TRIBUNALE DI MILANO: GOOGLE SUGGEST, SUGGERIRE NON È DIFFAMARE
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TRIBUNALE DI MILANO: GOOGLE SUGGEST, SUGGERIRE NON È DIFFAMARE Google non è civilmente responsabile per le associazioni di termini eventualmente diffamatorie che appaiono nell’ambito dei servizi di Google “Autocomplete” e “Ricerche correlate”. E’ quanto ha stabilito il Tribunale di Milano con ordinanza del 25 marzo 2013, nel respingere il ricorso in via cautelare del presidente di due enti no-profit, che lamentava la visualizzazione, nel motore di ricerca di Google, di frasi lesive dell’onore e della reputazione propri e degli enti rappresentati. L’ordinanza in esame chiarisce, ancora una volta, che gli Internet Service Providers non hanno alcun obbligo di attivarsi per rimuovere da internet i contenuti ospitati o trasmessi in assenza di un ordine dell’autorità competente. L’ordinanza del Tribunale di Milano Il ricorrente, inserendo nella stringa di ricerca di Google il proprio nome e quello della fondazione a lui stesso intitolata, si era accorto che l’autocompletamento li associava a termini come “truffa”, “truffatore”, “plagio” e “setta”. Ritenendo che Google avesse accolto soltanto in parte la richiesta di rimozione delle associazioni di termini in questione, l’uomo è ricorso al Tribunale di Milano affinché fosse riconosciuta la responsabilità del motore di ricerca e, conseguentemente, ordinata la rimozione dei termini asseritamente diffamatori. Secondo il ricorrente, in base all’attività svolta, Google avrebbe dovuto configurarsi come un content provider, in quanto le funzioni di completamento automatico e di generazione di ricerche correlate sarebbero messe a punto dal provider, che assumerebbe ogni responsabilità circa il contenuto visualizzato tramite i propri servizi. Il Tribunale di Milano, nel respingere il ricorso, ha escluso la qualificazione di Google come content provider: in primo luogo, non vale a qualificare Google come content provider l’interfaccia del motore di ricerca, in quanto “trattasi di un sistema di attivazione del servizio e non certo di una funzione, né di un contenuto”, che permette all’utente di attivare il servizio inserendo una domanda. Inoltre, non può valere a qualificarlo come tale il funzionamento del software del servizio, dal momento che il servizio Autocomplete “riproduce statisticamente il risultato delle ricerche più popolari effettuate dagli utenti, laddove Ricerche Correlate riproduce i risultati delle pagine web indicizzate e rese accessibili dal motore di ricerca partendo dai termini in questione”. Inoltre, secondo il Tribunale, i termini visualizzati dagli utenti sulla stringa di ricerca attraverso la funzionalità di completamento automatico, ovvero nella sezione ricerche © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale
correlate, “non costituiscono un archivio, né sono strutturati, organizzati o influenzati da Google che, tramite un software automatico, si limita ad analizzarne la popolarità e a rilasciarli sulla base di un algoritmo”. Proprio in considerazione dell’attività meramente automatica svolta dal motore di ricerca, il Tribunale ha affermato che “le associazioni ai nomi dei ricorrenti dei termini “setta” e “plagio” di cui gli stessi si dolgono non costituiscono una frase di senso compiuto né una manifestazione di pensiero, né dunque “quello che Google pensa”, né un pensiero, né un pensiero attribuibile a Google, ma esclusivamente il risultato delle ricerche più popolari effettuate dagli utenti, ovvero la visualizzazione dei termini ricorrenti nelle pagine web incluse tra i risultati di ricerca di una determinata query, entrambi resi disponibili agli utenti come strumenti di aiuto alla ricerca”. Secondo il Tribunale di Milano, il servizio in questione si qualifica quindi come mero servizio di caching, cioè di memorizzazione temporanea di informazioni fornite dagli stessi utenti, senza alcuna responsabilità in relazione al loro contenuto a norma dell’articolo 15 del D. Lgs 70/2003 (cd. Decreto E-commerce). Pertanto, prima di un’esplicita richiesta dell’autorità giudiziaria, e in assenza di un obbligo di filtraggio preventivo da parte degli ISP, il provider non aveva il dovere di rimuovere i risultati delle ricerche automatiche in esame, asseritamente lesivi. Si ricorderà che la stessa posizione è stata espressa di recente dal Tribunale di Firenze (vedi Link). Già in precedenza, in relazione ad un caso simile, il Tribunale di Pinerolo, con ordinanza del 30 aprile 2012, ha avuto modo di chiarire che l’accostamento generato per effetto del funzionamento del servizio di completamento automatico è del tutto privo