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Villani - La scienza nell'età ellenistica
Storia della filosofia occidentale. I. La filosofia greca.

Maurizio Villani
La scienza nell'età ellenistica. Euclide, Archimede, Tolomeo

1. Le istituzioni scientifiche ellenistiche
Fattore propulsivo di fondamentale importanza per la fioritura culturale e scientifica dell'età ellenistica fu la fondazione di istituzioni
che favorirono il lavoro degli studiosi, mettendo a loro disposizione tutto quanto era necessario per le ricerche. Con questi scopi la
dinastia del Tolomei fondò e potenziò ad Alessandria il Museo e la Biblioteca. Furono istituzioni scientifiche concepite secondo il
modello del Liceo aristotelico, in cui si vollero creare le condizioni ottimali perché potesse svilupparsi la ricerca, poiché gli
scienziati non avevano preoccupazioni economiche e potevano disporre di strumentazione d'avanguardia e centinaia di migliaia di
libri. Matematici, astronomi, geografi, medici, filologi si radunarono ad Alessandria, provenendo da tutto il mondo ellenizzato, per
realizzare una comunità di ricerca che ottenne risultati di straordinario valore scientifico.

Elementi di Euclide, frammento di papiro2. La geometria euclidea
Della vita di Euclide si conosce ben poco. Pare che abbia avuto la sua formazione nell'Accademia di Platone e che successivamente,
attorno al 300 a. C., si sia trasferito al Museo di Alessandria. Autore anche di opere di ottica e di matematica superiore, ha legato il
suo nome al più celebre trattato di geometria dell'antichità, gli Elementi, che presentano non solo la sintesi dei fondamenti del sapere
matematico greco, ma anche l'impianto concettuale che ha caratterizzato la disciplina e mantenuto una sua indiscussa validità fino al
XIX secolo. Questo impianto è il sistema assiomatico-deduttivo classico.
Gli elementi costitutivi di tale sistema sono: le definizioni, i postulati e gli assiomi comuni:
- le definizioni pongono le proprietà dei concetti fondamentali di una scienza;
- i postulati sono proposizioni di base, assunte come vere per evidenza e, perciò, non bisognose di dimostrazione;
- gli assiomi comuni coincidono con i principi logici della dimostrazione, così come sono stati posti dalla logica aristotelica.
Il metodo assiomatico-deduttivo è quel procedimento in cui, poste certe verità, necessariamente altre ne conseguono per
l'applicazione dei principi della logica deduttiva. Proviamo a dare alcuni esempi per comprendere l'impianto concettuale del sistema
assiomatico euclideo.

2.1. Le definizioni
Le definizioni degli enti geometrici date da Euclide sono 23. Vediamo le prime per studiare attraverso di esse cosa egli intendesse
per ente geometrico.

"I. Punto è ciò che non ha parti
II. Linea è lunghezza senza larghezza.
III. Estremi di una linea sono punti

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V. Superficie è ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza.
VI. Estremi di una superficie sono linee."
(Euclide, Elementi)

La definizione di punto (?ciò che non ha parti?) è la più celebre definizione di Euclide. Essa viene comunemente interpretata nel
senso che il punto, non avendo parti, non ha neppure estensione alcuna: Euclide introdurrebbe in tal modo, nella sua prima
definizione, il punto quale ente idealizzato, cui non corrisponde nessun oggetto reale che, per quanti piccolo, avrebbe sempre una
dimensioni.
La definizione di punto geometrico data negli Elementi di Euclide rimanda alla definizione di unità che si trova un Platone, in cui si
definisce l'unità come non avente parti (cfr. Platone, Sofista, 245a).
Anche la seconda e la terza definizione ribadiscono che gli enti geometrici sono idee in senso platonico. Le definizioni III e VI
mettono chiaramente in evidenza che linee e superfici sono sempre grandezze finite: negli Elementi non compaiono mai lunghezze
che si estendono all'infinito.
Anche nella Definizione II, relativa alla linea, siamo in piena atmosfera di enti geometrici idealizzati: la linea (quindi anche la retta,
che è una particolare linea) è completamente priva di larghezza: è lunghezza pura.

