Calcio, lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia. Sergio Vatta, il "mago" dei tempi d'oro delle giovanili granata - IVG.it

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Calcio, lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia. Sergio Vatta, il "mago" dei tempi d'oro delle giovanili granata - IVG.it
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      Calcio, lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia. Sergio
      Vatta, il “mago” dei tempi d’oro delle giovanili granata
      di Redazione
      16 Gennaio 2015 – 14:58

      Savona. Abbiamo incontrato il maestro, il mister, il tecnico, che più di ogni altro ha
      lasciato un’impronta indelebile nella galassia torinista, ricordando i tempi in cui i suoi
      metodi di allenamento erano all’avanguardia e che dal Filadelfia uscivano campioni in
      serie. Tra ricordi, consigli e avvertimenti per il futuro, eccovi riportato il Vatta pensiero a
      360° gradi.

      Buonasera sig. Vatta. Sappiamo che domani una selezione di giocatori della Primavera si
      allenerà con la prima squadra. Ai suoi tempi era la normalità…

      Questa è la differenza tra allora e adesso. C’è una differenza di valori nel settore giovanile
      : ora i ragazzi della Primavera vengono spinti da più parti, ma una volta era il tecnico che
      decideva chi valeva e chi no, perchè chi se non lui, avendoli davanti agli occhi tutti i giorni,
      poteva capire il loro valore? Ci sono dei particolari che la dicono lunga sulle prospettive di
      un ragazzo, ma oggi c’è un responsabile del settore giovanile che non allena. Quando
      c’eravamo io ed Ellena ci confrontavamo sempre con gli allenatori delle diverse categorie,
      chiedevamo loro di avere il coraggio di dire che non la pensavano come noi. Ellena mi
      diceva sempre di insistere se ero convinto di una cosa, lui voleva che io gli instillassi dei
      dubbi, non solo certezze. Chi ha solo certezze sbaglia molto.

      Dopo il fallimento le giovanili granata hanno attraversato delle difficoltà e…

      Il fallimento è una scusa! La menano da troppo tempo, perchè quando io sono andato alla
      Lazio nel 1998, il primo anno ho osservato, il secondo ho eliminato quello che non andava
      e il terzo abbiamo vinto il titolo della Primavera e quello dei giovanissimi. Al Toro, quando
      visionavo un giocatore mi facevo sempre una domanda: “È buono per la Juventus?” Se la
      risposta era sì, lo prendevo. Perchè quando qualcuno mi veniva a dire che un ragazzo che
      io avevo scartato aveva trovato squadra in Serie C, mi mettevo a ridere perchè in C

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      mandavo ragazzi che avevo sbagliato a scegliere…

      Ora però il settore giovanile del Toro si è ripreso ed iniziano ad arrivare anche i primi
      risultati.

      Guardi, mi ricordo un anno in cui la prima squadra del Torino aveva solo 17 giocatori e con
      quelli fece tutta la stagione perchè ogni domenica l’allenatore me ne prendeva 3 o 4 dalla
      Primavera. Non scorderò mai una partita che giocammo a Milano col Milan: vicino a me
      c’erano Rivera e Cesare Maldini, allora tecnico dell’U21 che veniva a vedere i ragazzi del
      Toro. Rivera, sul risultato di 3 a 1 per noi, disse a Maldini: “Osserva, la formazione del
      Toro ha complessivamente 8 anni di meno di quella del Milan, ma è già una squadra di
      adulti, matura, mentre i rossoneri sono ancora dei bambini”. Fu un grande e involontario
      complimento per me.

      Lei insisteva molto sulla crescita umana dei ragazzi, più che su quella tecnica. Nel calcio
      moderno è ancora possibile?

      Innanzitutto all’epoca noi avevamo dei metodi di allenamento all’avanguardia, studiati
      persino dalle Università. Non c’erano i preparatori atletici, mentre oggi tutti i tecnici sono
      laureati all’Isef, ma non sanno molte delle cose che insegnavamo noi. Per quanto riguarda
      l’aspetto umano, a chi mi chiede cosa penso dei Balotelli, dei Cassano e di tutti quelli che
      vogliono fare più i personaggi che i giocatori, io rispondo sempre allo stesso modo: “Avete
      provato a volergli bene?” Non come fa Prandelli che fa il buonista, volergli bene veramente
      significa insegnargli l’educazione, fargli capire oggi si deve fare più di ieri e domani più di
      oggi. I ragazzi sono dei vuoti a perdere che bisogna rifornire continuamente, ma i grandi
      talenti si riempiono da soli, noi dobbiamo stare attenti a non disturbare questo loro
      processo.