di valenza diffamatoria e non significa altro se non che un certo numero di utenti, in un dato momento, abbiano effettuato determinate ricerche. Invece, due anni, fa un’altra ordinanza dello stesso Tribunale di Milano era pervenuta al risultato opposto, avendo riconosciuto la responsabilità di Google con riferimento ad un caso simile (ordinanza del 24 marzo 2011). BREVETTO AD EFFETTO UNITARIO: LA CORTE UE RESPINGE I RICORSI DI ITALIA E SPAGNA Con decisione del 16 aprile 2013 nelle cause riunite C-274/11 e C-295/11 la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha respinto i ricorsi presentati da Italia e Spagna per l’annullamento della decisione del Consiglio dell’Unione europea 2011/167/UE del 10 marzo 2011, attraverso la quale era stata autorizzata la cooperazione rafforzata in materia di brevetto europeo ad effetto unitario. La procedura di cooperazione rafforzata ha condotto alla creazione di un nuovo titolo di proprietà intellettuale valido a livello continentale come previsto dai regolamenti n. 1257/2012 “relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria” e n. 1260/2012 relativo al regime di traduzione applicabile, entrambi del 17 dicembre 2012 ed entrambi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 31 dicembre 2012. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale
Nei propri ricorsi l’Italia e la Spagna hanno dedotto un’articolata serie di motivi di illegittimità della decisione del Consiglio tra i quali si segnalano per rilevanza: Incompetenza del Consiglio – il Consiglio non sarebbe stato competente ad autorizzare la cooperazione rafforzata in quanto la creazione di titoli europei al fine di garantire una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale rientrerebbe nell’ambito delle competenze esclusive dell’Unione, come tali sottratte ai sensi dell’articolo 20 TUE dalla possibilità di ricorrere alla cooperazione rafforzata; Sviamento di potere – la decisione del Consiglio di autorizzare la cooperazione rafforzata sarebbe stata finalizzata ad escludere dalla cooperazione l’Italia e la Spagna eludendo di fatto il requisito dell’unanimità previsto dall’art. 118, secondo comma, TFUE per l’adozione delle decisioni del Consiglio; Violazione dell’articolo 20 paragrafo 2 del TUE – il Consiglio sarebbe incorso in tale violazione ricorrendo alla cooperazione rafforzata senza che fossero esaurite tutte le possibilità di trattativa tra gli Stati membri tendenti al raggiungimento di una decisione all’unanimità; Violazione del sistema giurisdizionale dell’Unione – il Consiglio avrebbe autorizzato la cooperazione rafforzata senza che fosse precisato il regime giurisdizionale previsto per il nuovo titolo europeo di proprietà intellettuale. Si segnala, infine, come ulteriori motivi di illegittimità siano stati articolati dai ricorrenti in relazione alle disposizioni di cui agli articoli 20, paragrafo 1, TUE, 118 TFUE, 326 TFUE e 327 TFUE. La Corte dopo una preliminare descrizione dei passaggi istituzionali che hanno portato all’emanazione dei regolamenti segnalati, passa in rassegna i presunti profili di illegittimità evidenziati dai ricorrenti. Sulla presunta incompetenza del Consiglio i giudici europei rilevano come occorre chiarire, in via preliminare, se la materia di cui si tratta rientri o meno tra quelle per le quali è prevista una competenza non esclusiva dell’Unione. Sul punto la Corte evidenzia come l’art. 118, primo comma del TFUE conferisca la competenza ad istituire titoli di proprietà intellettuale “nell’ambito del funzionamento del mercato interno”. Si sarebbe, pertanto, nell’ambito della materia “mercato interno” che rientra tra le competenze non esclusive e non, come sostenuto dai ricorrenti, tra le “regole di concorrenza” di competenza esclusiva dell’Unione. Sul punto la Corte sottolinea come, pur se essenziali per il mantenimento di una concorrenza non falsata nel mercato interno, le norme in materia di proprietà intellettuale non costituiscono delle “regole di concorrenza” in senso stretto ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, lettera b) del TFUE. Così rilevata l’infondatezza del primo motivo di illegittimità avanzato dai ricorrenti, i giudici di Lussemburgo analizzano il profilo relativo al presunto sviamento di potere che avrebbe caratterizzato la decisione oggetto di impugnazione. In proposito la Corte, richiamando una propria giurisprudenza consolidata, ricorda come un atto possa dirsi viziato da sviamento di potere, allorquando sulla base di indizi oggettivi, pertinenti e concordanti risulti essere stato adottato esclusivamente, o quantomeno in maniera determinante, per fini diversi da quelli per i quali il potere è stato originariamente conferito. Nel caso di specie, secondo la Corte, i ricorrenti non hanno fornito indizi sufficienti per fondare un possibile sviamento di potere, mentre la condotta tenuta dal Consiglio è apparsa conforme alle regole comunitarie in materia di cooperazione rafforzata. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale
