A colloquio con Gianluca Grava per parlare della cura del talento - IVG.it

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A colloquio con Gianluca Grava per parlare della cura del talento - IVG.it
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      A colloquio con Gianluca Grava per parlare della cura del
      talento
      di Redazione
      01 Agosto 2015 – 13:22

      Savona. Durante le tre missioni esplorative consecutive svolte dal ct Felicino Vaniglia
      nell’hinterland partenopeo con lo scopo di monitorare il movimento calcistico giovanile
      campano, si sono venute a creare le premesse per beneficiare di una chiacchierata
      esclusiva a 360 gradi con Gianluca Grava, responsabile tecnico del settore giovanile del
      Napoli, il quale ha tracciato un bilancio del suo operato a poco più di un anno alla guida
      del vivaio azzurro.

      Dal campo alla scrivania (di recente è stato appositamente premiato al “San Paolo” per i
      dieci anni trascorsi nella SSC Napoli), Gianluca Grava un anno e mezzo fa ha vissuto
      questo passaggio, e si è dedicato con passione alla guida del settore giovanile del Napoli,
      che rappresenta una missione di grande respiro, che coinvolge anche l’aspetto sociale,
      umano ed educativo. Essendo arrivato il momento giusto per fare un bilancio del lavoro
      compiuto con un occhio ai progetti per il futuro, e ottenuta l’autorizzazione di prassi,
      abbiamo provveduto ad intervistare in esclusiva Gianluca Grava, incontrandolo nel ventre
      del centro di Castel Volturno, negli uffici della società vesuviana insieme al responsabile
      organizzativo Cristiano Mozzillo.

      Sappiamo che ha ricevuto un meritato premio per i suoi dieci anni nella SSC Napoli.
      Ci racconti le emozioni: cosa ha provato nel tornare sul terreno di gioco del San Paolo?

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      “Ho provato fortissime emozioni, la maglia azzurra per me è sempre stata molto più
      importante di tutto, trasmette sensazioni indescrivibili. Ringrazio il presidente De
      Laurentis per avermi fatto realizzare il sogno che avevo da bambino, di aver chiuso qui la
      carriera e di far ancora parte di questa grande famiglia. Ho ricordi splendidi di questa
      larga fetta della mia vita, uscire tra gli applausi dei sessantamila del San Paolo il giorno
      dell’addio pur non essendo un “Maradona” è stato, è e sarà indimenticabile ma ricevere i
      cori e le manifestazioni d’affetto da parte dei tifosi a due anni di distanza mi ha riempito il
      cuore di gioia ed orgoglio. La piazza di Napoli mi ha dato tanto, mi ha fatto sentire unico,
      spero di aver ricambiato in questi anni quest’affetto con l’attaccamento ai colori azzurri.
      Non nascondo che ero emozionato come il primo giorno in cui ho calcato l’erba del San
      Paolo, è stato fantastico poi ascoltare la Curva che invocava il mio nome”.

      Dopo poco più di un anno alla guida del vivaio: ci fa un bilancio sul suo operato?

      “Mi sono concentrato soprattutto sulla necessità di riallacciare o in alcuni casi allacciare
      ex novo i rapporti con tutte le scuole calcio; abbiamo organizzato per questo motivo
      diverse amichevoli (ne facciamo circa cinque a settimana), che penso siano il modo più
      giusto per sondare e “vivere” il territorio. Abbiamo ricevuto un feedback importante, al di
      là della categoria e dell’età ho riscontrato l’emozione dei ragazzi delle altre squadre
      nell’affrontare il Napoli. Ho avuto l’onore di indossare questa maglia, che ha un peso
      specifico molto significativo anche da ragazzini. Sono orgoglioso del fatto che il nostro
      settore giovanile dia spazio quasi esclusivamente a ragazzi campani mentre in Italia i vivai
      sono pieni di calciatori stranieri. Ciò che mi rammarica è che nel territorio, anche se si
      professano quasi tutti tifosi del Napoli, spesso non sia così. Molti fanno la guerra a questa
      società e mi dispiace per le opportunità che si negano ai ragazzi. M’arrabbio molto quando
      so che ragazzini del ‘2002, del ‘2003 sono “bloccati” da club del Nord, anche se questa
      procedura è vietata dalla legge. C’indigniamo tutti per i cori razzisti ascoltati negli stadi di
      tutta Italia ma poi le scuole calcio aiutano i club del Nord nel prendere i migliori ragazzi
      della nostra terra. Nessuna maglia può darti le stesse emozioni di quell’azzurra, salire le
      scale del San Paolo soprattutto per un napoletano è indescrivibile, me l’hanno confermato
      anche miei ex compagni di squadra, solo a parlarne provo i brividi ; negli ultime stagioni,
      quando ho rinnovato il contratto di anno in anno, potevo andare a guadagnare di più
      altrove ma sono rimasto a Napoli per amore della maglia azzurra”.

