Dal Partigiano Corrado di Pavese al Covid19
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Dal Partigiano Corrado di Pavese al Covid19 Un lungo abbraccio dai balconi per questa giornata di resistenza e Ri-costruzione Luisa Langella “Questa mattina mi sono alzato” in un’Italia vuota. La stessa del partigiano Corrado di pavesiana memoria che osserva la città deserta e le terre desolate. Piazza Plebiscito , piazza del Colosseo , via Monte Napoleone: spazi deserti e desolati. Solo poco tempo fa brulicanti di tram e autobus, biciclette, auto e pedoni: un’Italiana piena. Un’Italia piena, che oggi si unisce, si stringe. L’Italia dei drappi tricolori attaccati ai balconi, l’Italia che canta insieme alle finestre l’Inno Nazionale, l’Italia degli arcobaleni. Napoli illuminata dalle torce dei cellulari a tempo di “Abbracciame” di Andrea Sannino. Gli Italiani si abbracciano rispettando il metro di distanza e resistono. Resistono a questa che tutto il mondo ha definito guerra. Spinti dallo stesso sentimento partigiano di unione. “La Resistenza è stata un fatto straordinario. Ha realizzato un’unità veramente eccezionale” (Nilde Iotti) Il Covid-19 è stato un fatto straordinario, ha realizzato un’unità veramente eccezionale. Ha unito il mondo, che mai, prima d’ora si era sentito sulla stessa barca. Questi sono davvero giorni partigiani, giorni di unione e di resistenza per prepararci a una nuova liberazione. Un’altra liberazione, quella dalla quarantena, ma non così diversa. Gli Italiani liberati, di 75 anni fa, li immagino disorientati, smarriti e spaventati anche di chi è sempre stato accanto a loro, tanto quanto gli Italiani liberati ai tempi del Covid-19. Il virus si è preso gioco di noi. Ha rinchiuso in casa un popolo che vive fuori casa, che ama stare all’aria aperta, che mangia velocemente qualcosa take away e che si assembra anche solo per un caffè. E mi chiedo se gli Italiani non siano più liberi
in quarantena o se gli Italiani, in quarantena, non siano mai stati più liberi di così. Liberi da una società frenetica che impone un certo comportamento, un certo stile di vita e un certo modo di parlare e pensare. Ha rallentato la generazione che nell’immediato e nella velocità aveva creduto di trovare la felicità e l’appagamento dimostrando che possiamo fare a meno di tante cose, ancora in chiusura, tranne che di una famiglia riunita intorno a un tavolo nella cucina della propria casa . “Oh partigiano, portami via che mi sembra di morir” Ci vuole coraggio, come diceva Pavese, di starsene soli ma agli Italiani partigiani, il coraggio non è mai mancato. Sul 25 aprile Federico Sanguineti Tema. Sul 25 aprile. Svolgo. Il 25 aprile a cosa penso? Penso a Teresa Mattei la ragazza che alla Costituente volle aggiungere l’espressione « di fatto » nell’articolo 3 comma 2 de la Costituzione. Aveva allora venticinque anni e per tutta la vita spiegò sempre
che la sovranità appartiene al popolo e che questo vuol dire qualche cosa che va al di là de la democrazia borghesemente e formalmente intesa. Ne la sostanza significa infatti che ciascuna e ciascuno è in sé sovrano dal di che nasce fino al dì che muore senza delegare nessun altro. « Non aspettar mio dir più né mio cenno libero dritto e sano è tuo arbitrio e fallo fora non fare a suo senno per ch’io te sopra te corono e mitrio ». Importante non è dunque per noi che qualcuno governi al nostro posto ma di fatto chiunque si governi. Un popolo in cammino sulle note di Bella Ciao Oggi celebriamo il LXXV anniversario della Liberazione d’ Italia dal nazifascismo. Resistenza e Libertà i termini che