In particolare, secondo la Corte, i ricorrenti non hanno dimostrato che la decisione del Consiglio di autorizzare la cooperazione rafforzata sia stata determinata in maniera esclusiva o comunque determinante dalla volontà di escludere Italia e Spagna dai negoziati eludendo così la regola dell’unanimità prevista dal Trattato. Nel prosieguo della decisione anche gli ulteriori motivi di illegittimità delle decisione del Consiglio sono oggetto di sindacato da parte della Corte che ne dispone, in conseguenza, il rigetto. Sulla possibile violazione della regola dettata dell’articolo 20 paragrafo 2 del TUE a mente del quale, come ricordato, il Consiglio può autorizzare una cooperazione rafforzata solo in termini di ultima istanza quando risultano esaurite tutte le possibilità di trattativa tra gli Stati membri tendenti al raggiungimento di una decisione all’unanimità, la Corte rileva come da un lato, l’operato del Consiglio sia apparso del tutto coerente ed in linea con quanto richiesto dalla disposizione citata e, sotto altro profilo, come i ricorrenti non abbiano fornito elementi idonei a dimostrare il contrario. Infine, sull’ulteriore motivo di doglianza rappresentato dalla presunta mancata precisazione del sistema giurisdizionale previsto per il brevetto unitario la Corte rileva come il Consiglio non fosse tenuto a fornire tale precisazione nel processo di autorizzazione della cooperazione rafforzata. Tale competenza era, invece, attribuita agli Stati membri che hanno partecipato alla cooperazione rafforzata che, peraltro, hanno determinato tali profili all’esito della cooperazione stessa. All’esito dell’articolata analisi e del rigetto anche di ulteriori profili di doglianza secondari, avanzati dai ricorrenti, la Corte ha rilevato come nessuno dei motivi di illegittimità denunciati fosse fondato e, conseguentemente, ha rigettato i ricorsi confermando la legittimità della decisione assunta dal Consiglio. La decisione costituisce un importante momento propulsivo nel processo di integrazione europea dei titoli di proprietà industriale rimuovendo l’ultimo ostacolo che si frapponeva alla piena efficacia dei regolamenti che, a partire dal 2014, consentiranno alle imprese europee di depositare brevetti aventi un effetto unitario in 24 Stati membri dell’Unione. APP PER SMARTPHONE E TABLET: PARERE DEL GRUPPO DI LAVORO ARTICOLO 29 Il coordinamento dei Garanti europei per la protezione dei dati personali (c.d. Gruppo di Lavoro Articolo 29) ha recentemente pubblicato un parere sulle app per smart devices (Opinion 02/2013 on apps on smart devices). Nel documento, il Gruppo di Lavoro Articolo 29 ha provato a individuare da un lato le principali criticità privacy che gli sviluppatori e i distributori possono riscontrare nella creazione e nella diffusione di una app e, dall’altro lato, ha proposto anche possibili soluzioni per un corretto trattamento dei dati. Le linee guida si rivolgono all’intera platea dei soggetti coinvolti, a vario titolo, nella vita di una app, ovvero: sviluppatori, gestori di marketplace, produttori di sistemi operativi e smartphone e terze parti. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale
Di seguito, una tabella che riassume e semplifica – senza pretese di esaustività – alcuni dei principali obblighi individuati dal Gruppo di Lavoro Articolo 29 per ciascuna categoria di soggetti coinvolti: OBBLIGHI DEGLI OBBLIGHI DEGLI OBBLIGHI DEI OBBLIGHI DELLE SVILUPPATORI DI APP APP STORES PRODUTTORI DI DEVICE TERZE PARTI Fornire al cliente un Rispe7are gli obblighi sistema di controllo previs@ per il @tolare del u@le a esprimere in Rispe7are gli obblighi Rispe7are gli obblighi tra7amento da@, sia modo valido (e previs@ per il @tolare previs@ per il @tolare del verso gli uten@ che verso revocare del tra7amento da@ nei tra7amento da@ nei gli eventuali outsourcee efficacemente) il confron@ degli uten@. confron@ degli uten@. responsabili del consenso al tra7amento. tra7amento da@ effe7uato dalle app. Obbligare lo Programmare il proprio Chiedere il consenso per Richiedere il consenso ai sviluppatore a fornire OS in modo che il il tra7amento dei da@ sensi della norma@ve informazioni sull'app, consenso per il prima che l'app inizi a privacy europea ogni volta sul @po di da@ a cui tra7amento venga ricevere informazioni (ad che si accede o si