Antichità e Istituzioni Romane (a.a. 2019-2020) Introduzione alla storia di Roma (2)

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Antichità e Istituzioni Romane (a.a. 2019-2020) Introduzione alla storia di Roma (2)
Antichità e Istituzioni Romane (a.a. 2019-2020)

                                 Introduzione alla storia di Roma (2)

La conquista del Lazio e della penisola

Il Lazio tra VI e V sec. a.C.
Pol., 3.22; 26.1
Il primo patto tra Romani e Cartaginesi fu stretto al tempo di Lucio Giunio Bruto e Marco Orazio, i primi a
essere eletti consoli dopo la cacciata dei re; da questi fu consacrato il Tempio di Zeus Capitolino. Questi fatti
avvennero ventotto anni prima del passaggio di Serse in Grecia. Il patto l’abbiamo trascritto successivamente,
cercando di interpretarlo nel modo più preciso possibile; tale, infatti, è la differenza tra la lingua attuale dei
Romani e quella antica che anche i più esperti ne hanno potuto capire a mala pena, con tutta la loro
competenza, solo alcuni pezzi. I patti recitano più o meno così: «A queste condizioni c’è pace tra i Romani
con i loro alleati e i Cartaginesi con i loro: né i Romani né i loro alleati navighino al di là del Capo Bello [Capo
Farina, presso Cartagine], a meno che non siano costretti da una tempesta o da un attacco nemico. [Seguono
clausole, soprattutto commerciali, valide in caso di presenza di Romani in Libia, Sardegna, Sicilia]… da parte
loro i Cartaginesi non compiano ingiustizie contro il popolo di Ardea, di Anzio, di Laurento (?), di Circeo, di
Terracina, né contro nessun’altra città dei Latini, che sia sottomessa ai Romani. Si astengano da quelle città
che non siano sottomesse ai Romani, qualora le conquistino, le restituiscano integre ai Romani. Non
costruiscano alcuna fortificazione in territorio latino. Se giungono nella regione da nemici, non potranno
trascorrervi la notte» [… ] Questo è il testo dei trattati, che ancora si conserva su tavole di bronzo nell’erario
degli edili presso il tempio di Giove Capitolino.

348 a.C.:        secondo trattato con Cartagine
306 a.C.:        terzo trattato con Cartagine
278 a.C.:        quarto trattato con Cartagine

Il foedus Cassianum (493 a.C.)

Cic., Pro Balbo, 53
Chi ignora che durante il consolato di Spurio Cassio e Postumo Cominio e stato fatto un trattato con i Latini?
Ricordiamo che fino a poco fa era inciso e registrato su una colonna di bronzo davanti ai Rostri (Rostra).

Dion. Hal., 6.95.1-3
Nello stesso tempo con tutte le città latine si fecero nuovi patti di pace e di amicizia, accompagnati da
giuramenti rituali, … Il testo dei trattati era di questo tipo: “Ci sia pace reciproca tra i Romani e le città latine,
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finché il cielo e la terra abbiano la medesima posizione. Né essi combattano tra loro, né conducano nemici
da altre nazioni, né a chi porta guerra offrano strade sicure, aiutino con ogni mezzo chi di loro è coinvolto in
una guerra, entrambi abbiano parti uguali delle prede e del bottino fatto a danno dei nemici comuni. Le
sentenze sui contratti privati vengano pronunciate entro dieci giorni presso la popolazione in cui sia stato
fatto il contratto. A questi patti non sarà lecito aggiungere o togliere alcunché se non ciò cui consentano
Romani e Latini tutti”.

Il conflitto con Veio
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età regia       primi scontri fatti risalire all’epoca di Romolo
477 a.C.:       battaglia presso il fiume Cremera (morte di oltre 300 componenti della gens Fabia)
437-426 a.C.:   alleanza tra Veii e Fidenae in chiave antiromana
405-396 a.C:    assedio decennale e presa di Veii

