'uomo all'esistenza, intesa non solo sotto il profilo materiale ma anche spirituale, pur nell'assenza di
preoccupazioni morali e religiose. Il Decameron si conclude con una giornata in cui domina appunto il
motivo della virtù, seguendo quindi una parabola morale ascendente secondo lo schema della poetica
medievale. Si tratta di un percorso riscontrabile anche nella Commedia di Dante e nel Canzoniere di
Petrarca, dove però è presente il motivo religioso e teologico che invece manca nelle virtù terrene del laico
Boccaccio. Nella Commedia dantesca si va dalla condizione di peccato alla beatitudine celeste, nel
Canzoniere dall'idea di peccato e di traviamento del primo sonetto alla conclusiva canzone alla Vergine
(Vergine bella).[10][11][12]

Oltre ai temi principali esposti ampiamente nell'opera, è possibile distinguere anche altri contenuti, meno
argomentati, ma non per tale motivo da considerarsi di poco conto. Uno di questi è il tema dell'individualità.
Con questo termine si indica il complesso di qualità che caratterizza l'individuo e lo distingue dagli altri
membri della stessa società, in quanto capace di agire e di pensare secondo modalità proprie e non
conformate alle altrui. Infatti nelle varie novelle c'è spesso una figura di riferimento che sembra assumere un
ruolo primario nella svolta della vicenda; essa contribuisce, attraverso i propri sentimenti, azioni, impulsi,
ragionamenti, a modificare la scena. Inoltre tale personaggio è pronto alle conseguenze derivanti dai propri
comportamenti, delle quali si assume, seppur con qualche eccezione, la piena responsabilità.

Le sue decisioni, sbagliate o giuste che siano, spesso si estendono alla folla, che, in contrapposizione, si
rivela essere facilmente adulabile dall'individuo singolo. La “massa” non detiene, infatti, capacità di
decisione propria nei vari ambiti, accetta semplicemente ciò che è proposto per quanto assurdo possa
sembrare; assiste talvolta alle scelte della figura di riferimento senza però esprimere la propria idea.
Boccaccio sembra configurare gli appartenenti ai gruppi sociali più elevati nella veste di personaggio
individuale, mentre identifica la classe contadina nella folla priva di carattere. Diversi sono gli esempi
inerenti a tale affermazione:

    in Ser Ciappelletto (giornata I, novella 1) il protagonista della vicenda assume su di sé le
    responsabilità per le proprie azioni blasfeme condotte nei confronti della Chiesa cattolica;
    pur senza essere costretto a compierle, decide di eseguirle. Ciò deriva dal desiderio di
    “espiare” i propri peccati in punto di morte al fine di non recare danno alla reputazione dei
    mercanti fiorentini suoi ospitanti, per una ragione, più che religiosa, di favore tra classi
    sociali congrue;
    in Federigo degli Alberighi (giornata V, novella 9) il personaggio principale rinuncia a tutti i
    propri averi, anche al simbolo della nobiltà, al fine di conquistare la donna da lui amata. Tali
    comportamenti andranno a intrecciarsi con i valori appartenenti al ceto aristocratico, quali la
    dignità e il vizio dello sperpero, e alla mentalità della borghesia nascente, incentrata
    sull'ascesa economica e sociale;
    nella Badessa e le brache del prete (giornata IX, novella 2) le due donne protagoniste della
    novella agiscono in modo proprio, senza seguire le regole e il pudore imposto dalla
    comunità. Nonostante questa caratteristica comune, le due procedono per vie differenti:
    infatti, Isabetta non nega le proprie colpe una volta scoperta, mentre la badessa, non
    accorgendosi di avere come copricapo un indumento del prete con il quale si era
intrattenuta sessualmente e pensando quindi di non essere stata scoperta nel proprio
    peccato, ammonisce con ipocrisia la monaca colpevole delle sue stesse colpe. A dispetto di
    ciò, rimane tuttavia l'autonoma decisione nel tradire il voto di castità. Anche in questo caso
    la novella unisce altre tematiche, quali l'ipocrisia ecclesiastica;
    in contrapposizione ai personaggi principali si oppone la folla intesa come gruppo
    omogeneo, con un'ideologia la quale non è discussa e argomentata dagli appartenenti
    stessi. Infatti, nella novella Ser Ciappelletto si può notare come sia facile che la “massa”
    accetti di buon grado anche una santificazione prematura e infondata;
    nella medesima novella, vi è anche la rappresentazione di un personaggio che rimanda a
    una categoria più vasta, come nel caso del frate che allude al clero. Tale personaggio è
    facilmente raggirato da ser Ciappelletto, a simboleggiare un'assoluta mancanza di parametri
    razionali in un atto così sacro come quello della santificazione; questo grave errore
    commesso dal frate raffigura l'incapacità dello stesso nel prendere decisioni secondo criteri
    propri e non seguendo quelli accordati dal mondo ecclesiastico.

