Categorie linguistiche. Confini, struttura, acquisizione 2017

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Categorie linguistiche. Confini, struttura, acquisizione.

Linguistica                                                 dicembre 14

Generale m                                                  2017
(2017/2018)

Categorie
linguistiche.                                                             Lezione del dott.
                                                                          Nicola Santoni
                                                                          (Università degli

Confini, struttura,                                                       Studi di Macerata)

acquisizione.

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©Nicola Santoni 2017
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In un corso di linguistica generale che ha preso in considerazione da vicino i temi dell’acquisizione
(neuro)linguistica, mi sembra di una qualche utilità proporre una ricognizione dello stretto legame
che unisce saldamente le facoltà cognitive generali delle specie umana con il linguaggio. A tale
scopo, trovo utile concentrarmi su una delle nostre più fondamentali e vitali capacità, che ha
notevole peso nella strutturazione ontogenetica del linguaggio, in fase acquisizionale, così come nel
suo quotidiano uso, nel quale concorre a determinare in maniera preponderante la semantica di
enunciati, testi, sintagmi, etc., in altre parole a garantire la comprensibilità (per chi codifica e per
chi decodifica) delle lingue. Mi sto riferendo alla categorizzazione, e alle categorie. D’altronde,
categorizzare è una delle attività e, direi, delle competenze tecnico-scientifiche, cui dedica molte
delle proprie risorse il linguista, sin da quando era grammaticus.
La categorizzazione linguistica investe tutti i piani di analisi, a partire dal più microscopico (il
fonema è una categoria), fino a categorie morfosintattiche (dividendo nomi da verbi, costruzioni
transitive da intransitive/riflessive…) e sintattico-semantiche (soggetti, predicati…). La tradizione
grammaticale su cui poggia la categorizzazione linguistica è di lungo corso, ha le sue radici, in
Occidente, nell’Antichità: le fondamentali divisioni in classi di parole di Dionisio Trace, riadattate
alla latinità, che (per salvaguardare il numero di categorie morfologiche del greco) inseriva
l’interiezione dove il greco aveva l’articolo (del tutto assente in latino), e inoltre la divisione dal
punto di vista della logica (e così per tutto il medioevo, su base aristotelica) di un subiectum da un
praedicatum furono categorie linguistiche privilegiate per asserire proposizioni su stati di cose del
mondo. E la prassi non sembra poi molto cambiata nelle nostre scuole, così come nelle nostre
“private” riflessioni linguistiche. Ad essere cambiate, però, nel frattempo, dopo millenni, sono le
categorie stesse… O meglio, la concezione dell’attività umana di categorizzazione ha subito una
notevole rideterminazione, e per la prima volta è stata problematizzata, ovverosia è stata messa in
dubbio radicalmente nella sua apparente semplicità ed intuitività.
Un esempio di categorizzazione linguistica di grandissima fortuna:

Omnia nomina, quibus Latina utitur eloquentia, quinque declinationibus flectuntur, quae ordinem
acceperunt ab ordine vocalium formantium genetivos. Prima igitur est declinatio cuius genetivus in
ae dipthongon desinit, ut hic poeta huius poetae; secunda cuius in i productam supra dictus finitur
casus, ut hic doctus huius docti; tertia in is brevem, ut hic pater huius patris; quarta in us
productam, ut hic setatus huius senatus; quinta in ei divisas, ut hic meridies huius meridiei.
(Prisciano di Cesarea, Institutio de nomine et pronomine et verbo)

Non sembra, almeno per quanto ci riguarda in questa sede, che le categorie grammaticali
individuate presentino particolari problemi: in questa celebre morfologia nominale, i sostantivi
rientrano nelle cinque categorie in base a proprietà necessarie e sufficienti, che esibiscono senza
ambiguità nella loro forma al genitivo. Se un nome possiede, oggettivamente, la vocale
determinante al genitivo, allora esso rientrerà nella categoria declinazione I, II, III, IV, V. Tutti i
sostantivi appartengono alla categoria declinazionale con pari dignità, sono membri della categoria
egualmente appartenenti e rappresentativi. La situazione è la seguente, e si basa su una concezione
cosiddetta lineare delle categorie:

- categoria nomen, non meglio precisata (sull’intuitività e la naturalità dell’emersione del nome in
acquisizione cfr. Basile), ma viene dato per scontato che tutti i nomina siano tali sulla base di
proprietà comuni (referenziali, morfologiche, sintattiche);
- cinque categorie, le declinationes, sullo stesso livello, che quindi hanno una o più proprietà
comuni, per esempio sono divise in sei casi, hanno casi retti da cui declinano metaforicamente
quelli obliqui etc…;
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- genetivus, caratteristica determinante per l’inclusione nella categoria, ma esso stesso categoria
funzionale, sintattica (e semantica);
- poetae, docti, patris, senatus, meridiei sono istanziazioni (e membri) della categoria nomen, e
membri delle categorie declinationes (I, II, II, IV, V), perché posseggono la caratteristica “genitivo
in –x”; “genitivo” è a sua volta categoria, nell’accezione morfologica, che comprende –ae, -i, -
is(brevis), -us, -ei, sottocategoria di casus (dato per scontato). Una categoria può includere o essere
inclusa in un’altra, purché in possesso di caratteristiche necessarie e sufficienti all’inclusione; è la
base del sillogismo aristotelico. Tutti gli x sono Y; z è X; z è Y = Tutti gli uomini sono mortali,
Socrate è un uomo, Socrate è dunque mortale. // Tutti i genitivi in –ae sono appartenenti alla prima
declinazione; poetae è un genitivo in –ae; poetae è appartenente alla prima declinazione.

