ATTRIBUZIONE DELLA RENDITA CATASTALE ALLE CENTRALI ELETTRICHE

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ATTRIBUZIONE DELLA RENDITA CATASTALE ALLE CENTRALI
                                             ELETTRICHE

Sommario: Premessa - 1. Il contenuto della sentenza - 2. Il procedimento di stima delle unità
immobiliari a destinazione speciale, in assenza di mercato locativo - 3. La pronuncia della Cassazione
sull’inclusione delle turbine nel procedimento di stima – 4. La differente valutazione degli Uffici
finanziari – 5. Ulteriori considerazioni sulle caratteristiche tecniche del fissaggio al suolo delle turbine -
6. Riflessioni finali sull’applicazione della decisione in esame all’intera disciplina di determinazione della
rendita catastale degli immobili a destinazione speciale.

PREMESSA
         La sentenza in esame costituisce un nuovo momento dell’ormai annosa lite tra l’ENEL e
l’Agenzia del Territorio, sull’inclusione del valore delle turbine nella stima della rendita catastale delle
centrali elettriche.
         La controversia ha avuto origine nell’emanazione del D.M. n. 701 del 1994 (come regolamento
ex art. 17, comma 3, della L. n. 400 del 1988), che ha consentito, attraverso l’utilizzo di professionisti
privati, l’attribuzione della rendita catastale, nelle ipotesi di immobili di nuova costruzione ovvero che
abbiano subito radicali trasformazioni.
         L’ENEL ha utilizzato tale risorsa, al fine di abbattere, pressoché totalmente, le rendite catastali
delle proprie centrali, con importanti riflessi soprattutto sulla determinazione dell’ICI.
         Infatti, la riduzione del gettito per i Comuni interessati è stata talmente considerevole che il
Governo, nella Finanziaria 2001, ha ritenuto opportuno intervenire con trasferimenti speciali, per
garantire almeno la gestione delle spese correnti.
         La soluzione prospettata dalla Corte di Cassazione contraddice quanto più volte affermato dalla
giurisprudenza di merito, escludendo dal calcolo della rendita catastale il valore delle turbine, in quanto
le stesse sarebbero da considerare unicamente come impianti produttivi di reddito d’impresa e non
come beni mobili incorporati agli immobili, ai quali afferiscono.

1. IL CONTENUTO DELLA SENTENZA
         La questione centrale proposta dalla parte ricorrente concerne la non inclusione, ai fini della
determinazione della rendita catastale, del valore delle turbine, in quanto:
         1) soltanto le unità immobiliari possono essere oggetto di attribuzione della rendita catastale e la
regola non subisce eccezione nell’ipotesi in cui le loro speciali caratteristiche ne impongano la stima
diretta;
         2) una cosa mobile, anche se destinata in modo durevole al servizio di un bene immobile, non
perde la propria individualità e natura, in assenza di una fisica incorporazione nell’immobile medesimo;
         3) le turbine di una centrale idroelettrica sono meramente imbullonate alle strutture murarie e
liberamente amovibili e non sono al servizio del complesso immobiliare, ma della sola attività
produttiva;
         4) il valore, quindi, da porre a base della determinazione della rendita catastale delle unità
immobiliari a destinazione speciale è quello della sola centrale, autonomo rispetto a quelle delle turbine.
         Viceversa, l’Amministrazione finanziaria, sulla scorta dell’interpretazione offerta dall’Agenzia del
Territorio, ha ribadito che:
         1) una centrale idroelettrica è classificabile come immobile a destinazione speciale, solo se i loro
componenti sono tra loro strutturalmente, anche se transitoriamente, collegati ed il valore dell’immobile
è dato dal complesso dei componenti;

