Un pain a portager ou elle s'envole

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LIBERA UNIVERSITA’ DELL’AUTOBIOGRAFIA DI ANGHIARI
                                   FESTIVAL DELL’AUTOBIOGRAFIA
                                   ANGHIARI, 13 SETTEMBRE 2014

“RI” CONOSCERSI OLTRE LA DIPENDENZA : NUOVE POSSIBILITA’ DI
CAMBIAMENTO ATTRAVERSO LA SCRITTURA

                            SER.T VALTIBERINA                 AZIENDA ASL 8 AREZZO

“Un pain a portager ou elle s’envole”
…sul muro bianchissimo di una casupola dell’oasi di Gabès, io e Vincenzo Labella abbiamo visto questa scritta araba
tradotta in un francese essenziale. La curiosità ci ha portato a scoprire che l’autore era un ometto barbuto dagli occhi
spiritati, ma ridenti; così gli abbiamo chiesto chi fosse quella elle, quella lei, che si sarebbe involata se non si accettava
di dividere con gli altri il proprio pane. Ci ha fissato per un attimo …. : la felicità ! ci ha risposto .

Tunis, 19 maggio 2003

Il nostro progetto viene da lontano. E quanto mai, nella nostra memoria, si è fatto ricordo.
Tuttavia, in occasione del Festival, abbiamo la possibilità di raccontarlo di nuovo e di riflettere,
confrontandoci, sul cambiamento che ha innescato nella storia del nostro Servizio.

Per conoscerci…

Da molti anni operiamo al Servizio per le dipendenze della Valtiberina: fin dalla sua nascita
questo servizio ha sviluppato un metodo di lavoro che non privilegia linee direttive centrate
sull’organizzazione gerarchica, ma invece si fonda su un clima partecipativo, stimolando
l’espressione dell’opinione di tutti i membri dell’equipe multi-professionale con una leadership
diffusa. Sin dal principio a questo tipo di lavoro furono dedicate ogni settimana due diverse
riunioni: una per la verifica dei programmi terapeutico-riabilitativi e una per l’organizzazione,
il monitoraggio e sviluppo dei progetti innovativi. Da scontri dialettici ed appassionati, accese
discussioni e confronti approfonditi sul compito è scaturita una forte condivisione, centrata su
valori di riferimento comuni e accettati.

Una delle ipotesi di lavoro che l’ equipe del Sert della Valtiberina ha maturato fin dall’inizio
circa il lavoro sulle dipendenze definiva che l’accettazione della delega specialistica ai problemi
e patologie correlate alle dipendenze avrebbe prodotto una risposta parziale e insufficiente:
così l’equipe multi-professionale, pur consapevole della centralità del proprio ruolo rispetto alla
cura delle dipendenze, ha avviato una strategia tesa a coinvolgere attivamente tutti gli attori
della comunità locale, sia nell’ambito del lavoro di prevenzione che in quello del recupero e
della riabilitazione. In questo modello di lavoro per progetti, nello sforzo di restituire
competenze alla comunità locale, si è compiuta negli anni una vera e propria contaminazione
con i soggetti di riferimento del territorio.

E’ in questo quadro di riferimento che, attratti dalla ricchezza dei paradigmi della L.U.A, con
l’intento includere uno dei soggetti della rete in costruzione in Valtiberina Toscana, ci siamo
attivati ed abbiamo conosciuto il prof. Demetrio.
Dall’incontro è nato un percorso, condotto da Caterina Benelli, Giulia Clemente, Mariangela
Giusti e – in seguito- da Lucia Portis, percorso che ha interessato operatori e utenti (sia quelli
del SER.T. ma anche quelli della cooperativa degli operatori di strada e quelli dell’Associazione
Club Alcolisti in Trattamento).
Il progetto infatti è stato finanziato attraverso il Fondo Nazionale Lotta alla Droga e ha previsto
due fasi principali: una di formazione e acquisizione del metodo autobiografico da parte degli
operatori,e una di applicazione/trasferimento al nostro target sia in direzione della raccolta
delle storie di vita dei pazienti sia in contesti gruppali, formali ed informali, in connessione al
programma di lavoro di strada, già avviato fin dal 1998 .