definiscono questo giorno, da cui trarre spunto per superare la morsa di questa pandemia Di OLGA CHIEFFI E’ oggi il LXXV anniversario della Liberazione d’Italia dal Nazifascismo, due termini lo contraddistinguono da allora: Resistenza e Libertà. Oggi, che questa Festa forte, intensa, cade in un periodo buio, dal quale stiamo venendo fuori vogliamo declinare questi due termini anche alla luce dei giorni che stiamo vivendo. Abbiamo chiesto di sostenerci in questa nostra idea a Giorgio Benvenuto, a Federico Sanguineti, agli studenti del Liceo Scientifico “ Renato Caccioppoli” di Scafati, su invito rivolto alla loro docente Patrizia Polverino, e ancora Luisa Langella, Giulia Iannone. Ci renderemo conto, dopo aver letto con attenzione le colonne di questo giornale, che le parole Resistenza e Libertà, hanno lo stesso significato ieri come oggi. La Resistenza è l’impresa storica di un popolo, compiuta per libera scelta di milioni di uomini e donne semplici, che di essa furono protagonisti in senso pieno, creatori e corresponsabili. Non una decisione imposta, ma una scelta contro ciò che veniva imposto; non l’inquadramento forzato in un esercito istituzionale, per una guerra decisa dall’alto, ma la costruzione volontaria di un esercito dal nulla, di un esercito di liberi e uguali. Una disciplina ferrea, ma derivante dalle esigenze della lotta liberamente intrapresa, e costantemente corretta e rafforzata dal carattere collettivo delle decisioni. Una democrazia piena, vissuta come costante compartecipazione di tutti ai problemi, e alle scelte, collettivi: la democrazia più piena e più alta, che la storia d’Italia abbia mai conosciuto. Non deve debordare in retorica, nè agiografia, ce lo insegna il pensiero di Piero Gobetti: bisogna guardare alla Resistenza, così come è stata vissuta da “un popolo alla macchia”, da un popolo che si è dato organizzazione, strutture militari e politiche, giornali, codice civile e morale, senza l’intervento di apparati coercitivi separati dal popolo
stesso, anzi, contro il potere armato esistente. Una generazione quella, che si caricò l’Italia sulle spalle, consapevole della Res Publica, nella sua essenza più pura, un qualcosa che da tempo sembra smarrito, quasi sconosciuto, sia nella popolazione che nella classe dirigente. La pandemia, la paura, il pericolo, può farci riacquistare quella consapevolezza. I nuovi eroi sono i medici, gli infermieri, quanti lasciano intravvedere ancora la luce a tutti noi. Stiamo resistendo tutti, anche gli animali, gli sportivi, gli artisti, i musici, i poeti, cercando di reinventarsi, anche noi stessi che redigiamo le pagine dedicate a quegli spettacoli, opere, drammi, che sono fermi. Abbiamo, così, pensato di farvi mettere in cammino con noi, tanti ci hanno donato delle testimonianze, hanno ri-trovato il gusto di scrivere, di raccontarsi, di rivelare difficoltà, malanimo, affetti, nostalgie, melanconie. Quando ne usciremo, noi che non abbiamo conosciuto la lezione dura della guerra, ma che abbiamo affrontato questo periodo buio, che avrà strascichi economicamente pari al secondo conflitto mondiale, dovremo metterci in cammino, con lo stesso entusiasmo, volontà e disciplina dei nostri padri fondatori. Oggi alle ore 15 pare che l’appuntamento sui balconi sia sulle note di “Bella Ciao”. Il nostro personale invito è a non tradire quel canto simbolo della Resistenza, come immagino, purtroppo avverrà, con qualche mutazione, remix, ignorante, da motivetto disco dance. Si è combattuto sulle note di “Bella ciao”, è ingiusto che oggi, 25 aprile, questo canto possa essere associato a incoraggiamento per una banda di ladri della tv o colonna sonora di vacui balletti da villaggio turistico. Oggi, Bella Ciao continui, come allora, ad essere simbolo del nostro popolo che si è messo finalmente in moto, in viaggio, con la sua musica, colonna sonora della Libertà e della Democrazia che allora nascevano.