Liv., 4.20 (ca. 437 a.C.)
Siccome l'impresa aveva avuto pieno successo, per decreto del senato e per volontà del popolo, il dittatore
poté tornare a Roma in trionfo. Ma nel trionfo lo spettacolo più grande fu la vista di Cosso che avanzava
reggendo le spoglie opime del re ucciso; in onore di Cosso i soldati cantavano rozzi inni nei quali lo
paragonavano a Romolo. Egli, con la dedica rituale, appese in dono le spoglie nel tempio di Giove Feretrio,
accanto a quelle conquistate da Romolo, che erano state le prime, e fino a quel momento le uniche, ad essere
chiamate opime. Cosso si attirò gli sguardi dei cittadini distogliendoli dal cocchio del dittatore, così che la
gloria di quel giorno fu quasi tutta sua. Per volontà del popolo, il dittatore offrì in dono a Giove sul
Campidoglio, a spese dello Stato, una corona d'oro del peso di una libbra. Seguendo tutti gli scrittori che mi
hanno preceduto, ho narrato come Aulo Cornelio Cosso abbia portato le seconde spoglie opime nel tempio
di Giove Feretrio avendo il grado di tribuno militare. Ma, al di là del fatto che opime sono per tradizione
soltanto le spoglie strappate da un comandante a un altro comandante e che il solo che noi riconosciamo
come comandante é quello sotto i cui auspici viene condotta una guerra, l'iscrizione stessa posta su quelle
spoglie confuta la tesi degli altri e la mia, dimostrando che Cosso quando le strappò era console. Ma quando
ho sentito Cesare Augusto, fondatore e restauratore di tutti i nostri templi, raccontare di essere entrato nel
santuario di Giove Feretrio - da lui fatto ricostruire perché in rovina ormai con l'andar del tempo - e di aver
letto questa iscrizione sulla corazza di lino, ho ritenuto quasi un sacrilegio privare Cosso della testimonianza
che delle sue spoglie dà Cesare, cioè proprio colui che fece restaurare il tempio. Dove poi sia l'errore, per
quale motivo tanto gli annali antichi quanto le liste dei magistrati (quelle che, scritte su lino e conservate nel
tempio di Giunone Moneta, sono continuamente citate da Licinio Macro come fonte) riportino il consolato
di Aulo Cornelio Cosso insieme a Tito Quinzio solo sei anni dopo, é una questione sulla quale é giusto che
ciascuno abbia una sua opinione personale. Ma un altro valido motivo per non spostare in quell'anno una
battaglia così famosa? che il consolato di Aulo Cornelio cadde in un triennio nel quale non ci fu alcuna guerra,
a causa di una pestilenza e di una carestia, tanto che alcuni annali riportano solo i nomi dei consoli,
catalogando l'annata come funesta. Due anni dopo il consolato, Cosso fu tribuno militare con potere
consolare e nello stesso anno maestro della cavalleria, e mentre ricopriva quella carica combatté un'altra
celebre battaglia equestre. Su questo punto é possibile fare molte congetture, anche se a mio parere inutili.
Ognuno può credere quello che vuole, fatto sta che il vero protagonista del combattimento, dopo aver
deposto le spoglie appena conquistate nella sacra sede alla presenza di Giove, cui erano state dedicate, e di
Romolo - testimoni che l'autore di un falso non può certo prendere alla leggera -, si sottoscrisse: Aulo Cornelio
Cosso console.

Liv., 5.21.2
Un'enorme massa di persone si mise in movimento e andò a riversarsi nell'accampamento. Il dittatore allora,
dopo aver tratto gli auspici, uscì dalla tenda e diede ordine alle truppe di armarsi. “Sotto il tuo comando -
disse poi -, o Apollo Pizio, e ispirato al tuo volere, mi accingo a distruggere la città di Veio e a te dedico la
decima parte del bottino che ne verrà tratto. Ma nello stesso tempo imploro te, o Giunone Regina, che adesso
dimori a Veio, di seguire noi vincitori nella nostra città presto destinata a diventare anche la tua, dove ti
accoglierà un tempio degno della tua grandezza”.