Gli esempi di questo tipo si possono moltiplicare ed estendere alle grammatiche di altre lingue
(moderne) che conosciamo.

Tuttavia, in maniera tutt’altro che poco problematica, George Lakoff, uno dei più importanti tra i
padri della Cognitive Linguistics, un indirizzo teorico che ha visto i suoi albori a partire dagli anni
Ottanta in antitesi al generativismo di Chomsky, in un testo capitale per la linguistica e gli studi
linguistici in genere, affronta i temi interconnessi del linguaggio, della mente e delle categorie. Va
detto che nel testo della Basile, pur con sporadiche citazioni di alcuni degli assunti della linguistica
cognitiva, essa rappresenti un grande assente rispetto a molte questioni, a beneficio della prospettiva
funzional-interazionista che pure la CL guarda con favore. In apertura del volume, dal suggestivo
titolo Women, Fire, and Dangerous Things, Lakoff avverte il lettore:

«Categorization is not a matter to be taken lightly. There is nothing more basic than categorization
to our thought, perception, action, and speech. Every time we see something as a kind of thing, for
example, a tree, we are categorizing. Whenever we reason about kinds of things –chairs, nations,
illnesses, emotions, any kind of thing at all –we are employing categories. Whenever we
intentionally perform any kind of action, say something as mundane as writing with a pencil,
hammering with a hammer, or ironing clothes, we are using categories. The particular action we
perform on that occasion is a kind of motor activity, […] that is, it is in a particular category of
motor actions. They are never done in exactly the same way, yet despite the differences in particular
movements, they are all movements of a kind, and we know how to make movements of that kind.
And any time we either produce or understand any utterance of any reasonable length, we
are employing dozens if not hundreds of categories: categories of speech sounds, of words, of
phrases and clauses, as well as conceptual categories. Without the ability to categorize, we could
not function at all, either in the physical world or in our social and intellectual lives.» (pp. 5-6)

Il nodo cruciale, che interessa in modo particolare, dunque, il linguaggio e le lingue, è:

«From the time of Aristotle, to the later work of Wittgenstein, categories were thought be well
understood and unproblematic. They were assumed to be abstract containers, with things either
inside or outside the category. Things were assumed to be in the same category if and only if
they had certain properties in common. And the properties they had in common were taken
as defining the category.
This classical theory was not the result of empirical study. It was not even a subject of major debate.
It was a philosophical position arrived at on the basis of a priori speculation. Over the centuries it

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simply became part of the background assumptions taken for granted in most scholarly disciplines.
In fact, until very recently, the classical theory of categories was not even thought of as a theory. It
was taught in most disciplines not as an empirical hypothesis but as an unquestionable, definitional
truth.» (p. 6)

Le prospettive sulle attività semiotiche umane, prima fra tutte il linguaggio verbale, sono in larga
parte, e non sorprendentemente, interessate dalle teorie che implicitamente accettiamo come vere, in
quanto, in maniera alquanto naturale, se riteniamo che i simboli possano ricevere significato solo
attraverso la loro capacità di corrispondere agli oggetti del mondo (in generale, più o meno astratti),
allora i simboli che rappresentano categorie possono ricevere significato solo attraverso la loro
capacità di corrispondere a categorie che sono effettivamente nel mondo (extralinguistico,
extrasemiotico). Non è un’implicazione di poco conto, perché questa prospettiva “classica”, per così
dire, DEVE riposare su alcune sovrastrutture millenarie della cultura Occidentale, che, dopo
l’impulso ricevuto dagli studi di Eleanor Rosch (dalla fine degli anni Sessanta ai tardi anni
Settanta), si sono viste riconsiderare profondamente. Le sovrastrutture che con studi empirici si
sono in buona parte superate nel corso di una trentina d’anni sono le seguenti:

- Il significato si basa sulla verità e sulla referenza: riguarda la relazione tra simboli e oggetti del
mondo;
- Le specie biologiche sono categorie naturali, definite da proprietà comuni essenziali;
- La mente è separata e indipendente dal corpo;
- Le emozioni non hanno contenuto concettuale;
- La grammatica è questione di forma pura;
- La ragione è trascendentale, in quanto trascende il modo, le situazioni in cui gli esseri umani
pensano;
- Esiste una visione corretta e oggettiva del mondo (a God’s eye view), cioè un solo modo corretto
di comprendere ciò che è vero e ciò che è falso;
- Tutti gli uomini pensano usando lo stesso sistema concettuale.

Cominciamo col dire, intanto, che vi sono nomi più nomi di altri («nounier nouns»), e che quindi,
per quanto riguarda la categorizzazione linguistica, la teoria classica non riesce a rendere conto di
questi fenomeni. Quando ciò accade, di solito i fenomeni “ribelli” finiscono nel novero delle
eccezioni o delle irregolarità di una lingua.

Consideriamo gli studi di J.R. Ross per l’inglese, citati da Lakoff. Alcuni nomi, quelli diremmo
prototipici, dopo le scoperte della Rosch, vanno incontro ad un elevato numero di processi
grammaticali, o sintattici, mentre altri, i «less nouny nouns», non attualizzano tutte le costruzioni
possibili a cui i nomi, a rigor di termini, dovrebbero essere soggetti. Eppure così non dovrebbe
essere, se la categoria nome fosse formata da elementi che hanno tutti le proprietà necessarie e
sufficienti e appartengono con pari dignità, sullo stesso piano, alla categoria.