Il Progetto

Nella prima fase del progetto (2001-2002), gli operatori del gruppo (che peraltro attraversava
una fase critica e delicata del proprio ciclo vitale) hanno scritto la propria biografia
professionale, iniziando a sperimentare un metodo nuovo, centrato sulla riflessività,
sull’introspezione, sulla suggestioni proposte dalle docenti. A partire dall’esperienza di sé e
attraverso la potente funzione evocativa della scrittura abbiamo iniziato a sperimentare una
nuova forma di attenzione e di ascolto che, successivamente, abbiamo potuto proporre ai
nostri utenti. Il lavoro sul gruppo iniziale, composto dagli operatori, è costato impegno e fatica;
da un lato la ricerca per significare le storie e per l’attribuzione di senso, dall’altro la
condivisione del sentire reciproco (del gruppo e del singolo nel gruppo) ha comportato lo sforzo
di ripensare se stessi in relazione agli altri e ha determinato (insieme ad altre concause) la
ridefinizione di metodi e prassi, ma anche di distanze e vicinanze, riposizionando le relazioni
anche in termini affettivi.

A distanza di un anno (2002-2003) abbiamo sviluppato strumenti diversificati: una griglia di
intervista per il lavoro di strada -da impiegare nell’area della prevenzione - e un modello per gli
utenti del Sert, che coinvolgesse anche i membri dei club degli alcolisti in trattamento, tanto
per ricordare un’altra realtà che questo territorio aveva a disposizione nei percorsi di aiuto.

In questo secondo ambito è stata avviata la selezione di alcuni utenti, avvenuta in base a
criteri di significatività e di disponibilità, in modo da raccogliere le loro storie. La scelta ha
previsto che ogni operatore scrivesse la storia di una persona presa in carico da altri del
servizio, nel tentativo di proteggersi da pregiudizi e schemi strutturati e/o condizionati dalle
precedenti esperienze. Ai pazienti individuati, intenzionalmente, abbiamo espresso la proposta
con enfasi, presentandola come un’offerta stra“ordinaria” e come occasione di contribuire alla
sperimentazione e persino al miglioramento dei “loro operatori” e del” loro servizio”. Questo
primo capovolgimento (attraverso l’esplicitazione che non solo gli operatori fossero protagonisti
del loro proprio cambiamento ma che essi stessi potessero ancora esprimere azioni di
miglioramento di se e del contesto) ha favorito la percezione delle proprie potenzialità di
autodeterminazione, come soggetti ancora capaci di governare il proprio percorso esistenziale
e sostenere, almeno in parte, alcune responsabilità.
Inoltre, l’ipotesi che il racconto di sé fosse oggetto di così alto interesse ha contribuito a
ridefinire il pregiudizio che al servizio si portasse solo la propria malattia, la propria
dipendenza, vissuta come inadeguatezza e quindi come colpa.

Il metodo che abbiamo utilizzato per la raccolta delle storie autobiografiche ha impiegato come
strumento principale il colloquio, strumento declinato da ogni professionista in maniera
diversa, ma familiare a tutti gli operatori coinvolti. Il colloquio si è svolto tra un individuo che
narra di sé e un ascoltatore biografo che si è avvalso dell'ascolto verbale e gestuale, integrato
con mezzi mediali quali la registrazione vocale. In fase successiva, dopo la sbobinatura
letterale, si è potuto procedere alla restituzione del racconto trasformato in narrazione
attraverso la tecnica del backtalking.

Il racconto ha portato al ritrovamento di tratti, segmenti salienti, momenti cruciali, svolte della
vita, passaggi simbolici e significativi. La ricomposizione di questi frammenti, la connessione
delle biografie è ciò che ha dato forma ai racconti autobiografici: essi sono focalizzati, come il
nostro specifico professionale richiede, a raccogliere parti dell'esperienza di una persona legate
al consumo di droghe e alcool, ma l’attenzione all’interezza della storia ha favorito
l’ampliamento dello sguardo e ad una nuova visuale della persona.
L'esercizio psichico del rispecchiamento ha facilitato l’allargamento della conoscenza di
elementi importanti della propria storia, permettendo inoltre di comprendere come e perché i
consumi di alcol e droghe abbiano modificato la traiettoria esistenziale          e la carriera
tossicomanica. Scrivere, narrare di sé aiuta la persona a ri connettere (o connettere in modo
nuovo) le parti sé che sono frammentate, disperse, separate.
L'incontro dialogico, narratore - ascoltatore biografo, permette in particolare a chi usa
sostanze, di riconsiderare le proprie esperienze rispetto ai temi specifici del consumo di
droghe, favorendo l'apprendimento del significato che essi hanno avuto nella propria storia
per poi considerare l'apertura di nuove possibilità di cambiamento e auto-trasformazione.