2.2. I Postulati
Dopo le definizioni, Euclide enuncia cinque postulati e cinque assiomi comuni.
Tra i cinque postulati, il più noto è certamente il quinto, ?il postulato delle parallele?, che ha generato nel corso della storia della
geometria una infinità di discussioni, fino al punto da venire negato con la nascita delle geometrie non euclidee nel secolo XIX.
Ecco i cinque postulati di Euclide:

"I. Risulti postulato: che si possa condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto.
II. E che una retta terminata [= finita] si possa prolungare continuamente in linea retta.
III. E che si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro ed ogni distanza (= raggio).
IV. E che tutti gli angoli retti siano uguali fra loro.
V. E che, se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa parte minori di due retti [= tali che la loro
somma sia minore di due retti], le due rette prolungate illimitatamente verranno ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli
minori di due retti [= la cui somma è minore di due retti]."
(Euclide, Elementi)

Sul quinto postulato di Euclide i curatori dell'edizione italiana degli Elementi da cui abbiamo tratto i testi citati, Frajese e Maccioni,
fanno notare ? che la forma sotto la quale Euclide enuncia il suo quinto postulato (che cioè s'incontrano due rette formanti con una
trasversale angoli coniugati interni la cui somma sia minore di due retti) non è quella più comunemente adottata nelle moderne
trattazioni elementari. Più comune è la forma dell'unicità: «Per un punto fuori di una retta passa una sola parallela alla retta stessa».
(...) La forma dell'unicità è certo assai intuitiva: alla nostra intuizione sembra impossibile che per uno stesso punto passino più
parallele ad una retta data. Ma, (...) le geometrie non euclidee, cioè quelle che partono dalla negazione del quinto postulato, se pure
non rispondono, è vero, alla nostra intuizione spaziale, sono tuttavia logicamente coerenti. Così nella geometria non euclidea detta
iperbolica, o di Lobacevski, passano per un punto due parallele ad una retta data (o anche infinite, secondo la definizione che di
parallelismo venga data), mentre nessuna ne passa nella geometria non euclidea detta ellittica, o di Riemann?.

2.3. Gli Assiomi comuni
Nella geometria euclidea gli assiomi rimandano ad alcune nozioni fondamentali per la dimostrazione dei teoremi. I primi quattro
assiomi vertono sul concetto di ?uguale?, che ha una lunga tradizione filosofica, a partire da Platone. Nel contesto geometrico essi si
riferiscono a uguaglianza di grandezze, ossia, se facciamo l'esempio dei poligoni, per Euclide due poligoni non sono uguali in senso
stretto (hanno tutti gli elementi uguali), ma lo sono quando hanno la stessa estensione (nel linguaggio moderno, quando sono
equivalenti).
Il quinto assioma, apparentemente intuitivo, nasconde in problema assai complesso. Esso vale sicuramente per gli insiemi finiti
(quelli contenenti un numero finito di elementi), ma per gli insiemi infiniti non vale più. E' evidente che, ad esempio, se ho un
insieme di cento oggetti, esso è maggiore di una parte formata da vento oggetti; ma se considero l'insieme (infinito) dei numeri

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naturali non è maggiore dell'insieme (infinito) dei numeri pari. Ecco gli assiomi di Euclide:

"I. Cose che sono uguali ad una stessa sono uguali anche fra loro.
II. E se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità sono uguali.
III. E se da cose uguali sono sottratte cose uguali, i resti sono uguali.
IV. E cose che coincidono fra loro sono fra loro uguali.
V. Ed il tutto è maggiore della parte."