Toe, breath, way, time (di norma, peraltro, nomi alquanto prototipici, rappresentativi della categoria
nella maggior parte dei contesti d’uso)

Essi ricorrono nelle espressioni:

to stub one’s toe
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to hold one’s breath
to lose one’s way
to take one’s time

Sembrerebbe, prima facie, che queste espressioni condividano la medesima struttura.
Eppure, valutiamoli in quattro contesti sintattici, seguendo Ross (1981):

I. Modification by a passive participle

A stubbed toe can be very painful.
*Held breath is usually fetid when released.
*A lost way has been the cause of many a missed appointment.
*Taken time might tend to irritate your boss.

II. Gapping

I stubbed my toe, and she hers.
I held my breath, and she hers.
*I lost my way, and she hers.
*I took my time, and she hers.

III. Pluralization

Betty and Sue stubbed their toes.
*Betty and sue stubbed their toe.

Betty and Sue held their breaths.
Betty and Sue held their breath.

*Betty and Sue lost their ways.
Betty and Sue lost their way.

*Betty and Sue took their times.
Betty and Sue took their time.

IV. Pronominalization

I stubbed my toe, but didn’t hurt it.
Sam held his breath for a few seconds and then released it.
Harry lost his way, but found it again.
*Harry took his time, but wasted it.

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La gerarchia di nouniness che si configura è la seguente: toe nounier than breath, nounier than way,
nounier than time.
Difficilmente si può spiegare questo fenomeno e altri analoghi cercando nella realtà oggettiva
le proprietà dei referenti che determinerebbero questa situazione, oppure in delle proprietà
morfologiche, che, tutt’altro, porrebbero tutti e quattro i sostantivi sullo stesso piano.
Piuttosto, la concettualizzazione di questi quattro sostantivi, i contesti in cui vi facciamo
riferimento, le implicite assunzioni culturali, unitamente a meccanismi cognitivi che in parte
vedremo tra poco guidano la strutturazione della categoria in questa maniera (si badi, in maniera
non predicibile, ma motivabile al di fuori delle proprietà strettamente linguistiche di questi quattro
nomi):

                                                                      NOUN (Limitatamente agli esempi)
                                                            Time

                                     Way

                                                    Toe
                                                            Breath

Questo è un esempio limitato di categoria radiale, con struttura centro-periferia, il modello di base
della categorizzazione umana, linguistica e non, secondo l’approccio cognitivista (o almeno
all’interno della linguistica cognitiva). La distanza dal centro, occupato momentaneamente da toe, è
significativa dell’appartenenza graduale alla categoria, della diversa rappresentatività dei
membri, della bontà dei membri appartenenti come esempi della categoria intera, sulla base della
somiglianza al prototipo (o ai prototipi). Nella prospettiva acquisizionale, cfr. Basile pp. 162 e
segg., emergono con maggior evidenza, perché prese nel loro farsi, le modalità con cui le categorie,
in questo caso semantico-lessicali, si organizzano in gerarchia. Il primo sviluppo linguistico vede
privilegiato l’apprendimento di categorie di livello basico (sedia, tavolo, etc., anziché mobile), vale
a dire formate da membri (non egualmente rappresentativi) rispetto ai quali, generalmente,
possediamo degli schemi visuomotori (come ricorda anche Lakoff, vd. supra) per interagirvi,
sviluppati con la nostra esperienza (nel caso di oggetti alquanto concreti). Mobile, ad esempio, è una
categoria sovraordinata, maggiormente schematica, per la quale non possediamo dei percorsi
neuromotori specifici… Se ci chiedessero come interagire con un mobile, probabilmente
risponderemmo: - Quale? Quale tipo di mobile?
Teniamo infine presente che nella nostra organizzazione categoriale, le categorie di livello basico
tendono a massimizzare le differenze tra loro, vale a dire che i contorni delle categorie di livello
basico sono tendenzialmente più netti. In altre parole, non senza casi limite, i nostri giudizi di
inclusione di un membro nella categoria si fanno più automatici e sicuri nel caso del livello basico,
mentre al livello superiore le categorie rivelano la loro vaghezza ed elasticità. Pensiamo ad un
classico, citato anche nel testo della Basile a più riprese: Wittgenstein, a cui la linguistica cognitiva
deve molto, nelle Ricerche filosofiche (1953) si chiese cosa facesse di un gioco un gioco, categoria
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sovraordinata, che sussume categorie di livello basico come, per dire, dadi, girotondo, carte,
freccette, calcio, etc., dacché è evidente che queste categorie di livello basico abbiano davvero
poche caratteristiche comuni tra loro… Ma se dobbiamo dire quale gioco sia un tipo di attività che
stiamo osservando, o che stiamo considerando, non avremmo difficoltà a distinguere il calcio dal
girotondo, dal gioco dei dadi. Le parole di Wittgenstein, che prefiguravano la messa in crisi della
concezione classica della categorie, sono: «Uno mi dice: -Mostra un gioco ai bambini.- Insegno loro
a giocare a dadi, e l’altro mi dice: - Non intendevo quel tipo di gioco.-». Probabilmente, diremmo
che il gioco dei dadi non è affatto prototipico della categoria gioco, non nel contesto che prevede un
complesso di conoscenze enciclopediche sulle attività infantili (diciamo categoria gioco infantile);
pertanto esso è un membro appartenente, ma non rappresentativo della categoria.