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2) gli immobili a destinazione speciale vanno iscritti in catasto mediante l’elencazione degli elementi
costitutivi, tra i quali vanno inclusi i generatori di forza motrice;
         3) la preponderanza economico-giuridica delle turbine e la strumentalità o complementarità
funzionale ad esse degli immobili esclude la ravvisabilità tra i beni in esame di un vincolo di natura
pertinenziale.
         I primi due gradi di giudizio hanno sostanzialmente accolto le prospettazioni fornite
dall’Amministrazione resistente, includendo nel procedimento di valutazione anche il valore delle
turbine e degli altri beni finalizzati alla produzione.
         Ciò nella considerazione che senza tali attrezzature, indipendentemente dalla loro stabile
infissione, e senza radicali trasformazioni, il complesso non è in grado di produrre alcun reddito.
         La Suprema Corte, disattendendo completamente le valutazioni effettuate dalla giurisprudenza
di merito, ha accolto, invece, la tesi sostenuta dalla parte ricorrente, argomentando, in particolare che:
         a) le turbine, semplicemente imbullonate al suolo, non sono da considerarsi come incorporate
all’immobile in cui sono site, in quanto non ad esso unite in modo irreversibile;
         b) le stesse, quindi, non integrano un elemento dell’unità immobiliare, ma rappresentano una
componente del complesso di beni organizzati, per l’esercizio dell’attività produttiva;
         c) per quanto sia rilevante, la loro consistenza economica si riflette unicamente sulla valutazione
dell’azienda e non anche della rendita catastale.

2. IL PROCEDIMENTO DI STIMA DELLE UNITÀ IMMOBILIARI A DESTINAZIONE SPECIAL E, IN
ASSENZA DI MERCATO LOCATIVO

          Ai fini dell’analisi della sentenza esaminata, occorre sicuramente esaminare la disciplina
estimativa, relativa ad edifici, come quello di specie, a destinazione speciale.
          L’art. 10 della L. n. 1249 del 1939 stabilisce che la rendita catastale delle unità immobiliari cd. a
destinazione speciale (costituite da opifici ed, in genere, da fabbricati costruiti per le particolari esigenze di
un’attività commerciale o industriale e non suscettibili di una destinazione estranea, senza una radicale trasformazione) è
determinata con stima diretta per ogni singola unità.
          I procedimenti di stima sono essenzialmente due, uno di tipo diretto ed uno di tipo indiretto.
          Il primo si applica in presenza di un mercato locativo degli immobili da valutare, attraverso una
stima sintetica per confronto diretto, con riferimento ai canoni di locazione praticati.
          In assenza, invece, di un mercato delle locazioni, deve procedersi necessariamente ad una stima
indiretta, tramite la determinazione dei due elementi fondamentali, quali il capitale fondiario ed il saggio
di interesse.
          In entrambi i casi, comunque, si cerca di ricostruire il più probabile reddito annuo medio
ordinario, che nella seconda ipotesi, in assenza di una possibilità di confronto diretto, deve sicuramente
attingere a criteri di determinazione della redditività meno immediati.
          Nel caso di specie, appare evidente non soltanto l’assenza di un mercato locativo degli immobili,
oggetto di valutazione, ma anche l’oggettiva difficoltà ad effettuare una qualsivoglia comparazione,
attesa la sostanziale unicità degli immobili oggetto di valutazione.
          Pertanto, l’Ufficio erariale ha effettuato una stima indiretta , così come descritto in precedenza,
attraverso la valutazione del costo di costruzione, adeguatamente deprezzato, dell’immobile.
          In tali sensi, ai fini della determinazione di un congruo valore di costo, si è tenuto conto:
          1) del costo di costruzione dei fabbricati direzionali ed operativi e del valore dell’area coperta da
essi;
          2) del costo di costruzione dei capannoni industriali e commerciali e del valore dell’area coperta
da essi;
          3) del valore delle aree scoperte pertinenziali;
          4) del costo dei macchinari ed impianti fissi, ritenuti immobili per destinazione.
          Per ciò che concerne quest’ultimo punto, l’Istruzione III della Direzione Generale del Catasto e
dei Servizi Tecnici Erariali specifica che: nel caso di opificio il valore della consistenza immobiliare deve
comprendere anche il valore delle installazioni connesse od incorporate coi fabbricati o comunque stabilmente infisse ad essi.
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Quindi, oltre agli impianti tradizionalmente fissi (quali gli impianti elettrico, idrico, di
riscaldamento etc…), vengono considerati, ai fini della determinazione della rendita catastale, anche gli
impianti connessi per destinazione, quali celle frigorifere, silos, cisterne di carburante, nonché le turbine,
negli impianti di produzione di energia elettrica.
        Viceversa, non sono valutate le macchine operatrici, le macchine utensili e le apparecchiature
poste a valle del punto di consegna della forza motrice.
        Il procedimento più diretto e meno contestabile, per la determinazione del costo degli impianti
e dei fabbricati, è quello che fa riferimento agli atti della direzione lavori ed, in particolare, al certificato
di collaudo tecnico ed amministrativo.
        Qualora non si disponga di tali atti, si può, comunque, ricorrere ad un dettagliato computo
metrico estimativo, facendo riferimento ai prezziari di massima, in genere disponibili presso tutti gli
Uffici dell’Agenzia del Territorio.
        Al costo di costruzione, così determinato, va poi applicato un coefficiente di obsolescenza,
ovviamente diverso a seconda dei casi, in ragione dell’età e del degrado funzionale dell’immobile da
valutare.