Liv., 5.22.8 ss.
Infatti all'interno di tutto l'esercito vennero scelti dei giovani che, dopo essersi lavati accuratamente e aver
indossato una veste bianca, ebbero l'incarico di trasferire a Roma Giunone Regina. Una volta entrati nel
tempio pieni di reverenza, essi in un primo tempo accostarono piamente le mani al simulacro della dea
perché secondo la tradizione etrusca quell'immagine non doveva esser toccata se non da un sacerdote
proveniente da una certa famiglia. Poi, quando uno di essi, vuoi per ispirazione divina, vuoi per celia giovanile,
disse, rivolto al simulacro: “Vuoi venire a Roma, Giunone?”, tutti gli altri gridarono festanti che la dea aveva
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fatto un cenno di assenso con la testa. In seguito alla storia venne anche aggiunto il particolare che era stata
udita la voce della dea rispondere di sì. Di certo però sappiamo che (come se la statua avesse voluto seguire
volontariamente quel gruppo di giovani) non ci vollero grossi sforzi di macchine per rimuoverla dalla sua
sede: facile e leggera a trasportarsi, la dea approdò integra sull'Aventino, in quella zona cioé che le preghiere
del dittatore avevano invocato come la sede naturale a lei destinata per l'eternità e dove in seguito Camillo
le dedicò il tempio da lui stesso promesso nel pieno della guerra. Questa fu la fine di Veio, la città più ricca di
tutto il mondo etrusco e capace di dare prova della propria grandezza anche nel momento estremo della
disfatta: dopo un assedio durato dieci estati e altrettanti inverni durante i quali aveva inflitto perdite ben più
gravose di quante non ne avesse subite, alla fine, anche se incalzata ormai anche dal destino avverso, ciò non
ostante fu espugnata grazie all'ingegneria militare e non alla forza vera e propria.

Liv., 5.30.8-9
Tale successo riuscì così gradito ai senatori che il giorno dopo, su proposta dei consoli, il Senato approvò un
decreto con il quale si assegnavano alla plebe, nell’agro veientano, lotti di sette iugeri e non soltanto ai padri
di famiglia ma in modo che si tenesse conto in ogni casa di tutti gli uomini liberi e con questa aspettativa si
fosse invogliati ad allevare figli.

CIL, I2 2909 (Veii, santuario di Portonaccio – IV/III sec. a.C.)
L. Tolonio(s) / ded(et) Menerva.

CIL, I2 2908 (Veii, santuario di Campetti – IV/III sec. a.C.)
Crere L. Tolonio(s) d(edet).
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Il sacco gallico

Fasti Antiates maiores: Inscr.It, XIII, 2, 1, col. VII, r. 21 (Antium, 84-55 a.C.)
C c(omitialis). [Al]liensis dies. (= 18 luglio)

Tac., Ann. 15.41
Calcolare il numero delle case, degli isolati e dei templi andati distrutti non è facile: fra i templi di più antico
culto bruciarono quello di Servio Tullio alla Luna, la grande ara e il tempietto che l'arcade Evandro aveva
consacrato, in sua presenza, a Ercole, il tempio votato a Giove Statore da Romolo e la reggia di Numa e il
delubro di Vesta coi Penati del popolo romano; e poi le ricchezze accumulate con tante vittorie, e capolavori
dell'arte greca e i testi antichi e originali dei grandi nomi della letteratura, sicché, anche nella straordinaria
bellezza della città che risorgeva, i vecchi ricordavano molti capolavori ora non più sostituibili. Ci fu chi
osservò che l'incendio era scoppiato il diciannove di luglio, lo stesso giorno in cui i Senoni presero Roma e la
diedero alle fiamme.

Plut., Camillus, 22, 2-4
La notizia [della presa di Roma da parte dei Galli] si diffuse subito innanzitutto in Grecia, perché Eraclide
Pontico, che visse circa in quegli anni, ha scritto nel suo trattato sull’anima che era arrivata una notizia
dall’Occidente, secondo la quale un esercito proveniente dagli Iperborei avrebbe occupato una città greca
chiamata Roma, situata laggiù in basso, vicino al grande mare. Io non sarei sorpreso se Eraclide, che ama le
favole e le finzioni, avesse aggiunto alla notizia vera della presa di Roma gli Iperborei e il grande mare, per
produrre maggiore effetto. In ogni caso è certo che il filosofo Aristotele fu informato con esattezza della presa
di Roma da parte dei Galli. Solamente dice che la città fu salvata da Lucio. Ora Camillo si chiama Marco, non
Lucio