Veniamo ora, parallelamente al farsi e al disfarsi del linguaggio (titolo peraltro di uno dei testi
fondamentali della storia della linguistica, di Roman Jakobson), al farsi e al disfarsi delle categorie.
Un esempio eccellente, che motiva il titolo del lavoro di Lakoff, è la classificazione semantico-
lessicale che si ritrova nel Dyirbal tradizionale, una lingua aborigena australiana che possiede, al
livello morfologico (e naturalmente semantico) il sistema dei classificatori, forme proclitiche a tutti
i sostantivi che vengono utilizzati nel discorso: «Whenever a Dyirbal speaker uses a noun in a
sentence, the noun must be preceeded by a variant of one of four words: bayi, balan, balam, bala».

Dixon (1982) raccolse questi dati sulla classificazione Dyirbal:

I. Bayi: men, kangaroos, possums, bats, most snakes, most fishes, some birds, most insects, the
moon, storms, rainbows, boomerangs, some spears…

II. Balan: women, bandicoots, dogs, platypus, echidna, some snakes, some fishes, most birds,
fireflies, scorpions, crickets, the hairy mary grub, anything connected with water or fire, sun and
stars, shields, some spears, some trees…

III. Balam: all edible fruits and the plants that bear them, tubers, ferns, honey, cigarettes, wine,
cake…

IV. Bala: parts of the body, meat, bees, wind, yamsticks, some spears, most trees, grass, mud,
stones, noises and language…

Difficilmente potremmo guardare a queste categorie linguistiche sulla base di proprietà
oggettivamente condivise dai membri, come si trattasse di una segmentazione naturale della
realtà…
Eppure, già Dixon aveva ravvisato un qualche principio generale che guidi una strutturazione
categoriale . Alla base aveva notato quanto segue:

Bayi: (human) males; animals
Balan: (human) females; water; fire; fighting
Balam: nonflesh food
Bala: everyting not in the other classes

In effetti, gli uomini, essendo esseri umani maschi, vanno nella prima categoria. Canguri e
opossum, essendo animali, sono anch’essi nella prima. Le donne sono nella seconda categoria, in
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quanto femmine umane. Fiumi e paludi, essendo costituiti da acqua, vanno nella seconda. Il fuoco è
nella seconda. Il fico selvatico va nella terza. I tuberi sono nella terza. Gli alberi che non danno
frutti (edibili perlomeno) sono nella quarta. Le rocce sono nella quarta. Il linguaggio è nella quarta.
I casi più interessanti sono però quelli che, come Dixon aveva notato, seguono principi generali che
vanno al di là di questi principi di base. Ad esempio, i pesci sono nella prima categoria, perché sono
esseri animati. Le attrezzature da pesca (lance, lenze, etc.) si collocano anch’esse nella prima,
benché ci si potrebbe attendere che stiano nella quarta, essendo oggetti inanimati e non essendo
cibi. Lo stesso accade per armamenti finalizzati al combattimento e per i terreni di scontro: sono
nella seconda, come lo è il combattimento.

Questo porta Lakoff a formulare un primo principio (mutuato da Dixon, ma riformulato, come gli
altri seguenti) di categorizzazione linguistica, il

Domain-of-experience principle:

Se vi è un dominio basico di esperienza associato ad A, allora risulterà naturale
per gli elementi di quel dominio trovarsi nella stessa categoria di A.

Nell’analisi di Dixon, poi, altre eccezioni alla prospettiva classica sulla categorizzazione si rivelano
di grande interesse: sebbene gli uccelli siano esseri animati, non si trovano nella prima categoria
insieme ad altre entità animate. Gli uccelli, si badi, in Dyirbal sono ritenuti spiriti, anime di donne
trapassate, e per questo sono nella seconda categoria. Ma vi sono ancora eccezioni, altrettanto
rivelatrici. Alcuni uccelli fanno eccezione: tre specie di willy wagtail (un passeriforme il cui nome
traduciamo "coda a ventaglio ballerina”, particolarmente diffuso in Australia, Nuova Guinea,
Indonesia orientale) sono credute incarnazioni mitiche di uomini, pertanto vanno nella prima. Lo
spangled drongo, altro passeriforme (Dicrurus bracteatus, unica specie presente in Australi), è nel
mito il portatore del fuoco (che riesce a prendere dal Serpente Arcobaleno, una divinità aborigena
con funzioni creatrici), perciò è nella seconda insieme al fuoco. Ancora, stando al mito, la luna e il
sole sono marito e moglie (rispettivamente), e di conseguenza la luna è nella prima categoria
insieme agli altri mariti e il sole nella seconda insieme alle altre mogli. L’hairy mary grub, un
peloso millepiedi, la cui puntura tradizionalmente viene paragonata alla scottatura che produce sulla
pelle una lieve ustione provocata dalla prolungata esposizione ai raggi solari, è nella seconda con il
sole. Il vento è nella quarta, ma le tempeste e l’arcobaleno sono nella prima, perché uomini nel mito
originario. Lakoff enuncia il secondo principio:

Myth-and-belief principle:

Se un nome ha la caratteristica X (sulla base della quale ci si attende che venga
stabilita l’appartenenza alla categoria) ma è, per mito o credenza, connesso alla
caratteristica Y, allora, tendenzialmente, esso apparterrà alla categoria (o
classe) corrispondente a Y e non a quella corrispondente a X.

