Yesmanismo, mobbing e mafia
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Yesmanismo, mobbing e mafia «Allora quando tali "armi silenziose" ([NdA] mobbing) vengono usate in un'azienda, mi sembra corretto dire che in quell'azienda c'è mafia e mafioso è chi adotta il metodo della violenza psicologi- ca ai danni di un soggetto più debole, pur di raggiungere i suoi fini.» (Silvana Catalano) La legge 512/99 istituisce un fondo per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso. Che ne è della tutela delle vittime di quelle azioni quotidiane che sono palesemente riconducibili a mentalità di tipo mafioso? Possiamo o no considerare le azioni di mobbing come atteggia- menti prevaricanti di derivazione mafiosa? La risposta non può che essere affermativa. Basta infatti tenere a mente che il mobbing è messo in atto soprattutto laddove lo yesmanismo dilaga. Dove l'omertà della stragrande maggioranza dei dipendenti regna negli ambienti lavorativi, come un'oscura nube di timore reverenziale sui soprusi perpetrati dai mobbers. Il dilagare dello yesmanismo è terreno fertile per l'attuazione del mobbing che, con le sue ritorsioni, adotta strumenti propri delle or- ganizzazioni malavitose. Silvana Catalano, nel suo articolo intitolato: “Mobbing e mafiosità: considerazioni” 19 Dice: «…Ma il prezzo che paga chi rifiuta di assoggettarsi alla logica mafiosa, ossia il dipendente che va controcorrente solo perché non è disponibile a diventare uno “yes-man”, non è la morte fisica. 19 Silvana Catalano è stata vittima di mobbing per un ventennio. L'articolo citato è datato febbraio 2009 ed è stato estratto dal sito: http://www.osservatoriosullalegalita.org 107
Contro di lui saranno utilizzate armi più sofisticate, che non la- sciano cadaveri, ma che tendono ad annientarlo interiormente: le armi psicologiche, che mirano alla sua “morte civile”. Soprusi, prepotenze, violenze psicologiche sono le prime armi della mafia, che sa di poter contare su silenzi omertosi nascenti da complicità o da vigliaccheria…» Ed ancora: «…Allora quando tali “armi silenziose” vengono usate in un'a- zienda, mi sembra corretto dire che in quell'azienda c'è mafia e mafioso è chi adotta il metodo della violenza psicologica ai danni di un soggetto più debole, pur di raggiungere i suoi fini…» La Catalano, nell'articolo completo, analizza il tema in maniera molto approfondita, con un punto di vista obiettivo ed articolato. Purtroppo, a tutt'oggi, non esiste nel nostro Paese una legge che sancisca la perseguibilità penale di tale tipo di reato. Tra i Paesi europei, l'Italia è fanalino di coda nella lotta ai maltrattamenti sul posto di lavoro. «È l'unico Paese europeo che non ha una legge sul mobbing e che dunque non lo prevede come reato», denuncia Fabio Massimo Gallo, presidente della prima sezione lavoro del tribuna- le di Roma, ed esperto della materia. «Eppure c'è una delibera del Consiglio d'Europa del 2000 che vincola tutti i Paesi a dotarsi di una normativa antimobbing»20. I siti internet che trattano dell'argomento si diffondono come funghi sul web, soprattutto da quando la crisi ci ha aggrediti dalla fine del 2008. Questa recessione ci ha resi tutti più attenti e più cauti “nell'alzare il becco”. La scarsità di alternative fa sì che ten- diamo ad essere più tolleranti verso gli abusi di potere, visto che altre possibilità in giro per cambiare lavoro non ce ne sono poi tante. Quando allora in queste condizioni i “capi” se ne approfit- tano, lì si evidenzia la vera natura dei “bastardi dentro”. Loro si aspettano di poter fare quello che vogliono, data la situazione di stallo. Il mobbing è diventato lo strumento più immediato nelle mani dei burattinai che vorrebbero dirigere le scene secondo la lo- ro indiscutibile opinione. Il mobbing tende a punire chi alza la te- sta ed esprime con decisione le proprie idee. Punisce chi esce dal 20 dal Corriere della Sera del 30 agosto 2007 108
coro, chi non vuole aderire alla corte dei protetti in onore della propria dignità. Il mobbing è criminalità e, la criminalità, se non la sfidi e rimani omertoso, si espande. È il motivo per cui le mafie alla fine si dif- fondono. Ad esempio, fino agli anni '70, il Veneto e la Calabria e- rano tra le regioni più povere d'Italia. Ora il Veneto si è sviluppa- to, mentre la Calabria è rimasta povera. La criminalità ha avuto la meglio, perché le mafie sono state troppo tollerate e poco osteg- giate. Non è colpa dei Calabresi. Non è che i Veneti siano più intelli- genti, o più forti. È sempre e solo una questione di cultura locale, di usanze che si radicano nelle quotidianità, tra gli impegni di tut- ti i giorni, che spesso non lasciano il tempo di fermarsi un attimo a meditare su quello che ci sta capitando e su come ci stiamo real- mente riducendo. Ma cosa si può mai pretendere, in un paese dove un Presidente