3. Archimede: il metodo meccanico
Archimede di Siracusa è stato uno dei massimi esponenti delle scienze fisico-matematiche del mondo antico. Vissuto nel III secolo
a.C., fece scoperte fondamentali nel campo della statica, dell'idrostatica, della meccanica razionale, della geometria e dell'algebra.
Un suo biografo moderno dice che Archimede fu ?non soltanto il più grande matematico ma anche il più grande ingegnere
dell'antichità: ingegnere nel senso più ampio, cioè non soltanto nel senso di colui che applica la teoria alla pratica, ma anche di colui
che quella teoria costruisce. Sotto questo riguardo si trova in Archimede quell'equilibrio che è caratteristico dello spirito greco: egli è
il matematico che per quanto riguarda rigore logico e purezza di concezioni non è secondo di fronte a Euclide, ma al tempo stesso
indirizza la sua matematica verso le applicazioni pratiche, pur espungendo queste ultime dalle sue opere, nelle quali si limita ai
presupposti teorici delle applicazioni stesse?.
In ambito matematico tentò di risolvere problemi relativi alle grandezze incommensurabili o ?irrazionali?, generalizzando un metodo
già intuito da Eudosso ed Euclide, noto come metodo di esaustione (dal latino eshaustio, ?atto di esaurire?) e anticipando su questo
punto l'analisi infinitesimale dei moderni.
Una fondamentale novità metodologica, introdotta da Archimede, fu quella di applicare alle questioni geometriche gli stessi schemi
di ragionamento che usava nelle questioni meccaniche.

La fama di Archimede è principalmente legata alle scoperte fisiche e alla abilità di progettare macchine. Un celebre testo dello
storico Plutarco (nelle Vite parallele) descrive il suo apporto alla difesa di Siracusa dall'assalto dei Romani. Archimede ebbe la
capacità di trasferire sul piano propriamente scientifico e di risolvere problemi derivati dall'esperienza quotidiana. Due delle sue più
note scoperte sono:
- la legge che riguarda la perdita di peso dai corpi immersi in un liquido (enunciata nel trattato Sui corpi galleggianti);
- le leggi della statica e la legge della leva, impiegate per spiegare il lavoro meccanico necessario per sollevare corpi pesanti (esposte
nel trattato Sull'equilibrio dei piani).
Nella parte introduttiva di uno scritto dal titolo Lettera ad Eratostene, Archimede comunica all'amico la dimostrazione di teoremi da
lui scoperti e, poi, parla del ?metodo mediante il quale ti sarà data la possibilità di considerare questioni matematiche per mezzo
della meccanica?. Ecco il brano:

"Archimede a Eratostene salute. (?)
Vedendoti poi, come ho detto, diligente ed egregio maestro di filosofia, e tale da apprezzare anche nelle matematiche la teoria che
[ti] accada [di considerare], decisi di scriverti e di esporti nello stesso libro le caratteristiche di un certo metodo, mediante il quale ti
sarà data la possibilità di considerare questioni matematiche per mezzo della meccanica. E sono persuaso che questo [metodo] sia
non meno utile anche per la dimostrazione degli stessi teoremi. E infatti alcune delle [proprietà] che a me dapprima si sono
presentate per via meccanica sono state più tardi [da me] dimostrate per via geometrica, poiché la ricerca [compiuta] per mezzo di
questo metodo non è una [vera] dimostrazione: è poi più facile, avendo già ottenuto con [questo] metodo qualche conoscenza delle
cose ricercate, compiere la dimostrazione, piuttosto che ricercare senza alcuna nozione preventiva. Perciò anche di quei teoremi, dei
quali Eudosso trovò per primo la dimostrazione, intorno al cono e alla piramide, [cioè] che il cono è la terza parte del cilindro e la
piramide [è la terza parte] del prisma aventi la stessa base e altezza uguale, non piccola parte [del merito] va attribuita a Democrito,
che per primo fece conoscere questa proprietà della figura suddetta, senza dimostrazione.
A noi accade poi che anche il ritrovamento del teorema ora pubblicato è avvenuto similmente a quelli prima [detti]; ho voluto
quindi, avendolo scritto, pubblicare quel metodo, sia perché ne avevo già prima parlato (sicché non sembri che abbia fatto un vuoto
discorso) sia perché son convinto che porterà non piccola utilità nella matematica: confido infatti che alcuni dei matematici attuali o
dei futuri, essendo stato loro mostrato questo metodo, ritroveranno anche altri teoremi da noi non ancora escogitati".
(Archimede, Opere)