Vari aspetti del Decameron anticipano l'Umanesimo quattrocentesco: l'interesse per l'uomo e la vita sociale;
l'esaltazione dell'intelligenza e di altre doti umane; l'amore considerato come sentimento naturale; la natura
rappresentata come luogo di pace e serenità.

Le fonti del Decameron

La struttura del Decameron affonda le sue radici in tradizioni lontane: il ricorso alla cornice era tipico della
novellistica orientale e araba; l'idea di una brigata di dieci persone che conversa dopo pranzo per alcuni
giorni è già nei Saturnalia di Macrobio; storie di varie avventure, talora oscene, sono nel filone greco e poi
latino delle Satire menippee che influenza - è questa un'altra fonte sicura di Boccaccio - le Metamorfosi di
Apuleio, opera in cui compare anche il tema del novellare in una situazione di pericolo, di fronte alla morte.

Come repertorio tematico delle varie novelle Boccaccio ha utilizzato poi numerose fonti medievali: i
fabliaux, i lais, i cantari dei giullari, le raccolte di exempla, le vidas dei trovatori, le commedie elegìache in
latino, le fiabe orientali. Egli riprende talora lo stesso materiale del Novellino e qualche volta le novelle
stesse di questa raccolta. D'altra parte, il Novellino costituisce il primo serio tentativo di affermazione della
novellistica prima del Decameron, ed è naturale che Boccaccio lo tenesse costantemente presente; ma nel
Decameron siamo ormai al di là delle strutture narrative, ancora gracili e approssimative, di questo libro.

La lingua del Decameron

Alla multiforme varietà degli ambienti, dei personaggi e dei luoghi si adegua la lingua usata da Boccaccio
in quest'opera. Il periodare è talvolta ampio e solenne, ricco di subordinate, di incisi, di inversioni e costrutti
latineggianti; altre volte è invece più rapido. Il lessico varia da una scelta aulica ed elegante, a un dire
pittoresco e gergale.[13]

Le tecniche narrative

Esistono nel Decameron tre livelli di narrazione: Boccaccio, l'autore, è un narratore onnisciente di primo
livello. I narratori delle novelle sono quelli di secondo livello, mentre i protagonisti delle novelle che
raccontano a loro volta una storia (es. Melchisedech) sono i narratori di terzo livello.

Nell'opera in genere fabula ed intreccio coincidono, ma non mancano le analessi. Per ciò che concerne il
tempo della storia ed il tempo del racconto, frequente è il ricorso ad accelerazioni effettuate con sommari
od ellissi, oppure a rallentamenti risultanti da digressioni o pause descrittive.
La censura

A partire dalla metà del XVI secolo il sistema di controllo delle
scritture andò organizzandosi e istituzionalizzandosi per poter far
fronte alla lotta contro l'eresia. Fu così istituito L'Indice dei libri
proibiti voluto da Papa Paolo IV Carafa nel 1559 come "filtro" per
poter fronteggiare le accuse, anche se velate, degli scrittori del
tempo. L'ordine da Roma era tassativo: «...Per niun modo si parli
in male o scandalo de' preti, frati, abbati, abbadesse, monaci,
monache, piovani, provosti, vescovi, o altre cose sacre, ma si
mutino lj nomi; o si faccia per altro modo che parrà meglio».

Il Decameron apparve nell'Indice dei libri proibiti alla lettera B nel
seguente modo:

      (LA)                            (IT)

      «Boccacci Decades seu           «Le        decadi        di
      novellae centum quae            Boccaccio o Cento
      hactenus            cum         Novelle che finora sono
      tollerabilibus erroribus        state    stampate      con          L'Indice dei libri proibiti
      impressae sunt et quae          errori intollerabili e che
      posterum cum eisdem             in     futuro     saranno
      erroribus imprimentur.»         stampate        con       i
                                      medesimi errori.»