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Le apparenti eccezioni non si esauriscono qui. I pesci sono perlopiù nella prima categoria, insieme
ad altri esseri animati, ma il pesce pietra (stonefish) e il gar fish (un’aguglia di notevoli dimensioni)
sono pesci predatori, che possono provocare ferite (benché probabilmente non mortali) al pescatore
inesperto, pertanto vanno nella seconda. Alberi, cespugli e piante che non hanno parti edibili vanno
nella quarta, ma un tipo di ortica rampicante e due tipi di alberi urticanti sono nella seconda con le
cose potenzialmente pericolose. I falchi dovrebbero essere nella seconda con altri uccelli, ma dal
momento che sono pericolosi rapaci, la loro capacità di ferire viene marcata spostandoli in un’altra
categoria, la prima. Veniamo con questi esempi al terzo principio:

Important-property principle:

Se una sottoclasse di nomi ha qualche particolare proprietà rilevante (o saliente)
che il resto della classe non possiede, allora i membri della sottoclasse possono
venire assegnati a una classe differente dal resto dell’insieme per “marcare”
questa proprietà; la proprietà rilevante è spesso la pericolosità.

Chiaramente, già a Dixon era evidente che non tutte le classificazioni del Dyirbal funzionano
secondo questi principi, e in alcuni casi sembra difficile trovare spiegazioni sufficienti a motivare
l’assegnazione di certi nomi a certe categorie, anche perché è probabile che la diacronia abbia
oscurato la motivazione. Nonostante ciò, egli ha fornito un eccellente esempio di categorizzazione
umana (in generale) e linguistica. Al di là delle particolarità del Dyirbal, i principi generali all’opera
in questa lingua sono condivisi dal sistema di categorizzazione umano. In particolare, Lakoff
enuncia i seguenti:

Centrality: i membri alla base della categoria sono centrali. Il willy wagtail e la luna sono ad
esempio membri meno centrali della prima categoria rispetto agli uomini.

Chaining: le categorie complesse sono strutturate dal fenomeno di chaining; i membri centrali sono
collegati ad altri membri, che sono collegati ad altri a loro volta, e così via… Per esempio le donne
sono collegate al sole, che è collegato alla scottatura, che è collegata all’hairy mary grub. In virtù di
questa concatenazione l’hairy mary grub è nella stessa categoria delle donne.

Experiential Domains: esistono domini basici di esperienza che possono essere cultural-specific.
Questi possono caratterizzare i legami nelle catene categoriali.

Idealized Models: esistono modelli idealizzati del mondo, tra cui miti e credenze, che possono
caratterizzare i legami nelle catene categoriali.

Specific Knowledge: le conoscenze specifiche (per esempio la conoscenza della mitologia) hanno la
priorità sulle conoscenze generali.

The Other: i sistemi concettuali possono avere una categoria “tutto il resto”. Questa, chiaramente,
non avrà membri centrali, concatenazioni, etc.

No Common Properties: le categorie nel loro intero non necessitano di essere definite da proprietà
comuni. Non vi è ragione di credere che il Dyirbal trovi qualcosa in comune tra donne, fuoco, cose
pericolose, etc. Né che ritenga, per quanto ne sappiamo, che vi sia qualcosa di femminile nel fuoco

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o nel pericolo. Dall’altro lato, le proprietà comuni sembrano però avere un ruolo nel caratterizzare
gli schemi di base all’interno di una data categoria.

Motivation: i principi generali esposti danno il senso della (motivano la) classificazione Dyirbal,
ma non possono predire quali saranno le categorie, a priori. Ciò che viene predetto è che i sistemi
di classificazione tendono ad essere strutturati in questo modo, vale a dire che tende ad esserci la
centralità, il chaining, etc. La teoria della categorizzazione può prevedere come i sistemi di
categorie umane possono o non possono essere strutturate. Non predice esattamente cosa si troverà
in una data categoria, in una data cultura e lingua.

Parallelamente alla funzione euristica che ha lo studio della perdita del linguaggio tout court, così
come della sua acquisizione, le analisi condotte da Dixon e interpretate da Lakoff ricavano
indirettamente evidenze della propria correttezza dal “disfarsi delle categorie”, o meglio dalla loro
semplificazione e trasformazione, da un sistema riccamente strutturato ad uno meno complesso che
va di pari passo con la morte di questa lingua, il Dyirbal tradizionale. Le indagini di Dixon
iniziarono nel 1963, quando ancora la cultura australiana di lingua inglese non aveva ancora
conquistato la sua egemonia sulla comunità Dyirbal. Ben presto, negli stessi anni, sarebbe iniziata la
scolarizzazione di massa in lingua inglese e l’esposizione a radio e televisione. Nel 1983, la lingua e
la società Dyirbal avranno percorso un lungo tratto del loro viale del tramonto. I giovani
cresceranno parlando inglese come prima lingua, e impareranno solo una versione molto
semplificata del Dyirbal tradizionale; per di più, le loro esperienze del mondo saranno molto diverse
da quelle dei loro genitori e progenitori, ed essi non impareranno i miti tradizionali, o piuttosto
questi ultimi non avranno gran significato per le loro vite. Annette Schmidt (1985) individua due
stadi di deriva del sistema di categorizzazione, uno intermedio e uno molto semplice (per i più
giovani)
Lo stadio intermedio rivela la struttura radiale delle categorie, e i loro legami, nel momento della
destrutturazione . Ogni sistema intermedio, di ogni parlante, inizia a perdere alcuni dei supposti
legami, che, per esempio, permettevano ad elementi che non erano né maschi né femmine di
rientrare nella prima e nella seconda classe. Questa la situazione in generale dello stadio
intermedio, ottenuto dall’esame dei parlanti:

- i legami che si basano sul mito sono mantenuti: la luna, le tempeste e gli arcobaleni sono sempre
nella prima classe insieme a uomini ed animali; il sole, le stelle e gli uccelli sono ancora nella
seconda con le donne;

- il fuoco è ancora nella seconda insieme alle donne, con l’eccezione di un parlante che colloca la
lucciola (firefly) nella prima, insieme agli altri esseri animati animali;

- la pesca è un dominio che perde la sua rilevanza nella categorizzazione, pertanto le attrezzature da
pesca vanno nella quarta insieme agli oggetti inanimati;

- l’acqua è ancora nella seconda con le donne;

- l’ornitorinco (platypus) e l’echidna sono ancora animali eccezionali nella seconda.