accede, sul perché e chiesto la prima volta es. prima memorizzano da@ sul sulle terze par@ con cui che l’app tenta di dell’installazione). disposi@vo dell’utente. i da@ sono condivisi. accedere ai da@. Approntare una Non aggirare i soYware sicurezza par@colare Implementare i principi vol@ a impedire il per i da@ dei minori, e della “privacy by tracciamento e la Tra7are il minor numero fornire (e obbligare a design” per prevenire profilazione, come possibile di da@ personali. fornire) le informazioni ogni monitoraggio a7ualmente accade con le ai minori nel modo più occulto dell’utente. funzioni di “Do not track” semplice e ada7o alla dei più comuni browser. loro età. Fornire informazioni Gli operatori telefonici de7agliate sui controlli Fornire all’utente devono assicurarsi un effe]vamente svol@ Assicurare la sicurezza un’informa@va privacy valido consenso per la sulle app, compresi i del tra7amento. completa. preinstallazione di app sui controlli su privacy e disposi@vi brandizza@. sicurezza. Dare all'utente la Assicurarsi che le Evitare di inviare pubblicità possibilità di revocare impostazioni di default fuori dal contest dell’app, liberamente il consenso al e le app pre-‐installate ad esempio modificando i tra7amento dei suoi da@ siano conformi alla browser tramite personali in caso di norma@ve privacy l’installazione di plugin disinstallazione. europea. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale
Fare in modo che gli sviluppatori delle app Evitare il tra7amento da@ Implementare le misure possano accedere solo dei minori per fini di di sicurezza richieste dalla ai da@ stre7amente pubblicità legge. necessari per far comportamentale. funzionare la propria app. Implementare sistemi user-‐friendly per Fornire un conta7o unico impedire la profilazione Evitare l’uso dell’ID del a cui gli uten@ possano a fini pubblicitari e non. disposi@vo per finalità di rivolgersi per le loro Di default, ogni tracciamento. esigenze. possibilità di tracciamento dev'essere disabilitata. Implementare Conservare i da@ solo per appropria@ meccanismi un periodo di tempo di informazione ed ragionevole e prevedere educazione dell’utente un periodo di ina]vità su ciò che le app oltre il quale l’account possono fare e a quali verrà disa]vato. da@ possono accedere. Come si evince quindi anche dal prospetto riassuntivo qui proposto, le linee guida del Gruppo di Lavoro Articolo 29 tracciano quindi per la prima volta un percorso chiaro e condiviso a livello europeo per lo sviluppo e l’utilizzo responsabili delle applicazioni per smartphone e tablet, nel rispetto delle imprescindibili esigenze di protezione dei dati personali degli utenti. BROWSING E CACHING SUL WEB: E’ APPLICABILE L’ECCEZIONE PREVISTA PER LE COPIE TEMPORANEE? Secondo la Corte suprema inglese la semplice visualizzazione sul web di estratti di contenuti editoriali e la conseguente realizzazione di copie cache da parte degli utenti internet, senza l’autorizzazione del titolare dei diritti, non violano in linea di principio il diritto d’autore sui contenuti in questione. Tali attività implicano, infatti, la realizzazione di “copie temporanee” che, in quanto tali, sono lecite anche in assenza dell’autorizzazione del titolare dei diritti ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera a), della Direttiva 2001/29/CE, come recepito dal Copyright, Designs and Patents Act del 1988 (Public Relations Consultants Association Limited vs The Newspaper Licensing Agency Limited and others, [2013] UKSC 18). Tale norma esenta dal diritto di riproduzione che spetta al titolare dei diritti gli atti di riproduzione temporanea privi di rilievo economico proprio che sono transitori o accessori, e parte integrante e essenziale di un procedimento tecnologico, eseguiti all’unico scopo di © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale
consentire (i) la trasmissione in rete tra terzi con l’intervento di un intermediario o (ii) un utilizzo legittimo di un’opera o di altri materiali. Accogliendo il ricorso degli editori di Newspaper Licensing Agency (NLA), la High Court of Justice e la Corte d’Appello hanno stabilito che i clienti dell’agenzia di pubbliche relazioni Meltwater, che offre servizi a pagamento di monitoraggio delle notizie online, necessitano di una licenza per visualizzare sul sito web di Meltwater gli indirizzi delle notizie che includono termini di ricerca di loro interesse, in quanto tali attività non creerebbero “copie temporanee” dei contenuti editoriali ai sensi della disposizione sopra citata. Il 17 aprile 2013 La Corte Suprema ha invece respinto tale ricostruzione (vedi link). Secondo la Corte, se fosse considerata illecita la mera