      (Indice dei libri proibiti)

Nel 1573 l'Inquisizione commissionò a degli esperti fiorentini, i Deputati, il compito di "sistemare" il testo
fiorentino per eccellenza. Non esiste accordo sull'identità dei Deputati alla revisione del Decameron, ma le
ipotesi plausibili sembrano essere due. La prima considera tre componenti: Vincenzo Borghini,
Pierfrancesco Cambi, Sebastiano Antinori. La seconda ne considera quattro: Vincenzo Borghini,
Sebastiano Antinori, Agnolo Guicciardini e Antonio Benivieni. Tra i membri del gruppo emerge Vincenzo
Borghini, riconosciuto come il vero promotore della censura del Decameron. Essi, ricevuto dalla Chiesa di
Roma il Decameron segnato nei passi da modificarsi, procedettero con armi diverse, con ragioni culturali,
tradizionali, filologiche e retoriche alla difesa del Decameron, tentando di salvare il salvabile.

Quindi alla Chiesa di Roma spettò direttamente la censura vera e propria, mentre la specializzazione
linguistica e filologica spettò ai Deputati. Il 2 maggio 1572 tornò a Firenze la copia ufficiale autorizzata
dall'Inquisitore di Roma per la stampa, ma solo il 17 agosto 1573 il testo venne stampato. L'anno
successivo il testo dell'opera ridotta fu accompagnato da Le Annotazioni di discorsi sopra alcuni luoghi del
Decameron, una raccolta di considerazioni linguistiche e filologiche che cercavano di giustificare le scelte
fatte durante le singole fasi della rassettatura. Il Decameron dei Deputati si ritrovò poco dopo proibito dalla
stessa Inquisizione, e conobbe perciò solo un'edizione.

Il Decameron conobbe nel 1582 un'altra edizione curata da Leonardo Salviati. Sembra che sia stato lo
stesso Salviati che, tramite il suo protettore Jacopo Buoncompagni, spinse la curia romana a chiedere una
nuova censura del Decameron. Infondata è l'ipotesi avanzata, secondo cui la nuova rassettatura si sarebbe
resa necessaria perché i Deputati avrebbero rivelato una certa trascuratezza sul terreno della morale,
soprattutto sessuale, lasciando insomma troppo correre sulla lascivia del testo.
In realtà il Decameron di Salviati, piuttosto che una vera e propria edizione fondata sui risultati di ricerche
originali, appare una correzione dell'edizione precedente. Ne deriva che mentre i Deputati di Borghini si
limitarono a tagliare, Salviati modificò, o più precisamente, che mentre i primi intervennero sul testo, il
secondo censurò anche la lettura, facendo ricorso a glosse marginali, per svolgere apertamente una funzione
di mediazione fra il testo e il lettore, per dare un'interpretazione univoca. L'operazione di Salviati risparmiò
48 novelle, mentre ne modificò 52.

Reinterpretazioni cinematografiche
Le novelle facenti parti del Decameron sono state più
volte riprese in opere cinematografiche. Il primo film, Il
Decamerone, risale al 1912.

Il Decameron, film di Pierpaolo Pasolini, con Franco
Citti e Ninetto Davoli, presenta dieci novelle da giornate
diverse ed è uscito nel 1971. Del 1972 è Il Decamerone
proibito, diretto da Carlo Infascelli e interpretato, fra gli
                                                                Una scena del film, tratto dal "Decameron",
altri, da Orchidea De Santis, che rielabora le vicende dei
                                                                Quando le donne si chiamavano madonne
giovani protagonisti.

Fra i film che inventano nuove storie sullo stile del
Boccaccio, troviamo Decameron nº 2 - Le altre novelle del Boccaccio, che inventa ben sei "novelle"
seguendo le trame di Giovanni Boccaccio. Tuttavia queste rivisitazioni dell'opera di Pasolini non sono altro
che pellicole di serie B, girate a basso costo e con scene goliardiche, comiche ed erotiche, per cavalcare
l'onda della fama dell'originale. Tra i tanti film girati negli anni settanta, che hanno generato il genere
boccaccesco detto "decamerotico", si trovano Decameron proibitissimo (Boccaccio mio statte zitto),
Decameron '300 e Le calde notti del Decameron.