Liv., 5.40
Nel frattempo il flamine di Quirino e le vergini Vestali, dimentichi delle proprie cose, si consultarono su quali
oggetti sacri fossero da portar via, quali fossero invece da abbandonare (non avendo essi materialmente le
energie necessarie per prendere ogni cosa), e in che luogo quegli oggetti sarebbero stati più al sicuro. Alla
fine decisero che la soluzione migliore fosse quella di metterli dentro a piccole botti (doliola) da sotterrare
poi nel santuario accanto all'abitazione del flamine di Quirino, lì dove oggi è considerato sacrilegio sputare.
Il resto degli oggetti, dividendosene il carico, li portarono via per la strada che conduce dal ponte Sublicio al
Gianicolo. Le vi de mentre salivano il colle un plebeo di nome Lucio Albinio il quale stava portando via da
Roma su un carro la moglie e i figli in mezzo alla massa che lasciava la città perché inutile alla causa della
guerra. E siccome quell'individuo - osservando la distinzione tra le cose divine e umane anche nel pieno della
tragica situazione -, riteneva fosse un sacrilegio che le sacerdotesse di Stato andassero a piedi portando i
sacri arredi del popolo romano mentre lui e i suoi se ne stavano sul carro sotto gli occhi di tutti, ordinò a
moglie e figli di scendere e dopo aver fatto salire le vergini con gli oggetti sacri le accompagnò fino a Cere,
dove le sacerdotesse erano dirette.

La prima guerra sannitica
Liv., 7.29.1-2
Da questo momento bisogna parlare di conflitti di ben altre proporzioni sia per le forze messe in campo dai
nemici sia per la lontananza della loro terra di provenienza e per la durata di quelle guerre. Nel corso dell'anno
si presero infatti le armi contro i Sanniti, un popolo potente per risorse e per dotazioni militari. Dopo la guerra,
dall'esito incerto, con i Sanniti, si combatté contro Pirro e dopo di lui fu la volta dei Cartaginesi.

354 a.C.:        trattato tra Romani e Sanniti
343-341:         prima guerra Sannitica

La guerra con la lega Latina e il suo scioglimento

Liv., 8.14.2-12
Vennero così passati in rassegna e valutati singolarmente. Ai Lanuvini venne concessa la cittadinanza e furono
lasciati i culti religiosi, a condizione però che il tempio e il bosco di Giunone Salvatrice diventassero
patrimonio comune degli abitanti di Lanuvio e del popolo romano. Ad Aricini, Nomentani e Pedani venne
concessa la cittadinanza alle stesse condizioni dei Lanuvini. Ai Tuscolani fu permesso di mantenere gli stessi
diritti civili goduti in passato, e l'accusa di aver riaperto le ostilità ricadde su pochi responsabili, senza
coinvolgere lo Stato. Il trattamento riservato ai Veliterni, un tempo cittadini romani, fu severissimo per la
loro recidività: non soltanto furono rase al suolo le mura della loro città, ma i membri del senato ne vennero
allontanati e furono costretti a stabilirsi al di là del Tevere: chi fosse stato colto al di qua del fiume avrebbe
dovuto pagare una multa fino a mille assi, e l'esecutore dell'arresto non avrebbe dovuto rilasciare il
prigioniero prima della riscossione della taglia. Nelle terre dei senatori vennero inviati coloni, il cui
arruolamento restituì a Velitrae la popolosità di un tempo. Anche ad Anzio fu insediata una nuova colonia,
dando per scontato che agli Anziati sarebbe stato concesso di iscriversi di persona se lo avessero voluto. Le
loro navi da guerra vennero sequestrate, mentre al popolo di Anzio fu vietato il mare e concessa la
cittadinanza. Tiburtini e Prenestini vennero invece privati del territorio, non soltanto per la recente accusa di
ammutinamento insieme con altre genti latine, ma anche per il fatto che, stanchi del potere di Roma, si erano
in passato alleati con i Galli, gente selvaggia. Agli altri popoli latini venne negato il diritto di esercitare mutui
scambi commerciali, di contrarre matrimoni misti e di tenere delle assemblee comuni. Ai Campani, per il
valore dei loro cavalieri che non avevano voluto ribellarsi assieme ai Latini, e agli abitanti di Fonda e di Formia,
attraverso il cui territorio il passaggio era sempre stato sicuro e tranquillo, venne concessa la cittadinanza
senza diritto di voto. Agli abitanti di Cuma e di Suessula vennero concesse le stesse garanzie e le stesse
condizioni riservate a Capua. Parte delle navi degli Anziati venne rimorchiata nei cantieri navali di Roma, parte
fu invece data alle fiamme e si decise di utilizzarne i rostri per ornare una tribuna costruita nel foro, alla quale
andò il nome di Rostri.