      Lei ha visto crescere un bobo Vieri, un Lentini, tutti bomber di razza. Che idea si è fatto di
      Immobile?

      Questo ragazzo deve partire dal controllo della corsa. Lui ha una resistenza incredibile
      (infatti Ventura sbagliava quando lo toglieva perchè pensava fosse stanco, in quanto era il
      più resistente di tutti!), ma deve imparare a frenare, a cambiare direzione, a non farsi
      portare sull’esterno dai difensori. Tutte piccole cose, come non partire sempre spalle alla
      porta, ma che fanno la differenza.

      D’Ambrosio e Darmian sono da nazionale entrambi?

      Per Darmian forse è stato un po’ troppo presto perchè sta ancora cercando la sua
      collocazione migliore in campo, tra terzino e centrale. Ma per trovare il ruolo ideale
      bisogna anche considerare chi gioca di fianco a lui nel reparto, è tutto collegato.
      D’Ambrosio invece poteva già essere chiamato per provare nelle partite giocate a
      qualificazione ottenuta. Ha corsa, tecnica ed è bravo anche di testa pur non essendo un
      colosso. Sono però preoccupato che Cairo voglia venderlo per fare cassa, ma non deve
      succedere! Bisognerebbe bloccarli entrambi con un contratto di cinque anni.

      Ma questo Torino può davvero puntare alla parte sinistra della classifica come promesso
      dal mister Ventura?

      Bisogna sempre fare attenzione al discorso salvezza ma questo Toro è forse più forte dello
      scorso anno. Spero che giunga a sinistra e che la conservi fino alla fine, saremo tutti più
      tranquilli.
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      Ci ricorda qualche ultimo episodio curioso?

      Mi fa ridere ripensare che contro la Sampdoria l’anno scorso, l’allenatore si sia incavolato
      con Vives perchè non aveva fatto il giro palla. Ma lui gliel’ha gridato? O è rimasto a
      guardare per terra, come quando tirano i rigori che si gira dall’altra parte. È un segno di
      debolezza ed insicurezza da non mandare ai tuoi giocatori. Si deve anche agire sulla testa
      dei ragazzi, è qui che si vede un bravo allenatore.

      Uno degli ultimi frutti del vivaio, Ogbonna, è passato alla Juve tra le polemiche. Ha fatto
      bene?

      Sì, ha fatto bene perchè con la testa era già là da tempo. Uno che non intende restare per
      fare grande il Torino, ma che si sente troppo grande per un piccolo Torino, ragazzo mio,
      non ti hanno insegnato nulla. Ricordiamoci che tra noi e la Juventus, noi abbiamo una
      storia molto più grande rispetto ai risultati che abbiamo fatto, loro hanno una storia molto
      più piccola di quanto abbiano vinto. Non lo dimenticate mai.

      Situazione Filadelfia, come se ne può uscire?

      Era tutto ampiamente previsto. L’ultima volta che ho parlato al Fila davanti a 5-6.000
      persone ho già detto tutto quello che dovevo dire. La gente non è così stupida da non
      capire che dietro ci sono giochi di potere ed interessi personali. Le critiche le faccio
      perchè voglio bene al Torino, al contrario di chi dice che ha “dato un’identità al Torino”. Al
      Toro hai dato un’identità? Dove hai vinto prima di venire qui? Al Real Madrid? Al
      Barcellona? Io non ce l’ho con nessuno e neanche con Ventura, ma bisogna stare attenti
      alle parole. Su, non mi fate arrabbiare.

      Insomma un mondo molto diverso da quello in cui ha lavorato lei?

      Una volta i ragazzi venivano scoperti, inseriti nelle giovanili, istruiti, i migliori ce la
      facevano, nonostante gli allenatori. Si cercava di evitare il rischio di rovinare un ragazzo di
      talento.

      Poi cosa è successo?