Nel nostro caso il colloquio ha indagato su:
- i contesti d'appartenenza dei consumatori: famiglia, scuola, lavoro, tempo libero;
- l'incontro con le sostanze;
- le motivazioni al consumo;
- le differenze tra quello che si osserva su di sé e quello che si osserva negli altri. Le
    differenze sono state anche valorizzate in ordine alla posizione – personale e professionale
    - di chi raccoglie la storia e ne restituisce il racconto: medici, psicologi, educatori,
    assistenti sociali, infermieri, operatori di strada, volontari di gruppi di auto aiuto;
- gli aspetti comuni quali ideologie , tendenze, valori ,pregiudizi, cambiamenti e
    passaggi ordinari;
- la crisi;
- la progettualità: episodi che incoraggiano il cambiamento, desideri di migliorare la
    propria condizione e perseguire i sogni e le passioni che favoriscono il percorso
- il recupero: controllo progressivo dell'uso, reinserimento familiare, lavorativo, ricreativo.
- le diverse eventuali ri generazioni dei viaggi e delle storie:

Benché il percorso prevedesse la pubblicazione anonima delle storie, che non è mai avvenuta
per motivi altri rispetto al progetto, la fase della restituzione delle storie ha evidenziato esiti
variegati, liberando indifferenza oppure grande commozione, distacco e partecipazione attiva.
Tuttavia molti dei pazienti coinvolti dal progetto hanno continuato ad informarsi sull’esito del
percorso svolto, domandando se la loro storia avesse interessato e/o aiutato qualcun altro e
provocando nuove riflessioni su quella esperienza.
Le narrazioni infatti hanno aiutato i protagonisti ad uscire allo scoperto e a manifestare
l’intenzione di far sentire la loro voce: un passo, solo un piccolo passo, verso il superamento
del pregiudizio, la rottura degli stereotipi e la riconquista del diritto di cittadinanza.
L’ultima parte di questo intervento intende soffermarsi brevemente sugli effetti di questo
percorso nel gruppo di lavoro e nelle pratiche del servizio.
La riflessione sulla esperienza a distanza di molto tempo si rivela, con qualche sorpresa, ricca e
positiva; rispolvera un entusiasmo e una passione sempre accesi!

Come ci ha cambiati questo progetto?

Impossibile raccontare i mille rivoli che sono sgorgati da quella sorgente e – del resto –
sarebbe difficile attribuire a questo solo segmento di esperienza il ruolo di esclusivo movente
teorico e metodologico. Tuttavia, nel tentativo di contagiare chi legge, ecco alcune principali
considerazioni:

Lavoro con l’utenza:

Il lavoro a diretto contatto con i pazienti e la relazione d’aiuto in particolare sono cambiati nel
senso dell’attenzione per la storia di vita che è divenuta il momento centrale dell’incontro della
persona con il nostro servizio. Più specificatamente l’anamnesi dei nostri utenti viene raccolta
con attenzione sia per il tempo diacronico (il momento a cui si riferisce la narrazione, il
momento dell’esperienza ri evocata) ma anche per il tempo sincronico (il momento in cui
avviene il racconto e quindi quando proporre il momento specifico per parlare); tenendo conto
di stimoli e suggestioni che abbiamo appreso e condiviso nell’occasione formativa accennata, ci
si concentra quanto più possibile sulla sua versione soggettiva e valorizzando gli aspetti
connessi con le qualità uniche affettivi della persona. La scrittura facilita la personalizzazione
dell’intervento.
La scrittura è stata proposta e sperimentata in molte altre occasioni; scavando in questo
ambito abbiamo avuto occasione di leggere diari, poesie, autobiografie spontanee, scritture di
esperienze in comunità, ecc. La scrittura è stata proposta e utilizzata al gruppo terapeutico e
nell’esperienza dell’inserimento lavorativo in cui alcune – quasi tutte – le persone che si sono
impegnate in un percorso di riabilitazione hanno lasciato testimonianza e la maggior parte lo
ha fatto con il testo pubblicato contenesse il proprio nome per intero.
Anche la nostra scrittura è cambiata in relazione a questa pratica: il linguaggio tecnico delle
categorie diagnostiche per la cartella clinica e per il sistema informatizzato si è integrato a
descrizioni più ampie ed immaginative, contaminato dal valore della memoria ossia del
riportare immagini alla mente, ram-mentare, facoltà assolutamente vitale per la mente (James
Hillman)

Lavoro di gruppo :

Tutti gli operatori dell'equipe sono stati coinvolti, insieme ad alcune presenze esterne ma non
estranee, come ad esempio gli operatori di strada.
Il fatto che tutti gli operatori dell'equipe partecipassero alla pari all'esperienza di scrittura – a
prescindere dalla loro professionalità – offre l'occasione per precisare che il racconto di sé si
integra e non si sostituisce agli strumenti terapeutici già collaudati, adeguandosi anche alle
caratteristiche della fase del percorso individuale del paziente. E’ bene esplicitare questa idea
che può sembrare ovvia ma che invece, in alcune occasioni, si presenta come domanda da
parte di alcuni professionisti.
A livello del gruppo di lavoro il progetto svolto ha rinforzato il metodo partecipativo della
nostra equipe attraverso la condivisione e la conoscenza più approfondita di dinamiche
personali e interpersonali significative, sia degli pazienti che degli operatori.
I temi ed i riferimenti che siamo in grado di mettere in comune si trovano ad un livello di
consapevolezza non sempre all’altezza, ma senz’altro più alto di quello che si osserva in altre
equipe di lavoro.