Il 25 aprile ieri e oggi La direzione comune per sostenere lo sforzo di uscire dal disastro della guerra rimaneva e rimane una priorità, perché da essa dipende il destino del mondo del lavoro. Oggi c’è bisogno di non smarrire propositi positivi che non vanno immiseriti da polemiche tanto sterili quanto inutilmente distruttive Di GIORGIO BENVENUTO “Il desiderio di resistere alla oppressione è radicato nella natura umana” osservava Tacito, lo storico latino. E quando si ricorda la Resistenza ed il 25 aprile, queste parole sono appropriate perché permettono di allargare la visione di quel periodo agli anni precedenti all’ 8 settembre 1943, quando l’impegno contro la dittatura fascista era di una tenace minoranza, che si poneva l’obiettivo della ricostruzione dell’Italia dopo la liberazione dal nazifascismo. Proprio per tali ragioni non ha senso cercare di dare nuovi significati alla festa della Liberazione. Semmai l’errore che si rischia di commettere è quello di trascurare che da quel drammatico periodo prende le mosse una classe dirigente che, sia pure con diverse ideologie, ha saputo rimettere in piedi il Paese, la sua economia, le basi del vivere civile. La parola Liberazione andrebbe dunque, soprattutto per i giovani, associata a quella di ricostruzione morale, civile, economica e sociale. A mantenere viva la lotta per la libertà, prima della seconda guerra mondiale ci avevano pensato politici e sindacalisti del valore di Turati, dei fratelli Rosselli, di Pertini, di Amendola, di Gramsci, di Foa, di Gobetti, di Giacomo Matteotti, di Nenni, di Buozzi, di Di Vittorio e di tanti altri, assai meno noti, forse, ma capaci di non arrendersi in un periodo di libertà negate, di “pensiero Unico” e di
controllo poliziesco, con la forza di rimanere opposizione morale e politica. Pagando, spesso, con una stentata sopravvivenza questa scelta. E, dal ’43 in poi, come non ricordare l’apporto dei lavoratori alla lotta contro il nazifascismo, con gli scioperi nelle fabbriche, ma anche con la difesa di esse, che volevano dire pane e lavoro per tante famiglie, specie al nord. Quando celebriamo il 25 aprile, insomma, rendiamo anche giustizia a questi sacrifici, a queste lotte. E sia pure fra varie differenze, questa data diviene il crocevia di aspirazioni ad un Paese diverso da parte di socialisti, comunisti, cattolici e liberali di varia estrazione, che confluiranno nella posa di pietre miliari per la rinascita dell’Italia: la Repubblica, la Costituzione, il voto alle donne, il ritorno alla libertà ed unità sindacale, solo per citarne alcune. Si possono avere giudizi discordanti sul significato del 25 aprile, ma non si può ignorare che, la nuova fisionomia politica e sociale del Paese, si realizza partendo dalla riconquistata libertà di cui quel giorno è simbolo storico. Non si tratta, allora, di ridurre questa ricorrenza al solo aspetto “distruttivo” della cacciata del nazifascismo, ma di fare un passo in più per comprendere che, quella forza messa in campo dall’antifascismo di diverse provenienze, divenne determinante per avviare la ricostruzione del nostro Paese. Questo spirito sopravvive addirittura quando il mondo si troverà diviso in due: Occidente ed Oriente. Palmiro Togliatti, segretario del Pci di allora, non a caso dichiarava, dopo la rottura dei Governi di coalizione antifascista, che il suo partito era “fuori dal Governo, ma dentro la Costituzione”. Perché era proprio la Costituzione che diventava il nuovo motore di un Paese che voleva lasciarsi alle spalle le macerie della guerra. Tanto che la sinistra, Psi e Pci, approvò nel 1948, nel pieno dello scontro ideologico e politico con la Dc, il provvedimento che rilancia il prestito per la ricostruzione, composto da titoli di stato. In quell’occasione dal PCI e dal PSI venne l’invito agli operai ad investire parte del loro salario acquistando quei titoli. Ed era da più di un anno che erano usciti dal governo