      Abbiamo spesso raccontato le manovre compiute da varie società italiane attraverso
      mediatori, procuratori, osservatori e scuole calcio di riferimento. Si aspettava un ambiente
      così difficile?

      “Non pensavo che ci fosse tutto questo marciume, non mi sembra corretto bloccare e
      molto spesso illudere un ragazzo, poichè spesso le promesse non si tramutano in realtà. I
      ragazzi tra i dodici e i quattordici anni vivono la fase dello sviluppo fisico, psicologico e
      tecnico, crescere nel Napoli e non nelle scuole calcio, dove spesso non si lavora in maniera
      adeguata, forse potrebbe consentire a tanti di migliorare, piuttosto che aspettare che
      qualcuno mantenga le promesse. Un ragazzino che per esempio doveva andare in una
      società di prima fascia della serie A e poi è stato scavalcato da altri più pronti e non ha
      potuto raggiungere la destinazione promessa viene “ammazzato” a livello psicologico
      (leggi la storia di Gianluca Capasso della ASD Frattese). Ho notato dinamiche allucinanti,
      ci sono procuratori che di fatto operano per società importanti di Serie A oppure
      osservatori che, piuttosto che svolgere il proprio lavoro, “parcheggiano” giocatori in altre
      scuole calcio per poi rivenderli a club diversi da quelli per cui lavorano. Bisogna anche
      vedere poi quanti ragazzi che vanno fuori regione riescono a completare il loro percorso,
      molti tornano indietro dopo qualche anno. Non voglio fare, però, di tutta l’erba un fascio,

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      ci sono anche tante buone scuole calcio con cui collaboriamo in maniera serena facendo il
      bene dei ragazzi”.

      Il Napoli è stato inserito nell’elenco delle società autorizzate dalla Figc per sostenere i
      provini dei giovani calciatori a differenza di altre realtà che non hanno soddisfatto i
      requisiti richiesti”.

      Come avete soddisfatto le esigenze della Federazione?

      “Abbiamo ricevuto una certificazione della bontà del lavoro compiuto, è stato accertato
      che abbiamo un adeguato numero di tecnici qualificati, una situazione disciplinare idonea,
      poi ci siamo dotati di uno psicologo dello sport che è presente al centro sportivo Cesaro di
      Sant’Antimo due o tre volte alla settimana. E’ il primo anno che abbiamo inserito nel
      nostro organigramma questa figura professionale, che ora si sta dedicando ad una fase di
      studio e d’osservazione. Stiamo organizzando colloqui personali, di squadra, con lo staff e
      con i genitori. Noi poi diamo tantissima importanza anche all’educazione dei ragazzi e alla
      scuola, come dimostra la scelta di regalare il materiale scolastico a Natale”.

      Parlando proprio del rapporto con le famiglie, quanto è cambiato in tal senso il mondo del
      calcio rispetto al periodo in cui cresceva come calciatore Gianluca Grava?

      “E’ cambiato tutto, il comportamento dei genitori incide molto di più. La grande
      aspettativa dei genitori è vedere i propri figli già campioni e non comprendere che nella
      fase di crescita e maturazione calcistica ciò che conta è il divertimento. Lo sport si
      trasforma in un incubo, quando invece dovrebbe essere un’occasione per sorridere.
      Riempire il cuore e la mente del proprio figlio con il peso delle aspettative rischia di
      produrre grandi frustrazioni nei ragazzini che a dodici anni vivono delle pressioni
      incredibili, il calcio smette di essere un divertimento, si è travolti dal peso delle
      aspettative. Io lo verifico quando ci sono le convocazioni, i ragazzini non convocati sono
      più preoccupati per la reazione dei genitori che dispiaciuti per la scelta degli allenatori. Io
      racconto loro spesso la mia storia per far capire l’importanza della famiglia: a circa sedici
      anni non volevo giocare più, preferivo uscire con gli amici, la ragazza, piuttosto che fare i
      sacrifici richiesti dal calcio. Mio padre mi disse che ero libero di fare ciò che volevo ma
      che, se non avessi giocato a calcio, avrei dovuto lavorare. Non ho vergogna a dire che ho
      fatto il cameriere, il gommista, poi sono tornato a fare il calciatore e mio padre è stato un
      martello, talvolta scherzo con lui, gli ribadisco che non mi ha mai detto bravo, anche
      quando ho giocato in serie A. Oggi ho capito quanto sia stato importante il suo
      atteggiamento, relazionandomi tutti i giorni con i genitori. Molti, invece, hanno una
      presunzione incredibile, sembra che tutti abbiano i fenomeni in casa. C’è una strada molto
      complicata da percorrere, nel settore giovanile sono tutti coccolati, fuori, quando vivi lo
      spogliatoio con persone che devono guadagnarsi i soldi per vivere, se non stai con i piedi
      per terra, vai in difficoltà. I ragazzi spesso non arrivano pronti al salto nel professionismo
      per le dinamiche della nostra società, sembra che non ci sia amore per il calcio. Ho talvolta
      l’impressione che sia più importante il contratto nell’immediato che la costruzione del
      proprio futuro con i sacrifici. Non basta l’ora e mezza d’allenamento, io dal martedì già
      pensavo alla domenica, non uscivo il venerdì e il sabato sera, quando non ci allenavamo, la
      mattina andavo a correre e ho sempre condotto una vita sana. Anche quando non giocavo,
      non mi fermavo mai, dovevo sempre farmi trovare pronto, non è un caso che, chiamato in
      causa dopo molti mesi, riuscivo a stare in campo per novanta minuti senza avere i crampi,
      lavoravo anche nella settimana libera a Natale. Non ero assolutamente un fenomeno, molti
      ragazzi più bravi di me non ce l’hanno fatta, di talenti persi per strada ne ho visti tanti,
      spesso si fa fatica a trasferire questi concetti. Noi stiamo con i ragazzi solo due ore al