 civitas romana optimo iure (municipia, coloniae c.r.)     Aricia, Lanuvium, Nomentum, Pedum, Tusculum*
                                                           (dal 381 a.C.), Lavinium (?), Velitrae, Antium (col. c.r.)
 Latini                                                    Tibur, Praeneste, Ardea, Circeii, Signia, Norba, Setia,
                                                           Cora
 Hernici                                                   Anagnia, Aletrium, Verulae, Ferentinum
 civitas sine suffragio                                    Privernum (329 a.C.), Fundi, Formiae, Capua, Cumae,
                                                           Suessula, Acerrae (332 a.C.)
340-338 a.C.:   guerra Latina (coalizione antiromana di Latini e Sanniti)
338 a.C.:       scioglimento della lega Latina; deduzione delle prime coloniae civium Romanorum (Antium,
                Ostia, Tarracina [329 a.C.]
334 a.C.:       deduzione della prima colonia latina (Cales, Campania Settentrionale)
328 a.C.:       deduzione della colonia latina di Fregellae

I municipia
Aulo Gellio, Noctes Atticae, XVI, 13,6-7
I municipes dunque sono cittadini romani dei municipi, che usufruiscono di proprie leggi e di un proprio
diritto, che condividono con il popolo romano soltanto il “servizio” onorario (e dall’assunzione di questo
munus trassero evidentemente il nome)…(7) Sappiamo che gli abitanti di Cere furono i primi a diventare
municipes senza diritto di voto, e che fu loro concesso il privilegio della cittadinanza romana, però senza
incarichi né oneri, quale ricompensa per avere accolto e custodito i sacri arredi durante l’invasione dei Galli.
Da qui, ma rovesciando la prospettiva, furono chiamate “cèriti” le tavole su cui i censori facevano segnare
coloro che, a titolo d’infamia, essi privavano del voto.

Fest., p. 155 Lindsay, s.v. municipium
Municipium id est genus hominum dicitur, qui cum Romam venissent, neque cives Romani essent, participes
tamen fuerunt omnium rerum ad munus fungendum una cum Romaanis civibus, praeterquam de suffragio
ferendo, aut magistratu capiendo; sicut fuerunt Fundani, Formiani, Cumani, Acerrani, Lanuvini, Tusculani, qui
post aliquot annos cives Romani effecti sunt. …

Municipio consiste in quella tipologia di individui che, venuti a Roma e non essendo cittadini romani, presero
tuttavia parte a tutti gli oneri e le attività che riguardavano lo svolgimento dei propri obblighi insieme con i
cittadini romani, fatta eccezione per le votazioni e l’elezione alle cariche magistratuali. In tale categoria
rientrano gli abitanti di Fondi, Formia, Cuma, Acerra, Lanuvio e Tuscolo, che dopo alcuni anni divennero
cittadini romani.

Il conflitto con i Sanniti e altre popolazioni dell’Italia centrale
Liv., 8.23.6
D'altra parte non era loro possibile nascondere il fastidio del popolo sannita al vedere che la città di Fregelle,
da essi tolta ai Volsci e rasa al suolo, era stata rimessa in piedi dal popolo romano e che in territorio sannita
era stata fondata una colonia chiamata Fregelle dai coloni romani: era un sanguinoso affronto, e, se i suoi
autori non vi avessero posto rimedio, i Sanniti sarebbero ricorsi a ogni mezzo per cancellarlo.