De Gasperi. Non solo: nel 1945 un altro esponente della sinistra Ferruccio Parri , in qualità di Presidente del Consiglio, con il Ministro Soleri lanciò il prestito della liberazione anche al fine di assicurare la stabilità del credito. Come mai questa attenzione al risparmio in una realtà devastata da grandi distruzioni? Probabilmente perché c’era un forte legame fra quelle forze politiche ed il mondo del lavoro che permetteva di sostenere come credibili quelle proposte. Un legame di cui il 25 aprile, lo si voglia o no, era un simbolo reale. La direzione comune per sostenere lo sforzo di uscire dal disastro della guerra rimaneva una priorità, anche perché da essa dipendeva il destino del mondo del lavoro. Ed in un certo senso il compimento del 25 aprile lo possiamo trovare nel testo della nostra Costituzione. In essa confluisce la speranza di coloro che si sono battuti per la libertà, ma anche di coloro che avevano ritrovato fiducia in se stessi ed avevano compreso la lezione di un passato che andava superato. Uno dei padri della Carta Costituzionale, Piero Calamandrei, osservava che quel testo non andava celebrato, ma attuato. E citava l’esempio dell’articolo 3 nel quale lo Stato si deve impegnare a rimuovere gli ostacoli che si frappongono all’esercizio concreto dei valori cui esso si ispirava, da quello della libertà a quello della dignità della persona. E per far comprendere che questa attuazione era possibile in presenza di una coesione di fondo della società raccontava la storiella di quei due emigranti imbarcati su un piroscafo che faceva rotta verso l’America. Uno dei due mentre sul ponte osservava la burrasca che si avvicinava sentì un marinaio esprimere il suo allarme per i rischi che la nave correva. Si precipitò dal suo amico che dormiva e lo mise al corrente della situazione: “se la tempesta aumenterà di intensità, la nave potrebbe affondare”. E l’amico di rimando: “e cosa mi importa, non è mica mia…”. La nave nella interpretazione di Calamandrei era ovviamente l’Italia. E questa considerazione ci riporta
all’oggi ed alle difficoltà che dobbiamo affrontare con la pandemia. Il primo spunto di riflessione è proprio collegato alla necessità di dare priorità, quando sarà possibile, alla ricostruzione. C’è bisogno di non smarrire propositi positivi che non vanno immiseriti da polemiche tanto sterili quanto inutilmente distruttive. Sappiamo bene che avremo a che fare con una economia stremata che produrrà disoccupazione, disagio sociale, chiusura di attività economiche. Si deve reagire nel solo modo possibile: rilanciare la sfida della crescita, con programmi, progetti, confronto aperto fra Istituzioni e forze sociali, idee nuove, mettendo il bene comune al di sopra delle ambizioni personali. Allora, il 25 aprile e dopo, l’Italia era in possesso malgrado le vicissitudini della guerra e della dittatura di una classe dirigente composta da grandi personalità. Eppure, essi furono tanto lungimiranti da cedere il passo alle necessità di un Paese che non poteva sopravvivere sulle parole, tantomeno sui monologhi. Ma occorre, anche più che mai, avere un’ Europa che sappia andare oltre i nazionalismi, gli egoismi, le logiche meschine che suggeriscono di far passare in qualche modo ‘a nuttata. L’Europa ha bisogno anch’essa di una stagione di ricostruzione profonda che le restituisca un’anima vitale, ritrovando ragioni comuni per una coesione in grado di andare oltre il mantenimento di una economia di mercato e della moneta unica. Oggi il primato, come avvenne allora da quel 25 aprile in poi, deve spettare ad un progetto politico, alla politica. Ed infine, questo 25 aprile può essere l’occasione per ricordare che è sempre possibile ritrovare unità d’intenti. Oggi essa è necessaria e non si può ritrovare che in un ruolo attivo e definito dello Stato, ma non certo nella confusione istituzionale che vede lo Stato, le Regioni e gli enti locali antagonisti fra di loro, oppure il ruolo di partiti, Parlamento, corpi intermedi, ridimensionato dal pullulare di task force di consulenti, di tecnici, di esperti incapaci di fare squadra. Va compiuto, invece, uno sforzo