      Gli interessi economici hanno stravolto quelle buone pratiche, la meritocrazia ha perso le
      sue prerogative, alcuni personaggi hanno scavalcato gli allenatori, riuscendo a far inserire
      ragazzi che non dovrebbero essere illusi di poter diventare campioni. Gli allenatori spesso
      si trovano in squadra ragazzi che non vorrebbero. Abbiamo le squadre Primavera con
      dentro i professionisti, e troppi stranieri. Questo cambiamento è avvenuto rapidamente.

      Lei come si regolava con i giovani che allenava?

      Anch’io volevo la fortuna dei miei ragazzi, i più bravi li aiutavo a guadagnare bene. Prima
      dell’incontro con i dirigenti per firmare il contratto, mi chiedevano: quanto devo chiedere?
      Io glielo dicevo, a volte era anche il doppio, il triplo di quanto speravano loro. Si stupivano,
      qualcuno temeva di essere mandato via, ma io avevo già preparato il terreno con i
      dirigenti.

      Furono anni d’oro per il Torino, quelli, con tutti quei ragazzi di valore che uscivano dalle
      giovanili.

      Il Toro dava i suoi ragazzi in squadre di Serie C, Serie B e anche Serie A. Spesso i loro

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      allenatori mi telefonavano e mi dicevano che i miei ragazzi si distinguevano per
      professionalità. Giglio Panza un giorno scrisse su Tuttosport che Vatta ha fruttato al Toro
      più di 300 miliardi di lire.

      Chi ricorda di quelle cucciolate?

      Direi tutti, anche per anno di nascita: Mariani, Sclosa, Mandorlini, Camolese (’60-61), Ezio
      Rossi, Francini, Bertoneri (’62-63), Cravero, Comi (’64), Benedetti (’65), Benny Carbone
      (’67), uno dei giocatori più precoci che ho conosciuto, Fuser, Venturin (’68), Lentini,
      Bresciani (’69), Pancaro (’71), Cois (’72). Vieri l’ho preso io, ma l’ho allenato poco.

      Oggi il Torino non è più una fucina di campioni.

      Oggi ci sono delle difficoltà. Forse sono in pochi a credere in una grande verità: i soldi
      spesi nel settore giovanile sono investimenti, quelli nella prima squadra non tornano più
      indietro.

      E’ cambiato anche lo spirito degli allenatori?

      Una volta c’erano gli artigiani del calcio. Io lo sono diventato. Quando ho iniziato c’erano
      Ussello e Rabitti, io ero il ragazzo di bottega, ho fatto tesoro dei loro insegnamenti. Il
      difetto di oggi è che ai ragazzi di bottega viene chiesto di fare da subito gli artigiani.

      La passione, quanto conta?

      A volte la passione non basta. Noi spendevamo pochissimo: allenatori e tecnici erano
      trattati bene, i ragazzi in maniera spartana. Si risparmiava su tutto.

      Eppure i risultati arrivavano.

      Dietro i risultati ci sono i sacrifici. Per 15 anni non ho mai fatto una vacanza, ma sono stato
      ripagato.

      Una volta si diceva che il Torino i campioni se li faceva in casa con il settore giovanile,
      mentre la Juve preferiva ingaggiare campioncini già affermati. Ora questo discorso sembra
      rovesciato, o almeno la Juve i giovani li sa valorizzare.

      Alla Juventus la politica è cambiata con l’avvento di Moggi. Dove andava lui il settore
      giovanile funzionava, era un maestro nello sfruttare sul piano economico il settore
      giovanile. Oggi l’Italia è piena di ragazzi di talento di scuola Juventus.

      Quali giovani di talento vede come futuri campioni?

      Giovinco e Balotelli. Giovinco è un talento ma crede di essere più di quello che è, dovrebbe
      guardarsi dentro. Balotelli è il giovane più entusiasmante, credo che Lippi lo chiamerà
      presto in Nazionale. Sempre che non faccia come Cassano.

      Ecco, Cassano, un grande talento che sembra essersi perso per strada.

      Cassano avrebbe avuto bisogno di affetto, non soltanto di euro. Forse la sua reazione è
      normale, chi gli sta attorno non lo considera come persona, ma soltanto come calciatore.

      Che rapporti ha con il grande calcio di oggi?

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      Allo stadio vado poco, non mi piace questo calcio, mi delude perché manca di poesia. Il
      calcio è fantasia e poesia, se togliamo questi ingredienti rischiamo di vedere seduti sulla
      panca dello spogliatoio un gruppo di piccoli industriali che parlano di investimenti.