3. LA  PRONUNCIA DELLA                    CASSAZIONE           SULL ’INCLUSIONE DELLE TURBINE NEL
PROCEDIMENTO DI STIM A

         Venendo all’esame della fattispecie concreta, il contenzioso è stato originato dalla differente
valutazione del cespite, effettuata dall’Agenzia del Territorio, rispetto a quella fornita dalla parte privata,
ai sensi del D.M. n. 701 del 1994.
         Orbene, la divergenza non consiste nell’inquadramento del cespite all’interno delle categorie
catastali previste, visto che non vi è stata alcuna contestazione all’attribuzione all’immobile della
categoria catastale D/1, quale unità immobiliare a destinazione speciale.
         Né vi sono state sostanziali contraddizioni in ordine al procedimento di stima concretamente
utilizzato.
         È, infatti, pacifico, alla stregua di quanto descritto nel paragrafo precedente, che il caso di specie
sia caratterizzato da una totale assenza di mercato locativo, in ragione dell’eccezionalità di tali unità
immobiliari, vista anche la natura essenzialmente monopolistica dell’attività esercitata.
         Quindi, la rendita catastale attribuibile è stata giocoforza determinata attraverso l’individuazione
del costo di costruzione, con l’applicazione di un coefficiente di obsolescenza, individuato
definitivamente dalla Commissione Tributaria Regionale nella misura del 7%.
         Tutto ciò non è stato contestato dalla società, fatta ovviamente eccezione per le ricorrenti e,
peraltro, sterili contestazioni, di natura meramente processuale, in ordine alla nullità dell’accertamento
per carenza di motivazione1.
         Ed invero, l’unico oggetto del contendere è l’individuazione dei beni oggetto di valutazione, con
specifico riferimento alle turbine, utilizzate per la produzione di energia elettrica.
         Orbene, ai sensi dell’art. 812 c.c., sono beni immobili per natura tutte le cose che non si possono
trasportare da un luogo ad un altro senza alterarne la consistenza e, quindi, oltre al suolo, tutte le cose
che naturalmente od artificialmente fanno corpo con il suolo.
         La società ricorrente, partendo dalla lettera della norma appena richiamata, ha fatto rilevare, per
tutte le cose diverse dal suolo, la necessità di un’incorporazione fisica con lo stesso, con esclusione di
qualunque connessione di tipo teleologico o funzionale.
         Sulla base di questa interpretazione, questo nesso d’incorporazione non sarebbe riscontrabile
per le turbine, apparecchi soltanto imbullonati al supporto ed aventi una propria autonomia ed
individualità, al di là dell’immobile che le contiene.

1È curioso osservare come, nella pratica, nessun accertamento operato dall’Amministrazione in danno del contribuente, sia
mai considerato adeguatamente motivato.
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Ciò comporterebbe che le stesse turbine acquistano la qualifica di beni mobili, secondo
l’individuazione residuale operata dal comma 3 art. 812 c.c., con la conseguente esclusione dal computo
della base utile alla determinazione della rendita catastale.
          Infatti, proprio la caratteristica dell’amovibilità, differenzierebbe le turbine da altri macchinari ed
apparati che, invece, diventano immobili, ove incorporati, come, ad esempio, la caldaia dell’impianto di
riscaldamento o gli ascensori.
          La tesi sostenuta dalla società ricorrente è stata integralmente recepita dalla Suprema Corte, che
ha escluso dalla stima del complesso immobiliare le turbine, di cui non è controversa l’amovibilità per essere le
stesse soltanto imbullonate al suolo.