serio di ritrovare una direzione di marcia ben definita.Le priorità che vanno fissate possono esse stesse divenire terreno di discussione e di competizione sulla scena politica. Ma devono essere tali da consentire di dare risposte concrete, realizzabili. E non si potrà non ripartire sul piano economico che da una strategia contro la disoccupazione e per nuova, buona occupazione, evitando di finire impantanati per anni nella pratica di un assistenzialismo che a lungo andare logora anche la tenuta democratica. Ricordare nel modo giusto il 25 aprile può aiutare in questa ricerca di nuove strade, senza l’illusione che tutto potrà tornare come prima. Ma questo obiettivo vuol dire soprattutto impegnarsi nella realizzazione di un buon futuro soprattutto per le giovani generazioni. In quel giorno nel 1945, non dimentichiamolo, fra i protagonisti della riacquistata libertà nelle piazze e nelle vie delle nostre città c’erano tanti, tantissimi giovani. #iononapro, la protesta contro le norme varate dalla Regione “Quanto si legge nell’ordinanza è frutto di mostruosità e di follia pura. Qualcosa che è stato partorito soltanto da qualcuno che non conosce a fondo il mondo del Lavoro”, il pensiero di Giovanni Marone della Confcommercio che, per primo, proprio dalle colonne di questo giornale, ha paventato pericoli di misure di sicurezze pensate da “esperti” non proprio del settore. E quanto si legge nell’allegato
all’ordinanza regionale dello scorso 22 aprile, ha scosso profondamente il mondo del commercio non solo di Salerno ma della Campania tutta. Al grido di #iononapro, si sta creando un vero e proprio movimento di commercianti che non daranno vita al delivery food suggerito dall’ordinanza dell’altro giorno. «Vorrei precisare che il sottoscritto non si occupa di politica, anche perché preferisco lasciarla a chi la fa per mestiere. – puntualizza Nino Marone – Posso solo rilevare che questo tipo di normativa non fa altro che aumentare i danni che già sono stati creati dall’emergenza a questo settore. Non è alcun attacco al governatore De Luca quanto a chi l’ha consigliato. Ai tecnici che generano queste follie. Mostruosità del genere che sono fuori da ogni logica». Praticamente ignorati tutti i parametri, con il via al nuovo tipo di commercio “pensato” da Santa Lucia che non suscita assolutamente consensi. «Siamo al paradosso nel mondo del commercio. – aggiunge Marone – Mentre è stato finora offerto un tipo di servizio senza bisogno di osservare protocolli rigidi di sicurezza ad altri esercizi, leggasi supermercati e farmacie ad esempio, adesso è chiesto l’impossibile ai commercianti. Addirittura si richiede di chiudere le proprie botteghe e per fare solo servizio di delivery food. Il tutto tramite prenotazioni online o telefoniche. Ci troviamo di fronte ad un e vero e proprio paradosso. E’ una cosa che può partorire soltanto un qualcuno che non conosce a fondo il mondo del Lavoro». Giovanni Marone, a questo punto, entra nel vivo della discussione, facendo anche quelli che sarebbero i conti in tasca agli operatori commerciali. «Il problema non è l’orario di apertura degli esercizi commerciali quanto la modalità. – riprende – Vorrei tanto appellarmi al senso imprenditoriale del nostro legislatore perché adesso s’invita a far uscire dalla cassa integrazione i dipendenti per guadagnare la giornata con la consegna di cibo a domicilio. Non è possibile, si dovrebbe in poche ore consegnare un numero incredibile di pizze o caffè per giustificare la spesa del pizzaiolo e del fattorino. Siamo completamente fuori da ogni concezione economica. La maggiore convenienza in questo