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4. Tolomeo: il sistema geocentrico e geostatico del mondo
Claudio Tolomeo fu l'ultimo dei grandi scienziati alessandrini; visse approssimativamente nel II secolo d.C. occupandosi di ottica,
cosmografia e, soprattutto, scrivendo la massima sintesi del sapere astronomico del mondo antico.
Il suo capolavoro, il Sistema matematico, noto con il titolo di Almagesto, datogli dagli arabi, ha imposto il modello geocentrico del
mondo fino all'età moderna. In quest'opera Tolomeo intese combinare il sistema fisico-cosmologico di Aristotele ? la terra immobile
la centro del mondo circoscritto dalla sfera delle stelle fisse ? con una teoria matematica, risalente ad Ipparco e ad Apollonio, che,
per spiegare il movimento dei pianeti, introduceva movimenti non previsti da Aristotele (le orbite eccentriche e quelle epicicliche).
L'Almagesto si apre con una premessa filosofica, in cui l'autore riflette sulla natura delle conoscenze matematico-atronomiche e sul
loro rapporto con il sistema generale delle scienze. Tolomeo riprende la classificazione delle scienze di Aristotele e colloca
l'astronomia nell'ambito delle scienze teoretiche in una posizione contigua alla matematica, che non esclude relazioni con la
teologia:

"Il solo genere matematico, se lo si affronta con rigore, offre solida e certa scienza a chi lo coltiva, in quanto la dimostrazione sia
aritmetica che geometrica è prodotta con procedimenti incontrovertibili. Perciò mi sono risolto a dedicarmi soprattutto, per quanto
mi è possibile, a questo genere di teoria nel suo insieme, ma con particolare preferenza per quella sua parte che ha di mira le cose
divine e celesti".
(Tolomeo, Almagesto)

L'esposizione della sintesi astronomica di Tolomeo diede sistematicità alle conoscenze di tutto il sapere astronomico classico (ad
eccezione della teoria eliocentrica di Aristarco): da Aristotele e da Eudosso derivò la teoria delle sfere astrali, ma sostituì la dottrina
aristotelica dei motori esterni con la tesi che a muovere i corpi celesti fossero forze intrinseche alle sfere; da Ipparco riprese le
dottrine degli epicicli e degli eccentrici. Perno di tutta la concezione tolemaica è la sfericità, la centralità e l'immobilità della terra
nell'universo. La descrizione del sistema geocentrico e geostatico del mondo, dei movimenti celesti del Sole, della Luna dei pianeti e
delle stelle fisse, è molto accurata, grazie alla precisione dell'osservazione astronomica e all'esattezza dell'apparato matematico
utilizzato per il calcolo delle orbite. A tal fine, Tolomeo mise a punto un ?calcolo delle corde? che anticipò la trigonometria moderna
e gli consentì di ottenere dimostrazioni matematiche molto rigorose.
Ecco la pagina in cui Tolomeo illustra le dimostrazione di tre tesi centrali della teoria geocentrica:
- la terra occupa il centro del cieli;
- la terra sta nel rapporto di un punto rispetto alla distanza delle stelle fisse;
- la terra non compie nessun movimento locale.

"1. Se si passa ad affrontare il problema della posizione della Terra, si riconoscerà che i fenomeni attorno a essa giungono a
compiersi soltanto se la collochiamo nel mezzo del cielo, come centro di una sfera. Se la cosa non stesse così, bisognerebbe che o la
Terra fosse fuori dell'asse celeste e distante ugualmente dall'uno e dall'altro polo, oppure sull'asse ma spostata verso uno dei poli,
oppure né sull'asse né equidistante dai poli. (...)
In breve, se la Terra non stesse al centro l'intero ordine osservato degli incrementi e decrementi di notte e giorno sarebbe
completamente sconvolto. Inoltre, le eclissi di Luna non potrebbero avvenire nella posizione diametralmente opposta al Sole rispetto
a tutte le parti del cielo, dato che spesso l'interposizione della Terra si avrebbe con questi due astri in posizioni non diametralmente
opposte, ma separate da intervalli inferiori a un semicerchio.
2. Che la Terra stia, per quanto ha effetto sulla sensazione, nel rapporto di un punto rispetto alla sua distanza dalla sfera delle
cosiddette stelle fisse, ha la seguente forte testimonianza a favore: le grandezze e le distanze reciproche degli astri, osservate da
qualsiasi parte della Terra negli stessi tempi, appaiono dovunque uguali e simili; parimenti, le osservazioni delle stesse stelle
compiute da latitudini diverse non consentono di rilevare neppure la minima discordanza.
Non si deve poi tralasciare che gli gnomoni , in qualsiasi parte della Terra siano posti, e i centri delle sfere armillari equivalgono al
vero centro della Terra, cioè che, gli esami compiuti con la diottra e i percorsi ricurvi delle ombre danno risultati in accordo con le
ipotesi stabilite per i fenomeni, appunto come se le linee si trovassero a passare per il punto centrale stesso della Terra.
E un chiaro segno che le cose stanno così è anche che dovunque i piani passanti per i nostri occhi, che chiamiamo orizzonti, tagliano
in tutti i casi l'intera sfera celeste in due parti uguali; se la grandezza della Terra rispetto alla distanza dei cieli fosse sensibile, ciò
non potrebbe accadere, ma soltanto il piano passante per il punto centrale della Terra potrebbe dimezzare la sfera; invece i piani