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      giorno, nelle altre ventidue assorbono le pressioni dell’ambiente esterno al Napoli.
      Lorenzo Insigne deve essere un esempio per i ragazzi, ha sempre pensato solo a giocare,
      accettando le scelte degli allenatori, le società in cui andare in prestito individuate dalla
      dirigenza del Napoli”.

      Tutti sono rimasti colpiti dalla tua scelta di scendere in campo durante gli allenamenti e
      d’insegnare i movimenti da compiere, soprattutto ai difensori. Ci racconta il contributo che
      ha voluto dare?

      “Ho accettato una richiesta degli allenatori, altrimenti non mi sarei permesso d’invadere la
      loro area di competenza. Oltre al discorso tecnico e qualche “trucco del mestiere” ho
      voluto trasmettere ai ragazzi la passione, il senso del sacrificio. Nel mondo del calcio le
      distrazioni sono tante, si può uscire tutte le sere, bisogna stare attenti, c’è poi il peso delle
      aspettative che ripeto può fare molto male”.

      Sul settore giovanile del Napoli girano da molti anni tante voci negative: dalla presenza dei
      “raccomandati” in campo, dei tecnici impreparati alle carenze riguardo alle attrezzature.
      Cosa si sente di contrapporre a queste dicerie?

      “Io sono partito dal rapporto con le famiglie, ai genitori ho detto che ci ho messo dieci anni
      per costruire una certa immagine di me stesso a Napoli e non me la rovino per nessun
      ragazzo. Lavoriamo alla luce del sole, mi assumo tutte le responsabilità, naturalmente si
      può anche sbagliare sulle scelte ma nessuno è mai favorito. Bisogna fare i complimenti a
      Giuseppe Santoro e a tutti i collaboratori che hanno portato avanti il settore giovanile del
      Napoli anche quando c’erano pochi mezzi a disposizione, e a Luigi Caffarelli, che poi l’ha
      seguito in questo ruolo, era molto difficile accompagnare la crescita del vivaio a quella
      della prima squadra . Sono aperto al colloquio con tutti ma voglio specificare che per avere
      la licenza Uefa in questi anni è stato necessario costruire una macchina organizzativa di
      livello e rispettare tutti i parametri. Abbiamo per ogni squadra staff tecnici ampi con gli
      allenatori in seconda, un preparatore atletico abilitato a Coverciano, un’area medica con
      attrezzature all’avanguardia e professionisti di livello che rappresenta il nostro fiore
      all’occhiello. Abbiamo tredici fisioterapisti di cui uno che si occupa della riabilitazione da
      campo e medici che seguono quotidianamente tutti i ragazzi su tutti gli aspetti, nel
      complesso della cura della struttura fisica, con programmi individuali e un’attenzione
      specifica a tutti gli aspetti, a cominciare dalla postura. Poi spesso sento dire che tante
      persone chiamano per conto del Napoli, non è assolutamente vero, siamo solo io e Mozzillo
      a rappresentare la società con le scuole calcio. Riguardo alle strutture, sono stati compiuti
      grandi passi in avanti, a Sant’Antimo c’è la possibilità di fare palestra, di lavorare in
      piscina. In realtà ci sono molte scuole calcio virtuose con cui abbiamo un ottimo rapporto,
      ma tanti altri che dicono di essere amici ma poi fanno la guerra al Napoli. Qualcuno è stato
      capace di chiederci la luna per un ‘2004, anche se, come sanno tutti, non si può
      sottoscrivere un vincolo pluriennale fino al compimento dei quattordici anni d’età, quindi,
      un ragazzino potrebbe anche andare via per qualsiasi motivo e il nostro investimento
      sarebbe vanificato molto presto. Al Napoli non manca nulla, c’è la possibilità di crescere in
      maniera sana. Si dice spesso che dobbiamo strutturare un’area scouting più ampia ma in
      realtà bisogna cambiare la mentalità generale delle scuole calcio, c’è un controsenso
      generale: siamo tutti tifosi del Napoli, ci indigniamo per i cori razzisti ma poi magari il
      giorno dopo aiutiamo i club del Nord. Quando si dice che il Napoli si fa sfuggire i talenti,
      bisognerebbe valutare caso per caso, verificare che certi ragazzi siano stati informati delle
      nostre richieste prima che poi esplodano altrove, oppure conoscere le folli pretese
      economiche di tante realtà. Addirittura alcune scuole calcio affermano di lavorare meglio
      di noi, dicono che noi “bruciamo” i ragazzini, mi sono anche un po’ stufato di sentire