Inoltre, in un sistema in rapido cambiamento, vi sono variazioni tra i parlanti altamente significative
di un sistema che, appunto, evolve, o si dissolve, con velocità:

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Categorie linguistiche. Confini, struttura, acquisizione.

- un parlante aveva perduto interamente il legame “pericolo”, mentre un altro lo aveva conservato
intatto. Tutti i parlanti avevano mantenuto il legame tra cose pericolose e combattimento, così come
con gli armamenti. Un parlante aveva perduto completamente il legame “pericolo naturale” della
seconda classe, e il pesce pietra e l’aguglia sono finite nella prima classe con gli altri esseri animati
e l’ortica nella quarta classe (“tutto il resto, inanimato”);

- due parlanti avevano perduto il cane e il bandicoot come animali eccezionali nella seconda classe,
che sono andati nella prima, mentre un altro ha perduto solo il cane dalla seconda.

Nello stadio di semplificazione massima, il sistema è decaduto pressoché interamente, e solo i casi
centrali, prototipici della prima e della seconda classe sono sopravvissuti (bayi e balan), mentre la
terza classe è perduta del tutto (balam):

Bayi: human males and nonhuman animates

Balan: human females

Bala: everything else

Seguendo Lakoff, alcune conclusioni possono essere tratte da questa interessante fattispecie di
“acquisizione”, funzionamento e perdita delle categorie linguistiche dei classificatori Dyirbal.
Il myth-and-belief principle e l’important-property principle sono casi particolari, o sottocategorie,
o, ancora, istanziazioni più dettagliate, del domain-of-experience principle. Miti, credenze,
proprietà importanti per l’interazione con gli oggetti del mondo sono domini di esperienza, rilevanti
per la categorizzazione in Dyirbal (lingua e cultura). Quello che di volta in volta va indagato è
l’insieme dei domini di esperienza rilevanti per la categorizzazione, quali di essi innescano i
fenomeni cognitivi categoriali (e non solo) come la centralità, il chaining, etc. A partire da questi
domini di esperienza, sembra che vi sia, nel nostro caso, una massimizzazione cognitivamente
funzionale del contrasto, tra la I e la II classe, i cui membri prototipici sono rispettivamente
maschi umani e femmine umane (non così nell’analisi di Dixon). Cosa suggerisce che maschi
umani e femmine umane siano membri centrali, e non egualmente prototipici rispetto al fuoco o alle
cose pericolose, per esempio nella classe II? Il disfacimento delle categorie sembra non suggerire
questa alternativa, poiché ad essere conservata intatta nella generale deriva del sistema, fino alla sua
fase più semplificata, è la centralità di human males, human females (vd. supra). In più, che vi sia
una massimizzazione cognitiva funzionale del contrasto, è indirettamente testimoniato, osserverei,
dalla scomparsa della III classe, con cui la differenziazione si faceva più labile. Ma non solo. Se si
considerano le “eccezioni” alla I e alla II classe, esse vengono spostate sempre in modo reciproco:
eccezione alla I => II, eccezione alla II => I; non accade che dalla I un membro venga marcato per
una proprietà rilevante nel dominio di esperienza, spostandolo, ad esempio nella III. Un esempio,
gli animali sono nella I, ma animali “eccezionali” sono nella II. Il falco, come abbiamo visto, passa
dalla II alla I, per marcarne la pericolosità, a motivo del dominio esperienziale rilevante del
pericolo. Alla luce di quanto osservato, il sistema di categorizzazione analizzato segue lo schema di
un basic opposition model (ricordiamo le categorie di livello basico, ove la differenziazione,
necessaria alla cognizione umana, tende ad essere massima?):

- human males vs human females, or center of class I vs center of class II

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- people vs edible plants, or centers of classes I and II vs center of class III

L’esempio del Dyirbal, e l’interpretazione di Lakoff, forniscono un esempio delle forze attive nella
categorizzazione umana, molto distante nei suoi connotati salienti da ciò che implicitamente
accettiamo del modello classico ereditato. Gli stessi elementi cognitivi qui in gioco, con buona
probabilità, si riorganizzano in altre lingue, linguaggi e culture, in maniera non (o solo
parzialmente) predicibile, ma motivabile, sulla base dei domains of experience più rilevanti per le
tali lingue, i tali linguaggi, le tali culture. Possiamo però affermare che questi meccanismi cognitivi
sono la nostra dotazione linguistica di esseri umani, che trovano cittadinanza nella variabilità delle
lingue, non un ostacolo all’universalismo linguistico.

     Taylor, la categorizzazione linguistica e l’acquisizione di categorie

In proposito di acquisizione linguistica, oltre al contenuto del corso ed ai testi adottati, trovo
particolarmente interessante Taylor (1995). Egli dedica un capitolo del suo testo al tema
dell’acquisizione delle categorie linguistiche (e non), alla luce del paradigma cognitivista.