del Consiglio si può prendere la libertà – per l'ennesima volta – di fare il “puffone” in pubblico dicendo, al convegno organizzato da ENAC all'aeroporto di Olbia, alla fine di Novembre 2009: «…io, se trovo però quelli che hanno fatto nove serie de La Pio- vra e quelli che scrivono i libri sulla mafia e che vanno in giro in tutto il mondo a farci fare così bella figura, giuro: li strozzo!» Ve lo ricordate? Io ricordo perfettamente anche il fragoroso applauso e le urla di approvazione che ne seguirono tra la folla. Quella fu solo la prima di una serie di monotone litanie, dove Berlusconi affermava che la mafia del nostro paese è solo la sesta tra quelle più potenti a livello mondiale, ma è la più conosciuta grazie appunto al “supporto promozionale” creato da serial tele- visivi quali, ad esempio, “La Piovra” e scrittori come Saviano che scrivono libri come “Gomorra”. Ma come? Tra i nostri eroi nazionali più contemporanei possiamo annoverare e citare appunto uomini come Roberto Saviano, e la no- stra (ex) quarta carica nazionale più “alta” avrebbe voluto strozzar- lo? Certo, meglio nascondere la polvere sotto lo zerbino. Un po' come si riuscì abilmente a fare con la “monnezza” a Napoli. 109
A quel punto, avrebbe potuto prendersela persino con i giudici Falcone e Borsellino. Forse anche loro avevano reso la nostra ma- fia troppo famosa nel mondo? Ma d'altra parte, cosa si può pretendere? Berlusconi ha pagato “cospicue somme” a Cosa Nostra, tramite il suo “mediatore” ed amico Marcello Dell'Utri. Povera vittima, ha dovuto farlo “in stato di necessità”, per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari.21 Una cosa è certa: Berlusconi era davvero dotato di un coraggio da leoni. Perché solo un uomo estremamente coraggioso poteva permettersi di criticare altri per «…ché vanno in giro in tutto il mondo a farci fare così bella figura…» e poi lui dopo solo alcuni mesi si faceva beccare per le vicende “Ruby-gate” e “Bunga- Bunga”; quelle sì che ci facevano fare bella figura in giro per il mondo. Ma il nostro ex primo ministro non aveva uno straccio di vero amico vicino? Non aveva nessuno che lo aiutasse a comprendere che non poteva comportarsi costantemente da zimbello del mon- do? Possibile che disponesse solo di una schiera di leccapiedi sempre pronti ad allinearsi ben bene al suo pensiero? Non un a- mico sincero che gli facesse notare, dal profondo del cuore, che razza di situazioni globalmente imbarazzanti creava? E se ne a- vesse avuto uno – di amico vero – avrebbe potuto anche ricordar- gli il comma 2 dell'art. 54 della Costituzione italiana, che stabilisce: I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di a- dempierle con disciplina ed onore. DISCIPLINA ed ONORE! Perché la Costituzione italiana non è un pezzo di carta qualsiasi. E (soprattutto) chi copre una carica tanto rilevante – come quella di Presidente del Consiglio – non può sentirsi libero di violare questo articolo nella maniera più sfrontata da quando i Padri Costituenti lo redassero. Giuseppe Fava, il secondo intellettuale a essere ucciso da “cosa nostra” dopo Giuseppe Impastato, sosteneva: «Mi rendo conto che c'è un'enorme confusione sul problema della mafia. […] I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte 21 dalla notizia di Aprile 2012, relativa alle motivazioni depositate dalla Corte di Cassazione, sulla sentenza che ha annullato con rinvio la condanna in appello per concorso esterno a Dell'Utri. 110
sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Se non si chiari- sce questo equivoco di fondo… Non si può definire mafioso il pic- colo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il problema della mafia è molto più tragico ed importante. È un problema di vertici e di gestione della nazione, ed è un problema che rischia di portare alla rovina e al decadimento culturale defi- nitivo l'Italia.» E Giuseppe “Peppino” Impastato diceva che lui se ne voleva fot- tere, voleva essere libero di scrivere che: «la mafia è una montagna di merda.» Lo fece, ed anche per questo perse la vita. Noi, nel nostro piccolo, non si potrebbe almeno iniziare ad accu- sare apertamente tutte le derivazioni mentali di stampo mafioso, tutti gli atteggiamenti di affiliazione, cortigianeria, tacito consen- so, ecc…? Sarebbe già qualcosa rinnegarli fermamente, definendo- li come subdole scappatoie che donano un fugace senso di domi- nio a quei pochi che mai potranno creare qualcosa di vero e dura- turo per tutti. Don Milani affermava: «Che senso ha avere le mani pulite se si tengono in tasca?» Paolo Borsellino asseriva: «Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.» Anche il mobbing è mafia: è l'espressione più viscida della men- talità yesmanistica di derivazione mafiosa, propria dell'ipocrita benpensante contemporaneo. Combattiamolo! 111
Puoi anche leggere