      Come vorrebbe che fosse questo mondo in cui comunque continua a vivere?

      Il calcio è educazione, per noi maestri di calcio il compito è educare. Il calcio è un mezzo
      per aiutare i giovani a diventare adulti veri. I contenuti più importanti dell’educazione
      sono nell’esempio: ecco perché è fondamentale il comportamento dei tecnici. Qui non
      sempre ci sono le capacità giuste, anche se nel complesso è una delle componenti migliori
      del calcio.

      C’è molta amarezza in queste sue parole, sembra convinto che non si possa più tornare
      indietro.

      Oggi a livello giovanile ci sono molti cattivi maestri, fanno credere ai giovani che
      diventeranno bravi seguendo i loro consigli. Se trovano un talento si vantano,
      dimenticando che è cresciuto nei loro momenti di distrazione.

      Rispetto a qualche decennio fa il calcio può avvalersi di supporti importanti, scienza e
      tecnologia aiutano. Perché dovrebbe essere migliore il calcio di una volta?

      Oggi ci sono più conoscenze ma i tecnici partono dal tetto, non dalle fondamenta. Si fanno
      fare le cose più spettacolari, non le più utili, per impressionare chi guarda. E’ come
      insegnare una poesia in inglese a memoria a ragazzi che non sanno l’inglese.

      Qual è stato l’allenatore più grande che ha conosciuto?

      Arrigo Sacchi, un innovatore, ha portato il coraggio di attaccare. Ma aveva un difetto:
      schematizzava anche in attacco, dove la fantasia deve essere assoluta. Ai Mondiali negli
      Stati Uniti mi disse: io sono il regista, i giocatori gli attori che devono recitare la parte. Io
      ribattei: no, loro devono interpretare la parte. Sacchi ha commesso anche grossi errori, al
      Milan preferì Mussi e Bianchi a Tassotti e Maldini, ma Berlusconi gli fece cambiare idea.
      Resta comunque uno dei tecnici più grandi. La Juventus ha vinto tutto giocando male, il
      modo di vincere giusto era quello di Sacchi.

      Esiste un nuovo Vatta?

      Spero ce ne siano tanti, o ne arrivino tanti. Non possiamo insegnare calcio ai giovani se
      non ricordiamo il bambino che siamo stati.

      Lei ha allenato in Serie A soltanto per un periodo brevissimo. E’ stata una scelta?

      Giampaolo Ormezzano un giorno scrisse: ci sono soltanto due persone in Italia che non
      aspirano a diventare allenatori in Serie A, Vatta e io. Sono stato un allenatore atipico, chi
      mi ha apprezzato di più sono stati i miei colleghi.

      Dobbiamo pensare che quello di osservatore del Torino femminile sia il suo ultimo
      impegno con il calcio?

      No, ho un progetto che porto avanti da tempo: rifondare l’Unione Sportiva Fiumana,
      società sciolta nel 1947 dopo il passaggio di Fiume alla Jugoslavia. Io sono nato a Zara,
      sono una delle 350 mila persone che in quegli anni hanno vissuto in 95 campi profughi. Io

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      ci sono stato per dodici anni. La Dalmazia, la mia terra, mi è sempre rimasta nel cuore, ci
      vado appena posso. E ora vorrei riportare in vita quella gloriosa società calcistica, in cui
      maturarono campioni come Ezio Loik, Rodolfo Volk, i fratelli Mario e Giovanni Varglien.

      Una vecchia società di Fiume che può rinascere dove?

      A Torino. Vorremmo fare il campionato di serie C del 2009-2010, in base a due leggi, una
      del 1952 e l’altra del 1983, ci spetta ricominciare dalla serie C, quando la società fu sciolta
      la squadra militava in quella categoria.

      Una terza squadra a Torino a fare concorrenza a Juve e Toro?

      Concorrenza chissà, forse un giorno. Mi accontenterei di una squadra che rinasce con lo
      spirito giusto. Giocheremo al Ruffini, gli allenamenti si faranno alla Colletta. L’idea è di far
      nascere non solo una squadra di calcio, ma una polisportiva. Dovrebbero arrivare anche
      finanziamenti dal Coni.

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