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      queste maldicenze da chi non sa nulla del Napoli, talvolta è più facile prendere giocatori
      dal Lecce che dalle scuole calcio della zona”.

      C’è, però, un dato statistico: negli ultimi anni abbiamo perso tanti ragazzi napoletani
      (Verde, Mandragora, La Ferrara, Donnarumma e tanti altri) alle soglie della Serie A e
      protagonisti nelle Nazionali giovanili. Come se lo spiega?

      “Non mi permetto di giudicare chi ha lavorato prima di me, posso solo dire, essendomi
      informato, che i ragazzi che hai citato erano nel mirino del Napoli ma per motivi diversi
      non sono venuti, mi hanno riferito ad esempio che la scuola calcio di uno dei ragazzi che
      quest’anno ha debuttato in serie A ogni qualvolta lo convocavano per raduni e provini
      diceva che era infortunato. Oggi è tutto più difficile anche rispetto a cinque-sei anni fa, le
      scuole calcio sono state affiancate dai procuratori, sono aumentate quelle “senza retta” e
      sono diventate molto competitive. Addirittura si cedono spesso giocatori a società, che con
      tutto il rispetto sono di spessore nettamente inferiore sia come prima squadra che come
      settore giovanile perché probabilmente ci sono altri interessi”.

      A Dicembre 2014 ha fatto scalpore lo svincolo di Frank Liivak, attaccante classe ’96 nelle
      ultime due stagioni in Primavera. Quali sono le motivazioni di questa scelta?

      “E’ stata compiuta una scelta in accordo con lui , ha avuto dei problemi d’ambientamento.
      Frank probabilmente non riusciva a rendere secondo le aspettative e non si trovava a suo
      agio, ha trovato una società aperta al dialogo e ci ha ringraziato perché gli siamo venuti
      incontro (leggi le sue parole su Facebook del 20 Dicembre scorso), sono contento se in
      Spagna si troverà bene. Ci tengo al fatto che chi resta a Napoli debba essere felice, ad
      inizio stagione ho convocato tutte le famiglie nella sala riunioni a Sant’Antimo per
      comunicare ciò che pensavo. Indossare la maglia azzurra è un privilegio, bisogna esserne
      consapevoli, quando ho cominciato a operare da responsabile del settore giovanile,
      sembrava che io dovessi inseguire i genitori e i ragazzi, non ci potevo credere ed, infatti,
      opero in maniera completamente diversa”.

      Dopo la denuncia di un ambiente tossico ai danni del Napoli, quali possono essere le mosse
      giuste per migliorare la situazione. Si potrebbe avanzare qualche proposta tipo le
      affiliazioni alle scuole calcio o riformare le “squadre cuscinetto” nelle categorie Berretti ed
      Allievi Lega Pro?

      “Da quando mi sono esposto in prima persona, ho perso molti amici ma non m’interessa
      perché mi sono fatto da solo e devo ringraziare solo la mia famiglia, il Napoli e tutti quelli
      che mi stanno aiutando, come il direttore sportivo Riccardo Bigon con cui c’è un confronto
      continuo. Sto andando avanti in questo modo perché non è giusto togliere delle
      opportunità ai ragazzi usando delle dicerie messe in giro ad arte da persone che non sanno
      niente del Napoli. Saranno formate altre squadre, è un nostro obiettivo, anche il
      meccanismo delle affiliazioni può essere una buona idea, sarebbe la formalizzazione di una
      consuetudine di rapporti che dovrebbero essere già fortemente voluti dalle scuole calcio,
      ma poi bisognerebbe capire come applicarlo perché non è facile mettere in moto una
      situazione del genere. In generale dobbiamo migliorare la qualità del nostro lavoro per
      riuscire a mettere nuovamente il Napoli al centro dei desideri di tutti”.

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