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passanti per qualsiasi altro punto della superficie della Terra produrrebbero in tutti i casi le sezioni al di sotto della Terra maggiori di
quelle al di sopra.
3. In base agli stessi argomenti esposti in precedenza si può dimostrare che la Terra non può compiere nessuno dei movimenti
trasversali di cui si è detto, né in generale spostarsi dal luogo centrale. Si avrebbero, infatti, le stesse conseguenze che se si trovasse a
occupare una posizione diversa dal centro. Mi sembra allora futile ricercare le cause dello spostamento verso il centro, una volta che
è chiaro dagli stessi fenomeni che la Terra occupa il luogo centrale del mondo e che tutti i corpi pesanti si spostano verso di essa. E
il più agevole e solo modo per comprendere ciò sta nel vedere che, una volta dimostrato che la Terra è sferica e nel mezzo del tutto
(come si è detto), in tutte le sue parti assolutamente le inclinazioni e i movimenti dei corpi pesanti (intendo i loro movimenti propri)
si compiono sempre e dovunque ortogonalmente al piano tangente che passa per il punto di contatto della caduta. Perciò è chiaro che
i corpi pesanti, se non fossero arrestati dalla superficie della Terra, proseguirebbero fino al centro stesso, dato che la linea retta che
conduce al centro è sempre ortogonale al piano tangente la sfera tracciato sull'intersezione prodotta dal contatto".
(Tolomeo, Almagesto)

Non va poi dimenticato un latro aspetto della produzione di Tolomeo. Egli scrisse il Tetrabiblos, un'opera molto famosa
nell'antichità, in cui intese dare una fondazione scientifica all'astrologia, in modo da poter indovinare il destino degli uomini
attraversi l'osservazione degli astri.

4.1. Il modello astronomico di Tolomeo: gli epicicli e i deferenti
Lo storico della scienza Thomas S. Kuhn, in un celebre saggio sull'astronomia planetaria nello sviluppo del pensiero occidentale,
intitolato La rivoluzione copernicana, descrive l'antico modello di universo a due sfere ? quella terrestre e quella celeste ? e, a
proposito del problema dei pianeti, riconosce che ? il contributo di Tolomeo è il più importante (?) poiché fu proprio Tolomeo che
per primo collegò una serie particolare di cerchi compositi per spiegare non soltanto i moti del Sole e della Luna, ma le regolarità e
le irregolarità quantitative che venivano osservate nel moto apparente di tutti e sette i pianeti?. Questi cerchi sono gli epicicli, i
deferenti, gli eccentrici e gli equanti.