visualizzazione di contenuti protetti da copyright, in assenza di alcun download di tali contenuti, tutti gli utenti che, nel corso della normale navigazione sul web, visualizzano pagine web violerebbero, inconsapevolmente, il diritto d’autore su di essi. Ad avviso della Corte, “tale risultato sembra inaccettabile, in quanto renderebbe autori di illeciti milioni di utenti in Europa che usano browser e motori di ricerca per scopi privati e commerciali”. In considerazione della “dimensione transnazionale” delle questioni coinvolte la Corte ha ritenuto però di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. In particolare, la Corte di Giustizia dovrà chiarire se l’eccezione per copie temporanee prevista dalla normativa sul diritto d’autore possa applicarsi nel caso in cui le copie permangano nella memoria cache dopo la chiusura della sessione di browsing che le ha generate, e un’ulteriore copia resti su schermo finché la sessione non sia terminata dall’utente. Già in passato la Corte di Giustizia si è pronunciata in materia di riproduzioni temporanee di contenuti (caso C-5/08, Infopaq International A/S c. Danske Dagblades Forening (Infopaq I); caso C-403/08, Football Association Premier League Ltd c. QC Leisure and Others; caso C-429/08, Karen Murphy c. Media Protection Services Ltd; caso C-302/10, Infopaq International A/S c. Danske Dagblades Forening). ! BREVISSIME COMMISSIONE UE: PROPOSTE DI RIFORMA IN MATERIA DI MARCHI La Commissione europea ha presentato il 27 marzo 2013 un pacchetto di proposte di revisione della normativa comunitaria in materia di marchi, che mirano a semplificare e armonizzare le procedure di registrazione dei marchi negli Stati membri, modernizzare le norme vigenti, potenziare i mezzi di lotta contro la contraffazione dei prodotti in transito attraverso il territorio dell’UE, facilitare la cooperazione tra gli uffici dei marchi degli Stati membri e l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (UAMI, che ha competenza in materia di marchi nell’UE). Nell’intento della Commissione europea, la riforma proposta migliorerà le condizioni per l’innovazione delle imprese e permetterà di fruire di una protezione più efficace dei marchi dalle contraffazioni. Il pacchetto proposto contiene tre iniziative: © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale
• rifusione della direttiva del 1989 (ora codificata come 2008/95/CE) sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa; • revisione del regolamento del 1994 (ora codificato come 207/2009/CE) sul marchio comunitario; • revisione del regolamento della Commissione del 1995 (2869/95) relativo alle tasse da pagare all’UAMI. Le proposte relative alla rifusione della direttiva e alla revisione del regolamento sul marchio comunitario dovranno essere adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio secondo la procedura di codecisione. La proposta di revisione del regolamento relativo alle tasse richiede la previa approvazione del competente comitato per le questioni relative alle tasse dell’UAMI, che sarà a chiamato a pronunciarsi sulla questione nei prossimi mesi. Il testo delle proposte è disponibile al seguente link. CONSULTAZIONE PUBBLICA EUROPEA SU INTERNET IN TV E LA TV IN INTERNET La Commissione europea ha dichiarato la propria volontà di analizzare le possibili implicazioni delle nuove convergenze tra tecnologia e contenuti televisivi – generate ad esempio dall’uso sempre più intenso di smartphone, “connected TV”, web TV, etc. – e ha avviato una consultazione pubblica sul tema, aperta a tutti gli interessati. Il termine finale per la partecipazione è fissato alla fine di agosto 2013. Tra i temi oggetto della consultazione vi sono: le modalità per la creazione di sane dinamiche di mercato che consentano alle imprese europee di affrontare al meglio la concorrenza internazionale (soprattutto statunitense), tenendo conto della diversità degli ordinamenti cui i concorrenti possano essere sottoposti; gli strumenti per proteggere i c.d. “valori europei” nel settore dei media, tra cui appunto la libertà dei media, la tutela dei minori, l’accessibilità per gli utenti disabili etc.; l’apertura la pluralismo, etc. Secondo le indicazioni fornite dalla Commissione, la principale tra le fonti europee che potranno essere modificate all’esito della consultazione è la direttiva sui servizi di media audiovisivi (2010/13/UE), recepita in Italia dal Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici. I numeri precedenti sono disponibili online sul sito. Se desideri iscriverti al servizio clicca qui. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale
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