Un ulteriore tratto che si può attribuire all’esperienza condotta, si collega al confine, dinamico e
multiforme, che si stabilisce nella relazione d’aiuto. Senza la pretesa di aggiungere nulla ad
una questione che - da sempre dibattuta - è stata esplorata da tutte le scuole del pensiero
clinico e psicoterapeutico, mi limito solo ad osservare che gli operatori del nostro gruppo hanno
migliorato la propria capacità di gestire il confine della relazione con il paziente,
padroneggiando le dinamiche dei passaggi e dei continui cambiamenti che la relazione stessa
richiede. Una maggior consapevolezza della differenza tra il ruolo dell’operatore e la posizione
dell’utente, ma anche degli elementi esperienziali in comune, nella piena coscienza che nel
cammino evolutivo le strade si incontrano e si intersecano in modo misterioso.

Lavoro di comunità:

Rispetto agli interventi di sviluppo di comunità il progetto ha potenziato il metodo della ricerca
intervento, già in atto al momento dell’esperienza. Inoltre ha consentito, insieme
all’approfondimento di paradigmi psico pedagogici affini, la valorizzazione delle variabili
qualitative dei fenomeni. Sia gli operatori del SER.T che gli operatori di strada si sono
arricchiti della capacità di mettere a fuoco, attraverso griglie di osservazione e di
interpretazione, i fenomeni locali e quindi di utilizzare le informazioni in maniera più efficace.
Infine, non voglio dimenticare la risonanza delle storie raccolte nell’ambito della formazione.
Molti di noi si trovano ad operare nella formazione di insegnanti, studenti, operatori socio
sanitari, volontari, gruppi di pari. Coloro che hanno proposto in maniera anonima le storie
raccolte e significate hanno riscontrato l’effetto potente nelle diverse audience, comprese e
soprattutto quelle difficili come i ragazzi dei centri sociali o delle aule a rischio. Ascoltare o
leggere la storia di qualcuno che ha segnato i tuoi stessi passi favorisce l’apprendimento e
incide molto di più di qualsiasi spiegazione tecnico/scientifica, per quanto competente, proprio
perché consente l’identificazione di chi ascolta.

Concludendo, vanno solo riportate due considerazioni generali che sembrano riecheggiare
anche negli interventi dei colleghi. La scrittura in ambito sanitario può trovare una collocazione
funzionale in quanto:

   1. assolve l’ipotesi che la salute – e di conseguenza la sanità- vada inquadrata all’interno
      di un movimento culturale di nuovo umanesimo, che afferma la dignità delle persone e
      tenta di declinarla in tutte gli ambiti e in tutte le direzioni;

   2. si presta alle logiche del pensiero complesso che sempre di più va utilizzato per leggere
      i fenomeni legati alla salute. E’ attenta al particolare, alla qualità, alla
      personalizzazione, alla dinamicità, allo spostamento dello sguardo tra fuori e dentro,
      all’intreccio tra locale e globale. Tutti i “saperi” che concorrono all’organizzazione socio
      sanitaria stanno dentro il paradigma della complessità, che non considerazione vuota
      ed astrusa ma fortemente auspicato dalla normativa della Regione Toscana in questo
      settore e come esempio ci si può riferire all’ultima indicazione relativa ai Piani di
      Inclusione Zonale (contenuta nella recente modifica della legge 41/2005 della Regione
      Toscana).

Bibliografia essenziale

Duccio Demetrio “Raccontarsi L’autobiografia come cura di sé” Raffaello Cortina Editore

Maria Teresa Bassa Poropat Luca Chicco Franca Amione “Narrazione e ascolto” Carocci Faber

James Hillman “La forza del carattere” Adelphi

Lucia Zannini “Medical Humanities e medicina narrativa“ Raffaello Cortina editore

Marco Baldi       medico – direttore SER.T ASL 8 ZONA VALTIBERINA
Via S. di Tito, 24 52037 Sansepolcro Arezzo
Tel. 0575 757940 m.baldi@usl8.toscana.it

Elena Camerelli assistente sociale SER.T ASL 8 ZONA VALTIBERINA
Via S. di Tito, 24 52037 Sansepolcro Arezzo
Tel. 0575 757949 e.camerelli@usl8.toscana.it
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