Liv., 10.28 (295 a.C.)
Decio chiedeva urlando dove stessero fuggendo e che cosa sperassero nella fuga: si parava di fronte ai
fuggitivi e richiamava quelli già dispersi. Poi, rendendosi conto di non essere in grado di mantenere uniti i
suoi uomini ormai allo sbando, invocando per nome il padre Publio Decio, disse: “Perché ritardo il destino
della mia famiglia? Questa la sorte data alla nostra stirpe, di esser vittime espiatorie nei pericoli dello Stato.
Ora offrirò con me le legioni nemiche in sacrificio alla Terra e agli dèi Mani!”. Pronunciate queste parole,
ordinò al pontefice Marco Livio, al quale aveva ingiunto di non allontanarsi da lui mentre scendevano in
campo, di recitargli la formula con cui offrire in sacrificio se stesso e le legioni nemiche per l'esercito del
popolo romano dei Quiriti. Si consacrò in voto recitando la stessa preghiera, indossando lo stesso
abbigliamento con cui presso il fiume Veseri si era consacrato il padre Publio Decio durante la guerra contro
i Latini, e avendo aggiunto alla formula di rito la propria intenzione di gettare di fronte a sé la paura, la fuga,
il massacro, il sangue, il risentimento degli dèi celesti e di quelli infernali, e quella di funestare con
imprecazioni di morte le insegne, le armi e le difese dei nemici, e aggiungendo ancora che lo stesso luogo
avrebbe unito la sua rovina e quella di Galli e Sanniti - lanciate dunque tutte queste maledizioni sulla propria
persona e sui nemici, spronò il cavallo là dove vedeva che le schiere dei Galli erano più compatte, e trovò la
morte offrendo il proprio corpo alle frecce nemiche.
CIL, I2 5 cfr. pp. 717, 739, 831, 859 = ILLRP 7 = AE 1991, 567 (Marsi, Lago del Fucino)
Caso Cantovio/s Aprufclano cei/p(ed) apur finem [[e]] / Calicom(!) en urb/id Casontoni/a / socieque dono/m
atolero Actia / pro l[ecio]nibus Mar/tses

326-304 a.C:     seconda guerra Sannitica (321 a.C. sconfitta romana presso le Forche Caudine; 314 a.C.,
                 deduzione della colonia latina di Luceria; 312 a.C., deduzione della colonia latina di Interamna
                 Lirenas; 305 a.C., resa di Boviano, trattato di pace con i Sanniti)
298-290 a.C.:    terza guerra Sannitica (298 a.C., alleanza di Sabini, Etruschi, Umbri, Praetuttii, Galli Senoni,
                 Sanniti e Lucani; 295 a.C., vittoria romana a Sentino; 294 a.C.: tregua con città etrusche di
                 Volsinii, Arezzo e Perugia; 291 a.C., sconfitta dei Sanniti ad Aquilonia; deduzione della colonia
                 latina di Venusia; conquista della Sabina)

Il conflitto con Taranto e con Pirro
Paus., Guida della Grecia, I, 11,7- 12, 1 e 12,3
(11.7) A nostra conoscenza nessun greco, comunque, prima di Pirro fece guerra ai Romani…Alessandro, figlio
di Neottolemo, che era della stessa stirpe di Pirro ma più vecchio di lui, morì tra i Lucani prima di potersi
scontrare con i Romani. (12.1) Dunque Pirro è il primo che, dalla Grecia al di là dello Ionio, abbia attraversato
il mare per attaccare i Romani; e anche lui passò in Italia perché chiamato dai Tarentini. Questi ultimi infatti
già prima erano stati in guerra con Roma;…i loro ambasciatori riuscirono a convincere Pirro, soprattutto
informandolo che l’Italia quanto a prosperità valeva l’intera Grecia e che non gli era lecito rinviarli inesauditi,
quand’erano venuti come amici e supplici. Mentre gli ambasciatori parlavano così, Pirro si ricordò della presa
di Ilio e concepì la speranza che, se avesse fatto quella guerra, l’esito sarebbe stato identico: infatti egli, che
era un discendente di Achille, muoveva contro coloni di origine troiana …
(12.3) Ma ben sapendo di non poter tener testa ai Romani, si preparava a lanciare contro di loro gli
elefanti…quando gli elefanti apparvero, i Romani furono presi dal terrore, ritenendo che non fossero bestie,
ma tutt’altra cosa (trad. D. Musti)

303 a.C. ca.:             trattato tra Roma e Taranto
282 a.C.:                 i Turini richiedono l’intervento dei Romani; 10 navi romane nel golfo di Taranto
280 a.C.                  Taranto ricorre a Pirro, re dell’Epiro; vittoria epirota ad Eraclea
279 a.C.                  vittoria di Pirro ad Ausculum (Ascoli Satriano)
275 a.C.                  sconfitta di Pirro a Benevento
273 a.C                   deduzione delle colonie latine di Cosa (territorio sottratto a Vulci) e di Paestum (la
                          Posidonia greca)
272 a.C.                  trattato con Taranto

L’Italia del III sec. a.C.: la colonizzazione

Cic., de lege agraria, 2, 73
Vi sono luoghi di un genere tale che allo stato non importi se colà via sia o no una colonia, o vi sono invece
altri luoghi che richiedono la presenza di una colonia a differenza di altri? In questa come in altre questioni
di stato vale la pena di ricordare l’oculatezza dei nostri antenati i quali situarono le colonie in posizioni così
adatte a proteggere dal pericolo che esse non sembravano semplicemente città dell’Italia, ma baluardi
dell’impero (propugnacula imperii).