4. LA DIFFERENTE VALUTAZIONE DEGLI UFFICI FINANZIARI
         Pur partendo dai medesimi presupposti di diritto e di fatto, le conclusioni raggiunte dagli Uffici
del Territorio, nonché dalla pressoché costante giurisprudenza di merito, sono di segno completamente
opposto.
         Si è, infatti, ritenuto che la norma codicistica, più volte richiamata, vada adeguata alla realtà del
diritto tributario, sulla scorta dell’autonomia dello stesso, che trova applicazione anche ad altre norme
generali di natura civilistica (si pensi, ad esempio, alla svalutazione delle immobilizzazioni finanziarie,
costituenti titoli non negoziati in mercati regolamentati).
         In tali sensi, la centrale elettrica va vista come un unico complesso produttivo, in cui i singoli
elementi non possono essere valutati separatamente, ma come caratteristiche qualitative e quantitative
dell’intero complesso, suscettibili sicuramente di un’autonoma valutazione economica, ma, altresì,
determinanti nella valutazione del reddito complessivo, in quanto tali impianti appaiono essenziali per la
destinazione economica di tutta la centrale, che non è completa e non si può concepire senza di essi.
         Appare, inoltre, evidente la non riutilizzabilità degli immobili, contenenti le turbine, per altri usi
industriali, senza interventi radicali ed un conseguente cambio di destinazione, dovendo ad essi essere
riconosciuta una specificità per la funzione svolta, emergente sin dalla fase della progettazione iniziale
(si pensi alle dimensioni dei locali, delle porte d’accesso e di comunicazione etc…).
         Peraltro, un sostanziale riconoscimento di tale prospettazione viene proprio dalla società
ricorrente, che attraverso l’autoattribuzione, in sede di dichiarazione DOCFA (che è all’origine del
contenzioso), della categoria catastale D, cioè di immobile a destinazione speciale, con conseguente stima
diretta della singola unità immobiliare, ha considerato l’intero complesso immobiliare come un
fabbricato costruito per le speciali esigenze di un’attività industriale o commerciale non suscettibile di una destinazione
estranea alle esigenze suddette, senza radicali trasformazioni.

5. ULTERIORICONSIDERAZIONI SULLE CARATTERISTICHE TECNICHE DEL FISSAGGIO AL
SUOLO DELLE TURBINE

        Ulteriormente incoerente appare la tesi sostenuta dalla società ricorrente e dalla Suprema Corte,
qualora si voglia tener conto anche delle specifiche caratteristiche tecniche degli impianti di cui si
discorre.
        Infatti, le turbine, le cui stesse dimensioni non consigliano sicuramente una libera amovibilità,
sono connesse alle strutture di fondazione tramite bulloni e tirafondi, direttamente inghisati alle
strutture in cemento armato della fondazione.
        Vale appena il caso di ricordare che, per il fissaggio al suolo, vengono costruiti degli appositi
basamenti in cemento armato, su cui le casse delle turbine stesse vengono sistemate.
        Inoltre, la connessione non è di tipo fisso poiché deve permettere all’apparecchiatura di
assorbire le dilatazioni prodotte dalle elevate temperature di funzionamento, nonché consentire il
completo smontaggio della stessa, per esigenze di manutenzione, senza dover necessariamente
intervenire ogni volta sulle strutture murarie.

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Alla stregua di quanto precede, si può ragionevolmente dedurre che la supposta amovibilità
delle apparecchiature in esame, supportata unicamente dal fatto fisico del metodo di fissaggio, sia da
ricondurre semplicemente ad un problema tecnico e non sostanziale.
        Ed invero, non si può parimenti non riconoscere carattere di stabilità, rispetto all’immobile di
riferimento, alla struttura in cemento armato di supporto delle stesse apparecchiature, a cui esse sono
sicuramente incorporate.
        In altri termini, se la necessità di mantenere l’elasticità tecnica delle apparecchiature non
richiedesse l’imbullonatura, esse ben potrebbero essere fissamente incorporate al suolo, in barba alla
loro soltanto presunta amovibilità.
        Né d’altra parte, può mutare la qualificazione giuridica di un bene, ai fini della determinazione
della rendita dell’intero complesso immobiliare, unicamente in ragione di una scelta di progetto,
effettuata dall’imprenditore proprietario.