momento, per com’è stato partorito tale provvedimento è proprio quello di restare chiusi. Ora, ci si guadagna proprio restando chiusi. Aveva ragione il titolare di una nota pizzeria napoletana che affermava: Il presidente De Luca ha individuato il metodo per non farci aprire». Altro problema, poi, ci sarà per i mercatali e gli ambulanti quando potranno di nuovo lavorare. «Gli ambulanti non sono proprio considerati. – chiosa Marone – I mercatali come futuro avranno quello che diceva Dante di essere “color che son sospesi”». La consegna a domicilio delle pizze? Le effettua l’Humanitas “Stiamo ricevendo richieste da altre pizzerie a partire da lunedì prossimo”. A dirlo è Roberto Schiavone dell’Associazione Humanitas Soccorso Italia onlus, con la partenza ufficiale del nuovo progetto – che aveva anticipato proprio al nostro giornale – per rendere più sicure le consegne delle pizze a domicilio. «Siamo pronti a partire lunedì con l’apertura delle pizzerie, per il servizio di consegna a domicilio. – afferma Roberto Schiavone – Per la verità avevamo già un impegno con una nota pizzeria salernitana che ha chiesto il nostro intervento quando potrà alzare la saracinesca. Ma altre in queste ore si stanno assommando alla prima, cercheremo di verificare per tempo tutto il protocollo di controllo con chi ci ha già chiamato. Una nostra squadra, infatti, sarà chiamata a misurare ai runner la temperatura e a controllare tutti i parametri sensibili a un eventuale contagio covid. Nel caso malaugurato che ci fosse, e in particolare il sintomo della febbre, il
runner sarebbe immediatamente bloccato e rispedito a casa, con nostro personale che nelle ore successive lo seguirà a casa, per verificare tutta la sintomatologia. Una misura di sicurezza in più, dunque, per i tanti amanti della pizza e non solo». Una squadra, dunque, che sarà provvista di tutto il materiale utile per il rilevamento termico della temperatura corporea e non solo. Una prima fase, dunque, con quella che dovrebbe anche essere una vestizione particolare del runner che sarà chiamato a portare nelle case dei salernitani il prezioso alimento, così tanto atteso in questo lungo periodo di quarantena. «Cercheremo di far arrivare in tutta sicurezza le pizze a casa dei salernitani. – riprende Schiavone – Collaboreremo per far arrivare il prezioso alimento nelle case dei cittadini salernitani senza pericoli di contaminazione da parte dei runner». Emergenza covid, nuova ordinanza di De Luca. Le pizzerie guadagnano un’ora, sì al jogging ma vicino casa Il Presidente Vincenzo De Luca ha firmato l’Ordinanza n.39 del 25 aprile 2020, che reca ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. L’ordinanza contiene una serie di disposizioni da ritenersi sperimentali e conta sul senso di responsabilità di tutti i cittadini. Se si dovessero verificare situazioni di assembramento tali da produrre diffusione del contagio, la stessa ordinanza sarà immediatamente revocata. Nell’ordinanza
si fa riferimento anche all’industria conciaria campana; sono consentite attività di manutenzione a difesa delle produzioni e delle quote di mercato del settore. Nelle tabelle allegate vengono illustrate le disposizioni di sicurezza per il settore edile, con aggiornamento delle misure che riguardano la ristorazione. Ecco in sintesi la parte ordinativa: 1. Con decorrenza dal 27 aprile 2020 e fino al 3 maggio 2020, su tutto il territorio regionale sono consentite: a) previa comunicazione al Prefetto competente, le attività conservative e di manutenzione, di pulizia e sanificazione nei locali ed aree adibiti allo svolgimento di attività commerciali e produttive, ancorché sospese per effetto della vigente disciplina statale e/o regionale, ivi comprese le attività alberghiere e ricettive in genere nonché quelle balneari e quelle relative alla manutenzione, conservazione e lavorazione delle pelli; b) l’attività edilizia nei limiti delle attività con codici ATECO ammessi dalla vigente disciplina nazionale (DPCM 10 aprile 2020). 2. È approvato il documento Allegato 1 al presente provvedimento per formarne parte integrante e sostanziale, recante le misure precauzionali obbligatorie per la sicurezza nei cantieri edili. Le indicate misure di sicurezza e precauzionali si applicano, altresì, agli esercenti ed operatori impegnati nelle attività di cui alla lettera a) del punto 1 della presente Ordinanza, per quanto compatibili in relazione alle attività da svolgere. 3. A parziale modifica dell’Ordinanza n.37 del 22 aprile 2020, dal 27 aprile 2020 e fino al 3 maggio 2020, sono consentite le attività e i servizi di ristorazione – fra cui pub, bar, gastronomie, ristoranti, pizzerie, gelaterie e pasticcerie- con la sola modalità di prenotazione telefonica ovvero on line
