"APOLLO E DAFNE" - LABORATORIO FUMETTO Miti greci - istituto comprensivo di montereale ...

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LABORATORIO
   FUMETTO

           Miti greci

“APOLLO E DAFNE”
            CLASSE 1C
  anno scolastico 2020/2021

   Scuola secondaria di primo grado
   I.C. di MONTEREALE V ALCELLINA
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APOLLO E DAFNE

      Nei caldi paesi mediterranei cresce spontanea una pianta sempreverde
dalle foglie aromatiche chiamata alloro. Nell'antica Grecia l'alloro era sacro
ad Apollo, dio della musica e della poesia, il più celebre dei figli di Zeus.
L'alloro fu il primo amore del dio, un amore che non dimenticò mai. In sua
memoria Apollo portava sempre il capo cinto da una corona delle sue foglie.
Ma come mai un dio si era innamorato di un arbusto?
     Un giorno Apollo era particolarmente soddisfatto perché aveva appena
compiuto il suo primo atto eroico: l'uccisione di un orribile mostro chiamato
Pitone, un enorme serpente dal corpo velenoso che il dio uccise colpendolo
a morte con le frecce del proprio arco.

      Di ottimo umore, Apollo stava scendendo lungo le pendici del monte
Parnaso, uno dei luoghi più graditi agli dei, quando scorse Eros, il giovane
figlio di Afrodite, tutto intento a esercitarsi con arco e frecce. Apollo, che
considerava Eros niente più che un ragazzino, esclamò sorridendo: “Non
vorrei essere un altro Pitone, se dovessi battermi con te!”.
      Eros comprese che Apollo lo stava prendendo in giro e gli lanciò uno
sguardo cosi inviperito che Apollo gli diede una tiratina di capelli, per fargli
capire che era solo uno scherzo, e proseguì la discesa. Eros, ormai quasi
adulto, non sopportava di essere trattato come un bambino. Aveva un volto
bellissimo, come sua madre, e un paio di ali dalle piume argentate che gli
permettevano di librarsi nell'aria, svolgendo le missioni affidategli da
Afrodite. Come sua madre, Eros sapeva trafiggere i cuori: Apollo avrebbe
fatto bene a ricordarsene prima di deriderlo…
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Eros dispiegò le ali - ampie e forti, più simili a quelle di un'aquila che a
quelle di una colomba - e volò fino alla vetta del Parnaso per meditare la
sua vendetta. Sui pendii boscosi del monte intravide la ninfa Dafne che
correva tra gli alberi, lanciata all’inseguimento di una lepre per addestrarla
a gareggiare nella corsa con un cervo. Eros sogghignò: gli era venuto in
mente un gran bel piano.

      Dafne era la figlia di Peneo, un vecchio fiume tranquillo. Fin da
bambina si era rivelata, con grande preoccupazione del padre, diversa dalle
altre ninfe; infatti non solo non amava stare in compagnia, ma rifiutava
tutti i pretendenti, anche se era ormai in età da marito. Ogni volta che
Peneo sollevava l'argomento, Dafne lo pregava di lasciar perdere: “Non
voglio sposarmi, padre. Voglio rimanere libera e vivere in mezzo alla
natura. Promettimi che non sarò mai costretta ad appartenere a un uomo!”
Peneo, che le voleva molto bene, aveva acconsentito, ma non era certo
soddisfatto della situazione.
     Eros attese che Apollo giungesse nel tratto di bosco in cui si trovava
Dafne, poi scelse due frecce che il dio aveva tanto deriso: una dalla punta
d'oro affilatissima, l'altra dalla punta di piombo smussata, e si preparò a
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colpire. I dardi di Eros non uccidevano mai, ma potevano creare seri
problemi: chiunque venisse colpito da un dardo dalla punta d'oro si
innamorava della prima persona che vedeva; i dardi dalla punta di piombo,
invece, scatenavano la ripugnanza. Eros prese accuratamente la mia e colpì
Apollo con la freccia d'oro.

     Appena Apollo vide Dafne, rimase folgorato dalla sua selvaggia
bellezza e provò a rivolgerle la parola. Il dardo di piombo, però, aveva
raggelato il cuore di Dafne che, alla vista del dio, rabbrividì di orrore e fuggì
via.
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Apollo pensò di averla spaventata. “Perdonami, non voglio farti del
male!” gridò “Ti amo più del mondo intero!”. Vedendola scomparire fra gli
alberi, allungò il passo, mentre la implorava di fermarsi. “Dafne, Dafne, non
sono un mostro! Sono io, Apollo! Nessuno ti ama più di me!». Ma più la
supplicava, più Dafne accelerava la fuga. Correva a perdifiato per prati e
boschi con i capelli al vento, incurante dei rovi che le graffiavano le gambe
e dei sassi appuntiti che le ferivano i piedi. Apollo sentiva la passione
crescere nel suo cuore e non riusciva a convincersi che la ragazza potesse
rifiutare il suo amore. Le gridava, ansimando per la corsa: “Oh figlia di
Peneo, non straziarmi il cuore! Tutto ciò che ho e tuo! I miei componimenti
e la mia lira celebreranno te sola, tutti i miei farmaci sono al tuo servizio.
Ahimè! Io che conosco i segreti di tutte le erbe e che so indovinare il futuro,
non ho saputo prevedere questo amore e non conosco un'erba che lo possa
guarire!”.
    Dafne correva come il vento, ma Apollo era più veloce di lei e stava
guadagnando terreno. La fanciulla sentiva già il suo fiato sul collo e
pensava con orrore al momento in cui l'avrebbe toccata.
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Xhoana Zade

       Le forze la stavano abbandonando e le braccia di Apollo erano sul
punto di cingerla, quando raggiunse le sponde rocciose del fiume Peneo e,
in preda al panico, chiamò a gran voce suo padre: “Padre, ricorda la tua
promessa. Salvami!”. Dal profondo delle acque Peneo udì la voce della
figlia. Un istante dopo, i piedi di Dafne furono bloccati e trattenuti dalle
rocce della sponda. La ragazza alzò le braccia sconvolta e dalle sue dita
cominciarono a spuntare foglie. I suoi arti si irrigidirono, il suo respiro
affannoso cessò e il terrore la abbandonò. Quando Apollo la cinse tra le
braccia, sotto le dita sentì la liscia corteccia di un albero.
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Il dio pianse amaramente al pensiero che l'impazienza l'aveva privato
del suo amore. Dafne si era trasformata in una pianta di alloro sulla riva del
fiume, là dove sarebbe rimasta per sempre vicina al padre. “Le sue foglie
saranno perennemente verdi!” sentenziò Apollo. “Io ne porterò sempre una
ghirlanda sul capo e solo alle sue fronde appenderò la mia lira…”.

                      Impaginazione a cura dell’alunna Elisa Dessoni (classe 1C)
 (Testo tratto e adattato da I miti greci, narrati da Jacqueline Morley, illustrati da Giovanna Caselli, ed. San Paolo)
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