"Proprio come il modello a due sfere aveva fornito un meccanismo preciso per i moti giornalieri, permettendo in tal modo studi
particolareggiati delle principali irregolarità planetarie, così il sistema epiciclo-deferente, offrendo una certa riproduzione dei
principali moti planetari, permise di individuare con l'osservazione alcune irregolarità minori. Questo è il primo esempio della
fecondità della sua concezione. Quando il moto previsto da un sistema di un epiciclo e un deferente viene confrontato con
l'osservazione del moto effettivo di un singolo pianeta, si riscontra che non sempre il pianeta è colto nella posizione esatta in cui lo
porrebbe la geometria del modello teorico. (?) Il sistema di un epiciclo e un deferente non costituiva pertanto la risposta finale al
problema dei pianeti. Era soltanto un punto di partenza molto promettente, che si prestò subito ad ulteriori sviluppi, i quali
culminarono nell'elaborato sistema planetario di Tolomeo (100-178 d. C.): la massima realizzazione dell'antica astronomia.
Alcuni degli accorgimenti più importanti escogitati per perfezionare il sistema epiciclo-deferente possono essere illustrati da un
ulteriore esame del moto del Sole. Il Sole non retrocede e quindi il suo moto non richiede un grosso epiciclo, del tipo descritto
nell'ultimo paragrafo. Tuttavia, se si fissa il Sole sopra un deferente che ruoti con velocità uniforme attorno alla Terra come centro,
non si ottiene una spiegazione esatta dal punto di vista quantitativo del moto solare, poiché (?) il Sole impiega, per spostarsi
dall'equinozio primaverile a quello autunnale (180° lungo l'eclittica), quasi 6 giorni in più che per tornare dall'equinozio autunnale a
quello primaverile (sempre 180°). Il moto del Sole lungo l'eclittica durante 1'inverno è leggermente, più veloce che durante l'estate
ed un tale tipo di moto non può essere prodotto da un punto fisso su di un cerchio che ha la Terra come centro e ruota con velocità
uniforme. Esaminiamo la figura 1a, in cui la Terra è disegnata nel centro di un deferente che ruota con velocità uniforme ed in cui la
posizione degli equinozi di primavera e d'autunno sulla sfera delle stelle è indicata dai trattini EP ed EA. La rotazione a velocità
uniforme del deferente porterà il Sole S da EP ad EA nello stesso tempo necessario per riportarlo da EA ad EP: il che corrisponde
solo approssimativamente a ciò che si osserva.
Supponiamo tuttavia che il Sole venga rimosso dal deferente e posto su di un piccolo epiciclo, il quale compie una rotazione verso
ovest mentre il deferente ne compie una verso est. In figura 1 b sono disegnate otto posizioni del Sole in un sistema di questo genere.
È chiaro che la metà estiva della rotazione del deferente non fa compiere al Sole l'intero percorso da EP ad EA e che la metà
invernale della rotazione fa compiere al Sole un percorso maggiore della distanza fra EA ed EP. Così l'effetto dell'epiciclo è di
aumentare il tempo impiegato dal Sole nei 180° fra EP ed EA e di diminuire il tempo impiegato nell'altra metà dell'eclittica fra EA
ed EP. Se il raggio del piccolo epiciclo è 3/100 del raggio del deferente, la differenza fra il tempo impiegato dal Sole a percorrere le

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due metà dell'eclittica sarà proprio dei 6 giorni richiesti. (?)
Un tipo di irregolarità è stato trattato con il sussidio di un epiciclo minore in figura 1b. Un altro tipo è illustrato in figura 1c. Qui
l'epiciclo minore compie due rotazioni in direzione ovest, mentre il deferente ne compie una in direzione est. La composizione delle
due rotazioni dà origine ad un moto risultante (la linea spezzata in figura) lungo un cerchio appiattito. Un pianeta che si sposti su
questa curva si muove più velocemente ed impiega meno tempo in vicinanza dei solstizi estivo e invernale che non presso i due
equinozi. Se l'epiciclo avesse compiuto un po' meno di due rotazioni nel periodo di una rotazione del deferente, allora le posizioni
sull'eclittica corrispondenti alla massima velocità apparente del pianeta sarebbero cambiate nei viaggi successivi attorno all'eclittica.
Se la velocità, in un certo viaggio, fosse apparsa massima in prossimità del solstizio estivo, il pianeta, nel viaggio successivo,
avrebbe oltrepassato il solstizio estivo prima di raggiungere la sua velocità massima. Variazioni di questo genere se ne posson fare a
volontà".
(Thomas S. Kuhn, La rivoluzione copernicana, tr. it. Einaudi, Torino 1972)

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