Uno dei film più recenti ispirati al Decameron è la commedia romantica statunitense Decameron Pie
(2007), girato fra Italia (Siena e San Gimignano) e Stati Uniti da David Leland. Decameron Pie narra la
storia di Pampinea, promessa sposa a un conte e voluta come moglie da Gerbino de la Ratta. Il film è
interpretato da Mischa Barton, Hayden Christensen, Katy Louise Saunders ed Elisabetta Canalis e anche
tale genere è considerato parodistico e decamerotico.

Nel 2015 esce nelle sale Maraviglioso Boccaccio, mentre nel 2019 viene distribuito il film statunitense The
Little Hours, liberamente ispirato alla prima e alla seconda novella della terza giornata.

Il Decameron di Pasolini

Nel 1971 il regista, attore, scrittore e poeta Pier Paolo Pasolini diede vita ad un progetto che verrà chiamato
"trilogia della vita" e comprenderà, oltre a questo film, anche le prime trasposizioni cinematografiche
italiane dell'opera di Geoffrey Chaucer: I racconti di Canterbury del 1972 (dall'omonima raccolta inglese) e
Il fiore delle Mille e una notte del 1974 (dalla raccolta araba Mille e una notte). Con queste pellicole,
Pasolini intende innanzitutto porre sopra un piedistallo ferreo la bellezza assoluta dell'amore ed esaltare tutti
i massimi piaceri della vita, che, essendo genuini e naturali, non hanno bisogno di alcun freno.

In secondo luogo Pasolini, scegliendo giovani attori, per lo più provenienti "dalla strada" e dalle borgate
romane, intende denunciare gli aspetti seri e chiusi della borghesia romana degli anni settanta, che
condannava molti elementi della vita comune e del sesso. Con questo primo film, Pasolini attacca
direttamente tali principi, e, volendo
comunicare allo spettatore l'innocenza di ciò
che compie l'uomo durante l'amplesso, inscena
delle novelle scritte secoli prima da autori laici
e preumanisti come Boccaccio o Chaucer.

All'epoca fece molto scandalo la presenza di
alcune scene di nudo maschile e femminile, ma
ciò faceva appunto parte del gioco
compositivo di Pasolini di esaltazione dei
piaceri dell'uomo e della naturalezza di tali        Franco Citti interpreta ser Ciappelletto da Prato in una
gesti. La collocazione delle storie, che si          scena de Il Decameron di Pasolini
svolgono una dopo l'altra senza che vi sia un
prologo con dei novellatori, tranne che nel
secondo tempo in cui compare un allievo del pittore Giotto (interpretato dallo stesso Pasolini) il quale,
dipingendo un affresco di una cattedrale, mette a confronto e racconta l'altro ciclo di novelle, è a Napoli nel
XIV secolo. Pasolini, anziché i territori originali della Toscana e di Firenze, scelse questa città perché fu
una delle prime in cui Boccaccio si recò giovanissimo e diede vita alle sue prime opere e anche perché,
secondo il regista, la città era una delle poche rimasta incorrotta e integra nella sua cultura attraverso i
secoli.

Edizioni
    Decameron, S.n.t. (i.e. Napoli, tipografo del Terentius, 1470?) (editio princeps, la cosiddetta
    Deo gratias)[14].
    Decameron, Impresso in Venetia, per Giovanni & Gregorio de Gregorii fratelli,
    MCCCCLXXXXII ad di XX de giugno. URL consultato il 1º aprile 2015.
    Il Decamerone, nuovamente corretto et con diligentia stampato, Impresso in Firenze per li
    heredi di philippo di Giunta nell'anno del Signore M.D.XXVII Adi xiii del Mese daprile.[15]
    Il Decameron, ricorretto in Roma et emendato secondo l'ordine del sacro Conc. di Trento et
    riscontrato in Firenze con testi antichi & alla sua vera lezione ridotto da' deputati di loro alt.
    ser., nuovamente stampato, In Fiorenza, nella stamperia de i Giunti, 1573.

