VERSO UN'INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL'INDUSTRIA

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Capitolo 2 - L’industria cinematografica

VERSO UN’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’INDUSTRIA

                                                     Intervista a Giancarlo Leone
                                              Amministratore Delegato RAI CINEMA

L’apparato produttivo cinematografico romano, tradizionalmente carat-
terizzato da un intenso pluralismo e da una vistosa frammentazione
imprenditoriale, sta cambiando la propria fisionomia?
Cominciamo col dire che, in termini strettamente industriali, un eccesso di imprese che
hanno come scopo quello di realizzare prodotti cinematografici - che presuppongono
anche notevoli investimenti - non è un bene. La democrazia economica vorrebbe che lo
fosse, ma la realtà industriale italiana, inquadrata in un contesto europeo e globale, ci
vede già fortemente penalizzati da un elevato numero di titoli cinematografici prodot-
ti con budget mediamente bassi e da una produzione con un impatto sul mercato nazio-
nale ed internazionale non ancora sufficientemente consistente.
La frammentazione imprenditoriale che caratterizza il panorama italiano, sta vivendo
tuttavia una fase di ridimensionamento, da ricondurre ad una progressiva crescita in
termini di forza produttiva e ad un maggior grado di concentrazione delle produzioni
indipendenti. Le cinquanta o sessanta società che realizzavano una volta i cento film
prodotti in un anno in Italia, oggi stanno nettamente diminuendo e questo è un dato
positivo. Resta comunque il fatto che si produce ancora troppo rispetto a quello che il
sistema è in grado di assorbire. Il nostro è un mercato che ha un incasso globale in sala
di circa 600 milioni di Euro, di cui il 20-22% è da ricondurre a film di nazionalità italia-
na e la rimanenza a prodotti americani ed europei. La quota nazionale rappresenta
insomma una fetta abbastanza piccola del mercato, pari a 120-150 milioni di Euro a
fronte di investimenti privati e pubblici che ammontano a quasi il doppio. Ne deriva che
non c’è alcun rapporto tra quello che si investe nel cinema ed il mercato che è destina-
to ad usufruirne. Questo è dovuto a molte storture del passato, tra cui anche un utiliz-
zo indiscriminato dei finanziamenti statali. Ma oggi, in un momento in cui la crisi degli
stanziamenti pubblici è fortemente in atto, questa tendenza è ancora piuttosto eviden-
te, a dimostrazione della complessità del fenomeno, riconducibile ad un insieme di con-
cause. In questo contesto, una grande responsabilità l’ha avuta la televisione, che ha
ritenuto – a torto o a ragione – di assistere il settore indipendentemente dalle logiche
di mercato o di merito, investendo sul diritto d’antenna, cioè sull’ultimo anello della

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filiera dei diritti del prodotto cinematografico, a prescindere dalla necessità delle reti. Il
produttore che non raccoglieva sufficienti risorse dalla sala, l’home video o la pay, pote-
va comunque contare sullo straordinario paracadute rappresentato dalla tv generalista.
La crisi del mercato pubblicitario che, agli inizi degli anni 2000, ha interessato anche le
televisioni - che si sono organizzate diversamente per tentare di fare una politica di pro-
duzione e di acquisti più seria e mirata, in grado di accogliere le esigenze del mercato –
ha poi comportato un abbassamento del valore del diritto d’antenna. Il produttore che
oggi fa cinema, sa bene insomma che con il suo prodotto dovrà rivolgersi al proprio
pubblico di destinazione. Per questo e per altri fattori, la polverizzazione delle imprese
sta dunque diminuendo, lasciando intravedere già dei segnali positivi, perché i produt-
tori indipendenti stanno crescendo. E la politica di Rai Cinema è quella di non produrre
mai da sola, ma di affiancarsi finanziariamente alle produzioni indipendenti, facilitando
il compito di chi si affaccia in questo settore.

Che fase sta vivendo oggi il cinema italiano?
Dal punto di vista creativo ed editoriale, il nostro cinema sta vivendo un momento
molto importante e positivo, perché oggi si cominciano a fare sempre più titoli in grado
di intercettare i gusti del pubblico, film d’autore – firmati da registi come Bellocchio,
Amelio, Giordana, Avati o Comencini - che sanno essere anche commerciali. Vedo quin-
di un grandissimo risveglio del cinema di qualità, capace di essere al tempo stesso un
cinema per tutti. Ben più problematica la situazione sul fronte produttivo e finanziario,
data la scarsità di risorse che il mercato riesce ad offrire. E le ragioni sono sostanzial-
mente due: da un lato, una forte carenza, rispetto ad una volta, dei fondi pubblici, che
per certi versi è un bene – in quanto impedisce di produrre indipendentemente dalle
logiche di mercato – per altri è invece un male, perché oggi che il sistema è più sano –
grazie anche a delle regole più certe ed oggettive – la povertà delle risorse è un danno;
dall’altro lato, non essendo cresciuta la fruizione complessiva del prodotto domestico in
sala, il cinema italiano avrebbe avuto bisogno di maggiori risorse dall’estero.
Il 90% dei ricavi di un film prodotto in Italia, viene sostanzialmente dal mercato inter-
no. E questo non è un bene, perché se per produrre oggi un film di qualità è difficile
immaginare un costo medio che sia al di sotto dei due milioni e mezzo, i tre milioni di
Euro, saranno pochi i titoli che – tra spese produttive e distributive – riusciranno a recu-
perare i propri soldi soltanto in Italia. Negli ultimi vent’anni, il cinema italiano nel
mondo è quasi scomparso; salvo qualche rara eccezione, come quella di Benigni o
pochissime altre, non ha più la visibilità ed il rispetto di cui godeva un tempo. Non è un
caso che gli operatori internazionali del settore si riferiscano ancora a De Sica, Rossellini