e consegna a domicilio, nel rispetto delle norme igienico- sanitarie nelle diverse fasi di produzione, confezionamento, trasporto e consegna dei cibi e salvo quanto previsto al successivo punto 4, con i seguenti orari: 3.1. quanto ai bar, pasticcerie, gelaterie, rosticcerie, gastronomie, tavole calde e similari, dalle ore 7,00 e con possibilità di effettuare l’ultima corsa di consegna alle ore 14,00; 3.2. quanto ai ristoranti e pizzerie, dalle ore 16,00 e con possibilità di effettuare l’ultima corsa di consegna alle ore 23,00. 3.3 Negli orari di cui ai precedenti punti 3.1 e 3.2 non è computato il tempo necessario alle operazioni di pulizia e organizzazione dell’attività, anteriori e successive alla stessa, da svolgersi ad esercizio chiuso. 4. È fatto obbligo, agli esercenti ed operatori impegnati nelle attività di cui al precedente punto 3 e per gli utenti, di osservare le misure di sicurezza e precauzionali prescritte nel documento Allegato sub 2 al presente provvedimento per formarne parte integrante e sostanziale, che sostituisce l’Allegato A all’Ordinanza n.37 del 22 aprile 2020. 5. Per la durata di vigenza della presente ordinanza resta vietata la vendita al banco di prodotti di rosticceria e gastronomia da parte delle salumerie, panifici e altri negozi di generi alimentari. Resta consentita la vendita con consegna a domicilio dei prodotti opportunamente confezionati e con obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale di cui all’art.16 del decreto legge n.18/2020 da parte degli addetti alle consegne. 6. Con decorrenza dal 27 aprile 2020 e fino al 3 maggio 2020, fermo restando il divieto di svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto, è consentito svolgere individualmente attività motoria all’aperto, ove compatibile con l’uso
obbligatorio della mascherina, in prossimità della propria abitazione, e comunque con obbligo di distanziamento di almeno due metri da ogni altra persona- salvo che si tratti di soggetti appartenenti allo stesso nucleo convivente- nelle seguenti fasce orarie: – ore 6,30-8,30; – ore 19,00-22,00. Gli «eroi»? Appena 100 euro in busta paga di Andrea Pellegrino Sono definiti «eroi» ma in busta paga si sono ritrovati con cento euro in più. E’ l’amara sorpresa dei dipendenti dell’azienda universitaria ospedaliera “Ruggi d’Aragona” che nell’ultima busta paga, alla voce “premio per i giorni lavorati” si sono ritrovati un aumento che non supera i cento euro. C’è chi addirittura ha ricevuto appena 90 euro. E’ il personale sanitario della mega azienda ospedaliera che oltre il Ruggi d’Aragona di via San Leonardo di Salerno, gestisce i plessi “Da Procida”, sempre di Salerno, il “Santa Maria dell’Olmo” di Cava de’ Tirreni; il “Fucito” di Mercato San Severino e quello della Divina Costa a Ravello. Un esercito che sta combattendo, anche a mani nude (in alcune circostanze nel senso letterario della parola), la lotta al Coronavirus. Eroi nel nostro tempo che hanno rischiato e rischiano ancora contagi e che fino a poco fa elemosinavano i principali dispositivi di sicurezza individuale. A partire dalle mascherine, grandi assenti all’inizio dell’emergenza. L’ultima amara sorpresa è arrivata nella busta paga di marzo con un premio economico certamente non all’altezza del lavoro che stanno svolgendo, nonostante gli ospedali, siano, ormai, una delle maggiori fonti del contagio. La lista di addetti tra