Edizioni moderne
    Il Decameron, a cura di Aldo Francesco Massera, 2 voll., Bari, G. Laterza, 1927 («Scrittori
    d'Italia», 97-98).
    Il Decameron, Nuova edizione a cura di Charles S. Singleton, 2 voll., Bari, G. Laterza, 1955
    («Scrittori d'Italia», 97-98).
    Decameron, a cura di Natalino Sapegno, 2 voll., Torino, Utet, 1956 («Classici italiani», 13).
    Il Decameron, a cura di Giuseppe Petronio, Nuova edizione, Torino, Einaudi, 1966 («I
    millenni», 8).
    Il Decameron, a cura di Carlo Salinari, 2 voll., Bari, Laterza, 1966 («Universale Laterza», 26-
    27).
    Decameron, a cura di Vittore Branca, 2 voll., Torino, Einaudi, 1980, («Nuova Universale
    Einaudi», 169).

Traduzioni
Traduzioni in italiano moderno
    Il Decamerone, Edizione integrale con testo a fronte in italiano moderno, 3 voll., Milano,
    Edizioni DCM, 1966.
    Decamerone da un italiano all'altro, [di] Aldo Busi, 2 voll., Milano, Rizzoli, 1990-91; Il
    Decamerone, Versione in italiano moderno, Milano, BUR, 2013; Aldo Busi riscrive il
    «Decamerone», Milano, BUR, 2015.[16]
    Il Decamerone secondo la nostra lingua, [di] Pasquale Buonomo, Roma, Albatros, 2018
    (collana «Gli Speciali»).

Traduzioni in lingue straniere
    Le Décaméron, Traduction nouvelle de Jean Bourciez, Paris, Garnier, 1952.
    Das Dekameron, Deutsch von Albert Wesselski, 2 voll., Frankfurt am Main, Insel, 1972.
    Decameron, Traducción de Maria Hernandez Esteban, Madrid, Catedra, 1998.
    The Decameron, translated by Guido Waldman, Oxford, Oxford University press, 1998.

Note
 1. ^ Decameròn, su treccani.it. URL consultato il 18 aprile 2021.
 2. ^ (EN) Decameron, su britannica.com. URL consultato il 18 aprile 2021.
 3. ^ La pronuncia corretta, rispettando l'etimo greco prevede l'accento sull'ultima sillaba,
    decamerón.
 4. ^ Copia archiviata, su internetculturale.it. URL consultato il 19 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il
    7 marzo 2016).
 5. ^ Arianna Terzi, Francesco Mannelli, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 69, Roma,
    Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2007.
 6. ^ Gio. Boccaccio, Il Decameron, tratto dall'ottimo testo scritto da Fran.co d'Amaretto Mannelli
    sull'originale dell'autore, Lucca, s.e., 1761.
 7. ^ " Panciatantra " : padre di tutte le novelle (http://archiviostorico.corriere.it/1992/febbraio/06/
    Panciatantra_padre_tutte_novelle_co_0_9202068967.shtml)
 8. ^ Mario Baratto, Realtà e stile del Decameron,Vicenza, Neri Pozza, 1970.
 9. ^ Vittore Branca, Giovanni Boccaccio, in "Letteratura italiana - I maggiori", p. 228-230.
10. ^ Vittore Branca, Boccaccio medievale, Firenze 1956.
11. ^ Aldo Giudice e Giovanni Bruni, Problemi e scrittori della letteratura italiana, vol.1, ed.
    Paravia, Torino, 1973.
12. ^ Mario Pazzaglia, Letteratura italiana, vol.1, ed. Zanichelli, Bologna, 1986.
13. ^ Lingua e stile del "Decameròn" | Neteditor - Scrivere e Pubblicare Online (http://www.neted
    itor.it/node/124542) Archiviato (https://web.archive.org/web/20130213141901/http://www.net
    editor.it/node/124542) il 13 febbraio 2013 in Internet Archive.
14. ^ Vittore Branca, Lucia Nadin, La stampa "Deo gratias" del «Decameron» e il suo carattere
    contaminato, in: «Studi sul Boccaccio», vol. 8 (1974), pp. 1-77.
15. ^ Vedi la contraffazione di Londra, Tommaso Edlin, 1725 (http://books.google.it/books?id=8K
    heh6j35qkC).
16. ^ Vedi intervista ad Aldo Busi (https://www.premioletterarioboccaccio.it/la-storia-del-premio/2
    56-una-lingua-che-cambia-in-continuazione-–-aldo-busi-intervistato-su-boccaccio.html).

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Voci correlate
  Il Decameron
  Divina Commedia
  Ghino di Tacco
  Le donne nell'opera di Boccaccio

Altri progetti
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Collegamenti esterni

    Decameròn, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
    (EN) Decameron, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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