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o Fellini, senza fare alcun cenno al cinema di oggi, che invece è anche molto solido. C’è
insomma un problema molto grave di percezione da parte del mercato internazionale,
che non vive il nostro cinema come un prodotto che può essere potenzialmente di suc-
cesso. E questo comporta serie difficoltà al produttore, che non è stato minimamente
supportato in tal senso dallo Stato. Negli ultimi dieci o quindici anni, abbiamo concen-
trato tutte le nostre risorse nella produzione di film italiani, senza curarci della loro pro-
mozione all’estero. L’esempio francese, con Unifrance, è la prova tangibile di come sia
invece possibile sostenere il proprio cinema, creando intorno al prodotto nazionale l’at-
tenzione che merita.

Il primo impedimento a percorrere la via internazionale, è insomma da
ricondurre alle carenze promozionali più che alla specifica caratterizza-
zione del prodotto domestico?
Sicuramente, perché il prodotto nazionale oggi è assolutamente meno domestic, inteso
all’americana, meno intimo e per soli italiani rispetto a prima. Il problema è che abbia-
mo vissuto decenni in cui il nostro cinema si è rivolto a se stesso più che all’esterno e,
nel momento in cui riesce a parlare a tutti, non ha la forza sufficiente – che significa
costi ed investimenti – per farsi conoscere.

In questi anni, all’ampliamento del parco sale italiano non è corrisposto
l’annunciato incremento delle presenze e degli incassi, come è invece
accaduto in altri paesi d’Europa. A cosa ricondurre questo fenomeno?
Ci sono paesi d’Europa, come la Francia, in cui il cinema nazionale ha una quota di mer-
cato prevalente o comunque molto consistente. La verità è che siamo un’industria note-
volmente discontinua, per cui - a seconda degli anni - si ottengono dei risultati più o
meno positivi. Quello che sta accadendo, come precedentemente osservato, è che al pro-
dotto commerciale si è fortunatamente aggiunto un cinema di qualità in grado di esser
ben supportato in sala. Resta il fatto che stiamo parlando di circa venti film l’anno - tra
titoli commerciali e d’autore – a fronte di altri settanta, ottanta prodotti che non rag-
giungono neppure il milione di Euro d’incasso. Allora, due sono le possibilità: che si fac-
ciano settanta film di troppo o che il mercato italiano non sia in grado di recepirli. Credo
siano vere entrambe le motivazioni. Purtroppo il nostro paese resta in Europa il fanali-
no di coda del consumo culturale a pagamento e, mentre in Francia - e soprattutto in
Spagna - le sale sono cresciute insieme agli incassi, in Italia ci siamo fermati a 100-110
milioni di biglietti staccati. Il fatto che la Spagna, che ha lo stesso clima dell’Italia, venda
circa 150 milioni di biglietti, la dice lunga sulla nostra propensione al consumo cultura-

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le a pagamento. E la tendenziale pigrizia dello spettatore italiano – che si rivolge alla tv
generalista o a quella a pagamento come strumento alternativo di fruizione – ha in que-
sto senso un peso assolutamente rilevante.

La scelta di puntare fortemente, attraverso la 01 Distribution, sul lancio
del prodotto sul mercato – in termini di numero di copie ed investimen-
ti sul marketing - è stata la risposta di Rai Cinema?
Assolutamente, in questi anni abbiamo adottato per il cinema italiano lo stesso mecca-
nismo che si usa per il prodotto americano, scommettendo in modo sempre più signifi-
cativo sul lancio importante del film in sala. Prova ne sono titoli come Luce dei miei
occhi di Giuseppe Piccioni, distribuito in circa 120 copie, un vero e proprio record per
una pellicola italiana, Un viaggio chiamato amore di Michele Placido (180 copie),
Buongiorno, notte di Marco Bellocchio (oltre 200 copie), Le chiavi di casa di Gianni
Amelio (250 copie) o La bestia nel cuore di Cristina Comencini che, uscito in 300 copie,
ha raggiunto i 5 milioni di Euro d’incasso. Tutti film che, seguiti ed apprezzati al Festival
di Venezia, hanno saputo poi intercettare i gusti del pubblico in sala. Questo è, in sinte-
si, il tratto distintivo di Rai Cinema che, grazie alla creazione di una propria società di
distribuzione, ha potuto investire maggiormente sul cinema italiano. Per farlo, ha dovu-
to anche contornarsi di importanti prodotti americani, convinta del fatto che un’impre-
sa che disponga in modo esclusivo di titoli nazionali, abbia poca forza contrattuale sul
mercato dell’esercizio per difendere al meglio il cinema domestico.