Mentre nella grammatica generativa e nel pensiero di Chomsky (soprattutto del primo Chomsky) è
necessario ipotizzare entità astratte e invisibili nella forma superficiale degli enunciati, governate
da regole e non apprese induttivamente, a motivo della tesi della povertà dello stimolo
(semplificando), nella grammatica cognitiva viene evitata l’ipotesi di entità astratte come viatico
per l’acquisizione. Il contenuto semantico è invece «strutturato e indicato simbolicamente in
maniera esplicita, nelle manifestazioni superficiali di una lingua, e non a livello delle
rappresentazioni astratte soggiacenti». Anche nel paradigma chomskiano, però, vi è un principio
metodologico prezioso, e cioè che la caratterizzazione più o meno stabile della conoscenza
linguistica di una comunità adulta deve conciliarsi con una descrizione delle modalità acquisizionali
che hanno permesso di raggiungere tale conoscenza (o competenza). Ciò significa in buona parte
indagare lo sviluppo di categorie nel linguaggio infantile.
Anzitutto, è destinato a fallire ogni tentativo di osservare lo sviluppo della lingua in un bambino
dotandosi di nette distinzioni tra sintassi e semantica e fra struttura semantica e modelli concettuali,
ovverosia restando ancorati ad una definizione puramente e strettamente linguistica del significato.
La crescente capacità dei bambini di usare e comprendere la lingua non può essere separata dal
parallelo sviluppo di abilità cognitive più generali. L’ipotesi cognitivista di fondo, che il
fondamento della struttura del linguaggio risieda nella conoscenza non linguistica, forse
proprio nella lingua infantile trova la sua migliore conferma.

Confrontiamo i due modelli teorici di acquisizione categoriale, come ci vengono offerti da Taylor:

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Categorie linguistiche. Confini, struttura, acquisizione.

CATEGORIE CLASSICHE                                           CATEGORIE PROTOTIPICHE
Specificazione incompleta di tratti                           Stato iniziale di sottoestensione
                                                            centrata sul prototipo (rappr. olistica)

Sovraestensione categoriale
                                                                  Estensione del prototipo

(+ tratti) riduzione della sovraest.,
fino alla coincidenza con la cat. dell’adulto               Isomorfismo con la cat. dell’adulto

In entrambi i modelli si può verificare la sovraestensione nel corso del processo acquisizionali, ma
nella categoria classica si verifica perché i criteri di appartenenza non sono stati ancora
sufficientemente ristretti, mentre nella categoria prototipica lo stadio iniziale è rappresentato da un
nucleo concettuale positivo, stabile, in contrasto con i confini categoriali che possono essere molto
vacillanti. Inoltre, si badi, le categorie non classiche sono un concetto dinamico, e durante il
processo di apprendimento possono subire ristrutturazioni.

Quanto all’acquisizione di categorie grammaticali, esse forniscono una testimonianza a favore della
struttura non classica delle categorie. Vediamo alcuni esempi.

Il passato prototipico (in inglese).
Il passato controfattuale (If I was/were…) non compare affatto fino ad una fase di sviluppo
particolarmente avanzata, e cioè circa i sei anni di età. I primi esempi di tempo passato nei bambini
si riferiscono esclusivamente al passato immediatamente precedente, e solo più tardi includono
passati più remoti. Inoltre, il passato non viene applicato inizialmente a tutti i verbi, ma i primi usi
si limitano a verbi come fall, drop, slip, crash, break, che designano eventi puntuali e implicano
cambiamenti di stato altamente salienti (verbi trasformativi). Eventi non puntuali saranno coniugati
al passato solo più tardi. Sembra che il senso centrale, o meglio, il prototipo di passato sia molto
più specifico di un generico “distanza temporale dal momento dell’enunciazione”, ma piuttosto
“compimento di un evento puntuale nel passato recente, le cui conseguenze sono percettivamente
salienti al momento dell’enunciazione”.

Il possessivo prototipico (in inglese).
L’uso del genitivo rivela la prototipicità del suo nucleo semantico. Nel parlato precoce, la
stragrande maggioranza di costruzioni al genitivo ha il nome che indica il possessore in funzione di
modificatore, che permette al parlante di identificare un oggetto in base ad un rapporto con un
essere umano. Daddy chair, Eve seat superano di molto i casi come Daddy nose (in cui il genitivo
designa il rapporto parte-tutto), pertanto il significato prototipico riguarda una relazione basata
sulla nozione di proprietà di comune dominio ‘giuridico’”.

Suffissi alteranti prototipici.
All’età di tre anni, i bambini italiani impiegano copiosamente i suffissi accrescitivo e diminutivo.
L’uso evidentemente dominante è limitato al significato prototipico, cioè riferito alla dimensione
fisica degli oggetti. I significati affettivi di tali morfemi non sono ancora acquisiti.

La transitività prototipica.
La costruzione transitiva prototipica vede due associazioni, consolidate intorno ai due anni, e cioè
agente-azione e azione-oggetto. Frasi transitive che implicano eventi non puntuali e condizioni
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mentali non percepibili (intenzionalità) compaiono dopo gli esempi di transitività prototipica. Ad
esempio, Slobin (1981) cita il caso di un bambino russo che prima assegnava la marca di caso
accusativo (oggetto diretto) solo agli oggetti dipendenti da verbi di azione (“mettere”, “gettare”,
“dare”), e solo successivamente agli oggetti dipendenti da verbi che esprimono esperienze mentali
(“leggere”, “vedere”, “sapere”). Inoltre, le prime frasi passive, che emergono dopo le più
prototipiche transitive attive, sono perlopiù il ribaltamento delle frasi transitive prototipiche: es.
Trans. Sogg Ag.- Verbo att. – Ogg. Paz.  Sogg. Paz. – Verbo pass. – Agente.
Per lo spettro completo delle frasi transitive, occorre un processo di estensione metaforica e
semantica a partire dal prototipo.