Asconius, In Pisonianam, p. 3 Clark
Confesso che non mi è chiara la ragione per la quale Cicerone definisce Piacenza un municipio. Negli annali
di coloro che narrarono la seconda guerra punica leggo che Piacenza è definita una colonia, dedotta il giorno
precedente le calende di giugno del primo anno di guerra [= 31 maggio 218 a.C.], sotto il consolato di Publio
Cornelio Scipione, padre dell’Africano maggiore, e di Tiberio Sempronio Longo. E non si può neanche
affermare che la colonia fu dedotta con la stessa procedura adottata in Transpadana molto più tardi da Gneo
Pompeo Strabone, padre del grande Pompeo. Pompeo infatti non le fondò con l’invio di nuovi coloni, ma
concesse il diritto latino agli abitanti precedenti, in modo che costoro potessero avere lo stesso diritto delle
altre colonie latine, cioè quello di ottenere la cittadinanza romana assumendo le cariche locali. Tuttavia
Piacenza ottenne l’invio di seimila nuovi coloni, trai quali c’erano duecento cavalieri. Causa della deduzione
fu la necessità di contrastare i Galli che occupavano quella parte d’Italia. La dedussero tre incaricati: Publio
Cornelio Asina, Publio Papirio Masone, Gneo Cornelio Scipione. E leggiamo che quella colonia fu dedotta 53
[lacuna]: ma era una colonia latina. Inoltre, esistevano due tipi di colonie dedotte dal popolo romano: quelle
di diritto romano e quelle di diritto latino. Cicerone dice che i Piacentini gli fecero un gran servigio, dal
momento che, al suo ritorno dall’esilio, approvarono un bellissimo decreto nei suoi riguardi, e in questo
fecero a gara con l’Italia intera.

Livio, 26.9.7-12 (209 a.C.)
Triginta tum coloniae populi Romani erant; ex iis duodecim, cum omnium legationes Romae essent,
negauerunt consulibus esse unde milites pecuniamque darent. eae fuere Ardea, Nepete, Sutrium, Alba,
Carseoli, Sora, Suessa, Circeii, Setia, Cales, Narnia, Interamna.

AE 1996, 685 (Aquileia)
T(itus) Annius T(iti) f(ilius) tri(um)vir. / Is hance aedem /faciundam dedit /dedicavitque, legesq(ue)
/ composivit deditque, / senatum ter co(o)ptavit.

CIL, I2 3201 (Aesernia)
S̲a̲m̲n̲ it̲ e̲ ̲s̲ / i ̲nquola̲e̲ / V̲ (eneri) d̲ (onum) d̲ (ant); /mag(istri) / C̲(aius) Pompo̲ n̲ius V(ibi) f̲(ilius), / C̲(aius)
P̲e̲rc̲ e̲ ̲n̲n̲i ̲u̲ s̲ L̲(uci) f̲(ilius), / L̲(ucius) S̲a̲tr̲ ̲i ̲u̲ s̲ L̲(uci) f̲(ilius), / C̲(aius) M̲ a̲r̲i ̲u̲ s̲ N̲ o̲(vi) f̲(ilius).

L’Italia del III sec. a.C.: un mosaico composito
Lo status degli abitanti

cives romani
-cives cum suffragio o optimo iure
- cives sine suffragio
Latini
Foederati/socii

Le comunità di cives Romani
municipia (primo esempio: Tusculum, 381 a.C.)
coloniae civium romanorum (primi esempi: Ostia, Antium)
praefecturae

Coloniae latinae
priscae coloniae latinae
coloniae latinae (dedotte da Roma dopo lo scioglimento della lega Latina, 338 a.C.; primo esempio: Cales,
334 a.C.)
Civitates foederatae
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