Ritiene che il sistema industriale cinematografico italiano possa diriger-
si in futuro verso una progressiva concentrazione delle competenze
all’interno di un numero limitato di strutture o che vada piuttosto nella
direzione di una sempre maggiore specializzazione d’impresa?
Oggi si tende ad una sempre più evidente separazione tra la figura del produttore, del
distributore e quella dell’esercente. Le grandi concentrazioni di imprese che riuniscono
l’intera filiera, sono infatti diminuite. La stessa Medusa, che concentra in sé queste tre
funzioni, ha smobilitato gran parte dell’esercizio, mentre Rai Cinema ha scelto di non
entrarvi affatto. Quello che vedo a livello industriale, è una graduale divisione dei com-
parti e credo che questo sia un bene, perché favorisce la competitività e l’efficienza del
mercato. Lo stesso discorso vale per le nuove tecnologie, in quanto più le figure saran-
no separate e più l’immissione del digitale produrrà nuove opportunità per l’intero siste-
ma.

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Capitolo 2 - L’industria cinematografica

Quali sono, a suo giudizio, le motivazioni – passate e presenti – del cen-
tralismo cine-audiovisivo romano?
Le ragioni storiche sono tante. Gli autori, nel dopoguerra, venivano a Roma perché c’era
un fermento culturale molto forte. La Capitale poi, offriva di per sé innumerevoli oppor-
tunità ed era la città dove erano sorti i primi stabilimenti produttivi. Queste premesse,
insieme alle condizioni climatiche vantaggiose, hanno fatto sì che Roma divenisse la
Capitale del cinema italiano. E, in tutti questi anni, ha saputo mantenere il suo ruolo
dominante, favorita anche dall’apporto di autori che, di volta in volta, hanno saputo
raccontarla in maniera differente. Quello che sta avvenendo oggi, è che le nuove oppor-
tunità offerte da città come Torino o Napoli spingono le produzioni a scegliere di gira-
re anche altrove, supportate dalle diverse Film Commission che sono intanto cresciute
sul territorio. Le comodità ed i vantaggi che Roma offriva una volta, sono ora messe a
dura prova dalla concorrenza delle altre città o regioni d’Italia, che propongono appeti-
bili agevolazioni finanziarie o di altra natura. In questo contesto, vedo dei segnali di
allontanamento dalla Capitale e credo che la risposta più utile ed importante che possa
dare la città sia quella di unificare – come sta già facendo - le Film Commission in una
singola iniziativa. Non ho dubbi che questa sia la strada per favorire l’industria locale.
Quello che devo notare, è che purtroppo c’è ancora una fortissima resistenza da parte
del cinema internazionale a venire a lavorare in Italia. Molti film americani non vengo-
no più realizzati nei paesi di provenienza – dagli Stati Uniti al Canada – ma sempre più
spesso in Europa e sono rari i casi in cui le grandi produzioni di Hollywood scelgono di
girare nel nostro paese. Le cause non sono certamente climatiche o qualitative, ma di
natura industriale e sindacale, nel senso che i produttori americani ritengono i nostri
costi troppo elevati e le giornate di lavoro insufficienti a rendere conveniente una lavo-
razione cinematografica in Italia. Esiste insomma un problema reale di costi e di com-
petitività economica, che in alcuni casi ha riguardato anche gli stessi produttori italia-
ni, spinti a realizzare un film o una fiction nell’Est Europa per i prezzi nettamente più
vantaggiosi. Il vero campanello d’allarme è insomma che dall’estero non vengano più a
girare in Italia. Il Nord Africa e l’Est Europa oggi sono molto più appetibili del nostro
paese e questa ritengo sia una cosa da correggere. C’è l’urgente necessità di assistere
non solo l’industria italiana, ma anche quella internazionale, incentivandola a venire a
lavorare in Italia.
In questo senso, l’iniziativa di Cinema - Festa Internazionale di Roma è un segnale
molto forte a livello industriale che si vuole dare al mondo. Come a dire che l’Italia,
attraverso Roma, che è la Capitale del cinema, vuole tornare ad essere un soggetto forte
e lo farà non soltanto portando i film in competizione, ma anche attraverso tante altre

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iniziative, compreso un mercato che sta sorgendo. Questa è un’ottima maniera per far
tornare il cinema italiano alla ribalta della vetrina internazionale. Una Festa che sia il
luogo di incontro di tutti, diventa anche il modo con cui la nostra cinematografia torna
ad essere protagonista.

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