La semantica cognitivista prevede una concezione enciclopedica del significato. Come in parte
abbiamo visto con il principio del domain of experience in Lakoff, il significato di ogni forma
linguistica «può essere caratterizzato solo in relazione ad un dominio cognitivo adeguato, o ad un
insieme di domini» (detti altrove da Lakoff dominio matrice). Lo stesso vale in prospettiva
acquisizionale, in cui il bambino, per cui il contenuto semantico di una distinzione categoriale
affonda le proprie radici dalla preliminare comprensione e competenza del dominio rilevante.
«Molti degli errori lessicali fatti dal bambino piccolo, se confrontati direttamente con quelli degli
adulti, sembrerebbero imputabili al fatto che i bambini non hanno ancora a disposizione i domini
cognitivi rilevanti».
Viene portato ad esempio l’uso “erroneo” (o meglio, interlinguistico, ovvero dell’interlingua) di
old, frequente nel parlato dei bambini più piccoli. Questo aggettivo è spesso utilizzato come
sinonimo di big. Il significato di old può essere definito in maniera adeguata solo sullo sfondo del
concetto di ciclo della vita, dominio del quale è naturalmente sprovvisto un bambino in tenerissima
età. Quest’ultimo associa semplicemente l’“essere vecchio” con la più saliente caratteristica
percettiva di una figura grande, pienamente cresciuta. Allo stesso modo, nel linguaggio infantile
brother, sister sono tendenzialmente impiegati come equivalenti di boy, girl, poiché rispetto a
qualcun altro, non ha senso dire che qualcuno è il fratello/la sorella di qualcun altro, prima di aver
appreso le nozioni di “nascita” e “maternità/paternità”.

Quali categorie emergono prima? Abbiamo evidenze sufficienti per poter affermare che le categorie
maggiormente astratte (sovraordinate) insorgano relativamente tardi, e che la priorità ontogenetica
spetti a quelle di livello basico (Cfr. Rosch et al. 1976). Questa acquisizione sperimentale contrasta
fortemente con l’ipotesi classica, in cui le categorie sono inizialmente provviste di pochi tratti,
pertanto ad un livello alto di astrazione, perché più inclusive. Del resto, trattando Lakoff, abbiamo
ricordato quanto sia cognitivamente funzionale la massimizzazione del contrasto, e come esso si
collochi soprattutto al livello basico; ciò non dovrebbe essere diverso, quanto ad utilità nella
segmentazione del mondo percepito, nella fase di sviluppo linguistico-concettuale. Inoltre, va
osservato che, anche in una semantica componenziale, le categorie di livello basico sono più
complesse della categoria sovraordinata, quanto ai tratti, perché maggiormente specificate. Alle
categorie sovraordinate si arriva in un secondo momento, seguendo, per sommi capi lo schema a cui
abbiamo fatto riferimento.
Concluderei, parallelamente a Taylor, focalizzando l’attenzione su un dettaglio non secondario nella
riflessione sull’acquisizione linguistica e categoriale. Il percorso che segue il bambino
nell’acquisizione categoriale non fa uso di strumenti e unità cognitive particolarmente difformi da
quelle dell’adulto, o perlomeno non nettamente differenti sul piano qualitativo. Come
nell’acquisizione infantile, «allo stesso modo, l’estensione creativa di una categoria nel parlato
degli adulti, p. es. con nuove metafore, può essere visto come un ritorno ad uno stadio

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Categorie linguistiche. Confini, struttura, acquisizione.

precedente dello sviluppo linguistico, in cui i significati lessicali sono fluidi, e soggetti ad
estensioni incontrollate e idiosincratiche in tutte le direzioni».
Se riteniamo che questa prospettiva sia corretta, attraverso la strutturazione prototipica delle
categorie, dovremmo guardare all’acquisizione linguistica non soltanto come ad un fatto
cronologico, limitato pur a buon diritto ad una determinata fase di sviluppo infantile, ma anche
come ad una condizione (neuro)cognitiva, che ha la sua massima espressione in corrispondenza del
massimo di neuroplasticità degli esseri umani, ma che non cessa forse mai del tutto di rimodulare e
rimotivare le nostre categorie linguistiche e concettuali.

                                           Testi di riferimento

Basile G., La conquista delle parole. Per una storia naturale della denominazione, Roma 2012.

Dixon R. M. W., Noun Classes, in «Lingua», 21 (1968), pp. 104-125.

Jakobson R., Linguaggio infantile e afasia, a cura di L. Gaeta, Torino 2006.

Lakoff G., Women, Fire, and Dangerous Things. What Categories Reveal about the Mind, Chicago
1987.

Rosch E., Simpson C., Miller R. S., Structural Bases of Typicality Effects, in «Journal of
Experimental Psychology: Human Perception and Performance», 2 (1976), pp. 491-502.

Ross J. R., Nouniness, in O. Fujimura (ed.), Three Dimensions of Linguistic Theory, Tokyo 1973,
pp. 137-258.

Schmidt A., Young People’s Dyirbal, Cambridge 1985.

Slobin D. I., The origin of grammatical encoding of events, in «Deutsch» (1981), pp. 185-199.

Taylor J. R., La categorizzazione linguistica. I prototipi nella teoria del linguaggio, a cura di S.
Giannini, Macerata 2003II.

Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, a cura di M. Trinchero, Torino 2009IV.

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