medici, infermieri e personale sanitario è sempre più lunga, segno, comunque, che qualcosa, all’interno delle strutture della nostra provincia non sia andato per il verso giusto. Prima l’assenza dei dpi poi il tardivo arrivo di una struttura ad hoc, ancora non pienamente funzionante, sorta in uno dei parcheggi del «Ruggi d’Aragona», nonché l’iniziale tentennamento nella riapertura di alcuni plessi strategici, tra cui il “Da Procida” e i vari ospedali dismessi o malfunzionanti a sud della provincia. Eroi nel nostro tempo, con poche armi a disposizione e ora anche con pochi riconoscimenti. “Turismo travolto dal covid-19 e la Regione resta a guardare”, la denuncia di Imma Vietri (FdI) «Un settore trainante per l’economia campana, come quello del turismo, rischia di essere travolto dalla crisi legata al coronavirus se gli operatori non verranno sostenuti con misure economiche adeguate e con una strategia complessiva di promozione di cui la Regione deve farsi carico». È quanto afferma Imma Vietri, dirigente di Fratelli d’Italia. Lo studio di Demoskopika pubblicato proprio in questi giorni parla del rischio di veder andare in fumo 18 miliardi di spesa in tutta Italia. Secondo gli studi di Assoturismo Confesercenti e di Cna si potrebbero raggiungere cifre ancora più alte. «La Campania, a differenza di altre Regioni, ha stanziato risorse insufficienti per fronteggiare la crisi e una buona parte delle 37mila aziende che operano nell’alloggiamento e nella ristorazione non riceveranno alcun contributo», dichiara la dirigente di FdI.
Infatti, secondo la denuncia dell’Abbac, l’associazione dei titoli di B&b, migliaia di microimprese turistiche e dei servizi potrebbero non aver accesso al contributo una tantum. E l’associazione di categoria fa riferimento a quei gestori di bed and breakfast e case che operano nel rispetto della normativa di settore, ma si ritroveranno senza alcuna forma di sostegno economico per carenza di fondi o perché non rientrano tra i possibili beneficiari in base ai particolari requisiti richiesti. «I parametri di fatturato adottati dalla Regione Campania per stabilire a chi destinare le risorse si trasformeranno, di fatto, in uno sbarramento che terrà fuori tantissime attività che pure stanno pagando le conseguenze della pandemia. Più opportuno – è il parere di Imma Vietri – sarebbe stato un sistema inclusivo, che desse un sostegno a tutti coloro che sono stati realmente danneggiati dalle misure restrittive prese in conseguenza del Covid-19». Allargando il discorso alle altre attività che potranno riaprire in questi giorni, al dirigente di Fratelli d’Italia osserva come le misure adottate finiscano per penalizzare gli imprenditori anziché aiutarli. «Le procedure che si dovranno seguire non possono gravare sulle sole tasche degli esercenti, che fino ad ora non solo non hanno incassato nulla per via della chiusura, ma nella maggior parte dei casi non hanno ancora ricevuto alcun sostegno economico. Ecco perché la Regione si sarebbe dovuta far carico di alcune spese, come quelle della prima sanificazione, o avrebbe dovuto far rientrare nelle attività del servizio sanitario pubblico i tamponi per il personale. Si tratta – conclude Imma Vietri – di forme concrete di aiuto, da tenere in considerazione sia in questa prima fase che in quelle future, quando potranno ripartire anche altre attività». Salerno, 75° anniversario del
25 aprile ricordando Nicola Monaco Festa della Liberazione, 75° anniversario, per pochi intimi questa mattina a Salerno. L’emergenza covid-19, dunque, ferma anche una ricorrenza particolarmente sentita, ma anche contestata, nazionale. Identiche manifestazioni si sono susseguite in tutta Italia. A Salerno, il sindaco Vincenzo Napoli ha deposto una corona nei pressi della lapide che ricorda il partigiano Nicola Monaco e per lui tutti i combattenti e caduti per la Libertà e la Democrazia. foto Massimo Pica foto Massimo Pica foto Massimo Pica foto Massimo Pica foto Massimo Pica foto Massimo Pica
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