6. RIFLESSIONIFINALI SULL’APPLICAZIONE DELLA DECISIONE IN ESAME ALL’INTERA
DISCIPLINA DI DETERM INAZIONE DELLA RENDITA CATASTALE DEGLI IMMOBILI A
DESTINAZIONE SPECIAL E

          Da quanto esposto nei capitoli precedenti, appare evidente che il nocciolo della questione è
legato a valutazioni di stima, di carattere eminentemente tecnico, e non certo alla disquisizione sulla
corretta interpretazione delle norme di diritto e sulla corretta applicazione delle stesse al caso di specie,
che dovrebbero, invece, essere l’oggetto del giudizio di legittimità della Suprema Corte.
          Tale comportamento, purtroppo, si inserisce nel più vasto orientamento giurisprudenziale,
seguito soprattutto in materia tributaria, dove sempre più spesso si assiste ad un’invasione della sfera di
competenza dei Giudici di merito, sul campo delle valutazioni di fatto, spesso anche in ordine al mero
quantum del negativamente accertato.
          Ciò sicuramente non giova alla certezza del diritto stesso, né alla più volte denunciata lentezza del
cd. bradipo giudiziario, attesa la natura, ormai di terzo giudizio di merito, assunta dal giudizio di Corte di
Cassazione.
          Superando queste valutazioni, di natura sicuramente non giuridica, è opportuno, infine,
effettuare ulteriori valutazioni sulle conseguenze che l’interpretazione, fornita dalla Suprema Corte nel
caso di specie2, potrebbero avere sull’intera disciplina dell’attribuzione della rendita catastale alle unità
immobiliari a destinazione speciale.
          Infatti, secondo la dottrina e la giurisprudenza risalente, si ha incorporazione quando una cosa
viene naturalmente o artificialmente compenetrata in un’altra, anche a solo scopo transitorio.
          Orbene, seguendo questa interpretazione, si è pacificamente riconosciuto il carattere di beni
incorporati all’immobile, con la conseguente inclusione nella base di calcolo della rendita catastale, a
tutti gli impianti connessi alle stazioni di rifornimento di carburante.
          Ora, volendo invece applicare a tali casi l’interpretazione letterale e formalistica della norma
fornita dalla Suprema Corte, si dovrebbe disconoscere il carattere di beni incorporati a tutti quegli
impianti che, per loro caratteristiche tecniche, sono meramente imbullonati al suolo3 e che, per di più,
sono posti in una posizione nettamente separata dall’unità immobiliare di cui sono stati posti al servizio.
          Vincolare, inoltre, la valutazione sulla natura dei beni, a classificazioni di natura eminentemente
tecnica e letterale, comporta conclusioni di natura quasi paradossale, soprattutto in un’epoca, come
questa, caratterizzata da un notevole sviluppo tecnologico, dove, in breve, nessuna unità immobiliare a
destinazione speciale potrebbe possedere le caratteristiche giuridiche, ai fini valutativi, riconosciute sia dalla
legge sia dagli Uffici Finanziari.

2 Fondata unicamente sul dettaglio formalistico delle modalità tecniche di infissione al suolo, senza considerare, così come
peraltro richiede la normativa in materia, le caratteristiche specifiche degli impianti e delle unità immobiliari a cui gli stessi
afferiscono.
3 Si pensi, ad esempio, agli impianti di lavaggio connessi, alle colonnine di distribuzione o,ancora, alle costruzioni di

copertura delle stesse.
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Nel senso paradossale, richiamato in precedenza, si pensi che applicando il criterio
interpretativo adottato dalla Suprema Corte, ove il discrimine è unicamente il metodo di fissaggio al
suolo, si arriverebbe a riconoscere carattere di bene mobile a costruzioni come la Tour Eiffel ed i
grattacieli, in quanto meramente imbullonati al suolo e scomponibili in singoli porzioni di tralicci in
acciaio, ovvero come le piramidi, oggi scomponibili, senza particolari difficoltà tecniche, in blocchi di
granito, separabili, numerabili e rimontabili in altro luogo, senza alterare le caratteristiche del bene
stesso.

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                                                          Collaboratore tributario dell’Agenzia delle Entrate

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